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Impugnabilità degli avvisi bonari

Sono impugnabili le comunicazioni relative all’esito della liquidazione automatica ex artt. 36 bis, d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600 e 54 bis, d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633 e del controllo formale ex art. 36 ter, d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600? Dopo un obiter dictum contraddittorio rispetto alle premesse concettuali richiamate dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, la giurisprudenza di legittimità si è consolidata a favore dell’immediata impugnabilità di tali atti innanzi al giudice tributario. Questo approdo esegetico è passato attraverso l’elaborazione pretoria della tripartizione tra atti tipici autonomamente impugnabili, atti facoltativamente impugnabili e atti non impugnabili, terreno di scontro tra potere giudiziario e potere legislativo su un campo di battaglia che vede cadere come vittima la dottrina.

La liquidazione automatica.

L’art. 36 bis, d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600, per le imposte sui redditi, e l’art. 54 bis, d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 600, per l’IVA, disciplinano la liquidazione automatica delle somme dovute in base alle dichiarazioni presentate dai contribuenti e dai sostituti d’imposta, prevedendo che l’esito della liquidazione sia loro comunicato affinché possano fornire chiarimenti entro i trenta giorni successivi.

La comunicazione di irregolarità è inviata: 1) con raccomandata a/r presso il domicilio fiscale del contribuente che ha presentato la dichiarazione; 2) tramite posta elettronica certificata all’indirizzo risultante dall’Indice Nazionale degli Indirizzi di Posta Elettronica Certificata (INI-PEC); 3) attraverso il canale Entratel all’intermediario che ha inviato in via telematica la dichiarazione.

In base all’art. 2, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 462, le somme dovute sono iscritte direttamente nei ruoli a titolo definitivo, mentre l’iscrizione a ruolo non è eseguita, in tutto o in parte, se il contribuente o il sostituto d’imposta provvede a pagare le somme dovute entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione contenente la loro determinazione ovvero della comunicazione definitiva contenente la rideterminazione in sede di autotutela delle somme dovute, a seguito dei chiarimenti forniti dal contribuente o dal sostituto d’imposta; in tal caso, l’ammontare delle sanzioni amministrative dovute è ridotto ad un terzo e gli interessi sono dovuti fino all’ultimo giorno del mese antecedente a quello dell’elaborazione della comunicazione.

Il controllo formale.

L’art. 36 ter, d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600 prevede che l’Amministrazione finanziaria proceda al controllo formale delle dichiarazioni presentate dai contribuenti e dai sostituti d’imposta sulla base dei criteri selettivi fissati dal Ministro dell’Economia e delle Finanze e ne comunichi loro l’esito con l’indicazione dei motivi che hanno dato luogo alla rettifica, per consentire la segnalazione di eventuali dati ed elementi non considerati o valutati erroneamente entro i trenta giorni successivi.

La comunicazione è inviata con raccomandata a/r al domicilio fiscale del contribuente che ha presentato la dichiarazione.

In base all’art. 3, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 462, le somme dovute a seguito dei controlli formali possono essere pagate entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione.

L’invito previsto dallo Statuto dei Diritti del Contribuente.

In base all’art. 6, comma 5, l. 27 luglio 2000, n. 212, prima di procedere alle iscrizioni a ruolo derivanti dalla liquidazione di tributi risultanti da dichiarazioni, “qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, l’Amministrazione finanziaria deve invitare il contribuente”, a mezzo del servizio postale o con mezzi telematici, a fornire i chiarimenti necessari o a produrre i documenti mancanti entro un termine congruo e comunque non inferiore a trenta giorni dalla ricezione della richiesta. La disposizione si applica “anche qualora, a seguito della liquidazione, emerga la spettanza di un minor rimborso di imposta rispetto a quello richiesto”, mentre non si applica nell’ipotesi di iscrizione a ruolo di tributi per i quali il contribuente non è tenuto ad effettuare il versamento diretto. Sono nulli i provvedimenti emessi in violazione di tali previsioni.

