Contributo unificato: se la parte non paga il dovuto, non si può iscrivere a ruolo
Una disposizione della legge di Bilancio 2022 impedisce l’iscrizione a ruolo in caso di omesso o erroneo pagamento del contributo unificato. L’Ordine Forense e le associazioni di categoria hanno espresso unanimemente il proprio dissenso nei confronti della scelta di condizionare l’esercizio dell’azione giudiziaria ad adempimenti ulteriori come il pagamento di una somma di denaro, ritenendo che questo impedimento alla tutela giurisdizionale dei diritti sia irragionevole e si ponga in contrasto con la Costituzione. Il disegno di legge è ora all’esame della Commissione Bilancio del Senato, ove è stato fissato al 29 novembre 2021 il termine per la presentazione degli emendamenti: sarà questa l’occasione per riformulare la disposizione, eliminando il rischio di denegata giustizia.
Nel disegno di legge di Bilancio 2022 sono state inserite alcune novità in materia di spese di giustizia (AS 2448). In particolare, l’art. 192 modifica la disciplina del contributo unificato di cui all’art. 16, D.P.R. n. 115/2002, prevedendo che, in caso di omesso pagamento ovvero nel caso in cui l’importo versato non sia corrispondente al valore della causa dichiarato dalla parte, anche quando siano utilizzate modalità di pagamento con sistemi telematici, il personale incaricato non deve procedere all’iscrizione al ruolo.
Si tratta di una norma analoga a quella prevista dall’art. 285, D.P.R. n. 115/2002 per il pagamento del diritto di copia, del diritto di certificato, nonché delle spese per le notificazioni a richiesta d’ufficio nel processo civile, in forza della quale il funzionario rifiuta di ricevere gli atti, di rilasciare la copia o il certificato se le marche mancano o sono di importo inferiore a quello stabilito.
Nella Relazione Illustrativa si sostiene che l’entrata a regime del processo civile telematico avrebbe determinato – con la possibilità dell’iscrizione telematica a ruolo della causa – un progressivo aumento dell’evasione dal pagamento del contributo unificato e che la novella comporterebbe una semplificazione della procedura di riscossione degli importi dovuti.
La protesta dell’Ordine Forense
L’Ordine Forense è intervenuto esprimendo il proprio netto dissenso nei confronti della scelta legislativa di condizionare l’esercizio dell’azione giudiziaria ad adempimenti ulteriori come il pagamento di una somma di denaro.
Il Consiglio Nazionale Forense ha ricordato che la Corte Costituzionale ha reiteratamente dichiarato l’illegittimità di norme che condizionano l’esercizio dell’azione giudiziaria sul rilievo che, nel bilanciamento tra l’interesse fiscale alla riscossione dell’imposta e quello all’attuazione della tutela giurisdizionale, il primo è già sufficientemente garantito dall’obbligo imposto al cancelliere di informare l’ufficio finanziario dell’esistenza dell’atto non registrato, ponendolo così in grado di procedere alla riscossione. Secondo l’organismo apicale dell’Avvocatura, la novella potrebbe determinare ingiustificabili decadenze in caso di non corretto funzionamento dei server giustizia, meri errori o sviste, fino a inibire l’accesso alla giustizia da parte degli utenti economicamente più fragili. Viene poi sottolineato il rischio che i difensori siano costretti a farsi carico di tale problematica mediante anticipazione di oneri dal recupero lento e incerto.
Anche l’Organismo Congressuale Forense, convocato in assemblea straordinaria, ha espresso un fermo rifiuto alla formulazione dell’art. 192, giacché impedirebbe l’esercizio del diritto di difesaex art. 24 Cost. senza discriminazioni di censo ex art. 3 Cost..
