Conclusioni dell’Avvocato generale Kokott nella causa C-105/14 (Ivo Taricco e a.), 30 aprile 2015 (testo)
CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE
JULIANE KOKOTT
presentate il 30 aprile 2015 (1)
Causa C‑105/14
Ivo Taricco e a.
[(domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dal Tribunale di Cuneo Italia)]
«Tutela degli interessi finanziari dell’Unione – Reati fiscali nel settore dell’IVA – Obbligo degli Stati membri di applicare sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive – Sanzioni penali – Prescrizione in materia di reati – Limitazione prevista dalla legge della durata complessiva della prescrizione in caso di sua interruzione – Normativa nazionale sulla prescrizione che può comportare, in numerosi casi, la non punibilità – Legalità delle pene – Divieto di retroattività – Articolo 325 TFUE –Direttiva 2006/112/CE – Regolamento (CE, Euratom) n. 2988/95 – Convenzione relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee (“convenzione PIF”)»
I – Introduzione
1. Si pone la questione se il diritto dell’Unione imponga ai giudici degli Stati membri di disapplicare determinate disposizioni del loro diritto nazionale relative alla prescrizione dei reati, al fine di garantire una repressione efficace dei reati fiscali. È questa, in sostanza, la questione sulla quale è chiamata a pronunciarsi la Corte nel caso in esame a seguito della domanda di pronuncia pregiudiziale di un giudice penale italiano.
2. Tale questione si pone nel contesto di una frode fiscale scoperta in Italia, effettuata tramite una banda nel campo del commercio di champagne. Il sig. Taricco e diversi altri imputati sono accusati di aver rilasciato, nell’ambito di un’associazione per delinquere, tramite l’impiego di fatture per operazioni inesistenti, dichiarazioni IVA fraudolente. Le loro manovre appaiono essere simili ad una frode di tipo «carosello».
3. Con ogni probabilità, i reati asseritamente commessi in tale contesto saranno prescritti ancor prima della pronuncia di una sentenza penale definitiva. Stando alle informazioni del giudice del rinvio, ciò è dovuto non solo alle circostanze del caso di specie, bensì ad un problema strutturale del diritto penale italiano, il quale prevede diverse possibilità di interruzione della prescrizione dei reati, ma non la sua sospensione durante un processo penale in corso. Inoltre, si applica un termine di prescrizione assoluto, il quale, a causa di una legge del 2005, nel caso di interruzione, è aumentato unicamente di un quarto rispetto al termine originario, e non più – come in precedenza – della metà. In particolare questo termine assoluto di prescrizione sembra comportare, in una pluralità di casi, la non punibilità degli autori dei reati.
4. Poiché nella specie è interessata l’IVA, una quota della quale fa parte delle risorse proprie dell’Unione europea (2), tale caso offre l’occasione di chiarire talune questioni fondamentali in relazione alla tutela degli interessi finanziari dell’Unione. Al riguardo, occorre prendere adeguatamente in considerazione i diritti degli imputati nel procedimento penale. Sotto questo profilo, è vero che il caso in oggetto può ricordare vagamente il famoso caso Berlusconi e a. (3). Ad un esame più attento, tuttavia, le questioni di diritto sollevate nella specie si distinguono da quelle esaminate a suo tempo dalla Corte.
II – Contesto normativo
A – Diritto dell’Unione
5. La normativa dell’Unione rilevante per il presente caso è costituita, in sostanza, da diverse disposizioni relative alla tutela degli interessi finanziari dell’Unione europea (ex Comunità europee). Devono essere evidenziati gli articoli 4, paragrafo 3, TUE e 325 TFUE, il regolamento (CE, Euratom) n. 2988/95(4) e la cosiddetta convenzione PIF (5). Occorre inoltre richiamare la direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (6).
6. Inoltre, la Corte viene investita anche dell’interpretazione degli articoli 101 TFUE, 107 TFUE e 119 TFUE, che rinuncerò tuttavia a riprodurre testualmente nel prosieguo.
Disposizioni del Trattato FUE
7. L’articolo 325 TFUE prevede quanto segue:
«1. L’Unione e gli Stati membri combattono contro la frode e le altre attività illegali che ledono gli interessi finanziari dell’Unione stessa mediante misure adottate a norma del presente articolo, che siano dissuasive e tali da permettere una protezione efficace negli Stati membri e nelle istituzioni, organi e organismi dell’Unione.
2. Gli Stati membri adottano, per combattere contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione, le stesse misure che adottano per combattere contro la frode che lede i loro interessi finanziari.
(…)».
Il regolamento (CE, Euratom) n. 2988/95
8. Il regolamento n. 2988/95 del Consiglio istituisce una normativa generale concernente controlli omogenei e misure e sanzioni amministrative per irregolarità relative al diritto dell’Unione (ex diritto comunitario). Il suo articolo 1, paragrafo 2, definisce l’irregolarità:
«Costituisce irregolarità qualsiasi violazione di una disposizione del diritto comunitario derivante da un’azione o un’omissione di un operatore economico che abbia o possa avere come conseguenza un pregiudizio al bilancio generale delle Comunità o ai bilanci da queste gestite, attraverso la diminuzione o la soppressione di entrate provenienti da risorse proprie percepite direttamente per conto delle Comunità, ovvero una spesa indebita».