L’art. 2 bis, d.l. 30 settembre 2005, n. 203, convertito senza modifiche dalla l. 2 dicembre 2005, n. 248, dispone che l’invito previsto dallo Statuto dei Diritti del Contribuente sia effettuato con mezzi telematici all’intermediario abilitato, il quale porta a conoscenza del contribuente, tempestivamente e comunque nel termine di trenta giorni previsto dall’art. 2, comma 2, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 462 per la comunicazione degli esiti della liquidazione automatica della dichiarazione, ovvero mediante raccomandata in ogni altro caso.

Nel caso in cui l’invito sia effettuato con mezzi telematici all’intermediario abilitato, il termine previsto dall’art. 2, comma 2, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 462 per l’iscrizione a ruolo decorre dal sessantesimo giorno successivo alla trasmissione telematica dell’invito.

La liquidazione relativa ai redditi soggetti a tassazione separata.

Il comma 412 dell’art. 1, l. 30 dicembre 2004, n. 311 dispone che, in esecuzione dell’art. 6, comma 5, l. 27 luglio 2000, n. 212, sia comunicato mediante raccomandata con avviso di ricevimento ai contribuenti l’esito dell’attività di liquidazione, effettuata ai sensi dell’art. 36 bis, d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, relativamente ai redditi soggetti a tassazione separata.

In caso di mancato pagamento dell’imposta o della maggiore imposta dovuta entro il termine di trenta giorni si procede all’iscrizione a ruolo, con l’applicazione della sanzione di cui all’art. 13, comma 2, d.lgs.18 dicembre 1997, n. 471, e degli interessi di cui all’art. 20, d.p.r. 29 settembre 1973, n. 602, a decorrere dal primo giorno del secondo mese successivo a quello di elaborazione della predetta comunicazione.

La posizione dell’Agenzia delle Entrate.

Nella risoluzione del 22 ottobre 2010, n. 110, la Direzione Centrale Affari Legali e Contenzioso dell’Agenzia delle Entrate ha escluso l’impugnabilità delle comunicazioni emesse ai sensi degli artt. 36 bis, comma 3, d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600 e 54 bis, comma 3, 26 ottobre 1972, d.p.r. n. 633, giacché non conterrebbero una pretesa tributaria definita. Tale esegesi si fonda su due argomenti. In primo luogo, le comunicazioni de quibussi sostanziano […] in un mero invito al contribuente a fornire, in via preventiva, elementi chiarificatori delle anomalie riscontrate in sede di liquidazione automatizzata della dichiarazione e non sono, dunque, espressione di un potere pubblicistico autoritativo, non contenendo una pretesa impositiva definitiva e non producendo effetti negativi immediati per il destinatario”. In secondo luogo, “la comunicazione di irregolarità non è formalmente ricompresa nel novero degli atti impugnabili dinanzi alle Commissioni tributarie, di cui all’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992”.
Nella guida del dicembre del 2019 sulle “Comunicazioni sui controlli della dichiarazione” l’Agenzia delle Entrate afferma quanto segue: “Le comunicazioni, sia degli esiti del controllo automatico sia del controllo formale, non sono veri e propri atti impositivi, anzi, la loro funzione è rendere noti i risultati dei controlli e consentire al contribuente di regolarizzare la propria posizione, usufruendo della riduzione delle sanzioni ed evitando l’iscrizione a ruolo e l’emissione della cartella. Pertanto, non sono impugnabili autonomamente dinanzi alle Commissioni tributarie”.

