Corte di Giustizia Tributaria di II grado della Lombardia, sez. XVII, 1° giugno 2023, n. 1858 (testo)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA DI SECONDO GRADO DELLA LOMBARDIA
DICIASSETTESIMA SEZIONE
riunita in udienza il 12/05/2023 alle ore 15:00 con la seguente composizione collegiale:
LAMANNA FILIPPO, – Presidente
FRANCONIERO FABIO, – Relatore
BLANDINI JACOPO, – Giudice
in data 12/05/2023 ha pronunciato la seguente
SENTENZA
- sull’appello n. 4096/2022 depositato il 23/12/2022
proposto da
E.S. – (…)
Difeso da
M.O.N. – (…)
Pietro Proverbio – (…)
ed elettivamente domiciliato presso pietro.proverbio@busto.pecavvocati.it
contro
Ag. Entrate Direzione Provinciale Varese – Via Frattini 1 21100 Varese VA
elettivamente domiciliato presso dp.varese@pce.agenziaentrate.it
Avente ad oggetto l’impugnazione di:
- pronuncia sentenza n. 173/2022 emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale VARESE sez. 2 e pubblicata il 08/06/2022
Atti impositivi:
- AVVISO DI ACCERTAMENTO n. (…) IRPEF-REDDITI LAVORO DIPENDENTE E ASSIMILATI 2015
a seguito di discussione in pubblica udienza
Richieste delle parti:
Ricorrente/Appellante: riformare la sentenza impugnata in quanto illegittimo l’avviso di accertamento opposto, per le motivazioni esposte in atto;
Resistente/Appellato: dichiarare il rigetto dell’appello, con conferma della decisione di primo grado e condanna della parte alle spese del giudizio.
Svolgimento del processo
Il signor E.S. propone appello contro la sentenza della (allora denominata) Commissione tributaria provinciale di Varese in data 8 giugno 2022, n. 173, di rigetto del suo ricorso per l’annullamento dell’avviso di accertamento n. (…), emesso nei suoi confronti dall’Agenzia delle Entrate – Direzione provinciale di Varese per l’anno di imposta 2015.
Con l’atto impugnato era rettificato il reddito di lavoro dipendente ai fini IRPEF: in luogo di quello convenzionale dichiarato dal contribuente, ai sensi dell’art. 51, comma 8-bis, del testo unico delle imposte sui redditi (D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917), nella sua qualità di lavoratore dipendente in Svizzera, era recuperato a tassazione il reddito effettivamente percepito dallo stesso, pari ad Euro 78.410,00, secondo le regole generali. Nondimeno erano riconosciuti l’esenzione dal reddito per i lavoratori frontalieri, pari ad Euro 7.500,00, ai sensi dell’art. 1, comma 175, della L. 23 dicembre 2013, n. 147; e il credito di imposta per le imposte versate in Svizzera dal contribuente, nella misura di Euro 8.203,71.
La sentenza ha giudicato il recupero a tassazione conforme alle norme contenute nella Convenzione stipulata fra Svizzera ed Italia contro le doppie imposizioni, che per i lavoratori frontalieri residenti ad una distanza superiore a 20 km dal confine – nel caso di specie Saronno – prevede appunto (all’art. 15) l’assoggettamento del reddito alla legislazione tributaria italiana, fatto salvo il beneficio per “quei soggetti residenti in Italia che prestano un’attività di lavoro dipendente, in via esclusiva e continuativa, a favore di un datore di lavoro estero e che quotidianamente si recano, all’estero in Paesi confinanti”.
Nel proprio appello, in resistenza del quale si è costituito l’Ufficio impositore, il contribuente, oltre a dedurre la nullità della sentenza di primo grado per violazione del diritto di difesa e per carente motivazione, ripropone invece la tesi della cumulabilità della franchigia di esenzione dal reddito prevista a favore dei lavoratori frontalieri con la determinazione convenzionale del reddito, ai sensi del sopra citato art. 51, comma 8-bis, del testo unico delle imposte sui redditi.
In data odierna la causa è stata trattenuta in decisione in camera di consiglio svoltasi telematicamente.
Motivi della decisione
Con il primo motivo d’appello viene dedotta la nullità della sentenza per violazione del diritto di difesa, determinatasi a causa del fatto che all’udienza in collegamento da remoto in data 17 maggio 2022, all’esito della quale il ricorso di primo grado è passato in decisione, uno dei difensori del contribuente (ragionier M.O.N.) non ha potuto partecipare alla discussione per un malfunzionamento dell’audio, ed è stato autorizzato dalla segreteria della Commissione tributaria ad accedere alla stanza virtuale solo “a procedimento ormai concluso”.
Sotto un distinto e più generale profilo nel motivo si prospetta “la difficoltà in cui si sono trovati i difensori dell’appellante, che non hanno potuto esporre le proprie deduzioni”.