9. L’articolo 3 del regolamento n. 2988/95 disciplina la prescrizione delle azioni giudiziarie:
«1. Il termine di prescrizione delle azioni giudiziarie è di quattro anni a decorrere dall’esecuzione dell’irregolarità di cui all’articolo 1, paragrafo 1. Tuttavia, le normative settoriali possono prevedere un termine inferiore e comunque non inferiore a tre anni.
Per le irregolarità permanenti o ripetute, il termine di prescrizione decorre dal giorno in cui cessa l’irregolarità. (…)
La prescrizione delle azioni giudiziarie è interrotta per effetto di qualsiasi atto dell’autorità competente, portato a conoscenza della persona interessata, che abbia natura istruttoria o che sia volto a perseguire l’irregolarità. Il termine di prescrizione decorre nuovamente dal momento di ciascuna interruzione.
Tuttavia, la prescrizione è acquisita al più tardi il giorno in cui sia giunto a scadenza un termine pari al doppio del termine di prescrizione senza che l’autorità competente abbia irrogato una sanzione, fatti salvi i casi in cui la procedura amministrativa sia stata sospesa a norma dell’articolo 6, paragrafo 1.
(…)
3. Gli Stati membri mantengono la possibilità di applicare un termine più lungo (…)».
10. L’articolo 6, paragrafo 1, del regolamento n. 2988/95 contiene disposizioni attinenti al procedimento amministrativo in caso di contestuale pendenza di un procedimento penale per gli stessi fatti:
«Fatte salve le misure e sanzioni amministrative comunitarie adottate sulla base dei regolamenti settoriali esistenti all’entrata in vigore del presente regolamento, l’imposizione delle sanzioni pecuniarie, quali le sanzioni amministrative, può essere sospesa con decisione dell’autorità competente qualora sia stato avviato, per gli stessi fatti, un procedimento penale contro la persona interessata. La sospensione del procedimento amministrativo sospende il termine di prescrizione di cui all’articolo 3.
(…)».
La convenzione PIF
11. Una serie di disposizioni comuni sulla tutela penale degli interessi finanziari dell’Unione figura inoltre nella convenzione PIF, sottoscritta il 26 luglio 1995 a Lussemburgo, la quale è stata conclusa (7) dagli allora 15 Stati membri dell’Unione sul fondamento dell’articolo K.3, paragrafo 2, lettera c), EU (8) ed è entrata in vigore il 17 ottobre 2002.
12. Sotto il titolo «Disposizioni generali», l’articolo 1 della convenzione PIF definisce la frode e impone agli Stati membri di configurare come illeciti penali le condotte da esso contemplate:
«1. Ai fini della presente convenzione costituisce frode che lede gli interessi finanziari delle Comunità europee:
(…)
b) in materia di entrate, qualsiasi azione od omissione intenzionale relativa:
– all’utilizzo o alla presentazione di dichiarazioni o documenti falsi, inesatti o incompleti cui consegua la diminuzione illegittima di risorse del bilancio generale delle Comunità europee o dei bilanci gestiti dalle Comunità europee o per conto di esse;
– alla mancata comunicazione di un’informazione in violazione di un obbligo specifico cui consegua lo stesso effetto;
– alla distrazione di un beneficio lecitamente ottenuto, cui consegua lo stesso effetto.
2. Fatto salvo l’articolo 2, paragrafo 2, ciascuno Stato membro prende le misure necessarie e adeguate per recepire nel diritto penale interno le disposizioni del paragrafo 1, in modo tale che le condotte da esse considerate costituiscano un illecito penale.
3. Fatto salvo l’articolo 2, paragrafo 2, ciascuno Stato membro prende altresì le misure necessarie affinché la redazione o il rilascio intenzionale di dichiarazioni o di documenti falsi, inesatti o incompleti cui conseguano gli effetti di cui al paragrafo 1 costituiscano illeciti penali qualora non siano già punibili come illecito principale ovvero a titolo di complicità, d’istigazione o di tentativo di frode quale definita al paragrafo 1.
(…)».
13. L’articolo 2 della convenzione PIF contiene il seguente obbligo degli Stati membri inteso all’introduzione di sanzioni:
«1. Ogni Stato membro prende le misure necessarie affinché le condotte di cui all’articolo 1 nonché la complicità, l’istigazione o il tentativo relativi alle condotte descritte all’articolo 1, paragrafo 1 siano passibili di sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive che comprendano, almeno, nei casi di frode grave, pene privative della libertà che possono comportare l’estradizione, rimanendo inteso che dev’essere considerata frode grave qualsiasi frode riguardante un importo minimo da determinare in ciascuno Stato membro. Tale importo minimo non può essere superiore a 50 000 ECU.
2. Tuttavia, uno Stato membro può prevedere per i casi di frode di lieve entità riguardante un importo totale inferiore a 4 000 ECU, che non presentino aspetti di particolare gravità secondo la propria legislazione, sanzioni di natura diversa da quelle previste al paragrafo 1.
(…)».