I Consigli dell’Ordine degli Avvocati di Roma, Milano e Napoli hanno denunciato il gravissimo vulnus alla giurisdizione e ai diritti del cittadino che sarebbe inferto dall’approvazione della norma sopra indicata e ne hanno chiesto il ritiro. I Consigli hanno ricordato inoltre che con il D.P.R. n. 634/1972 e il D.P.R. n. 131/1986 il bilanciamento tra l’interesse fiscale alla riscossione dell’imposta e quello all’attuazione della tutela giurisdizionale è stato risolto imponendo l’obbligo del cancelliere di inviare gli atti all’Ufficio del Registro: in tal modo è stata riconosciuta la giusta prevalenza della necessità di garantire al cittadino l’accesso alla tutela giurisdizionale, così riaffermandosi un principio basilare dello Stato di Diritto a garanzia del sistema democratico e dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla Legge.
La protesta delle associazioni forensi
Alle aspre critiche dell’Ordine Forense si sono unite quelle espresse dalle associazioni forensi.
Ad esempio l’Associazione Italiana Giovani Avvocati ha espresso una forte preoccupazione per il nuovo testo dell’art. 16, D.P.R. n. 115/2002, ritenendo inaccettabile subordinare la tutela dei diritti ad adempimenti meramente fiscali il cui buon esito, peraltro, dipende molto spesso da disfunzioni legate a malfunzionamento dei sistemi di pagamento resi disponibili dal Ministero della Giustizia o da prassi dei singoli Tribunali difformi rispetto alle circolari interpretative emesse dallo stesso Ministero.
L’Associazione Nazionale Forense critica la scelta dello Stato di far pagare ai cittadini le proprie inefficienze organizzative nella riscossione degli importi evasi. A sua volta il Movimento Forense ritiene che la norma sia abnorme in quanto lesiva di diritti costituzionali, facendo sì che la tutela dei diritti ceda il passo all’interesse economico.
Secondo l’Unione Nazionale Camere Civili il disegno di legge viola il principio di civiltà di cui all’art. 24 Cost., ormai acquisito al patto sociale. Anche l’Unione delle Camere Avvocati Tributaristi stigmatizza la novella, osservando che la difesa dei diritti sia sistematicamente relegata ad una questione di cassa.
Verso una modifica della disposizione?
Dalla lettura dei comunicati stampa di numerosi esponenti politici sembra potersi desumere l’intenzione di modificare il disegno di legge nel senso indicato dall’Avvocatura, al fine di impedire che la procedura di recupero delle spese di giustizia si traduca in denegata giustizia.
Il disegno di legge di Bilancio è ora all’esame della Commissione Bilancio del Senato, ove è stato fissato al 29 novembre 2021 il termine per la presentazione degli emendamenti: sarà questa l’occasione per riformulare la novella, eliminando il divieto di iscrizione a ruolo in caso di omesso o errato pagamento del contributo unificato.
Gli atti non possono essere rifiutati in caso di irregolarità fiscale
La giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente escluso che gli atti possano essere rifiutati in caso di irregolarità fiscale.
Ad esempio, si veda Cass., sez. III civ., 26 maggio 2020 (ord.), n. 9664, ove si afferma che “il deposito con modalità telematiche si ha per avvenuto al momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della Giustizia. Da quel momento, essendosi perfezionato il deposito, non residua pertanto alcuno spazio per un rifiuto di ricezione degli atti per irregolarità fiscale degli stessi, ai sensi dell’art. 285, D.P.R. n. 115 del 2002, da parte del cancelliere, il quale provvederà alla riscossione delle somme dovute con le modalità ordinarie, indicate” dal Ministero della Giustizia – Dipartimento per gli Affari di Giustizia – Direzione generale della Giustizia Civile, con nota del 4 settembre 2017 n. 164259.
La posizione della Corte costituzionale
Ulteriori argomenti possono essere tratti dalla disamina della giurisprudenza della Consulta, la quale si è espressa in passato in merito al bilanciamento tra l’interesse all’effettività della tutela giurisdizionale e quello alla riscossione delle spese di giustizia.
