202306.22
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Solo una istanza di rimborso completa e non generica consente l’impugnazione del rifiuto tacito (nota a Cass. 11335/2023)

L’istanza di rimborso generica od incompleta è inidonea a formare il rifiuto tacito, autonomamente impugnabile, in quanto non consente all’Ufficio di valutare la fondatezza della stessa né al giudice tributario di sindacare le presuntive ragioni del diniego.

(Cass., sez. trib., 2 maggio 2023, n. 11335)

Quando l’istanza di rimborso è idonea alla formazione di un rifiuto tacito?

Nel 2010 una società di capitali presenta istanza ex art. 38, d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600 chiedendo il rimborso delle ritenute versate nel 2005 in relazione al pagamento di interessi su un finanziamento a una consociata di diritto irlandese, richiamando la disciplina applicabile alla fattispecie concreta (vale a dire l’art. 26 quater, d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600 nel testo vigente ratione temporis) e producendo la documentazione relativa al versamento effettuato e al mancato recupero di tali importi nei confronti dell’Erario e del soggetto sostituito. L’inerzia dell’Amministrazione finanziaria determina il formarsi di un rifiuto tacito, contro cui la società contribuente presenta ricorso ex art. 19, comma 1, lett. g), d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546. Confermando la sentenza di prime cure, la Commissione Tributaria Regionale ritiene fondate le doglianze della società contribuente.

Nell’ordinanza n. 11335 del 2023 la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione rigetta il ricorso dell’Amministrazione finanziaria, reputando che l’istanza di rimborso de qua possieda i requisiti minimi richiesti affinché sia idonea alla formazione di un rifiuto tacito impugnabile e che non sia rilevante il fatto che la ragione giustificativa della domanda formulata in sede amministrativa sia stata modificata dalla società contribuente in sede giustiziale.

Il Collegio ricorda che “il rimborso di imposta […] dà origine ad un rapporto giuridico nel quale […] è il contribuente a rivestire il ruolo attivo, assumendo nei confronti dell’Erario la posizione di creditore di una determinata somma di denaro, per il fatto di avergliela in precedenza versata”: ciò che accade sul piano sostanziale si riverbera su piano processuale, giacché in giudizio “è il contribuente che ha l’onere di allegare e provare i fatti ai quali la legge ricollega il trattamento impositivo rivendicato nell’istanza di rimborso”. Sussiste un analogo un legame tra procedimento e processo: infatti le istanze di rimborso prive di indicazioni inerenti gli importi richiesti e gli estremi del versamento non possono essere considerate giuridicamente valide e idonee alla formazione di un rifiuto tacito impugnabile “in quanto non consentono di valutare la fondatezza o meno della richiesta; né tale vizio è sanabile con il successivo deposito di documenti, atti a colmare le lacune predette, deposito che è comunque tardivo, in quanto intervenuto nel corso di un procedimento che non avrebbe dovuto neppure essere iniziato”.

L’istanza di rimborso deve essere completa e non generica.

Nella giurisprudenza di legittimità può ormai dirsi consolidato l’orientamento secondo cui, in maniera speculare rispetto a quanto previsto per il provvedimento impositivo (cfr. l’art. 7, l. 27 luglio 2000, n. 212 per la generalità degli atti dell’Amministrazione finanziaria, nonché le norme relative ai singoli tributi), la motivazione dell’istanza di rimborso deve necessariamente essere completa e non generica con indicazione – ai fini della sua validità – degli estremi del versamento stesso e degli importi chiesti in restituzione, al fine porre l’ufficio procedente in condizioni di provvedere valutando la fondatezza o meno della richiesta del contribuente (si vedano ex multis Cass., sez. trib., 30 novembre 2012, n. 21400, in CED Cass., Rv. 624444; Cass., sez. trib., 20 marzo 2000, n. 3250, ibidem, Rv. 534891) e di consentire al giudice adito di valutarne le ragioni.

Il vizio originale afferente l’istanza di rimborso non è sanabile con il successivo deposito di documenti, atti a colmare le lacune predette, deposito che è comunque tardivo, in quanto intervenuto nel corso di un procedimento che non avrebbe dovuto neppure essere iniziato per assenza dei presupposti atti alla formazione e quindi alla impugnazione del silenzio-rifiuto (cfr. ex multis Cass., sez. trib., 20 marzo 2000, n. 3250, cit.).

Il c.d. “soccorso istruttorio” nello Statuto dei diritti del contribuente.

A sommesso avviso di chi scrive la seconda statuizione deve essere intesa cum grano salis al fine di evitare il consolidarsi di un diritto vivente stridente rispetto ai principi costituzionali che regolano il procedimento amministrativo tributario.

