La disciplina che esclude la cumulabilità tra benefici contributivi viola il giusto processo
La disciplina nazionale.
Negli anni Ottanta il Legislatore nazionale ha introdotto alcune disposizioni in materia previdenziale volte a favorire le attività economiche e quelle agricole in particolare.
Nell’ambito della disciplina organica dell’intervento straordinario del Mezzogiorno, l’art. 14, comma 1, l. n. 64 del 1986 ha previsto, come sgravio contributivo, la riduzione dei contributi agricoli unificati in favore delle imprese agricole operanti nei territori del Mezzogiorno per una durata di dieci anni. Originariamente la percentuale della riduzione è stata fissata nel 70%, con una limitazione quanto alla manodopera su cui calcolare la riduzione stessa. Con successive modifiche, il Legislatore ha ridotto la portata del beneficio ma ne ha lasciato inalterata la natura di sgravio contributivo. Con l’art. 1, comma 5, d.l. n. 536 del 1987 è stata abbassata la percentuale della riduzione al 60%, mentre il beneficio è stato esteso a tutto il personale dipendente. La percentuale dello sgravio contributivo è stata ulteriormente ridotta al 20% dall’art. 18, d.lgs. n. 375 del 1993.
Con l’art. 1, comma 6, d.l. n. 536 del 1987 è stato altresì introdotto un beneficio a favore dei “datori di lavoro del settore agricolo”, consistente in una riduzione in cifra fissa del contributo di malattia per il finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale. Da tale beneficio sono stati esclusi i datori di lavoro del settore agricolo operanti nel Mezzogiorno. La situazione che si è creata è così riassumibile: mentre a favore delle imprese agricole nel Mezzogiorno è stato previsto uno sgravio contributivo in percentuale (art. 1, comma 5, d.l. n. 536 del 1987), a favore delle imprese agricole del Centro e del Nord Italia è stata contemplata una vera e propria fiscalizzazione degli oneri sociali in misura fissa.
Con l’art. 9, comma 5, l. n. 67 del 1988 (“Legge finanziaria 1988”) è stato introdotto uno specifico sgravio contributivo per i datori di lavoro agricolo operanti in territorio montano oppure in zone agricole svantaggiate. Il successivo comma 6 ha previsto che per i calcoli delle agevolazioni non dovesse tenersi conto delle fiscalizzazioni prevista dall’art. 1, d.l. n. 536 del 1987.
È così sorto il problema della cumulabilità o alternatività dei benefici contributivi nel caso in cui si fossero presentati simultaneamente i presupposti specifici legati alla localizzazione dell’azienda agricola (nel Mezzogiorno, nel Centro e nel Nord Italia, nei territori montani e nelle zone agricole svantaggiate). Con la circolare del 18 luglio 1988 n. 160, l’Inps ha negato che i benefici potessero essere cumulati. Dal canto suo la Corte di Cassazione ha interpretato in segno contrario l’art. 9, comma 6, d.l. n. 536 del 1987 (cfr. Cass., sez. lav. 27 ottobre 2000, n. 14227): dal consolidarsi di tale indirizzo nella giurisprudenza di legittimità è seguita per le aziende agricole la possibilità di chiedere all’Inps la ripetizione delle somme versate a titolo di contributi senza tener conto del cumulo.
Con l’art. 44, comma 1, d.l. n. 269 del 2003, il Legislatore nazionale è intervenuto nel contrasto tra prassi amministrativa e giurisprudenza di legittimità stabilendo che l’art. 9, comma 6, l. n. 67 del 1988 dovesse essere interpretato nel senso che le agevolazioni non potessero essere cumulate. Chiamata ad esprimesi sulla legittimità costituzionale di tale disposizione, la Corte Costituzionale (Corte Cost., 3 luglio 2006, n. 274) ha affermato che l’art. 44, comma 1, d.l. n. 269 del 2003 non può ritenersi irragionevole ex art. 3, comma 1, Cost. perché si è limitata ad assegnare alla disposizione interpretata un significato già in essa contenuto, riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario (cfr. anche la sentenza n. 374 del 2002, richiamata in motivazione perché resa con riferimento ad altra legge di interpretazione autentica nella stessa materia degli sgravi contributivi, di contenuto non dissimile da quella in esame).
La controversia principale.
I ricorrenti sono imprese agricole operanti in zone svantaggiate del Nord Italia che hanno agito in giudizio per ottenere la condanna dell’Inps alla restituzione delle somme versate a titolo di contributi previdenziali senza tener conto del cumulo dei benefici contributivi.