Ad esempio, con la sentenza del 6 dicembre 2002, n. 522 è stata dichiarata dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 66 TU Registro, nella parte in cui non prevede che la disposizione di cui al comma 1 non si applica al rilascio dell’originale o della copia della sentenza o di altro provvedimento giurisdizionale, che debba essere utilizzato per procedere all’esecuzione forzata.
Tale statuizione è stata assunta alla luce della giurisprudenza di questa Corte sul tema degli oneri fiscali incidenti sul processo civile, nonché dell’assetto dei rapporti fra imposta di registro e processo, secondo cui la Costituzione “non vieta di imporre prestazioni fiscali in stretta e razionale correlazione con il processo, sia che esse configurino vere e proprie tasse giudiziarie sia che abbiano riguardo all’uso di documenti necessari alla pronunzia finale dei giudici (sentenza n. 45 del 1963, e poi sentenze n. 91 e n. 100 del 1964)” ed occorre “distinguere fra “oneri che siano razionalmente collegati alla pretesa dedotta in giudizio, allo scopo di assicurare al processo uno svolgimento meglio conforme alla sua funzione”, da ritenersi consentiti, e oneri che invece tendano “alla soddisfazione di interessi del tutto estranei alle finalità predette, e, conducendo al risultato di precludere o ostacolare gravemente l’esperimento della tutela giurisdizionale, incorrono nella sanzione dell’incostituzionalità” (sentenza n. 80 del 1966, sull’illegittimità costituzionale della norma che vietava di rilasciare copie di sentenze non ancora registrate, il cui deposito in giudizio condizionasse la procedibilità dell’impugnazione)”, essendo “l’interesse del cittadino alla tutela giurisdizionale e quello generale della comunità alla riscossione dei tributi “[…] armonicamente coordinati” (sentenze n. 157 del 1969 e n. 61 del 1970)”.
Secondo la Consulta, “nel bilanciamento tra l’interesse fiscale alla riscossione dell’imposta e quello all’attuazione della tutela giurisdizionale, il primo è ritenuto sufficientemente garantito dall’obbligo imposto al cancelliere di informare l’ufficio finanziario dell’esistenza dell’atto non registrato, ponendolo così in grado di procedere alla riscossione”. È necessario considerare questo bilanciamento del principio secondo cui la garanzia della tutela giurisdizionale posta dall’art. 24 Cost., “appare evidente come la scelta compiuta dalla norma impugnata sia irragionevole e si risolva anche in lesione dell’articolo 24 della Costituzione. Essa infatti comporta che la valutazione di bilanciamento fra l’interesse all’effettività della tutela giurisdizionale e quello alla riscossione dei tributi sia effettuata, per i due tipi di processo, in modo irragionevolmente diverso: l’inadempimento dell’obbligazione tributaria – che pure non ha precluso lo svolgimento del processo di cognizione fino all’emanazione della sentenza (o di altro provvedimento esecutivo) ed ha determinato solo la comunicazione da parte del cancelliere all’ufficio del registro degli atti non registrati – impedisce poi che alla sentenza (o al provvedimento esecutivo) sia data attuazione mediante l’esercizio della tutela giurisdizionale in via esecutiva”.
Nella sentenza del 5 ottobre 2001, n. 333 si ricorda che “il problema della compatibilità tra il principio costituzionale che garantisce a tutti la tutela giurisdizionale, anche nella fase esecutiva, dei propri diritti e le norme che impongono determinati oneri a chi quella tutela richieda […] è stato risolto […] nel senso di distinguere fra oneri imposti allo scopo di assicurare al processo uno svolgimento meglio conforme alla sua funzione ed alle sue esigenze ed oneri tendenti, invece, al soddisfacimento di interessi del tutto estranei alle finalità processuali. Mentre i primi, si è detto, sono consentiti in quanto strumento di quella stessa tutela giurisdizionale che si tratta di garantire, i secondi si traducono in una preclusione o in un ostacolo all’esperimento della tutela giurisdizionale e comportano, perciò, la violazione dell’art. 24 Cost. (sentenza n. 113 del 1963)”.
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