201507.17
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Sanzioni tributarie: rimessa alla Corte Costituzionale la compatibilità con il ne bis in idem

N. 136 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 aprile 2015

Ordinanza del 21 aprile 2015 emessa  dal  Tribunale  di  Bologna  nel
procedimento penale a carico di B.F.M.. 
 
Processo penale - Divieto di un secondo giudizio -  Procedimento  per
  il delitto di  omesso  versamento  dell'IVA  -  Mancata  previsione
  dell'applicabilita' del divieto nel caso in  cui  all'imputato  sia
  stata  comminata  per  il  medesimo   fatto   nell'ambito   di   un
  procedimento  amministrativo  una   sanzione   alla   quale   debba
  riconoscersi natura penale,  ai  sensi  della  Convenzione  per  la
  salvaguardia dei diritti dell'uomo (CEDU) e dei relativi Protocolli
  - Violazione del principio del "ne bis in idem" affermato dall'art.
  4 del Protocollo n. 7  alla  CEDU  -  Inosservanza  degli  obblighi
  internazionali. 
- Codice di procedura penale, art. 649, in relazione all'art.  10-ter
  del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74. 
- Costituzione, art. 117, primo comma, in relazione  all'art.  4  del
  Protocollo n. 7 della Convenzione europea per la  salvaguardia  dei
  diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. 

(GU n.28 del 15-7-2015 )

 
                        TRIBUNALE DI BOLOGNA 
                        Sezione Prima Penale 
 
    Il  giudice,  sulle  questioni   sollevate   dalla   difesa,   ha
pronunciato la seguente ordinanza: 
    1. L'imputato B.F.M. e' stato rinviato  a  giudizio,  davanti  al
Tribunale Monocratico di Bologna, per rispondere  del  reato  di  cui
all'art. 10-ter d.lgs. n. 74/2000 perche' quale legale rappresentante
della Societa' «Obiettivo Energia S.r.l.» non versava l'Iva dovuta in
base alla dichiarazione annuale 2008 per un  importo  superiore  alla
soglia prevista dal presente articolo per ciascun periodo di imposta,
ossia per complessivi € 378.180,71 entro il termine per il versamento
dell'acconto relativo al periodo di imposta successivo. 
    Nel corso  del  procedimento  e'  stato  sentito  il  funzionario
dell'Agenzia delle entrate, il quale ha riferito  degli  accertamenti
fatti e della iscrizione a ruolo del debito tributario contestato  in
via amministrativa e ha confermato  che,  al  momento  del  processo,
l'imputato aveva gia' provveduto al pagamento  rateale  dell'imposta,
delle sanzioni pari al 30% e degli  interessi,  non  residuando  piu'
alcun debito residuo nei confronti di Equitalia. 
    Dalla documentazione in atti e' emerso,  inoltre,  che  l'Agenzia
delle entrate, considerata l'entita' delle  somme  in  questione,  ha
provveduto alla segnalazione alla competente Procura della Repubblica
per il reato di cui  all'art.10-ter  d.lgs.  n.  74/2000  da  cui  e'
scaturito il procedimento penale in epigrafe. 
    La difesa dell'imputato ha prodotto la documentazione  attestante
il debito con  l'Agenzia  delle  entrate  (comprensivo  di  capitale,
interessi e sanzione), la rateizzazione  della  somma  di  450.797,20
(comprensiva dell'importo di 378.180,71 e di  un  ulteriore  importo)
con la concessionaria Equitalia a  seguito  dell'iscrizione  a  ruolo
della cartella e le quietanze di pagamento da  parte  della  societa'
della somma sopra indicata. 
    Il  difensore  ha  altresi'  depositato  una  memoria   difensiva
contenente  istanza  per  il  rinvio  pregiudiziale  alla  Corte   di
Giustizia dell'Unione Europea ex art. 267 T.F.U.E. avente ad  oggetto
l'art.10-ter d.lgs.  n.  74/2000  e,  in  alternativa,  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 13 d.lgs.  n.  74/2000  in  via
principale e dell'art. 649 c.p.p. in via subordinata, per  violazione
dell'art. 117, comma 1 Cost., in relazione all'art. 4 del prot. n.  7
della CEDU. 
    In particolare: 
        a)  in  via  principale:   la   questione   di   legittimita'
costituzionale, per violazione  dell'art.  117,  primo  comma,  della
Costituzione, in relazione all'art.  4  del  protocollo  n.  7  della
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali, dell'art. 13 d.lgs. n. 74/2000 nella parte  in
cui non prevede che l'irrogazione di una sanzione definitiva ex  art.
13  d.lgs.  n.  471/1997  ad  un  soggetto  per  l'omesso  versamento
dell'I.V.A. determini l'improcedibilita', per violazione del  ne  bis
in idem, del successivo procedimento  penale  per  i  medesimi  fatti
(art.  10-ter  d.lgs.  n.  74/2000)  e  nei  confronti  dello  stesso
soggetto; 
        b)  in  via  subordinata:  la   questione   di   legittimita'
costituzionale, per violazione  dell'art.  117,  primo  comma,  della
Costituzione, in relazione all'art.  4  del  protocollo  n.  7  della
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali, dell'art. 649 c.p.p., nella parte in  cui  non
prevede l'applicabilita' di un divieto di un secondo giudizio al caso
in cui all'imputato sia gia'  stata  comminata,  per  medesimo  fatto
nell'ambito di un procedimento amministrativo una sanzione alla quale
debba riconoscersi natura penale ai sensi della Convenzione EDU. 