La giurisprudenza della Corte di Cassazione: da un obiter dictum…

Nella sentenza del 24 luglio 2007, n. 16293 1 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno ritenuto che debbano essere qualificati come avvisi di accertamento o di liquidazione di un tributo, impugnabili ai sensi dell’art. 19, comma 1, lett. a) e b), d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, “tutti quegli atti con cui l’Amministrazione comunica al contribuente una pretesa tributaria ormai definita; ancorché tale comunicazione non si concluda con una formale intimazione di pagamento, sorretta dalla prospettazione in termini brevi dell’attività esecutiva, bensì con un invito “bonario” a versare quanto dovuto”: spetta quindi al giudice di merito “sceverare con congrua motivazione gli atti impositivi dagli atti che impositivi non sono, esaminando gli aspetti sostanziali dell’atto, che possono non trovare compiuta corrispondenza nei suoi aspetti formali2.
Ciononostante, in un mero obiter dictum 3 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno sostenuto che la fattispecie sub iudice si differenzia rispetto alle comunicazioni previste dagli artt. 36 bis, d.p.r. n. 600 del 1973 e 54 bis, d.p.r. n. 633 del 1972, le quali, costituendo “anche un “invito” a fornire “eventuali dati o elementi non considerati o valutati erroneamente nella liquidazione dei tributi”, manifesterebbero “una volontà impositiva ancora in itinere e non formalizzata in un atto cancellabile solo in via di autotutela (o attraverso l’intervento del giudice)”.

… passando per la categoria degli “atti facoltativamente impugnabili”…

L’evoluzione della giurisprudenza di legittimità è segnata dalla sentenza dell’8 ottobre 2007, n. 21045 4, nella quale la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione ha posto in luce “la (sopravvenuta, rispetto al momento della sua formulazione) ristrettezza della elencazione degli “atti impugnabili” contenuta nell’art. 19, d.lgs. n. 546 del 1992 e la necessità – in forza di una interpretazione aderente alle norme costituzionali, sia di tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.) che (art. 97 Cost.) di buon andamento (anche sub specie di evitare il connesso inutile dispendio di energie) dell’attività della pubblica amministrazione, oltre che in conseguenza dell’allargamento […] della giurisdizione del giudice tributario operato con la novella del 2001 – di estendere […] la possibilità di ricorrere alla tutela del giudice tributario avverso tutti gli atti adottati dall’ente impositore che, con l’esplicazione delle concrete ragioni (fattuali e giuridiche) che la sorreggono, portino comunque a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, senza necessità di attendere che la stessa, ove non sia raggiunto lo scopo dello spontaneo adempimento cui è naturaliter preordinato, si vesta della forma autoritativa propria di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dall’art. 19 cit. atteso l’indubbio sorgere in capo al contribuente destinatario, già al momento della ricezione di quella notizia, dell’interesse (art. 100 c.p.c.) a chiarire, con pronuncia idonea ad acquistare effetti non più modificabili, la sua posizione in ordine alla stessa e, quindi, ad invocare una tutela giurisdizionale – ormai, allo stato, esclusiva del giudice tributario – comunque di controllo della legittimità sostanziale della pretesa impositiva e/o dei connessi accessori vantati dall’ente pubblico”.
Di particolare interesse è il passaggio in cui il Collegio afferma che al riconoscimento della mera “possibilità” di ricorrere alla tutela giurisdizionale “non può (né deve) essere attribuita natura di onere ovverosia quella natura che, per l’impugnazione degli atti espressamente elencati nell’art. 19, discende dall’art. 22, d.lgs. n. 546 del 1992 (con conseguente cristallizzazione della pretesa tributaria contenuta in detti atti in ipotesi di mancata impugnazione nel termine perentorio di cui all’art. 22)”: da un lato l’elencazione dell’articolo 19 deve essere oggetto di una interpretazione strettamente rigorosa in considerazione della evidenziata conseguenza discendente dalla loro non impugnazione, e, dall’altro, è necessario “evitare che, accedendo alla tesi della necessità di osservare il termine perentorio di cui all’art. 22 anche per l’impugnazione degli atti, sia pure di imposizione fiscale, non elencati nell’art. 19, l’allargata tutela del contribuente si traduca in danno per lo stesso (potendo l’ente opporre l’intervenuta cristallizzazione della pretesa tributaria contenuta in un atto diverso da quello elencato per sua mancata impugnazione nel termine perentorio)”.

