202109.22
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Il mero scostamento dagli studi di settore non costituisce elemento ex se fondativo della prova presuntiva (nota a Cass. 10952/2020)

Il tentativo pretorio di tradurre meccanicamente il presupposto delle c.d. “gravi incongruenze” ex art. 62-sexies, 3° comma, d.l. 30 agosto 1993, n. 331 nel requisito quantitativo del mero superamento di una soglia numerica – sia essa espressa in un valore relativo oppure in un valore assoluto – costituisce in realtà il precipitato motivazionale di un ragionamento logico-giuridico più articolato, che tiene implicitamente conto del concorso di altri elementi di convincimento quali l’inefficacia delle difese del contribuente.

(Cass., sez. trib., 9 giugno 2020, n. 10952)

Sommario: 1. – Per le imprese medio-grandi rileva anche una percentuale modesta – 2. – La rettifica induttiva deve essere adattata alle specificità del singolo contribuente – 3. – L’abnormità e l’irragionevolezza delle percentuali di ricarico – 4. – Il concetto di “gravità” nella dottrina processualcivilistica – 5. – L’inestricabile intreccio tra prova, controprova e condotta procedimentale

1. – Per le imprese medio-grandi rileva anche una percentuale modesta

L’Amministrazione finanziaria emette a carico di una società di capitali un avviso di accertamento fondato esclusivamente sullo scostamento del 4,89% tra i ricavi dichiarati per il periodo di imposta 2004 e i ricavi determinati applicando lo studio di settore SG69U(1), per un importo pari a circa euro 200.000,00.

In sede giurisdizionale, le doglianze della società contribuente – a quanto è dato comprendere, limitate ad una generica e contraddittoria contestazione concernente l’applicabilità dello strumento standardizzato all’attività d’impresa in concreto esercitata(2) – vengono rigettate dai giudici di merito per mancata allegazione di elementi idonei a giustificare detto scostamento.

Nella sentenza n. 10952 del 2020 la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione respinge il ricorso della società contribuente, ritenendo che lo scostamento rilevato nel caso di specie integri le c.d. “gravi incongruenze” ex art. 62-sexies, 3° comma, d.l. 30 agosto 1993, n. 331(3) e, in quanto tale, costituisca fatto sintomatico di evasione fiscale idoneo a fondare la rettifica induttiva de qua(4): richiamata la consolidata giurisprudenza di legittimità in materia di metodi standardizzati di accertamento induttivo(5), il Collegio afferma che “il criterio della c.d. grave incongruenza non va solo ancorato ad un dato numerico riconducibile alla percentuale di scostamento (7, 8, 10%?), ma ad una valutazione più complessa, che non può ignorare […] il risultato in sé dello scostamento, dovendo altrimenti ritenersi che a fronte di imprese molto grandi, la cui singola unità percentuale di scostamento può equivalere a milioni di euro rispetto ai complessivi ricavi sociali, anche differenze di tale portata dovrebbero considerarsi prive del requisito della grave incongruenza”.

La Suprema Corte esclude inoltre che possa assumere rilievo il richiamo, operato nelle difese della società contribuente, alla successiva introduzione del riferimento a uno scostamento del 15% nell’art. 39, 2° comma, lett. d-ter), d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600 (6), perché la novella concerne soltanto la rettifica fondata sulle cosiddette “presunzioni supersemplici”, operante esclusivamente in caso di omissioni o infedeltà nella compilazione dei modelli per la comunicazione dei dati rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore.

2. – La rettifica induttiva deve essere adattata alle specificità del singolo contribuente

In altre pronunce il Giudice di legittimità esclude che uno scostamento analogo a quello rilevato nel caso sub iudice possa integrare una “grave incongruenza”: ad esempio nell’ordinanza n. 8854 del 2019(7) la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione qualifica uno scostamento per un importo pari a circa euro 200.000,00 (corrispondente al 4,74%) come “molto modesto” e quindi inidoneo a sorreggere la rettifica induttiva per il periodo di imposta 2004 nei confronti di una società di capitali esercente attività di vendita di ricambi e accessori per telefonia(8).

