Obblighi di comunicazione DAC 6: quali strumenti a tutela dei contribuenti?
L’obbligo di comunicazione dei meccanismi transfrontalieri di pianificazione fiscale aggressiva che la direttiva DAC 6 e la disciplina nazionale che la traspone nell’ordinamento interno pongono a carico di contribuenti e intermediari ha una finalità non soltanto preventiva, ma anche repressiva: da un lato questi flussi informativi alimenteranno i database e gli strumenti di Intelligenza Artificiale che l’Agenzia delle Entrate sta predisponendo al fine dichiarato di favorire l’adempimento spontaneo ed analizzare il rischio fiscale, dall’altro dati e documenti potranno essere utilizzati come fattori di innesco di indagini fiscali mirate su specifici contribuenti e come fondamento di atti impositivi per il recupero della materia imponibile occultata.
Dalla disamina della giurisprudenza europea emergono ampi margini di tutela per il contribuente, consentendo di eccepirne l’inutilizzabilità e di contestarne la valenza probatoria in sede di sindacato giurisdizionale.
Strumentale ad una difesa efficace è l’esercizio del diritto di accesso al fascicolo istruttorio, da declinare nella sua dimensione europea.
I diritti di difesa e a una buona amministrazione si estrinsecano nel diritto di accesso al fascicolo amministrativo.
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha riconosciuto il diritto del contribuente all’accesso alle informazioni e ai documenti contenuti nel fascicolo amministrativo e posti a fondamento di un provvedimento impositivo, qualificandolo quale estrinsecazione rispetto ai principi generali del diritto dell’Unione del diritto di difesa e del diritto a una buona amministrazione.
Nella sentenza del 16 ottobre 2019, causa C-189/18, si afferma che, poiché “la necessità […] di poter manifestare utilmente il proprio punto di vista sugli elementi sui quali l’amministrazione intende fondare la sua decisione presuppone che il destinatario di quest’ultima sia messo in condizione di conoscere detti elementi”, “il principio del rispetto dei diritti della difesa ha così come corollario il diritto di accesso al fascicolo” (§ 51). Poiché “il destinatario di una decisione che arreca pregiudizio deve essere messo in condizione di far valere le proprie osservazioni prima che la stessa sia adottata, al fine, in particolare, che l’autorità competente sia messa in grado di tenere utilmente conto di tutti gli elementi pertinenti e che, eventualmente, tale destinatario possa correggere un errore e far valere utilmente tali elementi relativi alla sua situazione personale, l’accesso al fascicolo deve essere autorizzato nel corso del procedimento amministrativo”, una violazione del diritto de quo non essendo sanata dal semplice fatto che l’accesso sia stato reso possibile nel corso del procedimento giurisdizionale relativo ad un eventuale ricorso diretto all’annullamento della decisione contestata (§ 52). Ne consegue che il contribuente deve poter accedere agli elementi di prova ottenuti anche nell’ambito di procedimenti penali e amministrativi connessi (§ 53) e “ai documenti che non servono direttamente a fondare la decisione dell’amministrazione finanziaria, ma possono essere utili per l’esercizio dei diritti della difesa, in particolare agli elementi a discarico che tale amministrazione ha potuto raccogliere” (§ 54).
Nella sentenza del 9 novembre 2017, causa C-298/16, si precisa che come il diritto di difesa così il diritto di accesso “non si configura come una prerogativa assoluta, ma può soggiacere a restrizioni, a condizione che queste rispondano effettivamente a obiettivi di interesse generale perseguiti dalla misura di cui trattasi e non costituiscano, rispetto allo scopo perseguito, un intervento sproporzionato e inaccettabile, tale da ledere la sostanza stessa dei diritti così garantiti” (§ 35).
Da ultimo nella sentenza del 4 giugno 2020, causa C-430/19, si puntualizza inoltre che il diritto di accesso sussiste anche qualora “le autorità tributarie nazionali non siano soggette ad un obbligo generale di fornire un accesso integrale al fascicolo di cui dispongono né di comunicare d’ufficio i documenti e le informazioni a sostegno della decisione prevista” (§ 31).