La direttiva IVA (direttiva 2006/112/CE)
14. Al titolo IX della direttiva 2006/112, intitolato «Esenzioni», l’articolo 131, quale parte delle «Disposizioni generali» del capo 1, prevede quanto segue:
«Le esenzioni previste ai capi da 2 a 9 si applicano, salvo le altre disposizioni comunitarie e alle condizioni che gli Stati membri stabiliscono per assicurare la corretta e semplice applicazione delle medesime esenzioni e per prevenire ogni possibile evasione, elusione e abuso».
15. All’articolo 138, paragrafo 1, che fa parte delle disposizioni sulle «Esenzioni connesse alle operazioni intracomunitarie» di cui al titolo IX, capo 4 della direttiva 2006/112, nel contesto delle esenzioni delle cessioni di beni, viene previsto quanto segue:
«Gli Stati membri esentano le cessioni di beni spediti o trasportati, fuori del loro rispettivo territorio ma nella Comunità, dal venditore, dall’acquirente o per loro conto, effettuate nei confronti di un altro soggetto passivo, o di un ente non soggetto passivo, che agisce in quanto tale in uno Stato membro diverso dallo Stato membro di partenza della spedizione o del trasporto dei beni».
16. Inoltre, fra le disposizioni sulle «Esenzioni delle operazioni connesse con il traffico internazionale di beni» al titolo IX, capo 10 della direttiva 2006/112, nella sezione 1 sui «Depositi doganali, depositi diversi da quelli doganali e regimi analoghi» figura un articolo 158, il quale così recita per estratto:
«1. In deroga all’articolo 157, paragrafo 2, gli Stati membri possono prevedere un regime di deposito diverso da quello doganale nei casi seguenti:
a) per i beni destinati a punti di vendita in esenzione da imposte, ai fini delle cessioni di beni destinati ad essere trasportati nel bagaglio personale di un viaggiatore che si reca in un territorio terzo o in un paese terzo, con un volo o una traversata marittima, e che sono esenti a norma dell’articolo 146, paragrafo 1, lettera b);
b) per i beni destinati a soggetti passivi ai fini delle cessioni da questi effettuate a viaggiatori a bordo di un aereo o di una nave, durante un volo o una traversata marittima il cui luogo di destinazione è situato fuori della Comunità;
c) per i beni destinati a soggetti passivi ai fini delle cessioni da questi effettuate in esenzione dall’IVA a norma dell’articolo 151».
2. Quando si avvalgono della facoltà di esenzione di cui al paragrafo 1, lettera a), gli Stati membri adottano le misure necessarie per assicurare l’applicazione corretta e semplice di detta esenzione e per prevenire qualsiasi evasione, elusione e abuso.
(…)».
B – Normativa italiana
17. L’articolo 157 del codice penale italiano (9) nella versione della legge del 5 dicembre 2005, n. 251 (10) (in prosieguo: la «legge n. 251/2005»), al titolo «Prescrizione. Tempo necessario a prescrivere», prevede quanto segue:
«La prescrizione estingue il reato decorso il tempo corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla legge e comunque un tempo non inferiore a sei anni se si tratta di delitto e a quattro anni se si tratta di contravvenzione, ancorché puniti con la sola pena pecuniaria.
Per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per il reato consumato o tentato, senza tener conto della diminuzione per le circostanze attenuanti e dell’aumento per le circostanze aggravanti, salvo che per le aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria (…)
(…)».
18. L’articolo 158 del codice penale disciplina l’inizio della decorrenza del termine di prescrizione:
«Il termine della prescrizione decorre, per il reato consumato, dal giorno della consumazione; per il reato tentato, dal giorno in cui è cessata l’attività del colpevole; per il reato permanente, dal giorno in cui è cessata la permanenza.
(…)».
19. L’articolo 159 del codice penale stabilisce i casi in cui il corso della prescrizione rimane sospeso. Vi rientrano i casi in cui la questione è stata deferita ad un altro giudizio o quelli di impedimento del difensore o dell’imputato. «La prescrizione riprende il suo corso dal giorno in cui è cessata la causa della sospensione».
20. Sull’interruzione della prescrizione, l’articolo 160 del codice penale prevede quanto segue:
«Il corso della prescrizione è interrotto dalla sentenza di condanna o dal decreto di condanna.
Interrompono pure la prescrizione l’ordinanza che applica le misure cautelari personali e quella di convalida del fermo o dell’arresto, l’interrogatorio reso davanti al pubblico ministero o al giudice, l’invito a presentarsi al pubblico ministero per rendere l’interrogatorio, il provvedimento del giudice di fissazione dell’udienza per la decisione sulla richiesta di archiviazione, la richiesta di rinvio a giudizio, il decreto di fissazione della udienza preliminare (…).
La prescrizione interrotta comincia nuovamente a decorrere dal giorno della interruzione. Se più sono gli atti interruttivi, la prescrizione decorre dall’ultimo di essi; ma in nessun caso i termini stabiliti nell’articolo 157 possono essere prolungati oltre i termini di cui all’articolo 161, secondo comma (…)».
21. Prima della modifica delle disposizioni sulla prescrizione da parte della legge n. 251/2005, nel caso di interruzione della prescrizione, il termine di prescrizione non poteva essere prolungato oltre la metà.