In plurime occasioni la Suprema Corte ha ritenuto lievi – e quindi inidonei a sorreggere una rettifica induttiva – scostamenti non soltanto del 4,25%(9), ma anche del 7%(10), dell’8%(11), del 10%(12) o financo del 21%(13): la disamina delle varie fattispecie concrete – anche sotto il profilo della strategia difensiva attuata dal contribuente – conferma che, secondo la univoca giurisprudenza di legittimità, la nozione di “grave incongruenza” “non può essere ricavata avendo riguardo in via assoluta a precise soglie quantitative fisse di scostamento, essendo, invece, la nozione di indici di natura relativa da adattare a plurimi fattori propri della singola situazione economica, del periodo di riferimento ed in generale della stessa storia commerciale del contribuente destinatario dell’accertamento, oltre che del mercato e del settore di operatività”(14).

3. – L’abnormità e l’irragionevolezza delle percentuali di ricarico

Un ulteriore elemento di riflessione può essere tratto dalla disamina della giurisprudenza di legittimità relativa all’utilizzo delle cosiddette “percentuali di ricarico” nell’ambito dell’accertamento induttivo dei redditi determinati in base alle scritture contabili.

Secondo il Giudice di legittimità, “lo scostamento della percentuale di ricarico praticata dalla impresa rispetto alla media statistica dei ricarichi rilevata nel settore merceologico nel medesimo periodo non è ex se fondativo della prova presuntiva di maggiori ricavi, non assurgendo la mera valutazione statistica a ‘fatto storico certo’ dal quale possono trarsi per via induttiva conoscenze in ordine al fatto ignorato”(15). In presenza di una contabilità regolarmente tenuta, “l’accertamento di maggiori ricavi d’impresa può essere affidato alla considerazione della difformità della percentuale di ricarico applicata dal contribuente rispetto a quella mediamente riscontrata nel settore di appartenenza soltanto ove tale difformità raggiunga livelli di abnormità e irragionevolezza tali da privare appunto la documentazione contabile di ogni attendibilità. Diversamente, siffatta difformità rimane sul piano del mero indizio (in quanto gli indici elaborati per un determinato settore merceologico, pur basati su criteri statistici, non integrano un fatto noto e certo) che di per sé stesso non è idoneo ad integrare gli estremi di una prova per presunzioni”(16).

La Suprema Corte ha ripetutamente escluso che un modesto scostamento tra le percentuali di ricarico applicate dal contribuente e quelle di settore possa integrare le c.d. “gravi incongruenze”: ad esempio nella sentenza n. 6389 del 2014(17) il Giudice di legittimità nega che lo scostamento tra la percentuale di ricarico praticata dalla società contribuente (21%) e quella stimata e applicata dall’Ufficio (26%) possa definirsi abnorme, così da giustificare un accertamento di tipo induttivo.

4. – Il concetto di “gravità” nella dottrina processualcivilistica

Le “gravi incongruenze” ex art. 62-sexies, 3° comma, d.l. n. 331 del 1993 s’inquadrano(18) nell’ambito delle metodologie di accertamento induttivo per le quali è ammesso l’utilizzo di presunzioni semplici “purché queste siano gravi precise e concordati”(19).