    In  punto  di  rilevanza  e  non  manifesta  infondatezza   delle
questioni prospettate, 
 
                               Osserva 
 
    2. Quanto alla questione sollevata  in  via  principale,  occorre
premettere  che  viene  qui  in  rilievo  il   particolare   rapporto
intercorrente, in materia di reati tributari, tra procedimento penale
e procedimento tributario. 
    L'art. 20 del d.lgs. n. 74/2000  stabilisce  che  il procedimento
amministrativo di accertamento e il processo tributario  non  possono
essere sospesi per la  pendenza  del  procedimento  penale  avente  a
oggetto i medesimi  fatti  o  fatti  dal  cui  accertamento  comunque
dipende  la  relativa  definizione.   Tale   norma,   disponendo   il
superamento della pregiudiziale tributaria,  sancisce  principio  del
doppio binario e l'autonomia tra  il  procedimento  amministrativo  e
quello penale, in quanto il primo non  puo'  essere  sospeso  per  la
pendenza del secondo e viceversa. 
    Viene  poi  in  rilievo  il   rapporto   intercorrente   tra   il
procedimento penale ed il pagamento del debito tributario relativo ai
fatti costituivi dei medesimi delitti. 
    In particolare, ai sensi dell'art.  13  del  d.lgs.  n.  74/2000,
l'estinzione mediante pagamento, avvenuto prima  della  dichiarazione
di apertura del dibattimento di primo grado,  dei  debiti  tributari,
anche a seguito delle speciali procedure conciliative o  di  adesione
all'accertamento  previste  dalle  norme  tributarie,  determina   la
diminuzione della pena fino ad un terzo. 
    La norma precisa al comma 2, che, a tale fine, il pagamento  deve
riguardare  anche  le  sanzioni  amministrative   previste   per   la
violazione  delle   norme   tributarie,   sebbene   non   applicabili
all'imputato a norma dell'art. 19, comma 1. 
    Quest'ultima  norma  sancisce  il   principio   di   specialita',
stabilendo che quando  uno  stesso  fatto  e'  punito  da  una  delle
disposizioni del titolo II e da  una  disposizione  che  prevede  una
sanzione amministrativa, si applica la disposizione speciale. 
    Alla luce di una lettura  convenzionalmente  orientata,  come  si
osservera' nel prosieguo, deve  evidenziarsi,  nonostante  il  tenore
letterale  della  legge,  la  natura  sostanzialmente  penale   della
sanzione amministrativa  di  cui  all'art.  13  d.lgs.  n.  471/1997,
sicche'  il  doppio  binario   penale-amministrativo   previsto   dal
legislatore  in  materia  tributaria  comporta  una  violazione   del
principio del ne bis in idem sostanziale. 
    Orbene,  una  volta  acclarato  che  la  sanzione  amministrativa
irrogata  in  caso  di  omesso  versamento  dell'IVA  assuma   natura
afflittivo-penale, risulta evidente che l'intero  impianto  normativo
del  d.lgs.  n.  74/2000  si  pone  in  contrasto  con  il  principio
convenzionale del ne bis in idem e,  in  particolare,  si  appalesano
incostituzionali le disposizioni di cui agli  artt.  20  e  21  dello
stesso decreto, posto che tali norme  presuppongono  la  prosecuzione
del  procedimento  amministrativo  di  accertamento  o  del  processo
tributario - culminanti  nell'applicazione  di  una  sanzione  avente
carattere afflittivo-penale - nonostante la pendenza o la definizione
del processo penale per lo stesso fatto. 
    Tuttavia, tali questioni non assumerebbero rilevanza nel presente
giudizio,  perche'  entrambe  le  norme  citate  hanno   ad   oggetto
specificamente   la    sanzione    definita    come    amministrativa
dall'ordinamento interno - la quale nel caso di specie e' gia'  stata
eseguita dall'imputato,  avendo  egli  pagato  il  debito  tributario
comprensivo anche dell'importo della sanzione amministrativa - mentre
il presente  giudizio  ha  ad  oggetto  la  sanzione  penale  di  cui
all'art.10-ter d.lgs. n. 74/2000. 
    La questione di l.c. sollevata in  via  principale  in  relazione
all'art. 13 del d.lgs. n. 74/2000 non appare  rilevante  nei  termini
prospettati dalla difesa. 
    Infatti, non  puo'  condividersi  il  tentativo  di  invocare  un
intervento manipolativo di detta norma per attribuirle  una  funzione
che essa non si proponeva di avere. 
    Detta  disposizione,  per  comprensibili  ragioni,   si   propone
unicamente  di  stabilire  un  trattamento  sanzionatorio  di  favore
all'imputato che  abbia  fatto  fronte  all'integrale  pagamento  del
debito tributario. In questi termini la disposizione del primo  comma
della norma si sottrae ad ogni possibile censura, prevedendo in linea
generale il pagamento dell'imposta evasa e degli interessi di mora. 