Deve essere annullato l’atto impositivo che sia stato emesso senza consentire l’esercizio del diritto di accesso.
Così configurati i confini del diritto di accesso nella sua dimensione europea, nella sentenza del 4 giugno 2020, causa C-430/19, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha statuito che deve essere annullato il provvedimento amministrativo che sia stato emesso dall’Amministrazione finanziaria senza accordare al contribuente interessato l’accesso alle informazioni e ai documenti posti a fondamento di detto atto: nello specifico, la Corte di Giustizia ha affermato che, “se, nell’ambito di procedimenti amministrativi nazionali di verifica e determinazione della base imponibile dell’IVA, un soggetto passivo non ha avuto la facoltà di accedere alle informazioni contenute nel suo fascicolo amministrativo e che sono state prese in considerazione in sede di adozione di una decisione amministrativa che gli impone obblighi tributari supplementari, laddove il giudice adito constati che, in mancanza di detta irregolarità, il procedimento sarebbe potuto giungere a un risultato diverso, tale principio esige che detta decisione sia annullata” (§ 37). Nel caso esaminato nell’arresto richiamato, le autorità tributarie rumene non avevano consentito al contribuente di conoscere le informazioni le informazioni dallo stesso tempestivamente richieste senza indicare alcun obiettivo di interesse generale che fosse idoneo a giustificare tale diniego (§ 32).
I limiti al diritto di accesso nella normativa e nella giurisprudenza nazionale possono essere superati.
Come è noto, i principi elaborati dalla Corte del Lussemburgo operano entro i limiti di rilevanza del diritto europeo (e, in particolare, per i c.d. tributi armonizzati come l’IVA).
È possibile argomentarne l’applicabilità al di là di tali confini sulla base dell’art. 1, comma 1, l. 7 agosto 1990, n. 241, in forza del quale “l’attività amministrativa […] è retta […] dai principi dell’ordinamento comunitario”.
Una seconda via è quella della domanda di pronuncia pregiudiziale formulata alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea fondandone la competenza sull’esistenza di una “discriminazione alla rovescia”, vale a dire sullo svantaggio che grava sui soggetti che si trovano in una “situazione puramente interna” in conseguenza della mancata applicazione delle norme comunitarie che garantiscono le libertà di circolazione: infatti, benché il diritto comunitario non possa trovare applicazione alle situazioni interne, le questioni pregiudiziali che hanno ad oggetto fattispecie di discriminazioni alla rovescia sono comunque ricevibili, quando il giudice nazionale spiega che una risposta a quelle è necessaria per risolvere il giudizio principale, dato che esistono norme o principi nazionali che obbligano il giudice del rinvio a garantire agli operatori interni lo stesso trattamento che il diritto comunitario riserva a soggetti provenienti da altri Stati membri (cfr. Corte di Giustizia UE, sentenza del 5 dicembre 2000, causa C–448/98, Guimont).
Quale che sia la via ermeneutica praticabile, non si può non constatare l’inadeguatezza della attuale interpretazione pretoria sulla disciplina del diritto di accesso contenuta nella l. 7 agosto 1990, n. 241, nella parte in cui, rinviando il suo esercizio alla fase successiva alla conclusione del procedimento amministrativo, ne circoscrive l’utilizzo a fini difensivi alla sola sede giurisdizionale (cfr. anche il provvedimento dell’Agenzia delle Entrate del 4 agosto 2020, Prot.n. 280693/2020, recante “Disposizioni in materia di accesso documentale, accesso civico semplice e accesso civico generalizzato”).