22. Gli effetti della sospensione e dell’interruzione della prescrizione sono disciplinati all’articolo 161 del codice penale nei termini seguenti:
«La sospensione e l’interruzione della prescrizione hanno effetto per tutti coloro che hanno commesso il reato.
Salvo che si proceda per i reati di cui all’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale, in nessun caso l’interruzione della prescrizione può comportare l’aumento di più di un quarto del tempo necessario a prescrivere, della metà nei casi di cui all’articolo 99, secondo comma, di due terzi nel caso di cui all’articolo 99, quarto comma, e del doppio nei casi di cui agli articoli 102, 103 e 105».
23. L’articolo 416 del codice penale prevede che quando viene costituita un’associazione allo scopo di commettere più delitti, coloro che costituiscono l’associazione sono puniti con la reclusione da tre a sette anni. Coloro che si limitano a partecipare ad una siffatta associazione, sono puniti con la reclusione da uno a cinque anni.
24. Il rilascio di una dichiarazione IVA fraudolenta mediante l’uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti viene punito, ai sensi dell’articolo 2 del decreto legislativo del Presidente della Repubblica (11) del 10 marzo 2000, n. 74 (in prosieguo: il «D.Lgs. 74/2000») (12) con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni. Con la stessa pena viene minacciato, ai sensi dell’articolo 8 D.Lgs. 74/2000, colui che emette fatture per operazioni inesistenti al fine di consentire a terzi l’evasione dell’imposta sul valore aggiunto.
III – Fatti e procedimento principale
25. Al sig. Ivo Taricco e a talune altre persone (in prosieguo anche: gli «imputati») viene contestata la costituzione o la partecipazione ad un’associazione per delinquere fra il 2005 e il 2009. Tale associazione per delinquere sarebbe stata finalizzata alla commissione dei reati di emissione di fatture per operazioni inesistenti e di dichiarazione IVA fraudolenta mediante l’uso di tali fatture.
26. Oggetto delle fatture per operazioni inesistenti, il cui importo totale ammontava a diversi milioni di EUR, erano operazioni commerciali con lo champagne. Sulla base di accordi tra gli imputati, vendite nazionali di champagne cui hanno partecipato varie imprese per le quali operavano rispettivamente, quali loro rappresentanti legali, alcuni degli imputati, sono state fatte apparire falsamente come transazioni intracomunitarie.
27. Il ruolo principale era svolto dalla ditta Planet Srl. Essa accettava scientemente fatture relative ad operazioni inesistenti di alcune altre imprese – cosiddette «missing traders» (13) –, le quali, a loro volta, figuravano fittiziamente quali importatrici di champagne. La Planet provvedeva ad annotare tali fatture nella propria contabilità, detraendo ogni volta l’IVA in esse indicata e, conseguentemente, presentando fraudolenta dichiarazione annuale relativa all’IVA. In tal modo, la Planet poteva disporre di champagne a costi di gran lunga inferiori al prezzo di mercato e, in definitiva, falsare la concorrenza. Le «missing traders», da parte loro, omettevano di presentare la dichiarazione annuale dell’IVA o, pur presentandola, non effettuavano tuttavia il relativo versamento dell’IVA.
28. Al termine delle indagini preliminari, è stata avviata l’azione penale nei confronti degli imputati. La richiesta di rinvio a giudizio è stata dapprima presentata dinanzi al Tribunale di Mondovì. A seguito di una serie di eccezioni presentate in udienza preliminare dai difensori degli imputati (14), le quali hanno fatto regredire il procedimento alla fase delle indagini preliminari, il procedimento penale si trova nuovamente nella fase dell’udienza preliminare, adesso dinanzi al Tribunale di Cuneo, il giudice del rinvio (15). In tale fase del procedimento, il GUP (16) deve valutare se gli atti di indagine giustifichino l’emanazione di un decreto di rinvio a giudizio degli imputati e la fissazione di un’udienza dinanzi al giudice del dibattimento.
29. Stando alle informazioni del giudice del rinvio, tutti i reati fiscali addebitati agli imputati si prescriveranno al più tardi in data 8 febbraio 2018, ai sensi delle disposizioni vigenti in Italia in materia di prescrizione dei reati, anche tenendo conto del prolungamento del termine di prescrizione previsto dalla legge in forza di diverse misure che hanno comportato un’interruzione della prescrizione. In relazione ad uno degli imputati, il sig. Anakiev, la prescrizione è addirittura già intervenuta dall’11 maggio 2013.
30. Come sottolineato dal giudice del rinvio, nella specie «si può facilmente prevedere» che la prescrizione maturerà per tutti gli imputati prima che si giunga ad una sentenza definitiva. Un esito siffatto non rappresenta, come sottolineato dal giudice, una peculiarità del caso di specie, essendo invece condiviso da un gran numero di procedimenti penali promossi in Italia, specialmente quelli relativi a reati economici che, per loro natura, richiedono indagini spesso particolarmente ampie e caratterizzate da un’estrema complessità.
