Giustizia tributaria, 41 miliardi di contenzioso e troppi conflitti di interesse: perché la riforma prevista dal Recovery plan non può aspettare
Si tratta di una delle misure inserite nel Piano Nazionale di Ripresa e di Resilienza: il governo dovrebbe vararla entro fine mese. Ma la Commissione interministeriale incaricata di proporre interventi si è spaccata: i tecnici a favore di un deciso rafforzamento della giurisdizione speciale tributaria, i giudici per lo status quo. Su Change.org una petizione per sensibilizzare l’opinione pubblica
Il contenzioso fiscale ha raggiunto nel 2019 un valore complessivo pari a quasi 41 miliardi di euro. Basta questo dato per capire le implicazioni economiche per l’intero sistema-paese, della riforma della giustizia tributaria che il governo Draghi deve presentare al Parlamento entro il mese di settembre. Si tratta di una delle misure inserite nel Piano Nazionale di Ripresa e di Resilienza. L’obiettivo è migliorare la qualità della tutela giurisdizionale dei contribuenti – imprese e privati – coinvolti nell’azione amministrativa di accertamento e riscossione. Il buon funzionamento della giustizia tributaria ha anche rilevanti implicazioni sociali: un controllo giudiziario del prelievo fiscale realizzato secondo canoni di efficienza ed efficacia garantisce non soltanto gli interessi dei singoli contribuenti che richiedono tutela per se stessi, ma anche quelli dell’Erario e della collettività tutta.
Arretrato monstre e conflitti di interessi
Arretrato ed eccessiva durata del processo tributario si manifestano dinanzi alla Corte di Cassazione: lo scorso marzo, dettando le linee programmatiche sulla giustizia, il ministro Marta Cartabia ha rilevato che sotto il profilo quantitativo quasi la metà delle pendenze in Cassazione è costituita da ricorsi in materia tributaria, sotto il profilo temporale i tempi di giacenza dei ricorsi in sede di legittimità sono superiori a 3 anni e sotto il profilo qualitativo la metà circa dei ricorsi in materia tributaria viene accolta. Tale ultimo dato è considerato come la manifestazione della qualità complessivamente inadeguata delle sentenze pronunciate nei gradi di merito dalle Commissioni Tributarie.
Le numerose patologie che affliggono la giustizia tributaria si concentrano nel suo ordinamento giudiziario. La più macroscopica è il ruolo del ministero dell’Economia e delle Finanze, dal quale dipendono sia l’organizzazione di giudici e di personale di segreteria, sia la gestione di sedi e risorse tecniche ed economiche: è evidente la compromissione dei principi costituzionali di imparzialità e terzietà del giudice (art. 111 Cost.) quando un sistema-giustizia viene amministrato da una delle parti che si contrappongono in giudizio.
Un’altra criticità è la scelta di affidare le Commissioni Tributarie a giudici onorari “part-time”, selezionati mediante concorso per soli titoli e pagati a cottimo in misura quasi irrisoria. Sussiste inoltre un evidente conflitto di interessi quando i giudici tributari di merito assumono anche la funzione di giudici presso la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione.
Una Commissione interministeriale, due proposte di riforma
Il 30 giugno 2021 è stata pubblicata la relazione contenente le proposte di riforma della giustizia tributaria elaborate dalla Commissione interministeriale presieduta dal professor Giacinto Della Cananea. Tra i componenti si è realizzata una frattura di posizioni. I tecnici – studiosi e professionisti – si sono espressi pressoché all’unanimità a favore di un deciso rafforzamento della giurisdizione speciale tributaria attraverso modifiche strutturali al suo ordinamento giudiziario mediante una radicale riorganizzazione della magistratura tributaria, della struttura amministrativa a suo supporto e del suo organo di autogoverno. I giudici hanno invece apertamente osteggiato le proposte riformiste, non soltanto manifestando un orientamento conservatore dello status quo, ma anche enfatizzando l’attrazione verticistica del giudizio tributario verso il grado di legittimità.
Perché c’è una fazione contraria alla riforma?
Durante i mesi estivi si è acceso il dibattito tra gli operatori della giustizia tributaria e numerose critiche sono state espresse rispetto alla proposta formulata dalla componente di matrice pretoria, ritenuta dai più espressione di un attaccamento ad anacronistici vantaggi corporativistici. In punta di diritto il fronte conservatore si giustifica invocando il divieto costituzionale di istituire nuovi giudici speciali (art. 102 Cost.), ma dimentica che, secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale, “il Legislatore ordinario conserva il normale potere di sopprimere ovvero di trasformare, di riordinare i giudici speciali […] o di ristrutturarli nuovamente anche nel funzionamento e nella procedura, con il duplice limite di non snaturare […] le materie attribuite alla loro rispettiva competenza e di assicurare la conformità a Costituzione” (così testualmente nell’ordinanza n. 144 del 1998).
La petizione su Change.org
Ai numerosi convegni e alle audizioni presso le Commissioni parlamentari cui hanno contribuito le associazioni professionali specializzate in ambito tributario, nelle scorse settimane si è affiancata una petizione su Change.org per sensibilizzare l’opinione pubblica e il decisore politico rispetto alla necessità di una strutturale riforma della giustizia tributaria, ritenuta non ulteriormente procrastinabile dalla maggioranza degli operatori del settore fiscale. La riforma peraltro è tra quelle in cima alla lista delle richieste fatte da Carlo Bonomi durante l’assemblea annuale di Confindustria: “Dateci una giustizia tributaria affidata a giudici specializzati in materia, fin dai bandi di concorso, basta con il sistema dei giudici amatoriali che rendono difformi le pronunzie a livello territoriale su uguali fattispecie”.
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