Nelle more dei giudizi, il Legislatore nazionale è intervenuto con il già menzionato art. 44, comma 1, d.l. n. 269 del 2003. Allineandosi alla posizione della Corte Costituzionale (cfr. sentenza n. 247 del 2006), la Corte di Cassazione ha ritenuto che la regola della non cumulabilità, già risultante dalla lettura sistematica e coordinata delle disposizioni in questione, risultasse confermata dall’art. 44, comma 1, d.l. n.269 del 2003, da qualificarsi come disposizione di interpretazione autentica e non già di disposizione innovativa con efficacia retroattiva, “facendo blocco con la disposizione interpretata sì da esprimere – fin dall’entrata in vigore di quest’ultima – un’unica norma avente il contenuto esplicitato dalla prima e quindi con una retroattività solo apparente perché tale è da ritenere il precetto normativo fin dall’inizio” (Cass., sez. lav., 2 maggio 2007, n. 10110).
È violato il principio del “giusto processo”.
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ravvisa la violazione dell’art. 6 § 1 Cedu, a mente del quale “in the determination of his civil rights and obligations … everyone is entitled to a fair … hearing … by [a] … tribunal …”.
Secondo giurisprudenza della Corte di Strasburgo, sebbene al Legislatore nazionale non sia impedito di regolamentare, attraverso disposizioni con efficacia retroattiva, i diritti derivanti dalle leggi in vigore, il principio dello Stato di diritto e la nozione di giusto processo ostano a interferenze nell’amministrazione della giustizia che non siano giustificate da rilevanti motivi di interesse pubblico. È altresì pacifico che considerazioni finanziarie non possono di per sé consentire al Legislatore di sostituirsi ai giudici nella risoluzione delle controversie.
Nel caso di specie, la promulgazione della l. n. 326 del 2003 ha condizionato la risoluzione delle controversie pendenti in maniera tale da rendere del tutto sterile il giudizio per le aziende agricole ricorrenti: pertanto l’intervento normativo ha condizionato irreversibilmente l’esito di un contenzioso pendente che vedeva contrapporsi i ricorrenti ad una articolazione dello Stato, a vantaggio di quest’ultimo.
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo rileva poi che, anteriormente all’intervento del Legislatore, non vi era incertezza interpretativa sulla questione, posto che la giurisprudenza di legittimità era concorde nell’ammettere la cumulabilità dei benefici previdenziali. Anche a voler sostenere che tale incertezza interpretativa vi fosse, secondo la Corte di Strasburgo il Governo nazionale non ha dimostrato la sussistenza di un prevalente motivo di interesse generale idoneo a giustificare la necessità della applicazione retroattiva.
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo esclude che i ricorrenti abbiano abusato di una “debolezza” del sistema prediligendo l’interpretazione per loro più favorevole, non soltanto perché non sarebbe stato irragionevole ritenere sussistente un “doppio beneficio” a favore di aziende agricole operanti in aree geografiche particolarmente svantaggiate, ma anche perché ciò avrebbe prodotto un impatto positivo sugli interessi collettivi promuovendo lo sviluppo economico delle regioni interessate. A ciò si aggiunga che, prima dell’intervento legislativo, i ricorrenti hanno visto accolte le proprie ragioni sia in primo grado sia in appello.
Non vi è stata violazione della proprietà.
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo esclude che vi sia stata una violazione dell’art. 1 Protocollo n. 1, in forza del quale “1. Every natural or legal person is entitled to the peaceful enjoyment of his possessions. No one shall be deprived of his possessions except in the public interest and subject to the conditions provided for by law and by the general principles of international law. 2. The preceding provisions shall not, however, in any way impair the right of a State to enforce such laws as it deems necessary to control the use of property in accordance with the general interest or to secure the payment of taxes or other contributions or penalties”.
A tale proposito è interessante ricordare che due Giudici hanno espresso una opinione parzialmente dissenziente. Secondo i due Giudici, i ricorrenti avevano una legittima aspettativa a vedere accolte le proprie ragioni, anche perché l’esegesi della disciplina vigente a loro favorevole era confortata da decine di sentenze. L’intervento del Legislatore si è risolto in una interferenza sui giudizi pendenti tale da pregiudicare la spettanza dei benefici contributivi e quindi determinare una lesione della proprietà rilevante ai sensi dell’art. 1 Protocollo n. 1. I Giudici ritengono inoltre “inquietante” che la disciplina di interpretazione autentica sia stata introdotta dal Legislatore ben 16 anni dopo le disposizioni iniziali.
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