202305.13
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La riforma del fisco riscrive lo Statuto del contribuente

Nel disegno di legge delega di riforma fiscale viene affidato al Governo il compito di modificare la disciplina del c.d. “Statuto dei Diritti del Contribuente”.
Gli interventi interesseranno il procedimento e il provvedimento tributario e saranno focalizzati su legittimo affidamento, interpello, accesso, contraddittorio, invalidità, autotutela e motivazione.
È da salutare con favore l’approccio partecipato che vi si promuove attraverso la previsione di una interlocuzione con gli ordini professionali, con le associazioni di categoria e gli altri enti esponenziali di interessi collettivi, nonché dell’esame delle proposte pervenute attraverso pubbliche consultazioni.

L’articolo 4 del disegno di legge delega per la riforma fiscale regola la revisione della legge 27 luglio 2000, n. 212, contenente le disposizioni in materia di Statuto dei Diritti del Contribuente. Anche in questo ambito, la delega sembra rispondere all’esigenza di reagire legislativamente ad alcune prese di posizione della Corte di Cassazione che negli anni hanno via via compresso lo spazio di tutela del contribuente.
Mentre l’articolo 4 detta specifici principi e criteri direttivi cui dovranno conformarsi i decreti legislativi governativi da adottare entro 24 mesi dalla data di entrata in vigore della delega, l’articolo 21 del medesimo disegno di legge affida al Governo il successivo compito di adottare un codice che, nella sue parte generale sugli istituti comini del sistema fiscale, dovrà recepire i principi dello Statuto dei Diritti del Contribuente.

Rafforzamento della motivazione degli atti impositivi.

Il primo obiettivo posto dall’articolo 4 è quello di “rafforzare l’obbligo di motivazione degli atti impositivi, anche mediante l’indicazione delle prove su cui si fonda la pretesa”.

Il testo vigente dell’art. 7, l. n. 212 del 2000 richiama per tutti gli atti dell’Amministrazione finanziaria – siano essi impositivi o meno – l’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241: ciò dovrebbe essere sufficiente a imporre che detti atti siano motivati indicando “i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione della amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria”: a tutta prima, il riferimento della delega alla “indicazione delle prove su cui si fonda la pretesa” sembra quindi un pleonasmo.

È auspicabile che il Legislatore delegato faccia tesoro degli approdi maggiormente garantisti della giurisprudenza di legittimità. Ad esempio nella sentenza del 5 novembre 2021, n. 31976, la Sezione Tributaria ha ricordato che “La motivazione dell’atto tributario costituisce lo strumento essenziale di garanzia del diritto di difesa del contribuente e, pertanto, nell’atto impositivo devono essere indicati tutti gli elementi che l’Ufficio pone alla base della pretesa fiscale. […] L’inadempimento di tale obbligo motivazionale è certamente espressione della violazione dei canoni generali della collaborazione e della buona fede. […] Questa Corte ha ripetutamente affermato che l’avviso di accertamento privo, in violazione […] dell’art. 7 della 1. n. 212 del 2000, di una congrua motivazione è illegittimo, senza che la stessa possa, peraltro, essere “integrata” in giudizio dell’Amministrazione finanziaria, in ragione della natura impugnatoria del processo tributario (Cass. n. 12400 del 2018, Cass. n. 25450 del 2018, Cass. n. 14931 del 2020)”.

Valorizzazione del legittimo affidamento del contribuente.

Nella delega si pone l’obiettivo di “valorizzare il principio del legittimo affidamento del contribuente e il principio di certezza del diritto”.

L’art. 10, l. n. 212 del 2000 reca la rubrica “Tutela dell’affidamento e della buona fede. Errori del contribuente” e, al primo comma, dispone che “I rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede”.

La Corte di Cassazione ha talora affermato che la violazione del principio della tutela del legittimo affidamento esclude tout court la debenza del tributo.

Nella sentenza del 10 dicembre 2002, n. 17576 la Suprema Corte ha sostenuto che il principio della tutela del legittimo affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica – “quale “elemento essenziale dello Stato di diritto”, ancorato dalla Corte costituzionale al principio di eguaglianza dinanzi alla legge, sub specie del rispetto del canone della ragionevolezza, di cui all’art. 3 comma 1 Cost. – […], mutuato da quelli civilistici della buona fede e dell’affidamento incolpevole nei rapporti fondati sulla autonomia privata, è immanente in tutti i rapporti di diritto pubblico – e, quindi, anche in quelli tributari – e costituisce un preciso limite all’esercizio sia dell’attività legislativa, sia dell’attività amministrativa, e tributaria in particolare; nonché, come già sottolineato, un altrettanto preciso vincolo ermeneutico per l’interprete delle disposizioni tributarie, in forza di quanto stabilito dall’art. 10 comma 1 dello Statuto”. Da ciò consegue, in particolare, relativamente alla materia tributaria, che “il principio della tutela del legittimo affidamento – il quale, proprio perché esistente ed operante anche nel diritto e nell’ordinamento tributari già prima dell’entrata in vigore dello Statuto, è stato soltanto reso esplicito dalla disposizione da ultimo citata – deve essere applicato, ove ne sussistano i presupposti e secondo le circostanze del caso concreto, in tutti i rapporti tributari”. Nel principio di affidamento legittimo “è insita, in ragione sia della sua natura di “principio” appunto, sia del suo contenuto, una “capacità espansiva” non limitata alle fattispecie specificamente considerate dal secondo comma e, quindi, un’attitudine ad integrare la regula iuris ultima di una serie indeterminata di casi concreti, nei quali sia possibile individuare, secondo le circostanze, i suoi tratti essenziali, quali prima delineati; sicché, le predette, esplicite ipotesi di cui all’art. 10 comma 2 non possono che considerarsi meramente esemplificative, ovvero specifiche espressioni del principio stesso, relative a casi ritenuti dal legislatore maggiormente frequenti”. Conseguentemente “possono darsi appunto dei casi […] in cui – accertata la sussistenza dei presupposti dell’affidamento del contribuente – ne consegua necessariamente, come rilevato esattamente da una parte della dottrina, non soltanto l’inapplicabilità di sanzioni e-o di interessi moratori, bensì l’inesigibilità tout court della prestazione tributaria”.