    Cio' che, invece, per  quanto  si  verra'  a  dire,  implica  una
violazione insanabile del  principio  del  ne  bis  in  idem,  e'  la
disposizione del secondo comma dell'art. 13, in base al quale ai fini
dell'applicazione dell'attenuante occorre il  pagamento  anche  della
sanzione amministrativa. 
    Tuttavia, la questione di l.c. dell'art. 13, comma 2,  d.lgs.  n.
74/2000 non  assume  rilevanza  in  questo  giudizio,  posto  che  la
declaratoria di illegittimita'  della  norma  non  modificherebbe  il
trattamento  sanzionatorio  da  irrogare  all'imputato  in  caso   di
condanna, il quale potrebbe fruire ugualmente dell'attenuante, avendo
pagato il debito tributario consistente nell'imposta  evasa  e  nelle
voci accessorie. 
    2.2. Per contro, la questione sollevata in via subordinata  dalla
difesa, alla quale  deve  attribuirsi  invece  rilievo  centrale,  e'
rilevante nel presente giudizio, posto che, in caso di  accoglimento,
questo Tribunale potrebbe definire il giudizio mediante una pronuncia
ai sensi dell'art. 649 c.p.p. cosi' come manipolato dal giudice delle
leggi, essendo l'imputato gia' stato condannato al pagamento  di  una
sanzione, pur se formalmente amministrativa, sostanzialmente  penale,
per il medesimo fatto. 
    Si   osservi   che   non   sono   prospettabili   interpretazioni
costituzionalmente orientate in relazione alla norma censurata. 
    L'art. 649 c.p.p.  non  si  presta  ad  una  lettura  conforme  a
Costituzione posto che il legislatore, codificando il  principio  del
ne bis in idem, ha inteso garantire che lo stesso  soggetto  non  sia
sottoponibile a successivi procedimenti penali che abbiano ad oggetto
il medesimo fatto storico per il quale e'  stato  gia'  condannato  o
prosciolto. 
    Risulta, infatti, di palmare evidenza  il  riferimento  contenuto
nella norma in questione  all'autorita'  giudiziaria  penale  con  la
conseguenza che l'interpretazione letterale della norma consentirebbe
di estenderne l'ambito di operativita' e di ricondurre nel suo  alveo
le sanzioni irrogate dall'autorita' amministrativa. 
    3. La questione proposta non e' manifestamente infondata. 
    3.1  Giova  premettere  che  la  Convenzione   europea   per   la
salvaguardia dei diritti dell'uomo, ratificata e resa  esecutiva  con
la legge 4 agosto 1995, n. 848,  assume  il  carattere  di  parametro
costituzionale, per via del disposto dell'art. 117 Cost., cosi'  come
modificato dal legislatore del 2001, in virtu' del quale la  potesta'
legislativa e' esercitata dallo Stato e dalle  Regioni  nel  rispetto
della Costituzione, nonche' dei  vincoli  derivanti  dall'ordinamento
comunitario e dagli obblighi internazionali. 
    Le norme della CEDU si collocano nella gerarchia delle fonti  nel
nostro ordinamento immediatamente dopo la Costituzione,  ma  sono  di
rango intermedio tra questa e la legge ordinaria e  possono,  dunque,
definirsi come fonti interposte o norme subcostituzionali.  Esse,  di
conseguenza, sono dotate di una  forza  maggiore  rispetto  a  quella
dell'atto con cui sono state ratificate, ovvero la legge ordinaria. 
    Dunque, la CEDU pur essendo dotata di una particolare natura  che
la distingue dagli obblighi nascenti da altri Trattati internazionali
non  assume,  in  forza  dell'art.  11  Cost.,  il  rango  di   fonte
costituzionale ne' puo' essere parificata, a tali fini, all'efficacia
del diritto comunitario nell'ordinamento interno. 
    La Corte costituzionale con le sentenze n. 348 e 349 del 2007  ha
affermato che  le  disposizioni  della  Convenzione  europea  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo, nell'interpretazione che ad  esse
attribuisce la Corte europea dei diritti  dell'uomo,  integrando  uno
degli  obblighi  internazionali,  cui  si   riferisce   il   precetto
costituzionale, possono assumere il rango di  fonte  integrativa  del
parametro di costituzionalita'  di  cui  all'art.  117  Cost.,  primo
comma, determinando l'incostituzionalita' della legge  ordinaria  con
essa contrastante. 
    A cio' consegue l'incostituzionalita', per  violazione  indiretta
della  Costituzione,  di  tutte  le  norme   di   diritto   nazionale
contrastanti con tali norme pattizie. Anche  quest'ultime,  tuttavia,
devono superare il vaglio di conformita' ai principi  costituzionali,
per fungere da parametro indiretto di incostituzionalita'. 
    Pertanto, ove si profili un eventuale contrasto tra norma interna
e una norma della CEDU, il giudice comune deve  verificare  anzitutto
la praticabilita' di un'interpretazione della prima in senso conforme
alla Convenzione, avvalendosi di ogni  strumento  ermeneutico  a  sua
disposizione; e, ove tale verifica di esito negativo  -  non  potendo
cio' rimediare tramite  la  semplice  non  applicazione  della  norma
interna   contrastante   -   egli   deve   denunciare   la   rilevata
incompatibilita', proponendo questione di legittimita' costituzionale
in riferimento all'indicato parametro. 
