202007.15
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IMU: scatta la doppia esenzione per l’abitazione principale se i coniugi risiedono in comuni diversi

Comm. trib. prov. Lecce, Sez. II, 15 luglio 2020, n. 945

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI LECCE

SECONDA SEZIONE

riunita con l’intervento dei Signori:

PEPE PAOLO – Presidente

PELLEGRINO GIOVANNI – Relatore

SARTORI ARTURO – Giudice

ha emesso la seguente

SENTENZA

  • sul ricorso n. 1084/2019

depositato il 14/05/2019

  • avverso AVVISO DI ACCERTAMENTO n. (…) IMU 2013

contro:

COMUNE DI CASTRO

COMUNE 73030 CASTRO

proposto dal ricorrente:

R.M.C.

L. C. 4 73027 M. DI L.

difeso da:

Svolgimento del processo

La ricorrente, R.M.C., rappresentata e difesa, come in atti, impugna l’avviso di accertamento nr.(…) del 24/12/2018, per l’Imposta municipale propria (IMU) per l’anno 2013, notificato in data 02/01/2019, dal COMUNE di CASTRO.

Con tale avviso il Comune chiede il pagamento di complessivi Euro 1.307,00 per imposta non versata, interessi e sanzione, per l’abitazione principale che la ricorrente possiede a titolo di proprietà nel territorio comunale.

La ricorrente sostiene di non essere soggetto passivo dell’Imu in quanto l’immobile in questione è detenuto a titolo di proprietà al 100% e adibito ad abitazione principale della medesima; esso costituisce dimora abituale nonché residenza anagrafica della ricorrente.

Pertanto in applicazione dell’articolo 13, comma 2, del D.L. n. 201 del 2011 l’immobile è completamente esentato dal pagamento del tributo.

Richiama in proposito la normativa che si è susseguita in materia: il D.L. n. 201 del 2011 con cui è stata anticipata in via sperimentale l’imposta municipale propria; il D.L. n. 54 del 2013 con cui è stato sospeso, per l’anno 2013, il pagamento della prima rata dell’imposta municipale per le abitazioni principali e le relative pertinenze; il D.L. n. 133 del 2013 con cui è stata abolita definitivamente la seconda rata 2013; la legge di stabilità 147/2014 con cui è stata estesa l’abolizione dell’Imu per le abitazioni principali.

Deduce in primo luogo il difetto di motivazione in quanto non giustificherebbe le ragioni per le quali il comune ha ritenuto di applicare l’imposta.

In ogni caso, qualora il comune ritenesse di non applicare l’esenzione in quanto il coniuge della ricorrente risiede in un diverso comune, rileva che la norma invocata (articolo 13, comma 2, del D.L. n. 201 del 2011) prevede una sola agevolazione qualora la residenza dei coniugi sia stabilita in due immobili diversi nello stesso comune; perciò, nel caso di specie, tale limitazione non sarebbe applicabile in quanto si tratta di immobili ubicati in comuni diversi.

Nel merito, a conferma della sua residenza e domicilio nel Comune, indica i consumi delle bollette elettriche da cui risulta un consumo compatibile con l’uso dell’immobile:

Il comune si è costituito in giudizio controdeducendo puntualmente alle argomentazioni del ricorso e richiamando, in particolare, ponendo a base della pretesa, la sentenza Cass.nr.26497 del 14/11/2017, la sentenza della CTP di Taranto nr.1470/2019, la Circ.Min.le 3/DF/2012, nonché la sentenza della Corte di Cassazione nrr. 303/2019 e 15439/2019), la quale ha stabilito che il contribuente che vive abitualmente in un immobile non ha diritto all’esenzione Ici prevista per l’abitazione principale se il resto della famiglia vive in un altro appartamento.

Invoca in proposito l’articolo 8 del D.Lgs. n. 504 del 1992, in materia di Ici, il quale dispone che per abitazione principale si deve intendere quella in cui il contribuente i suoi familiari dimorano abitualmente.

Nel caso di specie è emerso che la ricorrente e il coniuge erano residenti a M. di L., successivamente la signora si è trasferita nel COMUNE di CASTRO, senza alcuna ragione apparente.

Conseguentemente, ai fini dell’esenzione dall’Imu, richiama l’articolo 13 comma 2 del D.L. n. 201 del 2011 il quale prevede che per “abitazione principale si intende l’immobile… nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente”.

