Sanzioni amministrative applicabili in caso di abuso del diritto
Di grande rilievo pratico è la questione concernente la sanzionabilità delle condotte elusive contrastate invocando la violazione del divieto dell’abuso del diritto.
In prima battuta, la Cassazione si è limitata a riconoscere la fondatezza della domanda di disapplicazione delle sanzioni amministrative per incertezza normativa oggettiva tributaria, riconducendo nell’ambito di operatività di tale istituto la violazione di un principio di ordine generale come l’abuso di diritto (sentenze nn. 12042 del 2009 e 12249 del 2010).
In un secondo momento, il Giudice di legittimità ha statuito che le sanzioni possono essere comminate soltanto quando il contribuente ponga in essere condotte elusive osteggiate da specifiche disposizioni di legge (come l’art. 37 bis, d.p.r. n. 600 del 1973), mentre ciò non è possibile qualora sia leso il principio generale antielusivo dell’abuso del diritto per violazione dei principi di determinatezza e tassatività (sentenze nn. 25537 del 2011 e 7739 del 2012), nonché – verrebbe da soggiungere – per lesione del principio di irretroattività, qualora la sanzione sia riferita a condotte anteriori all’elaborazione pretoria del meccanismo generale antielusivo (sentenze nn. 30055, 30056 e 30057 del 2008).
Da ultimo la Sesta Sezione ha affermato l’applicabilità delle sanzioni amministrative anche nel caso di violazione del divieto di abuso del diritto (ordinanza n. 2234 del 2013).
Si tratta di un trend negativo, culminante in una presa di posizione che potrebbe produrre effetti dirompenti a danno degli operatori economici.
Questi timori possono essere smorzati osservando che la più recente soluzione giurisprudenziale nasce dal recepimento acritico di una massima ufficiale verosimilmente redatta in maniera frettolosa, giacché la pronuncia richiamata (sentenza n. 25537 del 2011) ha fissato un principio di diritto di segno diametralmente opposto.
Sul piano pratico, bisogna riconoscere che frequentemente la falsa qualificazione giuridica di elementi di fatto non occultati viene contestata in modo non appropriato come fattispecie elusiva, in particolare quando la rettifica sia fondata sulla violazione di norme la cui antielusività non è esplicita ma risiede nella ratio: ricondurre questi casi nell’alveo della cosiddetta “evasione interpretativa” consente di troncare il nodo gordiano dell’applicabilità delle sanzioni.
A livello sistematico, la questione della rilevanza sanzionatoria delle condotte elusive – quale che sia lo strumento di contrasto invocato – deve essere risolta alla luce dei principi fondamentali del diritto punitivo (cfr. Corte Cost. sentenza n. 364 del 1988).
La risposta sanzionatoria può operare soltanto nei confronti di un soggetto che si trovi in condizione di avvertire il disvalore del fatto realizzato perché il precetto risulta conoscibile: diversamente opinando, si altererebbe il rapporto di fiducia tra autorità e consociati, che costituisce la premessa alla disponibilità del reo a sottoporsi al procedimento rieducativo, e sarebbe compromesso il carattere personale della responsabilità (art. 27, commi 1 e 3, Cost.). Nel quadro di un rapporto sinallagmatico tra Stato e destinatari delle norme sanzionatorie, intanto i cittadini hanno l’obbligo di osservare le norme, in quanto il Legislatore adempia preventivamente il suo obbligo di favorire, al massimo, la riconoscibilità sociale del loro effettivo contenuto precettivo.
Simmetricamente ai singoli è richiesto l’adempimento di doveri strumentali di informazione e conoscenza, che costituiscono diretta esplicazione dei doveri di solidarietà sociale ex art. 2 Cost.; nell’ambito tributario, ad essi si accompagna il dovere di concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva ex art. 53 Cost., anch’esso ricompreso tra quelli inderogabili di solidarietà economica ex art. 2 Cost.
Tali doveri costituzionali non possono essere forzati fino ad imporre al contribuente l’integrazione contra se del dettato normativo che non collimi con la propria ratio, pena la violazione del principio di proporzionalità, in forza del quale il contenuto e la forma dell’azione amministrativa deve limitarsi a quanto è necessario per raggiungere gli obiettivi perseguiti dall’istituzione. Nel nostro caso, tale obiettivo è costituito dalla mera percezione del tributo eluso: come confermato dalla giurisprudenza di legittimità, la disciplina di contrasto all’elusione “non ha come finalità quella di penalizzare il contribuente che non ha commesso nessuna violazione, bensì quella di garantire l’uguaglianza del trattamento fiscale” (sentenza n. 8487 del 2009) “attraverso la riconduzione al regime loro proprio delle operazioni impropriamente sottratte a tale regime” (sentenza n. 22994 del 2010).
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