    A sua volta, la Corte costituzionale, investita dello  scrutinio,
pur non potendo sindacare l'interpretazione  della  CEDU  data  dalla
Corte europea, resta legittimata  a  verificare  se  la  norma  della
Convenzione  -  la  quale   si   colloca   pur   sempre   a   livello
sub-costituzionale - si ponga eventualmente in  conflitto  con  altre
norme della Costituzione: ipotesi nella quale dovra'  essere  esclusa
la idoneita' nella  norma  convenzionale  a  integrare  il  parametro
considerato (cfr. C. cost. n. 113/2011). 
    La struttura dell'art. 117 Cost., dunque, viene integrata e  resa
operativa dalle norme della  CEDU,  la  cui  funzione  e'  quindi  di
concretizzare  nella  fattispecie  la  consistenza   degli   obblighi
internazionali dello Stato. 
    Nel caso in  esame,  il  parametro  convenzionale  interposto  e'
costituito dall'art. 4 del  protocollo  n.  7  alla  CEDU  intitolato
«Diritto di non essere giudicato o punito due volte» il quale dispone
«1. nessuno puo' essere  perseguito  o  condannato  penalmente  dalla
giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il  quale  e'  gia'
stato assolto o condannato  a  seguito  di  una  sentenza  definitiva
conformemente alla legge e dalla procedura penale di tale  Stato.  2.
Le  disposizioni  del  paragrafo  precedente   non   impediscono   la
riapertura del processo, conformemente alla legge e  dalla  procedura
penale  dello  stato  interessato,  se  fatti  sopravvenuti  o  nuove
rivelazioni o un servizio fondamentale  nella  procedura  antecedente
sono in grado  di  inficiare  la  sentenza  intervenuta.  3.  Non  e'
autorizzata alcuna deroga al presente articolo ai sensi dell'articolo
15  della  convenzione  europea  per  la  salvaguardia  dei   diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre
1950». 
    3.2. Il principio del doppio binario sanzionatorio previsto dalla
legislazione italiana per gli illeciti tributari  e  l'applicabilita'
cumulativa in relazione allo stesso  fatto  delle  sanzioni  previste
dall'art. 13 del d.lgs. n.  471/1997  violano,  a  parere  di  questo
Tribunale, il parametro costituzionale  e,  conseguentemente,  l'art.
117, primo comma, Cost. per via  della  natura  penale  dell'illecito
amministrativo in questione, secondo l'interpretazione fatta  propria
dalla Corte Edu. 
    Non possono,  infatti,  disattendersi  i  criteri  interpretativi
delineati dalla Corte di Strasburgo sin dalla sentenza Engel e  altri
c. Paesi Bassi dell'8 giugno 1976 al fine di  individuare  la  natura
«penale» o meno di una sanzione tributaria. 
    In particolare, con tale sentenza la Corte ha  stabilito  che  il
primo criterio da adottare consiste nella qualificazione della misura
da parte  del  legislatore  nazionale;  tuttavia,  se  per  la  legge
nazionale la sanzione non ha natura penale, occorre fare  riferimento
agli altri due Engel criteria che sono tra loro  alternativi,  ovvero
alla natura sostanziale della violazione e la gravita' della sanzione
comminata. 
    L'approccio sostanziale adottato dalla Corte  Edu,  il  quale  e'
svincolato dal nomen iuris attribuito  dallo  stato  dell'Unione,  e'
stato recentemente ribadito dalla sentenza della  Corte  EDU  del  10
febbraio 2009, Zolotukhin c. Russia, nonche'  dalla  sentenza  del  4
marzo 2014 Grande Stevens e altri c. Italia. 
    Con la prima la Corte ha elaborato una  interpretazione  uniforme
del concetto di «same offence». Per stabilire se ci trova al cospetto
dell'idem factum, infatti, non occorre fare riferimento  alla  «legal
characterisation» ovvero  alla  fattispecie  astratta,  ma  al  fatto
concreto. 
    Con  la   seconda   decisione,   la   Corte   Edu   ha   rilevato
l'incompatibilita' con il divieto convenzionale del bis in  idem  del
regime del «doppio binario» sanzionatorio previsto dalla legislazione
italiana per gli abusi di mercato. La pronuncia in esame si fonda  su
due consolidati  orientamenti  della  giurisprudenza  di  Strasburgo:
quanto al riconoscimento della natura  sostanzialmente  penale  della
sanzione  amministrativa  comminata  dal  T.U.F.  per  gli  abusi  di
mercato,  la  sentenza  valorizza  i  criteri  interpretativi   ormai
consolidati  nella  giurisprudenza  convenzionale  ovvero  i   cc.dd.
criteri di Engel; quanto allo scrutinio dell'identita' del fatto,  la
sentenza fa riferimento alla rilevanza di un accertamento in concreto
della disamina degli elementi costitutivi delle fattispecie astratte. 
    Tale interpretazione e' stata  fatta  propria  anche  dal  nostro
giudice delle leggi, il quale con la sentenza  n.  196  del  2010  ha
affermato che tutte le misure di carattere punitivo-afflittivo, al di
la' della loro qualificazione formale, devono  essere  soggette  alla
medesima disciplina della sanzione penale in senso stretto. 