Come tramandato dalla miglior dottrina processualcivilistica con riferimento all’art. 2729, 1° comma, c.c., le presunzioni sono: a) “gravi” se hanno un grado di attendibilità di rilevanza tale da dare certezza al factum probandum sulla base di un rapporto di ragionevole probabilità(20)b) “precise” se il fatto noto e l’iter logico del ragionamento probabilistico non sono vaghi ma ben determinati nella loro realtà storica(21) e se indicano in modo univoco il fatto da provare e sono prive di contraddizioni logiche(22)c) “concordanti” se – secondo un primo indirizzo – gli elementi indiziari o fatti noti non si smentiscono l’uno con l’altro(23) ovvero – secondo altro orientamento – se tutte le inferenze convergono verso la medesima conclusione(24). Affinché si possa desumere dal fatto noto il fatto ignoto non deve sussistere un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, ma è sufficiente che il fatto da provare sia desumibile come conseguenza ragionevolmente possibile secondo i criteri di probabilità e normalità sintetizzati nella locuzione id quod plerumque accidit(25): occorre quindi che il rapporto di dipendenza logica tra il fatto noto e quello ignoto sia accertato alla stregua di canoni di probabilità, con riferimento ad una connessione possibile e verosimile di accadimenti che, per sequenza e ricorrenza, si verifichino secondo regole di comune esperienza(26). In buona sostanza, il ragionamento inferenziale creato sul fatto noto per ricostruire il fatto ignoto deve dare un risultato plausibile ed essere privo di contraddizioni logiche e ragionevolmente univoco.

Il requisito delle c.d. “gravi incongruenze” ha una connotazione ontologica di natura non soltanto quantitativa(27), ma anche – e soprattutto – qualitativa, in maniera del tutto analoga a quella della gravità richiesto nella prova per presunzioni dall’art. 2729, 1° comma, c.c.: il tentativo pretorio di tradurre meccanicamente le c.d. “gravi incongruenze” nel requisito quantitativo del mero superamento di una soglia numerica – sia essa espressa in un valore relativo oppure in un valore assoluto – sarebbe fallace, se non costituisse in realtà il precipitato motivazionale di un ragionamento logico-giuridico più articolato, che – come dimostra la sentenza in commento – tiene implicitamente conto del concorso di altri elementi di convincimento quali l’inefficacia delle difese del contribuente.

5. – L’inestricabile intreccio tra prova, controprova e condotta procedimentale

Le risultanze dell’accertamento standardizzato costituiscono meri parametri di riferimento partendo dai quali l’Amministrazione finanziaria sviluppa l’iter logico-giuridico necessario, da un lato, a soddisfare l’onere probatorio a suo carico e, dall’altro, a motivare adeguatamente l’avviso di accertamento; non è sufficiente l’applicazione automatica delle risultanze dello strumento standardizzato proprio dell’attività economica esercitata dal contribuente, ma è essenziale che siano valorizzate le caratteristiche peculiari di ciascuna attività oggetto di controllo mediante l’acquisizione di ulteriori elementi in sede di contraddittorio endoprocedimentale(28).

In sede istruttoria, il contribuente ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame(29), mentre “la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello ‘standard‘ prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente”; soltanto nel caso in cui il contribuente sia rimasto inerte l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli “standards“, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito(30).

Come ribadito anche dall’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte di Cassazione(31), le presunzioni gravi precise e concordanti richieste per la legittimità e la fondatezza delle metodologie di accertamento induttivo dei redditi determinati in base alle scritture contabili non sono integrate dal mero scostamento rispetto agli “standards“, in sé considerato, ma devono essere “individuate di volta in volta nel caso concreto, soltanto all’esito del contraddittorio con il contribuente, in relazione alle eventuali giustificazioni addotte ed al comportamento da lui tenuto”: infatti, “il contraddittorio endoprocedimentale, avente la duplice funzione di garanzia, dell’interesse sia del contribuente, il quale ha la possibilità di prospettare all’amministrazione tutti gli elementi che possono condurre ad una quantificazione del reddito più aderente alla propria capacità contributiva, sia dell’ordinamento alla corretta determinazione dei tributi, costituisce un momento con carattere di necessità e con funzione di passaggio dalla fase statica (gli ‘standards‘ previsti in via generale) a quella dinamica dell’accertamento (la loro applicazione al singolo contribuente)”. In conclusione, gli accertamenti standardizzati sono caratterizzati da natura dinamica, perché “il (necessario) passaggio intermedio del contraddittorio interrompe l’automatismo tra i criteri inferenziali probabilistici e l’accertamento, il quale va motivato in relazione ai risultati dell’istruttoria”, da applicabilità modulare, giacché “i predetti criteri, stabiliti con riferimento a situazioni di normalità, vanno adattati alla realtà del contribuente, al punto che possono essere applicati anche parzialmente”, nonché da carattere non necessitato, “costituendo il riferimento a tali standards soltanto un possibile, ma non cogente, parametro di calcolo di tale redditività, fondato sulla estrapolazione statistica di dati, su cui prevale, quale elemento idoneo a fondare la presunzione di reddito, il diverso risultato che può emergere dall’andamento economico della specifica impresa interessata”.


