201406.17
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Corte Cost., 13 giugno 2014 (ord.), n. 176 (testo)

ORDINANZA N. 176

ANNO 2014

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Gaetano SILVESTRI; Giudici : Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO,


ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 17-bis del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), nel testo anteriore alla sostituzione dello stesso ad opera dell’art. 1, comma 611, lettera a), numero 1), della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato − legge di stabilità 2014), «in relazione all’art. 14» dello stesso decreto legislativo, promosso dalla Commissione tributaria provinciale di Ascoli Piceno nel giudizio vertente tra la G.B. s.r.l. ed altri e l’Agenzia delle entrate, Direzione provinciale di Fermo, Ufficio controlli, con ordinanza del 1° luglio 2013, iscritta al n. 287 del registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, prima serie speciale, dell’anno 2014.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 7 maggio 2014 il Giudice relatore Sergio Mattarella.


Ritenuto che, con ordinanza pronunciata il 1° luglio 2013 e depositata lo stesso giorno (reg. ord. n. 287 del 2013), la Commissione tributaria provinciale di Ascoli Piceno ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 17-bis del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), inserito dall’art. 39, comma 9, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, che disciplina il reclamo e la mediazione nel processo tributario, «in relazione all’art. 14» dello stesso decreto legislativo, il quale detta la disciplina del litisconsorzio e dell’intervento nello stesso processo, «nella parte in cui non consente a soci di una società di avere il proprio ricorso discusso congiuntamente con la società stessa, solo per il dato della quantificazione della pretesa»;

che il giudice rimettente riferisce, in punto di fatto, che «vi sono alcuni soci che sono costretti, per la annualità 2008, oggi in discussione, ad effettuare obbligatoriamente il reclamo/mediazione, non potendo avere la propria posizione discussa nell’identico contenitore processuale della società»;

che, in punto di non manifesta infondatezza, la Commissione tributaria rimettente deduce che «per una irrazionale scelta effettuata dal legislatore con l’art. 17 bis D.Lgs. 546/12 [recte: 546/92], i soci vedranno o allungarsi i tempi del processo, senza possibilità di chiedere alcuna sospensiva, o non potranno discutere la loro posizione nel medesimo contenitore processuale della società (art. 14 D.Lgs. 546/12) [recte: 546/92] come da diritto vivente a detrimento del loro diritto di difesa»;

che, in punto di rilevanza, il giudice a quo afferma di ritenere «la norma insuscettibile di interpretazione adeguatrice»;

che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o manifestamente infondata;

che la difesa dello Stato eccepisce anzitutto l’inammissibilità della questione sollevata «per totale assenza di autosufficienza e per omessa motivazione in ordine alla rilevanza», atteso che dall’ordinanza di rimessione non si comprenderebbe: a) l’oggetto della causa e il motivo per il quale siano in giudizio sia la società che i soci; b) da dove emerga la necessità per «alcuni soci» di «effettuare il reclamo/mediazione»; c) la ragione per la quale si configurerebbe, «come da diritto vivente», un litisconsorzio necessario ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. n. 546 del 1992, atteso che la giurisprudenza della Corte suprema di cassazione ravvisa tale litisconsorzio solo nel caso dell’accertamento dei redditi delle società di persone di cui all’art. 5 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi) e dei soci delle stesse, ai quali tali redditi sono automaticamente imputati (è citata la sentenza 4 dicembre 2013, n. 27193), e non nel caso dell’accertamento dei redditi delle società di capitali (a ristretta base sociale) che pure costituisca l’antecedente logico-giuridico dell’accertamento nei confronti dei soci (è citata la sentenza 31 gennaio 2011, n. 2214); d) in quale stato si trovino i giudizi iniziati dai soci che sarebbero stati soggetti all’obbligo del previo reclamo e per quale ragione il differimento della proponibilità dell’azione in giudizio per un periodo massimo di novanta giorni determinato dall’osservanza di tale obbligo (comma 9 dell’impugnato art. 17-bis) comporti, per detti soci, l’impossibilità di «avere la propria posizione discussa nell’identico contenitore processuale della società»;

che, secondo l’Avvocatura generale dello Stato, la questione sollevata sarebbe, comunque, infondata;

che la difesa statale osserva al riguardo che l’evidenziata circostanza che l’assolvimento dell’obbligo di presentare il reclamo comporta un rinvio dell’instaurazione del giudizio al massimo di novanta giorni, unita al fatto che la trattazione della controversia non potrebbe essere fissata prima della scadenza di tale termine – in quanto, ai fini di detta fissazione, occorre attendere il decorso del termine di sessanta giorni per la costituzione in giudizio della parte resistente stabilito dall’art. 23, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992 e rispettare il termine dilatorio di trenta giorni liberi previsto dall’art. 31, comma 1, dello stesso decreto legislativo per l’avviso alle parti della data di trattazione – escludono che il reclamo possa costituire un ostacolo alla trattazione congiunta delle controversie legate dal vincolo del litisconsorzio necessario.