Tale iter argomentativo approda sui seguenti principi di diritto:

  1. l’elencazione tassativa degli atti impugnabili innanzi al giudice tributario, nel termine perentorio fissato dal successivo articolo 22, contenuta nell’art. 19, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, non esclude la facoltà del contribuente di impugnare innanzi al medesimo giudice anche atti diversi da quelli contenuti in detto elenco ma contenenti […] la manifestazione di una compiuta e definita pretesa tributaria (come dei relativi accessori)”;
  2. la mancata impugnazione di un atto, non espressamente indicato nell’articolo 19, contenente la manifestazione di detta pretesa tributaria nel termine di cui all’art. 22, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 non determina la non impugnabilità (cristallizzazione) di quella pretesa che va successivamente reiterata in uno degli atti tipici previsti dall’articolo 19”.
  3. fino all’immediata impugnabilità innanzi al giudice tributario.

Nella sentenza dell’11 maggio 2012, n. 7344 5 la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione ha ritenuto immediatamente impugnabile innanzi al giudice tributario la comunicazione di irregolarità ex art. 36 bis, comma 3, d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600, giacché essa porta a conoscenza del contribuente una pretesa impositiva compiuta: l’elencazione degli atti impugnabili contenuta nell’art. 19, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 “deve essere interpretata alla luce delle norme costituzionali di buon andamento della P.A. (art. 97 Cost.) e di tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.), riconoscendo la impugnabilità davanti al giudice tributario di tutti gli atti adottati dall’ente impositore che portino, comunque, a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, con l’esplicitazione delle concrete ragioni (fattuali e giuridiche) che la sorreggono, senza necessità di attendere che la stessa, ove non sia raggiunto lo scopo dello spontaneo adempimento cui è “naturaliter” preordinato, si vesta della forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dall’articolo 19 citato”.

L’ampliamento della giurisdizione tributaria operato con la novella del 2001 “ha […] necessariamente comportato una modifica dell’art. 19, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546”, in quanto “l’aver consentito l’accesso al contenzioso tributario in ogni controversia avente ad oggetto tributi, comporta […] la possibilità per il contribuente di rivolgersi al giudice tributario ogni qual volta la Amministrazione manifesti (anche attraverso la procedura del silenzio-rigetto) la convinzione che il rapporto tributario (o relativo a sanzioni tributarie) debba essere regolato in termini che il contribuente ritenga di contestare (in assenza di simile manifestazione di volontà espressa o tacita non sussisterebbe l’interesse del ricorrente ad agire in giudizio ex art. 100 c.p.c.)6. “L’attribuzione al giudice tributario […] di tutte le controversie in materia di tributi di qualunque genere e specie comporta che anche quelle […] comunque incidenti sul rapporto obbligatorio tributario […] devono ritenersi devolut[e] al giudice la cui giurisdizione è radicata in base alla materia […], indipendentemente dalla specie di atto impugnato”: infatti, la “mancata inclusione degli atti […] nel catalogo contenuto in detto articolo comporterebbe una lacuna di tutela giurisdizionale, in violazione dei principi contenuti negli artt. 24 e 113 Cost.” perché “il carattere esclusivo della giurisdizione tributaria non consente che atti non impugnabili in tale sede siano devoluti, in via residuale, ad altri giudici, secondo le ordinarie regole di riparto della giurisdizione7.

La tripartizione tra atti tipici autonomamente impugnabili, atti facoltativamente impugnabili e atti non impugnabili.

Nell’ordinanza del 29 ottobre 2021, n. 30736 8, la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione ha precisato che, una volta ammessa l’impugnazione facoltativa degli atti de quibus, “resta pur sempre necessaria l’impugnazione dell’atto tipico che sia poi adottato, per evitare il consolidamento della pretesa tributaria, tant’è che, una volta emesso tale atto […] viene meno l’interesse del contribuente ad una decisione che riguardi l’atto impugnato in via facoltativa”: infatti, “se l’atto tipico viene impugnato, l’unico giudizio che rileva è quello avverso quest’atto, mentre, se non viene impugnato, il ricorso antecedentemente proposto avverso l’atto facoltativamente impugnabile diviene inutile, stante l’avvenuto consolidamento degli effetti proprio dell’atto tipico”.