31. Ciò premesso, il giudice del rinvio esprime la preoccupazione che l’istituto della prescrizione dei reati in Italia – contrariamente alla sua finalità originaria – si tramuti in realtà in una «garanzia dell’impunità» per reati economici e che l’Italia, in definitiva, non ottemperi ai propri obblighi di diritto dell’Unione. La causa di ciò deve essere ravvisata in maniera determinante nella legge n. 251/2005, la quale limita ad un quarto il prolungamento dei termini di prescrizione in caso di una loro interruzione, mentre in precedenza tali termini erano prolungabili della metà.
IV – Domanda di pronuncia pregiudiziale e procedimento dinanzi alla Corte
32. Con ordinanza del 17 gennaio 2014, pervenuta nella cancelleria il 5 marzo 2014, il Tribunale di Cuneo ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
1. se, modificando con legge n. 251 del 2005 l’art. 160 ultimo comma del codice penale italiano – nella parte in cui contempla un prolungamento del termine di prescrizione di appena un quarto a seguito di interruzione, e quindi, consentendo la prescrizione dei reati nonostante il tempestivo esercizio dell’azione penale, con conseguente impunità – sia stata infranta la norma a tutela della concorrenza contenuta nell’art. 101 del TFUE;
2. se, modificando con legge n. 251 del 2005 l’art. 160 ultimo comma del codice penale italiano – nella parte in cui contempla un prolungamento del termine di prescrizione di appena un quarto a seguito di interruzione, e quindi, privando di conseguenze penali i reati commessi da operatori economici senza scrupoli – lo Stato italiano abbia introdotto una forma di aiuto vietata dall’art. 107 del TFUE;
3. se, modificando con legge n. 251 del 2005 l’art. 160 ultimo comma del codice penale italiano – nella parte in cui contempla un prolungamento del termine di prescrizione di appena un quarto a seguito di interruzione, e quindi, creando un’ipotesi di impunità per coloro che strumentalizzano la direttiva comunitaria – lo Stato italiano abbia indebitamente aggiunto un’esenzione ulteriore rispetto a quelle tassativamente contemplate dall’articolo 158 della direttiva 2006/112/CE;
4. se, modificando con legge n. 251 del 2005 l’art. 160 ultimo comma del codice penale italiano – nella parte in cui contempla un prolungamento del termine di prescrizione di appena un quarto a seguito di interruzione, e quindi, rinunciando a punire condotte che privano lo Stato delle risorse necessarie anche a far fronte agli obblighi verso l’Unione europea, sia stato violato il principio di finanze sane fissato dall’articolo 119 del TFUE.
33. L’unico degli imputati nel procedimento principale che ha partecipato con una memoria al procedimento pregiudiziale è il sig. Anakiev. Inoltre, i governi italiano, tedesco e polacco, nonché la Commissione europea hanno presentato osservazioni scritte. Ad eccezione del sig. Anakiev e del governo polacco, le stesse parti sono state rappresentate anche all’udienza svoltasi il 3 marzo 2015.
V – Osservazioni di natura procedurale
34. Prima di dedicarmi all’esame nel merito delle questioni pregiudiziali, si impongono, alla luce dei dubbi esternati da diverse parti nel procedimento, alcune osservazioni preliminari di natura procedurale, le quali riguardano, da un lato, la competenza della Corte a risolvere le questioni pregiudiziali (al riguardo subito sezione A.) e, dall’altro, la ricevibilità di tali questioni (v. infra, sezione B.).
A – Competenza della Corte a fornire una risposta alle questioni pregiudiziali
35. Nel procedimento pregiudiziale, la Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, è competente a pronunciarsi sull’interpretazione dei trattati, nonché degli atti compiuti dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell’Unione, ossia le sue competenze si estendono, in linea di principio, all’interpretazione del diritto dell’Unione nel suo complesso (17).
36. A tale competenza non osta, nel caso in esame, che il procedimento principale verta su reati fiscali in base al diritto nazionale. Infatti, anche se la legislazione penale e il procedimento penale rientrano ancora, in larga misura, nella competenza degli Stati membri, le autorità nazionali devono tuttavia esercitare le loro rispettive competenze nel rispetto dei precetti di diritto dell’Unione (18). Specificamente per i procedimenti penali in materia di IVA, la Corte ha inoltre chiarito recentemente che siffatti procedimenti rientrano nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione (19).
37. In tale contesto, la Corte è competente per l’interpretazione dell’intero diritto dell’Unione, inclusa la convenzione PIF, nella misura in cui essa dovesse essere rilevante per la soluzione del caso in esame. È vero che tale convenzione è stata conclusa nel 1995, ancora nell’ambito dell’allora «terzo pilastro» dell’Unione europea, sul fondamento del Trattato UE nella sua versione originaria (20). Ai sensi dell’articolo 9 del protocollo sulle disposizioni transitorie (21), detta convenzione conserva tuttavia i propri effetti anche a seguito dell’abolizione della struttura per pilastri dell’Unione, con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona. Essa continua dunque ad essere parte integrante del diritto dell’Unione.