Con il secondo motivo d’appello la sentenza viene censurata per carenza di motivazione, perché limitatasi ad un acritico recepimento delle tesi difensive dell’Amministrazione finanziaria, oltre che inficiata dall’omessa valutazione dei presupposti di applicabilità a favore del contribuente del più volte richiamato art. 51, comma 8-bis, del testo unico delle imposte sui redditi.
Nel merito, si ribadisce che nel caso di specie ricorrerebbero i presupposti previsti da quest’ultima disposizione, nella misura in cui, innanzitutto, essa consente di includere nel computo dei 183 giorni di soggiorno previsti “tutti i giorni trascorsi all’estero anche se non lavorativi (es. sabati, domeniche, festivi, ferie, interruzioni, malattie, ecc.)” (come riconosciuto dalla stessa Agenzia delle Entrate, nella propria circolare n. 207/E del 16 novembre 2000); inoltre, contrariamente a quanto supposto dall’Ufficio impositore, la medesima disposizione non richiederebbe che all’estero sia stabilita la dimora, ma solo che il lavoratore vi soggiorni; sul punto si sottolinea che, secondo la comune accezione, il soggiorno consiste nel “trattenersi per un tempo più o meno lungo in uno stesso luogo, trascorrere anche breve tempo (cioè qualche ora) in un luogo, soprattutto per riposo”, e dunque non postula il rientro quotidiano del lavoratore nella propria residenza in Italia; infine, la determinazione convenzionale non si porrebbe in rapporto di alternatività e dunque di incompatibilità con la franchigia di esenzione per i lavoratori frontalieri, per cui sarebbe illegittima l’opposta posizione assunta dall’Agenzia delle Entrate (con circolare 2/E del 16 gennaio 2003, di cui si chiede la disapplicazione). Sulla base delle considerazioni ora esposte si sostiene che con l’avviso di accertamento impugnato l’Ufficio impositore avrebbe erroneamente assoggettato a tassazione ordinaria il reddito di lavoro dipendente del contribuente, senza dare la dimostrazione dei relativi presupposti. L’Amministrazione finanziaria non avrebbe quindi assolto all’onere, su di essa gravante in seguito alla riforma di cui alla L. 31 agosto 2022, n. 130, di fornire la “prova in giudizio (del)le violazioni contestate con l’atto impugnato” (art. 7, comma 5-bis, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, come modificato dalla legge di riforma della giustizia tributaria).
Le censure così sintetizzate sono infondate.
Non è innanzitutto dimostrata l’ipotesi della nullità della sentenza per violazione al diritto di difesa dedotta con il primo motivo d’appello. Dal verbale di udienza prodotto in giudizio dall’Ufficio resistente non risulta nulla di quanto dedotto a fondamento della censura, ed in particolare le asserite difficoltà di collegamento del codifensore del contribuente, sopra menzionato, e la sua ritardata ammissione all’udienza da remoto. A fronte della produzione documentale in questione, in cui viene per contro dato atto della regolare partecipazione del medesimo codifensore, la parte appellante non ha nemmeno prospettato la non corrispondenza al vero di quanto ivi attestato. In assenza di puntuali contestazioni al riguardo deve quindi escludersi che la difesa del contribuente sia stata impedita.
Non è inoltre ravvisabile una carente motivazione della sentenza di primo grado. Questa ha infatti enunciato le ragioni sulla cui base il recupero fiscale portato dall’atto impositivo impugnato è stato considerato legittimo, avuto riguardo alla situazione del contribuente, di lavoratore frontaliero residente ad oltre 20 km dal confine con la Svizzera, soggetto secondo le norme della Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata dall’Italia con il medesimo Paese estero all’imposizione tributaria italiana, salvo il doppio beneficio consistente nella franchigia di esenzione ex art. 1, comma 175, della legge di stabilità per il 2014 (L. 23 dicembre 2013, n. 147, sopra richiamata) e del credito di imposta per le imposte assolte in Svizzera. Il fatto che la medesima pronuncia non abbia invece preso posizione sull’applicabilità del reddito convenzionale ai sensi del più volte richiamato art. 51, comma 8-bis, del testo unico delle imposte sui redditi, dà luogo ad una omessa pronuncia ex art. 112 cod. proc. civ., deducibile in appello come errore di giudizio della sentenza di primo grado, e che comporta la devoluzione nel giudizio di secondo grado della medesima questione di merito.
Ciò precisato, le censure formulate nell’appello a quest’ultimo riguardo sono tuttavia infondate. Decisivo è il fatto che il contribuente non ha dato prova dei presupposti di legge per beneficiare della determinazione convenzionale del reddito di lavoro dipendente imponibile.