La qualificazione di un atto tra quelli tipici autonomamente impugnabili, facoltativamente impugnabili, o non impugnabili è fondamentale: “solo i primi devono essere impugnati nel termine di decadenza, pena la loro definitività”, mentre “per i secondi, la mancata impugnazione non produce conseguenze pregiudizievoli definitive e l’avvenuta impugnazione diviene addirittura irrilevante, una volta che sia sopravvenuta la notifica dei primi” e, “per i terzi, poi, l’impugnazione è tout court inammissibile”.

Conclusioni.

La disamina fin qui condotta in merito all’evoluzione della giurisprudenza di legittimità dimostra che le comunicazioni relative all’esito della liquidazione automatica ex artt. 36 bis, d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600 e 54 bis, d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633 e del controllo formale ex art. 36 ter, d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600 non sono soltanto strumenti funzionali al contraddittorio endoprocedimentale 9, ma assurgono anche al ruolo di atti (facoltativamente) impugnabili: infatti nelle comunicazioni de quibus le attività di accertamento e di riscossione si sovrappongono e si confondono, come accade oggi anche nei cosiddetti accertamenti esecutivi ex art. 29, comma 1, d.l. 31 maggio 2010, n. 78.

L’anticipazione della tutela giurisdizionale corrisponde – oltre che ai principi costituzionali anche – alla ragionevole esigenza di evitare le tortuosità del solve et repete esattoriale rispetto a una pretesa già compiutamente determinata dalle comunicazioni che precedono l’iscrizione a ruolo. L’elaborazione giurisprudenziale è altresì coerente con il diritto positivo relativo a questi istituti, nella parte in cui prevede l’estrinsecazione di una attività amministrativa mediante comunicazione 10 di un provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati 11, giacché, in caso di inadempimento del destinatario, sarà seguita dall’iscrizione a ruolo.

Lo stridore da più parti lamentato riguarda una questione di più ampio respiro, vale a dire l’esegesi pretoria dell’art. 19, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, che, pur sotto il vessillo della Costituzione, finisce con il fungere da sprone per l’aggiornamento legislativo del novero degli atti impugnabili 12. La vexata quaestio della impugnabilità dei c.d. “avvisi bonari” si tramuta così nell’ennesimo terreno di scontro tra potere giudiziario e potere legislativo, il primo impegnato a trovare una soluzione sistematica là dove il secondo l’ha sacrificata sull’altare della ragion fiscale e dell’urgenza di comunicazione politica. Vittima civile è la dottrina, chiamata a trovare un senso a questa situazione, anche se questa situazione un senso non ce l’ha.

1 Cass., sez. unite civ., 24 luglio 2007, n. 16293, in CED Cass., Rv. 598266; in senso conforme, cfr. anche Cass., sez. unite civ., 26 luglio 2007, n. 16428.

2 Le Sezioni Unite sottolineano altresì che, nel caso in cui un atto sostanzialmente impositivo difetti degli adeguati elementi formali (ad esempio non contenga la dizione “avviso di liquidazione” o “avviso di pagamento” ovvero “l’indicazione del termine entro il quale il ricorso deve essere proposto e della commissione tributaria competente, nonché delle relative forme da osservare” oppure addirittura vi sia indicato che trattasi di “atto non impugnabile”), “si pone una problematica qui non rilevante”, giacché si potrebbe prospettare “un vizio dell’atto, oppure la possibilità che esso non sia idoneo a determinare la decorrenza del termine di cui all’art. 21 (ad esempio, in quanto non notificato), o la eventualità di una rimessione in termini del contribuente per errore scusabile”.