(1) Nel caso di specie, la rettifica induttiva sembra essere stata fondata sulle risultanze previste per le imprese di grandi dimensioni che svolgono l’attività di demolizione di edifici e sistemazione del terreno (codice ATECO 45.11.0) sulla base del cluster 32 dello studio di settore SG69U, evoluzione del precedente SG69A.

(2) Nella sentenza impugnata si legge che “la ricorrente non ha in alcun modo fornito spiegazioni riguardo allo scostamento, limitandosi ad esporre la tipologia dell’attività svolta, con l’allegazione di una pubblicazione esplicativa” e che “lo studio di settore SG69U applicato al caso che ci occupa, in vigore dal periodo d’imposta 2002, costituisce l’evoluzione dello studio SG69A, riuscendo a fornire in maniera adeguata la posizione del ricorrente”.

(3) In base all’art. 62-sexies, 3° comma, d.l. 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla l. 29 ottobre 1993, n. 427, gli accertamenti di cui agli artt. 39, 1° comma, lett. d), d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600 e 54, d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633 “possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili […] dagli studi di settore […]”.

(4) Nella sentenza in commento si menziona soltanto la questione relativa alla applicabilità del presupposto della “grave incongruenza” nel caso di specie, trattandosi di accertamento successivo al 1° gennaio 2007, con un mero richiamo alla giurisprudenza di legittimità secondo cui l’art. 62-sexies, 3° comma, d.l. n. 331 del 1993 non può ritenersi implicitamente abrogato giacché ad esso continua a fare riferimento l’art. 10, 1° comma, l. 8 maggio 1998, n. 146, pur dopo le modifiche apportate dall’art. 1, 23° comma, l. 27 dicembre 2006, n. 296. In Cass., sez. un. civ., 18 dicembre 2009, n. 26635, in CED Cass., Rv. 610692, si afferma che la necessità che lo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli studi di settore testimoni una “grave incongruenza”, espressamente prevista dall’art. 62-sexiesd.l. n. 331 del 1993 ai fini dell’avvio della procedura finalizzata all’accertamento, deve ritenersi implicitamente confermata, nel quadro di una lettura costituzionalmente orientata al rispetto del principio della capacità contributiva, dall’art. 10, 1° comma, l. n. 146 del 1998, il quale, pur non contemplando espressamente il requisito della gravità dello scostamento, compie un rinvio ricettizio alla norma di carattere generale precedente di cui al menzionato art. 62-sexies (in senso conforme, si vedano Cass., sez. trib., 26 settembre 2014, n. 20414, in CED Cass., Rv. 632679, e Cass., sez. trib., ord. 29 marzo 2019, n. 8854, ibidem, Rv. 653533, nella quale si fa riferimento anche alla giurisprudenza europea).

