Per l’abuso del diritto, “valide ragioni economiche” da circoscrivere (nota a Conseil Constitutionnel 685/2013)
In sede di controllo preventivo, il Conseil Constitutionnel ha ritenuto contrarie alla Costituzione francese le modifiche introdotte alla definizione di abuso di diritto ex art. L64 del Livre des procédures fiscales (cfr. §§ 112 – 119 della decisione). In base alla disciplina censurata (art. 100 Loi de Finances 2014), l’abuso del diritto consisterebbe non più negli atti che non possono essere giustificati da nessun altro motivo se non quello (“n’ont pu être inspirés par aucun autre motif que celui”) di annullare o attenuare il carico fiscale, ma negli atti che hanno per ragione principale (“ont pour motif principal”) il risparmio fiscale. Secondo il Collegio, le modifiche alla definizione di abuso del diritto, attribuendo un rilevante margine di discrezionalità all’Amministrazione finanziaria, determinerebbero un aggravamento delle già pesanti conseguenze sanzionatorie derivanti dal disconoscimento dei vantaggi tributari indebiti (una sanzione amministrativa dell’80% del tributo eluso, oltre agli interessi di mora dello 0,40% mensile), con conseguente lesione del principio di legalità della pena (art. 34 della Costituzione e art. 8 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789).
La pronuncia presenta un duplice profilo di interesse anche per l’ordinamento tributario italiano.
Un primo aspetto si collega al ruolo delle cosiddette “valide ragioni economiche” menzionate dall’art. 37 bis, d.p.r. n. 600 del 1973. Secondo l’esegesi della giurisprudenza di legittimità (cfr. per tutte le sentenze nn. 30055, 30056 e 30057 del 2008), al contribuente sarebbe precluso il conseguimento di vantaggi fiscali in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che siano, rispetto al primo, “alternative o concorrenti” e “di carattere non meramente marginale o teorico” (sentenza n. 1465 del 2009). La giurisprudenza di legittimità si è spinta oltre, fino a tacciare di “elusione” qualsivoglia risparmio di imposta, confondendo la condotta abusiva con il compimento di operazioni finalizzate essenzialmente al perseguimento di un vantaggio tributario (cfr. sentenza n. 9476 del 2010).
Tale deriva pretoria fa paventare un vero e proprio… abuso, perché viene cancellato il confine tra il lecito risparmio d’imposta e l’avversata elusione tributaria, con conseguente lesione del principio della libertà di iniziativa economica ex art. 41, comma 1 Cost. (ma contra sentenza n. 8487 del 2009). Al contrario di quanto sostenuto dal Giudice di legittimità, la dimostrazione dell’esistenza di valide ragioni economiche opera soltanto come causa di giustificazione, escludendo che siano inopponibili all’Amministrazione finanziaria quelle operazioni che siano poste in essere strumentalizzando le norme in senso contrario alla loro ratio, ma che, nonostante il carattere indebito del vantaggio tributario, siano sorrette anche da un interesse economico diverso dall’abbattimento del carico fiscale. Ciò vale non soltanto nell’economica dell’art. 37 bis, d.p.r. n. 600 del 1973 ma anche alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia sull’abuso del diritto europeo: esemplare è la sentenza Halifax, nella quale si legge che “a un soggetto passivo che ha la scelta tra due operazioni la Sesta Direttiva non impone di scegliere quella che implica un maggiore pagamento Iva”, ma “il soggetto passivo ha il diritto di scegliere la forma di conduzione degli affari che gli permette di limitare la sua contribuzione fiscale” (§ 73). La decisione del Conseil Constitutionnel rappresenta una ulteriore autorevole conferma alla fondatezza delle critiche mosse alla giurisprudenza di legittimità italiana.
La pronuncia in rassegna è stimolante anche da una seconda prospettiva, la declaratoria di illegittimità costituzionale essendo pronunciata per violazione del principio di legalità della pena. Presupposto di ciò è la presenza nell’ordinamento francese di una disposizione di legge che espressamente commina una sanzione amministrativa nel caso di abuso del diritto.
Come è noto, norme analoghe sono apparse – e poi scomparse – nei vari progetti di riforma dell’ordinamento tributario italiano: ad oggi la sanzionabilità delle condotte elusive è soltanto oggetto di un vivace dibattito (cfr. L. R. Corrado, Sanzioni amministrative applicabili in caso di abuso del diritto, retro, edizione del 25 febbraio 2013). A tale ultimo proposito, nonostante la granitica presa di posizione della Corte di Cassazione a favore della punibilità delle condotte elusive osteggiate dall’art. 37 bis, d.p.r. n. 600 del 1973 (cfr. Cass. civ. n. 25537 del 2012 e Cass. pen. n. 7739 del 2012), bisogna rilevare che tale plesso normativo si limita a conferire un potere di rettifica dell’Amministrazione finanziaria, senza porre sul contribuente l’obbligo di dichiarare l’imposta elusa. Mancando siffatto obbligo dichiarativo, il contribuente non può essere destinatario di alcuna sanzione.
(Conseil Constitutionnel, 29 dicembre 2013, decisione n. 2013-685)
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