L’abuso del diritto non può rafforzare l’antieconomicità (nota a Cass. 2908/2013)
Il congelamento del credito vantato dalla controllante nei confronti della controllata e il patto di postergazione con l’istituto bancario, creditore della seconda, generano gli effetti economici di un vero e proprio finanziamento a lungo termine a favore della controllata, con presunzione di onerosità al tasso legale e tassazione degli interessi in capo alla controllante: questo è quanto ha affermato la Cassazione nella sentenza n. 2908 del 2013.
La soluzione prospettata dalla Corte dimentica una delle simmetrie che caratterizzano la tassazione analitico-contabile: in caso di finanziamento con capitale di debito, gli interessi sono deducibili per il soggetto erogante e imponibili in capo al percettore. Si realizza così un semplice spostamento di materia imponibile tra due soggetti, senza che, nel complesso, si produca alcun occultamento di ricchezza a danno dell’Erario (cfr. risoluzione n. 113/E del 2012, in materia di compensi agli amministratori).
La sentenza in commento stimola alcune riflessioni anche sotto il profilo procedimentale.
A quanto è dato comprendere, nell’atto impositivo era cristallizzato un accertamento ex art. 39, comma 1, lett. d), d.p.r. n. 600 del 1973, vale a dire una rettifica condotta sulla base di un metodo contabile (giacché la contabilità esiste e non è sconfessata nel suo complesso), analitico (poiché consta di rettifiche di singoli componenti del reddito imponibile) e induttivo (in quanto la dichiarazione è rettificata mediante ricostruzione presuntiva di specifiche poste, delle quali risulti provata aliunde la mancanza o l’inesattezza).
È diffusa la convinzione che questo meccanismo presuntivo debba soddisfare uno standard di plausibilità particolarmente rigoroso: in realtà, due sono i piani dell’attività di rettifica, vale a dire la dimostrazione dell’esistenza di attività non dichiarate (o dell’inesistenza di passività dichiarate) e la quantificazione delle poste. La littera legis richiede il soddisfacimento dei requisiti di gravità, precisione e concordanza soltanto con riferimento alla prima operazione. Comprovata l’inattendibilità delle poste contabili, l’Amministrazione finanziaria deve individuare l’ammontare del singolo valore con il massimo grado di ragionevole verosimiglianza ottenibile in relazione al contesto concreto e a condizione che essa sia superiore a quella della posta dichiarata dal contribuente. Si tratta di due dimostrazioni ben distinte, sebbene talora possano coincidere, allorché la medesima argomentazione probatoria sia sufficientemente attendibile per accertare entrambi i profili.
Nella sentenza in commento, la Corte di Cassazione conferma questa impostazione: nel caso sub iudice, l’inattendibilità della posta contabile era comprovata dall’obiettiva antieconomicità del comportamento della società contribuente (cfr., oltre alle sentenze citate in motivazione, nonché le successive sentenze nn. 10802 del 2002, 398 del 2003, 14428 del 2005, 11599 del 2007, 9958 del 2008, 5926 del 2009, 4737 del 2010, 19786 del 2011 e 8625 del 2012): secondo il Collegio, il giudice di merito, operando una valutazione complessiva di tutti gli elementi indiziari pacificamente acquisiti in giudizio (cfr. sentenza n. 9108 del 2012), “avrebbe potuto e dovuto agevolmente cogliere l’evidente nesso logico e circostanziale tra tali elementi, rivelatori del reale intento economico della complessa operazione”.
Al fine di corroborare la propria soluzione, la Cassazione menziona anche l’abuso del diritto. Si tratta di una commistione inappropriata – per non dire nefasta per il contribuente – che la Suprema Corte ha già reiteratamente attuato nel recente passato: ad esempio, l’onnivoro principio generale antielusivo è stato utilizzato per negare la sussistenza dell’asservimento pertinenziale ai fini ICI (sentenza n. 25127 del 2009, richiamata anche in materia di IMU nella circolare n. 3 del 2012) oppure per disconoscere l’applicazione dell’aliquota Iva del 4% prevista per l’acquisto della “prima casa” (sentenza n. 10807 del 2012). A ciò si aggiunga che, in questa occasione, lo strumento di matrice pretoria è utilizzato con riferimento ad una fattispecie ben anteriore alla sua consacrazione da parte delle Sezioni Unite (sentenze nn. 30055, 30056 e 30057 del 2008), quando cioè la sua esistenza non era neppure prevedibile da parte degli operatori economici.
(Cass., sez. trib., 7 febbraio 2013, n. 2908)
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