Al contrario la tutela della piena informazione del contribuente sul materiale probatorio su cui si basa l’azione accertatrice è strumentale non soltanto all’esercizio del diritto di difesa, ma anche al buon andamento della Pubblica Amministrazione, consentendo alla parte privata di fornire il proprio apporto alla corretta ricostruzione della materia imponibile già in sede istruttoria. Questi rilievi sono ancor più fondati tutte le volte in cui la verifica scaturisce e si basa su elementi probatori che non siano già nella disponibilità conoscitiva del contribuente, ad esempio perché raccolti presso soggetti terzi e/o riguardanti condotte poste in essere da controparti contrattuali del contribuente, come nel caso delle frodi IVA. La necessità di attingere alle informazione e ai documenti presenti nel fascicolo amministrativo è quasi esasperata tutte le volte in cui l’accertamento sia germinato da un procedimento penale a carico di terzi: in tale ipotesi, infatti, la selezione dei dati raccolti in sede penale è riservata in via esclusiva all’Ufficio procedente, mentre il contribuente potrebbe trarre un vantaggio difensivo anche dalla conoscenza del materiale scartato.
La trasparenza sui meccanismi fiscali potenzialmente aggressivi si correla al diritto di accesso sulle informazioni scambiate.
Analoghe considerazioni possono essere svolte con riferimento ai dati derivanti dallo scambio automatico informazioni sui meccanismi transfrontalieri di pianificazione fiscale aggressiva.
L’obbligo di comunicazione che la DAC 6 pone a carico di contribuenti e intermediari ha una finalità non soltanto preventiva, ma anche repressiva, consentendo all’Amministrazione di “acquisire tempestivamente informazioni su operazioni potenzialmente irregolari sotto il profilo fiscale” (così testualmente la circolare dell’Agenzia delle Entrate del 10 febbraio 2021, n. 2). Al momento della comunicazione, infatti, l’Agenzia delle Entrate rilascia un numero di riferimento del meccanismo transfrontaliero che il contribuente è tenuto a indicare nelle proprie dichiarazioni fiscali per tutti i periodi d’imposta in cui il meccanismo transfrontaliero è utilizzato: questo strumento sarà utilizzato per facilitare l’attività di rettifica dell’Amministrazione finanziaria, individuando chirurgicamente le posizioni a rischio e predisponendo rapidamente un pacchetto informativo puntuale.
L’adempimento della DAC 6 contribuirà ad alimentare INDACO (INformazioni DAll’estero per COntribuenti nazionali), l’archivio di informazioni sui comportamenti fiscali e finanziari dei contribuenti italiani (al momento circa 3.208.625), e gli strumenti di Intelligenza Artificiale che l’Agenzia delle Entrate sta predisponendo per favorire l’adempimento spontaneo ed analizzare il rischio fiscale.
I dati tratti dallo scambio automatico di informazioni devono essere oggetto di sindacato giurisdizionale.
Dalla disamina della giurisprudenza europea emergono ulteriori margini di tutela del contribuente cui sia notificato un atto impositivo fondato su dati e documenti tratti dallo scambio automatico, consentendo di eccepirne l’inutilizzabilità e di contestarne la valenza probatoria.
Ad esempio, nella sentenza del 16 ottobre 2019, causa C-189/18, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha confermato che l’effettività del controllo giurisdizionale, garantita dall’art. 47 della Carta di Nizza, esige che il giudice sia legittimato a verificare che le prove provenienti da un procedimento amministrativo connesso – anche divenuto definitivo – siano state ottenute conformemente ai diritti garantiti dal diritto dell’Unione e che le constatazioni fondate su queste ultime non violino tali diritti (§ 65): da un lato “le dichiarazioni e le constatazioni delle autorità amministrative non possono vincolare i giudici” (§ 66), dall’altro “la parità delle armi verrebbe meno e il principio del contraddittorio non sarebbe rispettato se l’amministrazione finanziaria, per il fatto di essere vincolata dalle decisioni adottate nei confronti di altri soggetti passivi e divenute definitive, non fosse tenuta a produrre tali prove dinanzi ad essa, se il soggetto passivo non potesse averne conoscenza, se le parti non potessero discutere in contraddittorio tanto su dette prove quanto su tali constatazioni e se detto giudice non potesse verificare tutti gli elementi di fatto e di diritto sui quali si fondano tali decisioni e che sono decisivi per la soluzione della controversia di cui è investito” (§ 67).
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