    3.3. Per una completa ricostruzione del quadro  normativo  appare
opportuno  richiamare  le  norme   sanzionatorie   in   questione   e
l'interpretazione datane dalla Corte di Cassazione. 
    Con riferimento  alla  disciplina  dell'illecito  amministrativo,
l'art. 13 d.lgs. n. 471/1997 stabilisce che «Chi non esegue, in tutto
in parte, alle  prescritte  scadenze,  i  versamenti  in  acconto,  i
versamenti  periodici,  il  versamento  di  conguaglio  o   a   saldo
dell'imposta risultante dalla dichiarazione, detratto in questi  casi
l'ammontare dei versamenti periodici  e  in  acconto,  ancorche'  non
effettuati, e' soggetto a sanzione amministrativa pari al 30% di ogni
importo non versato, anche quando, in seguito alla  correzione  degli
errori materiali o di calcolo rilevati in  sede  di  controllo  della
dichiarazione annuale, risulti una  maggiore  imposta  o  una  minore
eccedenza detraibile. Per i versamenti  effettuati  con  ritardo  non
superiore a quindici giorni, la sanzione di  cui  al  primo  periodo,
oltre a quanto previsto dal comma 1 dell'articolo 13  del  d.lgs.  18
dicembre 1997, n. 472, e' ulteriormente ridotta ad un importo pari ad
un quindicesimo per ciascun giorno di ritardo(..)». 
    Quanto all'illecito penale, l'art. 10-ter del d.lgs.  n.  74/2000
stabilisce  che  «la  disposizione  di  cui  all'articolo  10-bis  si
applica,  nei  limiti  ivi  previsti,  anche  a  chiunque  non  versa
l'imposta sul valore aggiunto,  dovuta  in  base  alla  dichiarazione
annuale, entro il termine per il versamento dell'acconto relativo  al
periodo di imposta successivo». 
    Appare evidente che il reato di omesso versamento annuale di  cui
all'articolo 10-ter d.lgs.  n.  74/2000  implica  necessariamente  il
passaggio attraverso  l'illecito  amministrativo,  ovvero  attraverso
l'omesso versamento periodico mensile o trimestrale dell'imposta. 
    Come osservato, l'intero impianto del d.lgs.  n.  74/2000  appare
orientato al principio del doppio binario sanzionatorio. 
    L'art. 13 d.lgs. n. 74/2000 prevede espressamente la possibilita'
di cumulo della sanzione  penale  (pur  se  diminuita)  e  di  quella
amministrativa,   subordinando   l'applicazione   della   circostanza
attenuante al  pagamento  del  debito  tributario  comprensivo  della
sanzione. L'art. 13, comma 2-bis,  subordina  altresi'  l'accesso  al
giudizio di applicazione della pena su richiesta (artt. 444  e  segg.
c.p.p.) alla ricorrenza della circostanza attenuante di cui al  primo
comma. 
    Il doppio binario emerge, poi,  dalla  previsione  dell'autonomia
del  procedimento  amministrativo  di  accertamento  e  del  processo
tributario in pendenza di quello penale avente ad oggetto i  medesimi
fatti o fatti dal  cui  accertamento  comunque  dipende  la  relativa
definizione (art. 20 d.lgs. n. 74/2000). 
    Il problema del cumulo delle sanzioni dovrebbe essere risolto nel
nostro ordinamento dal principio di specialita' cosi'  come  sancito,
con specifico riferimento alla materia tributaria, dall'art.  19  del
decreto legislativo, norma in base  alla  quale  «quando  uno  stesso
fatto e' punito da una delle disposizioni del titolo II  del  decreto
in esame e da una che prevede una sanzione amministrativa, si applica
la disposizione speciale». 
    Tuttavia le Sezioni Unite della Cassazione, chiamate  a  dirimere
il  contrasto  sorto  in  relazione  al   rapporto   tra   l'illecito
amministrativo di cui all'art. 13 d.lgs. n. 471/1997 e quello  penale
di cui all'art. 10-bis del d.lgs. n. 74/2000, hanno escluso  che  tra
le due norme sussista un rapporto di specialita'  e  hanno  ritenuto,
invero, sussistente un rapporto di progressione criminosa. 
    In particolare, la Cassazione  ha  affermato  che  «Il  reato  di
omesso versamento  dell'imposta  sul  valore  aggiunto  (art.  10-ter
d.lgs. n. 74 del 2000), che  si  consuma  con  il  mancato  pagamento
dell'imposta dovuta  in  base  alla  dichiarazione  annuale,  per  un
ammontare superiore ad euro  cinquantamila,  entro  la  scadenza  del
termine per il pagamento dell'acconto relativo al periodo di  imposta
dell'anno successivo, non si pone in rapporto di  specialita'  ma  di
progressione illecita con l'art. 13, comma primo, d.lgs. n.  471  del
1997, che punisce con la sanzione amministrativa l'omesso  versamento
periodico  dell'imposta  entro  il  mese  successivo  a   quello   di
maturazione del  debito  mensile  IVA,  con  la  conseguenza  che  al
trasgressore devono essere applicate entrambe le sanzioni (cfr. Cass.
S.U., 28 marzo 2013, n. 37424). 