(5) Cass., sez. un. civ., 18 dicembre 2009, n. 26635, cit.; in senso conforme si vedano Cass., sez. trib., 12 aprile 2017, n. 9484, in CED Cass., Rv. 643770; Id., 7 giugno 2017, n. 14091, ibidem, Rv. 644417; Id., 20 settembre 2017, n. 21754, ibidem, Rv. 645461; Id., ord. 31 maggio 2018, n. 13908, ibidem, Rv. 648860; Id., ord. 30 ottobre 2018, n. 27617, ibidem, Rv. 651218; Id., 20 giugno 2019, n. 16545, ibidem, Rv. 654684; Id., 15 luglio 2020, n. 14981, ibidem, Rv. 658205.

(6) L’art. 8, 4° comma, d.l. 2 marzo 2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla l. 26 aprile 2012, n. 44, applicabile ai sensi del successivo 5° comma con riferimento agli accertamenti notificati a partire dalla data di entrata in vigore del decreto medesimo, ha sostituito la lett. dter dell’art. 39, 2° comma, d.p.r. n. 600 del 1973, con il seguente testo: “in caso di omessa presentazione dei modelli per la comunicazione dei dati rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore o di indicazione di cause di esclusione o di inapplicabilità degli studi di settore non sussistenti, nonché di infedele compilazione dei predetti modelli che comporti una differenza superiore al 15 per cento, o comunque ad euro 50.000, tra i ricavi o compensi stimati applicando gli studi di settore sulla base dei dati corretti e quelli stimati sulla base dei dati indicati in dichiarazione”.

(7) Cass., sez. trib., ord. 29 marzo 2019, n. 8854, in Il Quotidiano Giuridico, edizione dell’11 aprile 2019, con nota di L.R. CorradoStudi di settore: uno scostamento modesto non integra le “gravi incongruenze”.

(8) La Suprema Corte ritiene che uno scostamento superiore al 10% costituisca una divergenza significativa tra i ricavi dichiarati e quelli risultanti dagli studi di settore, in analogia al criterio imposto dal d.p.r. 16 settembre 1996, n. 570 per considerare inattendibile la contabilità ordinaria.

(9) Cass., sez. trib., 14 luglio 2017, n. 17486.

(10) Cass., sez. trib., 26 settembre 2014, n. 20414, in CED Cass., Rv. 632679.

(11) Cass., sez. trib., ord. 22 febbraio 2019, n. 5327.

(12) Cass., sez. trib., ord. 30 gennaio 2019, n. 2637.

(13) Cass., sez. VI civ. – T, ord. 10 novembre 2015, n. 22946.

(14) Excerpta da Cass., sez. trib., ord. 29 marzo 2019, n. 8854, cit.

(15) Excerpta da Cass., sez. trib., 2 luglio 2014, n. 15038, in CED Cass., Rv. 631536.

(16) Così testualmente Cass., sez. trib., 14 aprile 2003, n. 5870, in CED Cass., Rv. 562127; in senso conforme ex pluribus Cass., sez. trib., 30 settembre 2005, n. 19260, in CED Cass., Rv. 584599; Id., 5 dicembre 2005, n. 26338, ibidem, Rv. 587338; Id., 11 gennaio 2008, n. 417, ibidem, Rv. 601628; Id., 24 settembre 2010, n. 20201, ibidem, Rv. 614464; Cass., sez. VI civ. – T, ord. 9 dicembre 2013, n. 27488, ibidem, Rv. 629459.

(17) Cass., sez. trib., 19 marzo 2014, n. 6389.

(18) Cfr. Cass., sez. trib., 24 settembre 2014, n. 20060, in CED Cass., Rv. 632351, secondo cui gli studi di settore costituiscono, come si evince dall’art. 62-sexiesd.l. n. 331 del 1993, solo uno degli strumenti utilizzabili dall’Amministrazione finanziaria per accertare in via induttiva, pur in presenza di una contabilità formalmente regolare, ma intrinsecamente inattendibile, il reddito reale del contribuente: tale accertamento, infatti, può essere presuntivamente condotto anche sulla base del riscontro di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, a prescindere, quindi, dalle risultanze degli specifici studi di settore e dalla conformità alle stesse dei ricavi aziendali dichiarati; in senso conforme, Cass., sez. VI civ. – T, ord. 30 dicembre 2015, n. 26036, ibidem, Rv. 638203.