Rileva altresì che l’interpretazione proposta dalla ricorrente si basa su una circolare del Ministero delle finanze, numero 3/2012, che però non potrebbe avere valenza tale da superare il dato normativo.

All’udienza camerale del 08/07/2020, la Commissione ha ritenuto la causa per la decisione.

Motivi della decisione

La ricorrente deduce innanzitutto l’infondatezza ed illegittimità della pretesa e non giustifica le ragioni per le quali il comune non ha applicato l’esenzione per l’immobile di cui è proprietaria.

La censura non appare fondata perché risulta evidente che la ragione per la quale il comune non ha applicato l’esenzione consiste nella circostanza che nell’immobile in questione non risiede l’intero nucleo familiare della ricorrente; ed infatti il ricorso si appunta proprio sulle ragioni che mirano a contrastare tale posizione.

Con una seconda articolata censura la ricorrente sostiene di aver diritto all’esenzione, in applicazione dell’articolo 13 del D.L. n. 201 del 2011 che la riconosce per l’abitazione principale.

Il comune, dal canto suo, sostiene che l’esenzione non possa essere applicata in quanto nell’immobile in questione non vive l’intero nucleo famigliare.

Tutti i precedenti della Cassazione citati dall’amministrazione comunale riguardano vicende in cui il contenzioso attieni alla debenza dell’Ici; quanto alle sentenze dei giudici di merito, la gran parte attengono ugualmente all’Ici e, se riferite all’IMU, riprendono tralatiziamente concetti e precedenti giurisprudenziali riferiti all’originaria imposta comunale e non affrontano in modo puntuale l’interpretazione della normativa relativa all’esenzione dall’Imu.

Senonché, è ben noto che le due imposte, benché colpiscano gli stessi beni e quindi abbiano identità di oggetto (si veda l’articolo 13, comma 2 del D.L. 6 dicembre 2011 numero 201: “L’imposta municipale propria ha per presupposto il possesso di immobili; restano ferme le definizioni di cui all’articolo 2 del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504”), sono poi in concreto disciplinate da disposizioni in buona parte differenti.

In particolare, l’articolo 8 del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 riguarda le riduzioni e detrazioni dell’imposta Ici. Laddove, con riferimento all’oggetto del presente ricorso, per l’Imu, il citato articolo 13 del D.L. n. 201 del 2011 prevede riduzioni ed esenzioni con una articolata, specifica e innovativa normativa.

La disciplina riguardante l’Imu deve quindi essere valutata autonomamente, al fine di individuarne il significato e giungere alla corretta interpretazione delle disposizioni che prevedono l’esenzione dal tributo per l’abitazione principale.

La disciplina si rinviene nel già ricordato articolo 13 del D.L. n. 201 del 2011 che, al comma 2, prevede: “L’imposta municipale propria non si applica al possesso dell’abitazione principale e delle pertinenze della stessa, ad eccezione di quelle classificate nelle categorie catastali (…), (…) e (…), per le quali continuano ad applicarsi l’aliquota di cui al comma 7 e la detrazione di cui al comma 10. Per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente. Nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale, le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile”.

La definizione di abitazione principale è sostanzialmente identica anche nelle disposizioni precedenti sempre in materia di Imu; disposizioni che, a decorrere dal 2013, hanno, prima, sospeso parzialmente e, poi, abolito definitivamente l’obbligo del pagamento dell’imposta per gli immobili rientranti in tale categoria (D.L. n. 54 del 2013, D.L. n. 133 del 2013, L. n. 147 del 203 e infine L. n. 208 del 2016).

La norma identifica l’abitazione principale nella unità immobiliare in cui il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente; è necessario dunque il concorrere di due requisiti, uno di fatto, la dimora abituale, l’altro di carattere formale, la residenza anagrafica, dipendente dalla iscrizione in un pubblico registro.

Perciò, mentre per accertare il secondo è necessario e sufficiente il certificato di residenza rilasciato dal Comune, per il primo occorre dare la dimostrazione della effettiva dimora abituale: la sussistenza di tale requisito dovrà essere verificata di volta in volta. In concreto sarà possibile accertare che, pur in presenza del certificato di residenza, non vi sia l’effettiva dimora abituale nell’immobile e pertanto non sorga il diritto all’esenzione. Alla stessa conclusione si giungerà peraltro qualora manchi la residenza attestata mediante il certificato dell’ufficio anagrafe comunale, anche se venga dimostrata la dimora abituale presso l’abitazione.