    Non  puo'  negarsi  che  rientri   nella   discrezionalita'   del
legislatore  prevedere  per  le  medesime  violazioni   di   obblighi
dichiarativi in materia di IVA, una  combinazione  di  sovrattasse  e
sanzioni penali, al fine di assicurare la riscossione  delle  entrate
provenienti dall'IVA e tutelare in tal modo gli interessi  finanziari
dell'Unione. 
    Tale principio e' stato ribadito anche dalla Grande Sezione della
Corte  di  giustizia  nella  decisione  Aklagaren  c.  Hans  Akerberg
Fransson del 26 febbraio 2013, la quale ha, tuttavia,  precisato  che
«qualora la sovrattassa sia di natura penale, ai sensi  dell'articolo
50 della Carta, e sia divenuta definitiva, tale disposizione  osta  a
che procedimenti penali  per  gli  stessi  fatti  siano  avviati  nei
confronti di una stessa persona». 
    Tale natura deve attribuirsi, a parere di questo Tribunale,  alla
sanzione amministrativa di cui all'art. 13 d.lgs. n.  471/1997,  come
di seguito si precisera'. 
    3.4. E' pur vero che  il  legislatore  italiano  ha  previsto  un
meccanismo idoneo in astratto a scongiurare il cumulo della  sanzione
amministrativa con quella penale. 
    In particolare, l'art. 21 d.lgs. n. 74/2000  rubricato  «Sanzioni
amministrative  per  le  violazioni  ritenute  penalmente  rilevanti»
stabilisce che «1. L'ufficio competente irroga comunque  le  sanzioni
relative alle violazioni  tributarie  fatte  oggetto  di  notizia  di
reato. 2.  Tali  sanzioni  non  sono  eseguibili  nei  confronti  dei
soggetti diversi da quelli indicati dall'articolo 19, comma 2,  salvo
che  il  procedimento  penale  sia  definito  con  provvedimento   di
archiviazione  o  sentenza   irrevocabile   di   assoluzione   o   di
proscioglimento con formula  che  esclude  la  rilevanza  penale  del
fatto. In quest'ultimo caso, i termini per la  riscossione  decorrono
dalla data in cui il provvedimento di  archiviazione  o  la  sentenza
sono comunicati all'ufficio competente;(..)». 
    Dunque,  per  evitare  il  cumulo   delle   sanzioni   penali   e
amministrative in capo  al  responsabile,  l'ordinamento  prevede  un
meccanismo  di   sospensione   della   riscossione   della   sanzione
amministrativa fino alla definizione del giudizio penale. 
    In sostanza, l'amministrazione puo' premunirsi di un  titolo  nei
confronti del contribuente, dovendo tuttavia  attendere  l'esito  del
giudizio penale per eseguirlo. 
    L'eseguibilita' della sanzione amministrativa e'  consentita  nel
solo caso in cui  sia  pronunciata  l'assoluzione  dell'imputato  con
formula «che esclude la rilevanza penale del  fatto»  (il  fatto  non
sussiste o l'imputato non lo ha commesso), non per altre  ipotesi  di
proscioglimento per motivi di merito o per estinzione del reato. 
    Orbene, se, nell'interpretazione datane dalla CEDU,  le  sanzioni
amministrative tributarie assumono natura sostanzialmente penale,  e'
proprio quest'ultimo meccanismo che si pone in evidente contrasto con
la logica garantistica del divieto del bis in idem di cui all'art. 4,
Prot. VII CEDU, dal momento che, proprio a seguito  di  una  sentenza
definitiva  di  assoluzione   in   sede   penale,   riprende   vigore
l'esecuzione di una sanzione che ha carattere sostanzialmente  penale
e che viene irrogata in relazione alle medesime condotte. 
    Anche a prescindere  da  tale  osservazione,  in  ogni  caso,  e'
riscontrabile una violazione del medesimo principio  del  ne  bis  in
idem in chiave processuale, laddove  si  consente  che  si  determini
aprioristicamente - al culmine di un procedimento  amministrativo  di
accertamento o eventualmente  di  un  contenzioso  tributario  -  una
sanzione di natura afflittiva avente natura analoga a quella penale. 
    In altri termini, per quanto l'eseguibilita' della  sanzione  sia
sospesa sino all'esito del giudizio penale,  essa  viene  formalmente
«irrogata», con la sua iscrizione a ruolo, come pare essere  avvenuto
nel caso di specie. 
    Dunque, in concreto si possono verificare ipotesi, come quella in
esame, in cui la sanzione penale si aggiunge a quella di cui all'art.
13 d.lgs. n. 471/1997 gia' inflitta. 
    D'altra parte, e' lo stesso legislatore, nell'art.  13,  comma  2
d.lgs. n. 74/2000, a subordinare la concessione  di  una  circostanza
attenuante al pagamento del debito tributario comprensivo di sanzione
amministrativa, sollecitando cosi' il contribuente al pagamento anche
di  quest'ultima  prima  della  definizione  del  processo  penale  e
generando altresi' una contraddizione interna del sistema. 
    3.5. Facendo applicazione dei criteri cd. Engel sopra  richiamati
non  puo'  che  pervenirsi   alla   conclusione   che   la   sanzione
amministrativa prevista dall'art. 13 d.lgs. n. 471/1997 abbia  natura
penale, in quanto volta alla punizione del colpevole, trattandosi  di
una sanzione avente natura  non  compensativa,  bensi'  deterrente  e
punitiva, caratteri questi tipici della sanzione penale. 