38. A partire dal 1° dicembre 2014, non sussistono inoltre più restrizioni per quanto attiene alla competenza pregiudiziale della Corte nel settore dell’ex terzo pilastro dell’Unione (v. articolo 10, paragrafi 1 e 3 del protocollo sulle disposizioni transitorie). Ciò vale anche per le domande di pronuncia pregiudiziale depositate prima del 1° dicembre 2014, come quella in questione (22).
39. A prescindere da ciò, la Corte era comunque competente, già prima del 1° dicembre 2014, a pronunciarsi sulle domande di pronuncia pregiudiziale di tutti gli organi giurisdizionali italiani che vertevano sull’interpretazione della convenzione PIF. La Repubblica italiana, infatti, aveva già riconosciuto fin dall’inizio, su un altro fondamento, la competenza della Corte in relazione a siffatte domande di pronuncia pregiudiziale, e segnatamente, da un lato, in forza di un protocollo aggiuntivo alla convenzione PIF (23), nonché, dall’altro, in forza degli articoli 35, paragrafi 2 e 3, lettera b) EU (24), conferendo sempre a tutti i giudici nazionali la legittimazione al rinvio pregiudiziale (25).
40. Alla luce di quanto precede, la competenza della Corte a pronunciarsi su tutte le questioni di diritto sollevate con la presente domanda di pronuncia pregiudiziale è pacifica.
B – Ricevibilità delle questioni pregiudiziali
41. Diverse parti del procedimento sollevano inoltre eccezioni nei confronti della ricevibilità delle questioni sottoposte alla Corte (articolo 267 TFUE, articolo 94 del regolamento di procedura). In sostanza, esse dubitano della rilevanza di tali questioni ai fini della soluzione della controversia principale.
42. Al riguardo occorre osservare che, secondo giurisprudenza costante, spetta esclusivamente al giudice del rinvio valutare, alla luce delle particolari circostanze della causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale della Corte sia la rilevanza delle questioni sottoposte alla Corte. Di conseguenza, se le questioni sollevate riguardano l’interpretazione del diritto dell’Unione, la Corte, in via di principio, è tenuta a statuire. Qualora un giudice nazionale sottoponga alla Corte questioni vertenti sul diritto dell’Unione, vale inoltre, nei confronti della sua domanda di pronuncia pregiudiziale, una presunzione di rilevanza (26).
43. Pertanto, la Corte può rifiutarsi di statuire su una questione pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale soltanto qualora risulti in modo manifesto che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcun rapporto con la realtà effettiva o con l’oggetto della causa principale, qualora il problema sia di natura ipotetica, o anche quando la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per rispondere in modo utile alle questioni che le sono sottoposte (27).
44. Una situazione simile non deve essere temuta nel caso in esame.
45. Le informazioni contenute nell’ordinanza di rinvio in relazione ai fatti del procedimento principale, alla legge nazionale applicabile e alla necessità di una decisione pregiudiziale sono sufficienti a consentire alla Corte nonché alle parti nel procedimento ai sensi dell’articolo 23 dello Statuto della Corte di assumere una posizione ponderata in relazione alle questioni sottoposte.
46. Dalle indicazioni del giudice del rinvio, infatti, sono agevolmente desumibili tanto l’oggetto del procedimento principale quanto gli interessi in gioco: più persone sono imputate in un processo penale italiano in materia fiscale e il giudice del rinvio teme che esse – come molti altri presunti autori di un reato che si trovano in una situazione analoga – sfuggiranno alla pena prevista per i medesimi dalla legge, in quanto le disposizioni nazionali sulla prescrizione dei reati prevedono termini di prescrizione troppo brevi, e in particolare un prolungamento eccessivamente ridotto di tali termini in caso di una sua interruzione, cosicché una condanna definitiva degli imputati prima del verificarsi della prescrizione sembra illusoria.
47. Deve altresì escludersi che le questioni sottoposte alla Corte abbiano natura ipotetica o che non abbiano manifestamente alcun rapporto con la realtà effettiva della causa principale. Stando all’ordinanza di rinvio, infatti, dalla risposta della Corte dipendono in maniera assolutamente determinante l’applicabilità nel procedimento principale delle disposizioni del diritto nazionale in materia di prescrizione e la possibilità realistica di pervenire ad una definizione con forza di giudicato del procedimento principale prima del verificarsi della prescrizione.
48. Inoltre, diversamente da quanto ritiene il governo italiano, al giudice del rinvio non è impedito di rendere oggetto di un rinvio pregiudiziale alla Corte le carenze sistemiche del diritto penale italiano da esso rilevate, a partire da una controversia concretamente pendente dinanzi al medesimo. Al contrario, la Corte ha già esaminato più volte gli asseriti problemi strutturali di un regime sanzionatorio nazionale, segnatamente anche e proprio in occasione di domande di pronuncia pregiudiziale nel corso di procedimenti penali nazionali (28).
49. Persino qualora principi generali del diritto dell’Unione – ad esempio il principio della legalità delle pene – dovessero vietare una deroga alle disposizioni nazionali controverse, ciò, contrariamente a quanto ritenuto dal governo italiano e dal sig. Anakiev, non inciderebbe sulla ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale, bensì offrirebbe tutt’al più l’occasione alla Corte di fornire chiarimenti nell’ambito della sua soluzione nel merito delle questioni pregiudiziali (29).