È bene ricordare che la tutela del legittimo affidamento costituisce linea di tendenza della giurisprudenza anche al di fuori della materia tributaria sostanziale, sia in sede procedimentale che in sede processuale, e soprattutto anche in assenza di espresse previsioni legislative:

  • Cass., sez. trib., 30 gennaio 2007, n. 1949 in merito alla tempestività della dichiarazione fiscale presentata all’ufficio ritenuto erroneamente competente;
  • Comm. Centr., sez. XVIII, 14 marzo 2003, n. 1818 con riguardo alla sanabilità di un’impugnazione tardiva dell’avviso di accertamento in caso di erronea indicazione da parte dell’Amministrazione finanziaria, in calce allo stesso, del termine per impugnare, e Cass., sez. II civ., 17 giugno 2010, n.l 14627 nel caso in cui l’affidamento sia stato generato anche solo da un orientamento giurisprudenziale consolidato al momento dell’atto;
  • Cass., sez. trib., 13 febbraio 2009, n. 3559 e Cass., sez. trib., 18 settembre 2009, n. 20085, relativa alla possibilità di individuare validamente, ai fini della notifica del ricorso introduttivo del giudizio, l’organo legittimato a stare in giudizio in soggetto erroneamente ritenuto tale per effetto di atti interni di riorganizzazione degli Uffici non comunicati al contribuente;
  • Cass., sez. trib., 15 ottobre 2007, n. 21530 in merito alla impugnabilità di un provvedimento, viceversa non impugnabile, in conseguenza della sola erronea indicazione da parte degli Uffici, nello stesso, della sua impugnabilità;
  • Cass., sez. III civ., 27 settembre 2018 (ord.), n. 23163, è tenuta al risarcimento del danno l’Agenzia delle Entrate che, violando gli obblighi di correttezza e collaborazione secondo un canone comportamentale di buona fede, che deve caratterizzare l’attività della Pubblica Amministrazione, omette di informare il contribuente della necessità di dotarsi di ulteriore documentazione al fine di accedere all’agevolazione richiesta ed evitare le sanzioni per l’omesso versamento dell’imposta ordinaria dovuta e richiede al contribuente un dato irrilevante) provvedendo a tassarlo in misura agevolata, pur in assenza delle condizioni di legge, ingenerando nel contribuente un affidamento sull’idoneità della documentazione prodromica al beneficio.

Riduzione degli interpelli.

L’articolo 4 attribuisce al Governo il compito di razionalizzare la disciplina degli interpelli: in realtà nella relazione illustrativa si conferma che le azioni indicate sono volte a ridurre il numero degli interpelli presentati dai contribuenti circoscrivendone l’ambito di operatività sia sotto il profilo oggettivo che sotto il profilo soggettivo.

Le vie indicate sono le seguenti:

  1. riduzione del ricorso all’istituto dell’interpello di cui all’art. 11, l. n. 212 del 2000, implementando l’emanazione di provvedimenti interpretativi di carattere generale, anche prevedendo una casistica delle fattispecie di abuso del diritto, elaborati anche a seguito dell’interlocuzione con gli ordini professionali, con le associazioni di categoria e gli altri enti esponenziali di interessi collettivi, nonché tenendo conto delle proposte pervenute attraverso pubbliche consultazioni;
  2. riserva dell’ammissibilità dell’interpello alle sole questioni che non trovano soluzione in documenti interpretativi già emanati;
  3. subordinare, per le persone fisiche e i contribuenti di minori dimensioni, la procedura di interpello alle sole ipotesi in cui non è possibile ottenere risposte scritte mediante servizi di interlocuzione rapida, realizzati anche attraverso l’utilizzo di tecnologie digitali e di intelligenza artificiale;
  4. subordinare l’ammissibilità degli interpelli al versamento di un contributo, da graduare in relazione a diversi fattori, quali la tipologia di contribuente o il valore della questione oggetto dell’istanza, finalizzato al finanziamento della specializzazione e della formazione professionale continua del personale delle Agenzie fiscali (cfr. art. 31 ter, d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600 con riferimento alle richieste di accordi preventivi per le imprese con attività internazionale).