Deve premettersi che la disposizione del testo unico delle imposte sui redditi di cui egli intende beneficiare è infatti rivolta ai “dipendenti che nell’arco di dodici mesi soggiornano nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni”, e prevede che il reddito imponibile sia convenzionalmente determinato con “il decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale di cui all’art. 4, comma 1, del D.L. 31 luglio 1987, n. 317, convertito, con modificazioni, dalla L. 3 ottobre 1987, n. 398”, in dichiarata “deroga alle disposizioni dei commi da 1 a 8” del medesimo art. 51.
In base all’inciso da ultimo richiamato risulta in primo luogo inapplicabile la regola probatoria enunciata dal sopra citato art. 7, comma 5-bis, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546. Spetta infatti al contribuente che invoca la deroga dare la prova dei relativi presupposti. Questa prova è tuttavia mancata. L’interessato non ha infatti dimostrato di essersi trattenuto in Svizzera per ragioni inerenti al suo rapporto di lavoro per un periodo superiore a 183 giorni nell’arco di dodici mesi, come invece previsto dalla norma tributaria di deroga. Sul punto quest’ultimo si è invece limitato ad asserire, sull’erroneo assunto della cumulabilità della medesima fattispecie derogatoria con l’esenzione ex art. 1, comma 175, della L. 23 dicembre 2013, n. 147, la sua qualità di lavoratore frontaliero, beneficiario per un verso di quest’ultima, e per altro verso non richiesto ai sensi dell’art. 51, comma 8-bis, del testo unico delle imposte sui redditi di disporre di una dimora presso lo Stato estero presso il quale presta lavoro, nè di fare quotidianamente rientro presso la propria residenza in Italia. Sennonché, in contrario a quanto prospettato dal contribuente, va innanzitutto chiarito che la disposizione derogatoria da ultimo menzionata ha l’evidente fine di alleggerire il carico tributario in relazione ai disagi derivanti dal soggiorno all’estero per motivi di lavoro, rispetto a colui che per la vicinanza territoriale o la struttura dell’orario di lavoro giornaliero è nelle condizioni di rientrarvi quotidianamente, e che dunque va incontro al minore disagio connesso al solo spostamento in uscita e in entrata dal territorio dello Stato italiano (poi variamente modulato in base alla sopra menzionata Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata con la Svizzera in base alla distanza chilometrica della residenza dal confine). Sulla descritta antitesi sul piano logico si fonda quindi l’incompatibilità tra il reddito convenzionale previsto dall’art. 51, comma 8-bis, del testo unico delle imposte sui redditi e la franchigia di esenzione a favore dei lavoratori frontalieri, da cui legittimamente trae pertanto origine l’atto impositivo oggetto del presente giudizio.
All’opposto, contrariamente agli assunti svolti nell’appello, non è possibile beneficiare della determinazione convenzionale del reddito per il solo fatto di recarsi all’estero per svolgere ivi attività di lavoro dipendente, ma è necessario soggiornarvi per più della metà dell’anno. Infatti, come si desume dalla stessa definizione contenuta nell’appello, tratta dal vocabolario della lingua italiana T., il concetto di “soggiorno” implica il “trattenersi per un tempo più o meno lungo in uno stesso luogo, trascorrere anche breve tempo (cioè qualche ora) in un luogo, soprattutto per riposo”. Dal prolungato soggiorno richiesto dalla norma e dagli oneri economici da esso derivanti trae dunque fondamento il regime tributario, in mancanza del quale si riespandono le regole generali di imposizione tributaria del reddito di lavoro dipendente.
Tuttavia, come finora esposto, il contribuente non ha nemmeno allegato di essersi trattenuto in Svizzera per oltre 183 giorni in un arco temporale pari a dodici mesi, e nel caso di specie nell’anno di imposta 2015, in relazione al quale è intervenuta la rettifica reddituale di cui all’avviso di accertamento impugnato.
Ne deriva che, come statuito dalla sentenza di primo grado, l’Ufficio ha correttamente escluso il regime convenzionale di determinazione del reddito ed applicato quello ordinario, fatti salvi la franchigia di esenzione per i lavoratori frontalieri – residenti ad oltre 20 km di distanza dal confine con la Svizzera – e il credito di imposta ex art. 165 del testo unico delle imposte sui redditi per le imposte ivi assolte dal contribuente. L’appello deve quindi essere respinto, per cui va confermata la sentenza di primo grado.
Le spese di causa sono regolate secondo soccombenza e liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La CORTE TRIBUTARIA DI SECONDO GRADO DELLA LOMBARDIA, Sezione 17, definitivamente pronunciando; disattesa e respinta ogni contraria e diversa istanza, domanda, eccezione e deduzione, così provvede:
- respinge l’appello;
- condanna l’appellante a rifondere all’Agenzia appellata le spese de giudizio d’appello, liquidate in Euro 1.500,00, importo così già ridotto del 20% ai sensi dell’art. 15, comma 2-sexies, D.Lgs. n. 546 del 1992, oltre accessori di legge (rimborso forfettario delle spese in ragione del 15%).
Così deciso in Milano, il 12 maggio 2023.