(19) Così testualmente gli artt. 39, 1° comma, lett. d), d.p.r. n. 600 del 1973 e 54, 2° comma, d.p.r. n. 633 del 1972.

(20) Cfr. M. Taruffo, Certezza e probabilità nelle presunzioni, in Foro it., 1971, 177; Id., La prova dei fatti giuridici, in AA.VV., Trattato Cicu-Messineo, Milano, 1992, 447; Id., Considerazioni sulle prove per induzione, in Riv. trim dir. proc. civ., 2010, 1165 ss.; L.P. Comoglio – C. Ferri – M. Taruffo, Lezioni sul processo civile, I, Bologna, 2011, 508.

(21) Cfr. per tutte Cass., sez. II civ., 24 febbraio 2004, n. 3546, in CED Cass., Rv. 570455.

(22) Cfr. V. Andrioli, voce Presunzioni (dir. civ. e dir. proc. civ.), in Noviss. Dig., XII, Torino, 1966, 767; G. Fabbrini, voce Presunzioni, in Digesto IVDisc. Prov.Sez. Civ., Torino, 1998, 292; L.P. Comoglio – C. Ferri – M. Taruffo, ult. op. cit., 508.

(23) Cfr. L. Montesano – G. Arieta, Diritto processuale civile, II, Torino, 1997, 106.

(24) Cfr. V. Andrioli, ult. op. cit., 771; M. Taruffo, ult. op. cit., 450. Secondo la Corte di Cassazione, in tema di presunzioni semplici ex art. 2729 c.c. gli elementi assunti a fonte di prova non debbono essere necessariamente più d’uno, potendo il convincimento del giudice fondarsi anche su di un solo elemento purché grave e preciso, dovendosi il requisito della “concordanza” ritenersi menzionato dalla legge solo in previsione di un eventuale ma non necessario concorso di più elementi presuntivi (Cass., sez. I civ., 11 settembre 2007, n. 19088, in CED Cass., Rv. 599272; Id., ord. 26 settembre 2018, n. 23153, ibidem, Rv. 650931). Analogamente in ambito tributario, gli elementi assunti a fonte di presunzione non debbono essere necessariamente plurimi – benché l’art. 2729, 1° comma, c.c., l’art. 39d.p.r. n. 600 del 1973 e l’art. 54d.p.r. n. 633 del 1972 si esprimano al plurale – potendosi il convincimento del giudice fondare anche su un elemento unico, preciso e grave (Cass., sez. trib., 29 luglio 2009, n. 17574, in CED Cass., Rv. 609153; Id., 15 gennaio 2014, n. 656, ibidem, Rv. 629325; Id., ord. 27 luglio 2018, n. 19987, ibidem, Rv. 650149).

(25) Cfr. C. Mandrioli, Diritto processuale civile. Il processo ordinario di cognizione, Torino, 2009, 187, nota (31).

(26) Cass., sez. I civ., 1° agosto 2007, n. 16993, in CED Cass., Rv. 600283; Cass., sez. II civ., 31 ottobre 2011, n. 22656, ibidem, Rv. 619955; Id., 8 ottobre 2013, n. 22898, ibidem, Rv. 627886.