    Ne' tale natura puo' escludersi per via del fatto che la sanzione
in questione possa  essere  irrogata  all'esito  di  un  procedimento
amministrativo, dal momento che cio' che  rileva,  secondo  la  Corte
Edu, e' la natura della  sanzione.  D'altra  parte,  se  la  predetta
osservazione fosse realistica, si porrebbe  un  ulteriore  dubbio  di
legittimita'   costituzionale,   tenuto   conto   che   il   suddetto
procedimento sarebbe privo delle garanzie difensive  previste  invece
nel processo penale. 
    Non  puo',  infatti,  disattendersi  la  portata  delle   recenti
pronunce della Corte  Edu  in  relazione  al  cumulo  delle  sanzioni
amministrative e penali in materia tributaria. 
    In particolare, nella sentenza Nikanen c. Finlandia del 20 maggio
2014 la Corte  si  e'  pronunciata  sul  cumulo  sanzionatorio  delle
sanzioni  tributarie  affermando  che   l'avvenuta   irrogazione   al
contribuente,  con  provvedimento   definitivo,   di   una   sanzione
amministrativa tributaria - nella specie una soprattassa  di  importo
pure assai contenuto (1.700,00 euro) ma avente,  in  ogni  caso,  una
connotazione punitiva - impedisce  di  avviare  o  di  proseguire  un
procedimento penale per la medesima violazione, qualificata, nel caso
specifico, come frode fiscale. 
    Tali principi sono stati ribaditi nella  sentenza  Lucky  Dev  c.
Svezia del 27 novembre 2014  e  riguardano  un  caso  sostanzialmente
analogo a quello che si presenta innanzi a  questo  Tribunale,  posto
che  anche  nell'ordinamento  svedese  alle  violazioni   di   natura
tributaria   consegue   sia   l'applicazione    di    una    sanzione
amministrativa, definita dalla Corte tax surcharge, sia una  sanzione
di carattere penale, denominata tax offence. 
    Inoltre, anche nell'ordinamento svedese,  cosi'  come  in  quello
italiano, il procedimento amministrativo-tributario e  quello  penale
sono indipendenti, non essendo previsto alcun meccanismo di  raccordo
tra essi. 
    La Corte  Edu  ha  ribadito  il  proprio  approccio  analitico  e
concreto in relazione alla  qualificazione  dello  stesso  fatto  che
porta i Giudici di Strasburgo a considerare sostanzialmente  unitaria
l'idem  factum  quando  le  due   condotte   previste   dalle   norme
sanzionatorie «costituiscono un insieme di circostanze  fattuali  che
coinvolgono lo stesso imputato e che sono  inestricabilmente  avvinte
nel tempo e nello stesso spazio». La Corte ha poi precisato che si ha
violazione del principio stabilito dall'art. 4 del  protocollo  n.  7
della Convenzione solo quando uno dei due procedimenti  previsti  per
la  medesima  condotta  punita  con  l'irrogazione  di  due  sanzioni
sostanzialmente penali si sia concluso con una decisione definitiva. 
    In particolare, con la sentenza indicata la  Corte  ha  affermato
che a rendere non conforme la disciplina svedese alla convenzione sia
l'assenza di una connessione tra i due procedimenti ovvero una «close
connection in subitanee and in time» con la  conseguenza  che  i  due
procedimenti,  in   quanto   autonomi,   costituiscono   duplicazioni
sanzionatorie per il medesimo fatto  illecito  e  non  una  forma  di
tutela  predisposta  dall'ordinamento  in  un'ottica  complessiva  ed
unitaria (cfr. par. 61 e 62). 
    Le stesse osservazioni valgono, a  parere  di  questo  Tribunale,
nell'ordinamento interno. Difatti, nel caso sottoposto all'attenzione
del Tribunale ci si trova di fronte  a  due  procedimenti  scaturenti
dagli stessi fatti, in quanto medesima  e'  la  violazione  posta  in
essere dall'imputato che ha dato luogo, da un lato,  al  procedimento
amministrativo di accertamento e, dall'altro, al procedimento penale. 
    Viene  in   rilievo,   inoltre,   la   consecutivita'   dei   due
procedimenti, posto che la sanzione penale  verrebbe  applicata,  nel
caso  in  questione,  dopo  che  procedimento  amministrativo  si  e'
concluso con una decisione definitiva. 
    Invero, il ne bis in idem non puo'  che  ritenersi  ulteriormente
violato dalla previsione dell'autonomia attribuita dal legislatore ai
due procedimenti  alla  luce  della  previsione  dell'art.  20  sopra
citato. Difatti, secondo la Corte Edu, l'art. 4 prot. n. 7  CEDU  non
preclude la contemporanea apertura  e  celebrazione  di  procedimenti
paralleli per lo stesso fatto,  bensi'  l'eventualita'  che  uno  dei
procedimenti non venga interrotto  nel  momento  in  cui  l'altro  e'
divenuto definitivo. 
    Alla  luce  della  natura  effettiva  della  violazione  prevista
dall'art. 13 d.lgs. n. 471/1997 e della  finalita'  repressiva  della
sanzione ivi comminata la condanna in  sede  penale  porterebbe  alla
violazione del ne bis in idem sostanziale e quindi  dell'art.  4  del
protocollo sopra citato. 