Una disciplina generale per accesso, contraddittorio e invalidità.

L’articolo 4 della delega affida al Governo il compito di:

  • introdurre una disciplina generale del diritto di accesso agli atti del procedimento tributario;
  • prevedere una generale applicazione del principio del contraddittorio a pena di nullità;
  • prevedere una disciplina generale delle invalidità degli atti impositivi e degli atti della riscossione.

Lo scopo di tali interventi sembra essere quello di superare norme frastagliate e contrasti giurisprudenziali introducendo in ambito tributario una disciplina generale di questi istituti rispondente a criteri di efficienza ed efficacia, sul modello di quanto fatto con la legge 7 agosto 1990, n. 241 per il procedimento amministrativo in generale.

Anche in questo caso il disegno di legge delega raccoglie l’invito rivolto al Legislatore a porre dei punti fermi dalla dottrina e dalla giurisprudenza: uno degli esempi più recenti è la sentenza del 21 marzo 2023, n. 47, ove la Corte Costituzionale ha rilevato quanto segue: “la mancata generalizzazione del contraddittorio preventivo con il contribuente, fin qui limitato a specifiche e ben tipizzate fattispecie, risulta ormai distonica rispetto all’evoluzione del sistema tributario, avvenuta sia a livello normativo che giurisprudenziale. Tuttavia, dalla pluralità dei moduli procedimentali legislativamente previsti e dal loro ambito applicativo, emerge con evidenza la varietà e la frammentarietà delle norme che disciplinano l’istituto e la difficoltà di assumere una di esse a modello generale. […] Di fronte alla molteplicità di strutture e di forme che il contraddittorio endoprocedimentale ha assunto e può assumere in ambito tributario, spetta al legislatore, nel rispetto dei principi costituzionali […], il compito di adeguare il diritto vigente, scegliendo tra diverse possibili opzioni che tengano conto e bilancino i differenti interessi in gioco, in particolare assegnando adeguato rilievo al contraddittorio con i contribuenti. […] Tenuto conto della pluralità di soluzioni possibili in ordine all’individuazione dei meccanismi con cui assicurare la formazione partecipata dell’atto impositivo, che ne modulino ampiezza, tempi e forme in relazione alle specifiche peculiarità dei vari procedimenti impositivi, questa Corte ritiene necessario un tempestivo intervento normativo che colmi la lacuna evidenziata. Un intervento, peraltro, che porti a più coerenti e definite soluzioni le descritte tendenze emerse nella disciplina dei procedimenti partecipativi del contribuente”.

Potenziata l’autotutela (e circoscritta la responsabilità).

Il Governo dovrà potenziare l’esercizio del potere di autotutela, estendendone le ipotesi agli errori manifesti nonostante la definitività dell’atto e prevedendo l’impugnabilità del diniego ovvero del silenzio nei medesimi casi. Viene quindi superato l’orientamento della Corte di Cassazione, secondo cui l’autotutela tributaria “costituisce un potere esercitabile d’ufficio da parte delle Agenzie fiscali sulla base di valutazioni largamente discrezionali, e non uno strumento di protezione del contribuente (ex multis, Corte di cassazione, sezione tributaria, sentenza 15 aprile 2016, n. 7511; Corte di cassazione, sezione tributaria, sentenza 20 novembre 2015, n. 23765; Corte di cassazione, sezione tributaria, sentenza 12 novembre 2014, n. 24058; Corte di cassazione, sezione tributaria, sentenza 30 giugno 2010, n. 15451; Corte di cassazione, sezione tributaria, sentenza 12 maggio 2010, n. 11457; Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 9 luglio 2009, n. 16097; Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 27 marzo 2007, n. 7388; Corte di cassazione, sezione quinta civile, sentenza 5 febbraio 2002, n. 1547; Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 4 ottobre 1996, n. 8685). Il privato può naturalmente sollecitarne l’esercizio, segnalando l’illegittimità degli atti impositivi, ma la segnalazione non trasforma il procedimento officioso e discrezionale in un procedimento ad istanza di parte da concludere con un provvedimento espresso. […] Non esiste un dovere dell’amministrazione di pronunciarsi sull’istanza di autotutela e, mancando tale dovere, il silenzio su di essa non equivale ad inadempimento, né, d’altro canto, il silenzio stesso può essere considerato un diniego, in assenza di una norma specifica che così lo qualifichi giuridicamente (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 27 marzo 2007, n. 7388; Corte di cassazione, sezione quinta civile, sentenza 9 ottobre 2000, n. 13412), con la conseguenza che il silenzio dell’amministrazione finanziaria sull’istanza di autotutela non è contestabile davanti ad alcun giudice” (cfr. Corte Costituzionale n. 118/2017).

Se così viene fatto un passo avanti nella tutela del contribuente, due passi indietro sono segnati dalla limitazione della responsabilità nel giudizio amministrativo-contabile dinanzi alla Corte dei conti alla sola condotta dolosa con riguardo alle valutazioni di diritto e di fatto operate.

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