La disposizione in esame richiede la sussistenza dei requisiti sopradetti per “il possessore e il suo nucleo familiare”; occorre interrogarsi sul significato di questo sintagma, la cui esatta interpretazione è dirimente al fine di individuare il corretto perimetro di applicazione della norma; intendendosi, peraltro pacificamente, per nucleo familiare quello composto dai coniugi (o uniti civilmente) e dai di loro figli.

Se si legge la norma – come proposto dal Comune – nel senso che, per poter ottenere l’esenzione, è necessario che tutti i soggetti che fanno parte del nucleo familiare del possessore siano residenti e dimorino effettivamente nell’immobile, si giunge necessariamente alla conclusione che essa non spetti quando, ad esempio, in una famiglia con figli, uno dei figli dimori in una città diversa per motivi diversi.

In tal caso, in effetti, non tutti i componenti del nucleo familiare dimorano nell’immobile ma non pare ragionevole affermare che, per ciò solo, non spetti l’esenzione; approdo cui peraltro non risulta che la giurisprudenza sia mai giunta, ma che conseguirebbe logicamente dall’interpretazione proposta dall’amministrazione.

Invece, secondo il Comune, qualora il coniuge del possessore dell’immobile (solitamente anche proprietario o comunque titolare di un diritto reale) non risulti domiciliato e/o residente presso la stessa abitazione, verrebbe meno il diritto all’esenzione.

Senonché, in nessuna parte del dato normativo è possibile individuare dei riferimenti che consentano di giungere a conclusioni diverse a seconda che la persona che non dimora nell’abitazione principale sia un figlio o il coniuge; perciò sarebbe arbitrario e del tutto contra legem escludere l’esenzione se non dimori il coniuge e invece consentirla se non dimori un figlio.

Volendo dare un senso alla previsione della residenza e dimora del nucleo familiare contenuta nella norma, essa è, in realtà, chiarita dalla disposizione immediatamente successiva, che detta una particolare disciplina per l’ipotesi in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la loro dimora e residenza in immobili diversi, qualora questi siano situati nel territorio dello stesso comune: in tale situazione si prevede espressamente che l’esenzione si applichi per un solo immobile.

Tale specifica ipotesi viene dunque prevista e regolamentata dal legislatore che ha ritenuto di limitare il beneficio quando si tratti di immobili siti nello stesso comune; nessun limite normativo esiste, invece, quando gli immobili siano collocati in comuni diversi.

In sostanza, l’ordinamento ha previsto in via generale l’esenzione dal pagamento per gli immobili adibiti ad abitazione principale; lo stesso legislatore ha disciplinato in modo diverso una particolare fattispecie, prevedendo, in via eccezionale, l’applicazione dell’esenzione per un solo immobile quando si tratti di più immobili collocati nello stesso comune.

La norma si pone, come detto, quale eccezione alla esenzione dal pagamento per gli immobili adibiti ad abitazione principale; perciò, anche per questa considerazione, non può trovare applicazione in via analogica (ma in realtà sarebbe addirittura in via estensiva e quindi vietata in quanto norma fiscale) nei casi in cui gli immobili siano collocati in comuni diversi; ciò in base al ben noto principio (art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale al codice civile) secondo cui le norme eccezionali si devono applicare esclusivamente alle ipotesi espressamente previste e non possono essere applicate a casi diversi, seppur analoghi a quelli espressamente e puntualmente regolamentati.

Così chiarita la portata della disciplina in esame (sostanzialmente condivisa anche dal Ministero dell’Economia e delle Finanze-Dipartimento delle finanze con circolare numero 3/DF del 18 maggio 2012) perde il rilievo la distinzione proposta dalla difesa del Comune, secondo cui, nell’ipotesi di due immobili adibiti dai coniugi ad abitazione principale in due comuni diversi, l’esenzione spetterebbe solo quando tale spostamento sia dipeso da una frattura del rapporto di convivenza comprovato da una omologa del Tribunale del verbale di separazione di fatto tra i coniugi, oppure dalla notifica del ricorso per ottenere il provvedimento di omologa o la separazione giudiziale.