(27) Secondo Corte di Giustizia UE, IV sez., 21 novembre 2018, causa C-648/16, Fortunata Silvia Fontana contro Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di Reggio Calabria, § 42, il principio di proporzionalità “non osta a che una normativa nazionale preveda che solamente a fronte di rilevanti divergenze tra l’importo del volume d’affari dichiarato dal contribuente e quello determinato in base al metodo induttivo, sulla scorta del volume d’affari realizzato da soggetti esercenti la stessa attività del contribuente, possa avviarsi il procedimento di rettifica fiscale”, ma è necessario che “gli studi di settore utilizzati ai fini della determinazione induttiva del volume d’affari [siano] esatti, affidabili ed aggiornati”, restando salva per il contribuente la possibilità di confutarne le risultanze mediante prova contraria già in sede istruttoria. In Cass., sez. trib., ord. 29 marzo 2019, n. 8854, cit., si afferma che tale principio di diritto è applicabile non soltanto in materia di iva, ma anche con riferimento alle imposte dirette in considerazione della “prioritaria tutela” del principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost.; la sentenza della Corte del Lussemburgo è richiamata in motivazione anche in Cass., sez. trib., ord. 22 febbraio 2019, n. 5327; Id. 22 maggio 2019, n. 13769; Id., 18 giugno 2019, n. 16266; Id., 15 gennaio 2020, n. 550.

(28) Come già sostenuto in L.R. CorradoAccertamenti standardizzati e rilevanza processuale del comportamento delle parti in sede amministrativa, nota a Cass., 7 febbraio 2008 n. 2816, in Riv. dir. trib., 2009, 398.
La necessità di adattare sartorialmente le risultanze delle metodologie standardizzate alle specificità del contribuente trova conferma nella consolidata giurisprudenza di legittimità: cfr. Cass., sez. un. civ., 18 dicembre 2009, n. 26635, cit., secondo cui lo scostamento “legittima l’avvio di una procedura finalizzata all’accertamento nel cui quadro i segnali emergenti dallo studio di settore […] devono essere ‘corretti’, in contraddittorio con il contribuente, in modo da ‘fotografare’ la specifica realtà economica della singola impresa”; in termini ex multis Cass., sez. trib., 15 maggio 2013, n. 11633, in CED Cass., Rv. 626925; Id., ord. 7 settembre 2018, n. 21786.
Di particolare interesse è l’indirizzo della giurisprudenza europea secondo cui, poiché il diritto di difesa del contribuente dev’essere garantito durante tutto il corso del procedimento di rettifica fiscale, “ogniqualvolta l’Amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto lesivo per il medesimo, questi dev’essere posto in condizione di manifestare utilmente il proprio punto di vista in merito agli elementi sui quali l’Amministrazione intenda fondare la propria decisione (sentenza del 3 luglio 2014, Kamino International Logistics e Datema Hellmann Worldwide Logistics, C-129/13 e C-130/13, EU:C:2014:2041, punto 30)” (Corte di Giustizia UE, IV sez., 21 novembre 2018, causa C-648/16, Fortunata Silvia Fontana contro Agenzia delle entrate – Direzione Provinciale di Reggio Calabriacit., § 43).

(29) Il contribuente “deve quindi disporre, da un lato, della possibilità di contestare, ai fini della valutazione della propria specifica situazione, tanto l’esattezza quanto la pertinenza dello studio di settore in questione”, dall’altro “dev’essere in grado di far valere le circostanze per le quali il volume d’affari dichiarato, benché inferiore a quello determinato in base al metodo induttivo, corrisponda alla realtà della propria attività nel periodo interessato”, mentre, “laddove l’applicazione di uno studio di settore implichi per il soggetto passivo medesimo di dover eventualmente provare fatti negativi, il principio di proporzionalità esige che il livello di prova richiesto non sia eccessivamente elevato” (Corte di Giustizia UE, IV sez., 21 novembre 2018, causa C-648/16, Fortunata Silvia Fontana contro Agenzia delle entrate – Direzione Provinciale di Reggio Calabria, cit., § 44).

(30) Cass., sez. un. civ., 18 dicembre 2009, n. 26635, cit.

(31) Corte Suprema di Cassazione – Ufficio del Massimario e del Ruolo, Gli strumenti presuntivi di accertamento del reddito introdotti dal 1989: natura e conseguenze sul piano probatorio, relazione del 9 luglio 2009, 128 ss.

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