50. È ben possibile che sorgano dei dubbi quanto alla rilevanza delle questioni sottoposte, in quanto il giudice del rinvio investe la Corte dell’interpretazione di alcune disposizioni di diritto primario (articolo 101 TFUE, 107 TFUE e 119 TFUE), le quali, a prima vista, sono del tutto estranee ai problemi di diritto penale attinenti alla prescrizione di cui trattasi nella specie. Ciononostante, non mi sembra essere manifesto che le summenzionate disposizioni difettino di qualsivoglia rapporto con la controversia di cui al procedimento principale. Solo da un esame nel merito – seppur conciso – da parte della Corte delle summenzionate disposizioni TFUE può emergere se tali disposizioni ostino o meno ad una normativa penale sulla prescrizione come quella italiana (30).
51. A titolo di completezza, occorre osservare, infine, che neanche la fase procedurale relativamente precoce del procedimento principale – ossia la fase procedurale antecedente all’accoglimento della richiesta di rinvio a giudizio –impedisce la ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale (31).
52. Nel complesso, pertanto, le preoccupazioni espresse dinanzi alla Corte nei confronti della ricevibilità della presente domanda di pronuncia pregiudiziale devono essere respinte.
VI – Valutazione nel merito delle questioni pregiudiziali
53. Come è desumibile dall’ordinanza di rinvio, il Tribunale di Cuneo parte dal presupposto, per la maggior parte dei reati rilevanti nel procedimento principale, di un termine di prescrizione di sei anni e, per la costituzione di un’associazione per delinquere, di un termine di prescrizione di sette anni. Qualora, come nella specie, la prescrizione sia stata interrotta da determinate misure istruttorie o azioni penali, essa, stando all’ordinanza di rinvio, viene prolungata di un quarto, il che allunga a sette anni e sei mesi il termine di prescrizione di sei anni, e a otto anni e nove mesi il termine di prescrizione di sette anni; tali termini continuano peraltro a decorrere, in linea di principio, nella pendenza di un procedimento penale. Tale disciplina della prescrizione assoluta sembra comportare, in una pluralità di casi, la non punibilità degli autori di un reato.
54. Ciò premesso, il giudice del rinvio chiede in sostanza, con la sua domanda di pronuncia pregiudiziale, se il diritto dell’Unione osti ad una disposizione nazionale che disciplina la prescrizione penale dei reati come l’articolo 160, quarto comma, del codice penale nella versione della legge n. 251/2005, secondo il quale il termine di prescrizione per i reati fiscali nel settore dell’IVA viene prolungato, nel caso della sua interruzione, esclusivamente di un quarto del termine originario, dopodiché interviene la prescrizione assoluta.
55. Più specificamente, il giudice del rinvio, nell’ambito delle sue quattro questioni pregiudiziali, chiede delucidazioni sull’interpretazione degli articoli 101 TFUE, 107 TFUE e 119 TFUE, nonché dell’articolo 158 della direttiva 2006/112.
56. Esaminerò anzitutto tali disposizioni (v. al riguardo subito, sezione A), per poi effettuare alcune ulteriori osservazioni sull’obbligo degli Stati membri di applicare sanzioni effettive (v. infra, sezione B) ed analizzare, infine, gli effetti sulla controversia di cui al procedimento principale dell’eventuale contrarietà al diritto dell’Unione della normativa nazionale sulla prescrizione (v. infra, sezione C).
A – Le disposizioni del diritto dell’Unione richiamate dal giudice del rinvio
57. Il Tribunale di Cuneo ha dedicato tutte le sue quattro questioni pregiudiziali al diritto della concorrenza dell’Unione (v. al riguardo subito, sezione 1), alle possibilità di esenzione dall’IVA (v. infra, sezione 2), nonché al principio delle finanze pubbliche sane (v. infra, sezione 3).
1. Il diritto della concorrenza dell’Unione (prima e seconda questione pregiudiziale)
58. Con le prime due questioni, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se una normativa sulla prescrizione come quella italiana pregiudichi la concorrenza sul mercato unico europeo e violi pertanto le disposizioni di cui agli articoli 101 TFUE e 107 TFUE.
59. Occorre al riguardo osservare che una normativa sulla prescrizione poco rigorosa e l’assenza di sanzioni penali effettive ad essa connessa per irregolarità nel settore dell’IVA possono senz’altro procurare alle imprese coinvolte in tali irregolarità un vantaggio concorrenziale sleale sul mercato interno. Ciò non comporta tuttavia una violazione degli articoli 101 TFUE o 107 TFUE.
60. È vero che l’articolo 101 TFUE in combinato con l’articolo 4, paragrafo 3, TUE vieta agli Stati membri di instaurare una situazione nella quale imprese vengano agevolate nella conclusione fra loro di accordi anticoncorrenziali (32). Ci si spingerebbe tuttavia troppo oltre se si desumesse da un’attuazione eventualmente carente delle norme penali nazionali per reati fiscali nel settore dell’IVA l’automatica incentivazione di un comportamento collusivo fra imprese. Qualora cionondimeno dovessero avere luogo accordi anticoncorrenziali fra imprese, essi possono del resto essere puniti, del tutto a prescindere dal diritto tributario penale, sulla base dei procedimenti previsti nel diritto della concorrenza e con le sanzioni specifiche ivi previste.