Considerato che la Commissione tributaria provinciale di Ascoli Piceno dubita, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, della legittimità dell’art. 17-bis del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), che disciplina il reclamo e la mediazione tributari, «in relazione all’art. 14» dello stesso decreto legislativo, il quale detta la disciplina del litisconsorzio e dell’intervento nel processo tributario, «nella parte in cui non consente a soci di una società di avere il proprio ricorso discusso congiuntamente con la società stessa, solo per il dato della quantificazione della pretesa»;

che, secondo il rimettente, la normativa censurata si pone in contrasto con gli invocati parametri perché, «per una irrazionale scelta effettuata dal legislatore con l’art. 17 bis D.Lgs. 546/12 [recte: 546/92], i soci vedranno o allungarsi i tempi del processo, senza possibilità di chiedere alcuna sospensiva, o non potranno discutere la loro posizione nel medesimo contenitore processuale della società (art. 14 D.Lgs. 546/12) [recte: 546/92] come da diritto vivente a detrimento del loro diritto di difesa»;

che, successivamente all’ordinanza di rimessione, l’impugnato art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992 è stato modificato dall’art. 1, comma 611, lettera a), della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato − legge di stabilità 2014);

che, peraltro, poiché la lettera b) del comma 611 dell’art. 1 della legge n. 147 del 2013 ha previsto che «le modifiche di cui alla lettera a) si applicano agli atti notificati a decorrere dal sessantesimo giorno successivo all’entrata in vigore della presente legge», l’indicato ius novum certamente non si applica alla fattispecie oggetto del giudizio principale, la quale continua ad essere regolata dal testo originario dell’art. 17-bis, con la conseguenza che deve escludersi la necessità di restituire gli atti al giudice rimettente affinché valuti la perdurante rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione;

che la questione sollevata ? come eccepito dall’Avvocatura generale dello Stato ? è manifestamente inammissibile per insufficiente descrizione della fattispecie oggetto del giudizio principale;

che a tale proposito, la Commissione tributaria rimettente si limita ad esporre che «vi sono alcuni soci che sono costretti, per la annualità 2008, oggi in discussione, ad effettuare obbligatoriamente il reclamo/mediazione, non potendo avere la propria posizione discussa nell’identico contenitore processuale della società», mentre dal frontespizio dell’ordinanza di rimessione si ricava anche che: a) la stessa Commissione è investita di cinque ricorsi, uno soltanto dei quali (il n. 335/13, depositato il 12 aprile 2013) è relativo all’anno 2008; b) tale ricorso − che ha ad oggetto l’avviso di accertamento n. TQ5030200658/2012 «IVA-OP.IMPONIB. 2008 IRAP» − è stato presentato contro l’Agenzia delle entrate, Direzione provinciale di Fermo, Ufficio controlli, da una società a responsabilità limitata e da quattro persone fisiche;

che il giudice a quo omette di indicare il valore della controversia promossa dai menzionati soci, indicazione che sarebbe stata necessaria al fine di permettere a questa Corte di verificare se tale lite rientri effettivamente tra quelle «di valore non superiore a ventimila euro» per le quali l’impugnato art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992 impone la preliminare presentazione del reclamo alla quale detti soci sarebbero stati «costretti»;

che la stessa Commissione tributaria rimettente non precisa, altresì, i presupposti che sarebbero alla base, nella specie, del necessario litisconsorzio, ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. n. 546 del 1992, «come da diritto vivente», tra la società a responsabilità limitata e i soci della stessa;

che tale precisazione sarebbe stata tanto più necessaria in quanto la giurisprudenza di legittimità afferma la necessità del litisconsorzio tra (tutti) i soci e la società nel caso in cui venga impugnato l’accertamento del reddito delle società di persone di cui all’art. 5 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi) o del reddito da partecipazione dei soci delle stesse (Corte di cassazione, sezioni unite, sentenza n. 14815 del 2008; nello stesso senso, ex plurimis, sentenze n. 27193 del 2013, n. 23096 del 2012 e n. 2907 del 2010; ordinanza n. 20820 del 2012), mentre ha escluso detta necessità del consorzio di lite nel caso in cui venga impugnato l’accertamento del reddito delle società di capitali ? quale è quella ricorrente nel giudizio principale ? che pure costituisca l’indispensabile antecedente logico-giuridico dell’accertamento nei confronti dei soci (Corte di cassazione, sentenza n. 2214 del 2011);

che, il medesimo giudice rimettente non chiarisce neppure se gli indicati soci abbiano effettivamente presentato il reclamo previsto dall’impugnato art. 17-bis né se, e per quale ragione, tale presentazione ? ove realmente intervenuta ? abbia effettivamente determinato l’impossibilità della trattazione del ricorso dei soci congiuntamente a quello della società;

che tali lacune nella descrizione della fattispecie, non consentendo a questa Corte di compiere il necessario controllo in ordine all’applicabilità delle impugnate disposizioni nel giudizio a quo nonché all’effettiva ricorrenza, nello stesso giudizio, della lesione denunciata si risolvono in un difetto di motivazione sulla rilevanza della questione.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, commi 1 e 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 17-bis del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), nel testo anteriore alla sostituzione dello stesso ad opera dell’art. 1, comma 611, lettera a), numero 1), della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato − legge di stabilità 2014), «in relazione all’art. 14» dello stesso decreto legislativo, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Ascoli Piceno, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’11 giugno 2014.

F.to:

Gaetano SILVESTRI, Presidente

Sergio MATTARELLA, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 13 giugno 2014.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Gabriella MELATTI

(fonte www.cortecostituzionale.it)