Tale condizione ha origine in diverse pronunce della Cassazione, a cominciare dalla numero 14389 del 2010, e sino alle più recenti del 2019, che però riguardano tutte l’interpretazione della normativa in materia di Ici; perciò non può essere traslata nella applicazione delle disposizioni che prevedono l’esenzione dall’Imu che, come detto, hanno presupposti e regolamentazione diversi.

Oltre tutto, se si seguisse l’interpretazione, che si consente l’esenzione solo quando si sia in presenza di una separazione giudiziale, si realizzerebbe una inammissibile disparità di trattamento a scapito di una coppia di coniugi (o uniti civilmente) rispetto a una coppia di fatto che invece si vedrebbe serenamente riconosciuto il diritto all’esenzione per due immobili (Ctp Bologna Sez. I, n. 441 del 22 marzo 2017). Perciò, nel dubbio, occorrerebbe comunque fornire una interpretazione “costituzionalmente orientata” in modo da evitare possibili lesioni del principio di uguaglianza (art. 3 Costituzione) e/o del principio di capacità contributiva sancito dall’art. 53 della Costituzione, oltre che dell’art. 29 che tutela e riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio.

A ben vedere l’interpretazione qui accolta è coerente con l’evoluzione sociale, cui corrisponde anche il nuovo dettato normativo in tema di Imu: mentre un tempo la famiglia era una struttura monolitica in cui tutti i componenti si ritrovavano e di fatto convivevano in un’unica abitazione, nell’attuale periodo storico è sempre più frequente l’eventualità di nuclei familiari che, pur rimanendo tali, sono caratterizzati dal fatto che alcuni dei componenti, per motivi di lavoro o di studio, giungono a dimorare in luoghi diversi. Ormai è diffusissima la situazione di coppie di coniugi che vivono in città diverse per motivi di lavoro, pur non essendo separati né giudizialmente e neppure di fatto.

Il legislatore del 2011 si è evidentemente fatto carico di questa nuova situazione e, innovando rispetto alla disciplina dettata in tema di Ici vent’anni prima, ha preso atto delle modifiche sociali nel frattempo consolidatesi e ha ritenuto di non penalizzare i coniugi che vivono distanti l’uno dall’altro, consentendo loro di usufruire dell’esenzione dall’Imu, ciascuno per la propria abitazione principale.

D’altronde, per evitare di premiare comportamenti elusivi, lo stesso legislatore ha, coerentemente e condivisibilmente, introdotto il limite dell’esenzione per un unico immobile nel particolare caso delle abitazioni che si trovano nello stesso comune; qui è lo stesso legislatore che non considera oggettivamente giustificata la scelta di abitare in case diverse e sancisce una sorta di presunzione ex lege di un intento elusivo.

Questa disposizione, lungi dal condurre alla sua applicazione anche alla diversa ipotesi in cui le abitazioni si trovino in comuni diversi (per la ragione già evidenziata del divieto di estensione analogica di norme eccezionali) offre però all’interprete una ulteriore chiave di ricerca della ratio della normativa che disciplina l’esenzione: a fronte del principio che garantisce l’esenzione dall’Imu per l’abitazione principale della famiglia, occorre però garantire che la norma non venga utilizzata a fini elusivi.

Perciò la sua applicazione concreta non potrà prescindere dal riscontro circa la effettività dei requisiti richiesti: in particolare, oltre al requisito della residenza nel comune ove è situato l’immobile, che solitamente non richiede controlli difficili, occorre che sia certa l’effettività del domicilio in una abitazione diversa da quella degli altri familiari: nell’effettuare tale riscontro sarà onere delle parti introdurre elementi di prova a dimostrazione delle rispettive posizioni e, in caso di contenzioso, sarà compito del giudice accertare l’esistenza o meno del diritto all’esenzione.

In definitiva il ricorso è fondato e deve essere accolto con conseguente annullamento dell’atto impugnato.

In considerazione dell’oscillazione della giurisprudenza e della novità della questione trattata con riferimento all’Imposta municipale propria, le spese di lite possono essere integralmente compensate tra le parti.

P.Q.M.

la Commissione accoglie il ricorso, spese compensate.

Così deciso in Lecce nella camera di consiglio del 8 luglio 2020