Non può infatti non ricordarsi che, lo Statuto dei diritti del contribuente (cfr. Cass., sez. Trib., 10 dicembre 2002, n. 17576, in CED Cass., Rv. 559127, ove si ribadisce che le disposizioni statutarie, per essere espressive – ai sensi dell’art. 1, l. 27 luglio 2000, n. 212 – dei principi generali, anche di rango costituzionale, già immanenti nel diritto e nell’ordinamento tributario, vincolano l’interprete in forza del canone ermeneutico dell’interpretazione adeguatrice a Costituzione) impone specifici oneri procedimentali a carico dell’Amministrazione finanziaria:

  • in base all’art. 6, comma 2, l. 27 luglio 2000, n. 212, “l’amministrazione deve informare il contribuente di ogni fatto o circostanza a sua conoscenza dai quali possa derivare il mancato riconoscimento di un credito ovvero l’irrogazione di una sanzione, richiedendogli di integrare o correggere gli atti prodotti che impediscono il riconoscimento, seppure parziale, di un credito”.
    L’omissione di tale comunicazione determina l’invalidità del provvedimento adottato, integrando una violazione del contradditorio endoprocedimentale, che costituisce primaria espressione dei principi di derivazione costituzionale di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva (Cass., sez. trib., 23 ottobre 2015, n. 21586, in CED Cass., Rv. 637035);
  • in forza dell’art. 6, comma 4, l. 27 luglio 2000, n. 212, “al contribuente non possono, in ogni caso, essere richiesti documenti ed informazioni già in possesso dell’amministrazione finanziaria o di altre amministrazioni pubbliche indicate dal contribuente. Tali documenti ed informazioni sono acquisiti ai sensi dell’articolo 18, commi 2 e 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241, relativi ai casi di accertamento d’ufficio di fatti, stati e qualità del soggetto interessato dalla azione amministrativa”.
    Qualora il contribuente che eserciti un’azione di rimborso deduca che alcuni documenti sono in possesso dell’Amministrazione finanziaria, quest’ultima è tenuta a pronunciarsi in modo non generico o immotivato sull’effettivo possesso e sul reale contenuto degli atti in questione ed il giudice può, in caso di rifiuto o di risposte generiche od immotivate, trarre argomenti di prova da tale comportamento (Cass., sez. trib., 5 ottobre 2001, n. 12284, in CED Cass., Rv. 549516). Inoltre una agevolazione spetta anche in assenza di richiesta del contribuente quando il suo presupposto sia noto all’ente impositore, tenuto conto del principio di collaborazione e buona fede di cui è espressione la norma de qua (Cass., sez. VI civ. – T, 26 marzo 2021 (ord.), n. 8592, in CED Cass., Rv. 660884; cfr. art. 10, comma 1, l. 27 luglio 2000, n. 212 e art. 1, comma 2 bis, l. 7 agosto 1990, n. 241).

Il c.d. “soccorso istruttorio” nella legge generale sul procedimento amministrativo.

Il rapporto di genere a specie tra il procedimento amministrativo e il procedimento tributario è confermato dal confronto delle norme dello Statuto dei diritti del contribuente supra richiamate con la legge generale sul procedimento amministrativo.

In base all’art. 6, comma 2, lett. b), l. 7 agosto 1990, n. 241, il responsabile del procedimento “può chiedere il rilascio di dichiarazione e la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete e può esperire accertamenti tecnici ed ispezioni ed ordinare esibizioni documentali”.

Il c.d. “soccorso istruttorio” “si risolve, giusta il tenore letterale della norma (laddove afferma “…invitano, se necessario….”) e la sua ratio essendi, non in una facoltà, ma in un doveroso ordinario modus procedendi volto a superare inutili formalismi in nome del principio del favor partecipationis e della semplificazione”, rappresentando, “dal punto di vista sistematico, […] una applicazione legale del principio del giusto procedimento sancito dall’art. 3, l. 7 agosto 1990, n. 241 che impone all’amministrazione di squarciare il velo della mera forma per assodare l’esistenza delle effettive condizioni di osservanza delle prescrizioni imposte dalla legge” (excerpta da Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 25 febbraio 2014, n. 9; cfr. anche Consiglio di Stato, sez. IV, 12 gennaio 2017, n. 50). Tale istituto “è volto a garantire la massima collaborazione possibile tra privato ed amministrazione pubblica e, nel contempo, il soddisfacimento della comune esigenza alla definizione del relativo procedimento, con il risultato che l’esclusione da una procedura amministrativa per motivi di carattere squisitamente formale è giustificata soltanto se necessario per la tutela di contrapposti valori giuridici. Se tale necessità non ricorre, è lo stesso principio di proporzionalità a rendere irragionevole l’adozione di un provvedimento negativo basato sulla mera incompletezza o erroneità dell’istanza” (così Consiglio di Stato, sez. VI, 24 febbraio 2022, n. 1308).

Trapiantando i richiamati principi pretori dal procedimento amministrativo al procedimento tributario di rimborso, si ha conferma del fatto che le previsioni di cui ai commi 2 e 4 dell’art. 6, l. 27 luglio 2000, n. 212 sono espressione del principio del giusto procedimento e sottendono una puntuale direttrice di valore, in forza della quale “le regole precettive che disciplinano l’azione amministrativa non possono essere invocate per tutelare pretese che esulano dalla sfera di protezione degli interessi (pubblici e privati) che l’ordinamento, tramite di esse, intende presidiare” (Consiglio di Stato, sez. VI, 24 febbraio 2022, n. 1308, cit.).

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