    Le due sanzioni infatti verrebbero comminate  in  relazione  allo
stesso periodo ed allo stesso comportamento per fatti identici. 
    L'omesso versamento dell'imposta, in concreto, gia' sanzionato in
via amministrativa, viene nuovamente sanzionato in via  penale,  solo
perche' protratto nel tempo. 
    La previsione di un termine  diverso  di  scadenza,  al  fine  di
individuare  il  diverso  momento  di  consumazione  della   sanzione
amministrativa e del reato, non vale a differenziare il  fatto  nella
sua concretezza; ne' la mera previsione di una soglia di  punibilita'
penale appare capace  di  distinguere  il  fatto  oggetto  delle  due
previsioni sanzionatorie, che resta il medesimo. 
    Ci si trova con palmare evidenza di fronte alla  medesimezza  del
fatto secondo i principi sopra richiamati e fatti propri dalla  Corte
Edu. 
    Il meccanismo sopra delineato prescritto dal  nostro  legislatore
all'art. 21 del d.lgs. n. 74/2000, pur se concepito  in  astratto  al
fine di scongiurare il cumulo  sanzionatorio,  non  e'  in  grado  di
evitare che in concreto si creino, come  nel  caso  in  esame,  delle
vicende  in  cui   il   contribuente   abbia   gia'   pagato,   prima
dell'instaurazione del processo penale,  la  sanzione  amministrativa
comminatagli. 
    3.6. In conclusione, alla luce  di  quanto  precede,  appare  non
manifestamente infondata la q.l.c. proposta in  via  subordinata,  in
relazione all'art. 649 c.p.p. nella parte in cui  detta  disposizione
non prevede l'applicabilita'  della  disciplina  del  divieto  di  un
secondo giudizio al caso in cui l'imputato sia stato  giudicato,  con
provvedimento irrevocabile, per il medesimo fatto nell'ambito  di  un
procedimento amministrativo per l'applicazione di una sanzione,  alla
quale debba riconoscersi natura penale ai  sensi  della  CEDU  e  dei
relativi protocolli. 
    La pronuncia manipolativa invocata, appare l'unico rimedio idoneo
a  scongiurare  l'incompatibilita'  del  regime  del  doppio  binario
previsto dal  legislatore  italiano  in  materia  tributaria  con  il
divieto convenzionale di bis in idem. 
    Difatti, come osservato, puo'  verificarsi  che  un  soggetto  si
trovi sottoposto a procedimento penale pur dopo che, per il  medesimo
illecito fiscale, gli sia gia' stata comminata in via definitiva  una
sanzione amministrativa. 
    In ogni caso, quand'anche l'imputato  non  avesse  provveduto  al
pagamento  della  sanzione  amministrativa  per  via   del   disposto
dell'art.  21,  permarrebbe  una  violazione  del  ne  bis  in   idem
processuale e, conseguentemente, dell'art.  4  del  protocollo  n.  7
cosi' come stabilito dalla Corte Edu nelle sentenze sopra riportate. 
    Tale violazione determina un vulnus costituzionale  attinente  ad
un diritto fondamentale dell'individuo sanabile  solo  attraverso  la
pronuncia additiva richiesta,  che  consentirebbe  di  rimuovere  gli
effetti pregiudizievoli conseguenti alta violazione  del  divieto  di
bis  in  idem  qualora  l'imputato  sia  stato  giudicato,   in   via
definitiva, per il medesimo  fatto  nell'ambito  di  un  procedimento
amministrativo per l'applicazione di una sanzione  alla  quale  debba
riconoscersi natura penale ai sensi della normativa convenzionale. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Dichiara irrilevante la questione di legittimita'  costituzionale
proposta dalla difesa in via principale. 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata: 
        la questione di legittimita' costituzionale,  per  violazione
dell'art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all'art.
4 del protocollo n. 7  della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei
diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali,  dell'art.  649
c.p.p., in relazione all'art. 10- ter d.lgs. n. 74/2000, nella  parte
in cui non prevede l'applicabilita' della disciplina del  divieto  di
un secondo giudizio al  caso  in  cui  all'imputato  sia  gia'  stata
comminata, per  il medesimo  fatto  nell'ambito  di  un  procedimento
amministrativo, una sanzione alla  quale  debba  riconoscersi  natura
penale ai sensi della Convenzione EDU e dei relativi protocolli. 
    Sospende il giudizio in corso e dispone l'immediata  trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale. 
    Ordina che la presente ordinanza sia notificata al Presidente del
Consiglio dei ministri e sia comunicata ai  Presidenti  delle  camere
del Parlamento. 
    Visto l'art. 159, comma 1, n. 2) c.p., sospende  il  corso  della
prescrizione. 
    Dell'ordinanza e' data lettura alle parti in udienza. 
    Cosi' deciso in Bologna il 21 aprile 2015. 
 
                Il giudice: dott. Massimiliano Cenni 
 
    L'ordinanza in data 21  aprile  2015  e'  stata  redatta  con  la
collaborazione della M.O.T. dott.ssa Gabriella Logozzo. 
 
      Bologna, 21 aprile 2015 
 
                Il giudice: dott. Massimiliano Cenni 

(fonte www.gazzettaufficiale.it)