3 E quindi in un principio di diritto privo di dignità di precedente.

4 Cass., sez. trib., 8 ottobre 2007, n. 21045, in CED Cass., Rv. 600886.

5 Cass., sez. trib., 11 maggio 2012, n. 7344, in CED Cass., Rv. 622891.

A favore della immediata impugnabilità della comunicazione ex art. 36 bis, d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600, cfr. Cass., sez. VI civ. – T, 28 novembre 2014, n. 25397 (ord.), in CED Cass., Rv. 633636; Cass., sez. VI civ. – T, 19 febbraio 2016 (ord.), n. 3315, ibidem, Rv. 638796; Cass., sez. trib., 11 febbraio 2021 (ord.), n. 3466. A favore della immediata impugnabilità della comunicazione ex art. 54 bis, d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633, cfr. Cass., sez. trib., 30 dicembre 2016, n. 27494. A favore della immediata impugnabilità della comunicazione ex art. 36 ter, d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600, cfr. Cass., sez. VI civ. – T, 28 luglio 2015 (ord.), n. 15957, in CED Cass., Rv. 636113; Cass., sez. trib., 20 gennaio 2017, n. 1505.

6 Cfr. anche Cass., sez. unite civ., 10 agosto 2005, n. 16776, in CED Cass., Rv. 585321.

7 Cass., sez. unite civ., 27 marzo 2007, n. 7388, in CED Cass., Rv. 596023.

8 Cass., sez. trib., 29 ottobre 2021 (ord.), n. 30736, in CED Cass., Rv. 662626.

9 Cfr. Cass., sez. trib., 12 luglio 2018, n. 18398, in CED Cass., Rv. 649614; Cass., sez. VI civ. – T, 20 maggio 2014 (ord.), n. 11000, ibidem, Rv. 630986, secondo cui l’art. 1, comma 412, l. 30 dicembre 2004, n. 311, obbliga l’Agenzia delle Entrate, in esecuzione di quanto sancito dall’art. 6, comma 5, l. 27 luglio 2000, n. 212, a comunicare al contribuente l’esito dell’attività di liquidazione, effettuata ai sensi dell’art. 36 bis, d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600, relativamente ai redditi soggetti a tassazione separata, sicché l’omissione di tale comunicazione determina la nullità del provvedimento di iscrizione a ruolo.

10 Come visto amplius supra, le comunicazioni sono inviate via raccomandata a/r oppure via pec oppure attraverso canali telematici.

11 Cfr. art. 21 bis, comma 1, l. 7 agosto 1990, n. 241, ove si prevede, tra l’altro, che “il provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati acquista efficacia nei confronti di ciascun destinatario con la comunicazione allo stesso effettuata anche nelle forme stabilite per la notifica agli irreperibili nei casi previsti dal codice di procedura civile.

La novella operata con la l. 11 febbraio 2005, n. 15 ha ampliato la categoria dei provvedimenti amministrativi ricettizi, in relazione ai quali la locuzione “comunicazione” della legge 7 agosto 1990, n. 241 ha un contenuto semantico che ricomprende la comunicazione individuale o notificazione, la pubblicazione e la piena conoscenza (cfr. anche l’art. 41, comma 2, c.p.a., in forza del quale, “qualora sia proposta azione di annullamento il ricorso deve essere notificato, a pena di decadenza, […] entro il termine previsto dalla legge, decorrente dalla notificazione, comunicazione o piena conoscenza, ovvero, per gli atti di cui non sia richiesta la notificazione individuale, dal giorno in cui sia scaduto il termine della pubblicazione se questa sia prevista dalla legge o in base alla legge”).

12 Cfr. le lettere e bis) ed e ter) dell’art. 19, comma 1, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, introdotte dall’art. 35, comma 26 quinquies, d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla l. 4 agosto 2006, n. 248, relative all’iscrizione di ipoteca sugli immobili di cui all’art. 77, d.p.r. 29 settembre 1973, n. 602 e al fermo di beni mobili registrati di cui all’art. 86, d.p.r. 29 settembre 1973, n. 602, e le sentenze che hanno preceduto l’introduzione di tali atti tra quelli autonomamente impugnabili innanzi il giudice tributario (cfr. Cass., sez. unite civ., 24 marzo 2009 (ord.), n. 7034, in CED Cass., Rv. 607459; Cass., sez. unite civ., 23 giugno 2006 (ord.), n. 14701, ibidem, Rv. 593269).

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