61. Quanto al divieto di aiuti di Stato ai sensi dell’articolo 107 TFUE, è vero che l’attuazione carente delle pene nel settore dell’IVA può eventualmente comportare un vantaggio finanziario per le imprese. Tale vantaggio non riveste tuttavia natura selettiva, in quanto esso non favorisce determinate imprese o settori di imprese rispetto ad altre, bensì vale indistintamente per tutte le imprese soggette al diritto penale nazionale (33).
62. Occorre concordare con il giudice del rinvio che carenze sistemiche in uno Stato membro nella repressione dei reati fiscali nel settore dell’IVA possono comportare una distorsione della concorrenza nei confronti di imprese provenienti da altri Stati membri, nei quali le autorità nazionali reagiscono in maniera più severa alle irregolarità. Tale problematica non può tuttavia essere valutata sulla scorta di parametri propri del diritto antitrust o degli aiuti di Stato, ma deve essere esaminata alla luce del sistema d’imposta sul valore aggiunto e dell’obbligo ad esso connesso di applicare sanzioni effettive (34).
2. Le fattispecie di esenzione della direttiva IVA (terza questione pregiudiziale)
63. Con la terza questione, il giudice del rinvio chiede se una normativa sulla prescrizione come quella italiana introduca una nuova esenzione dall’IVA, non prevista nella direttiva 2006/112.
64. Al riguardo occorre osservare, anzitutto, che il Tribunale di Cuneo sembra essersi sbagliato nella disposizione applicabile della direttiva 2006/112. Infatti, l’articolo 158 di tale direttiva, citato nell’ordinanza di rinvio, riguarda l’esenzione dall’IVA di determinate operazioni in circostanze del tutto particolari, ad esempio in punti di vendita in esenzione da imposte, a bordo di aerei o navi, nonché nei rapporti diplomatici e consolari. Siffatte circostanze non ricorrono manifestamente nella specie.
65. Occorre invece fare riferimento, come osservato correttamente dalla Commissione, all’articolo 138 della direttiva 2006/112, che disciplina i casi di esenzione da IVA della cessione intracomunitaria di beni. Tale disposizione presenta un certo collegamento con i fatti del procedimento principale, nella misura in cui agli imputati viene contestato di aver simulato in maniera fraudolenta cessioni intracomunitarie nelle loro operazioni commerciali con lo champagne.
66. Tuttavia, la circostanza descritta dal giudice del rinvio, ossia che, nel procedimento penale per illeciti fiscali, a causa di carenze sistemiche del diritto nazionale, interviene, in numerosi casi, la prescrizione del reato, non comporta, di per sé, alcuna esenzione dall’IVA delle imprese di cui trattasi. L’esigibilità di un’imposta nei loro confronti, infatti, non è subordinata, nella sua esistenza, all’attuabilità di un eventuale ius puniendi dello Stato.
3. Il principio delle finanze pubbliche sane (quarta questione pregiudiziale)
67. Da ultimo, il giudice del rinvio chiede, con la quarta questione, se una normativa sulla prescrizione come quella italiana sia compatibile con il principio delle finanze pubbliche sane, nei termini in cui è espresso all’articolo 119 TFUE.
68. Quale disposizione introduttiva alle disposizioni sulla politica economica e monetaria dell’Unione di cui al titolo VIII del Trattato FUE, l’articolo 119 TFUE fissa, al suo paragrafo 3, determinati «principi direttivi» per l’azione degli Stati membri e dell’Unione, dei quali fanno parte, inter alia, finanze pubbliche sane.
69. Diversamente da quanto sembra ritenere la Commissione, agli Stati membri viene in tal modo non solo fornito un orientamento sotto il profilo politico, ma viene altresì rivolta loro una prescrizione di diritto dell’Unione, in maniera giuridicamente vincolante, per la configurazione del loro bilancio pubblico. Sulla natura giuridica di tale prescrizione non incide il fatto che essa non è particolarmente concreta sotto il profilo del suo contenuto e che deve essere ulteriormente precisata da altre disposizioni e atti giuridici (35). Peraltro, dal carattere relativamente generico dell’articolo 119, paragrafo 3, TFUE, consegue necessariamente che agli Stati membri resta un ampio margine discrezionale quanto alla scelta dei mezzi nazionali che essi reputano più idonei – sulla scorta di complesse valutazioni di carattere economico – a garantire, nel loro rispettivo ambito di competenza, finanze pubbliche sane (36).
70. Non ogni provvedimento delle autorità nazionali che comporta spese o entrate, e neanche ogni rinuncia alla soddisfazione di un credito d’imposta effettivamente sussistente devono essere necessariamente considerati una violazione del principio delle finanze pubbliche sane. Piuttosto, ciò che rileva è se le finanze del rispettivo Stato membro possano essere indicate come «sane» nel loro complesso; ciò viene esaminato in particolare alla luce delle disposizioni e dei criteri concernenti la prevenzione di disavanzi pubblici eccessivi (articolo 126, commi 1 e 2 TFUE in combinato disposto con il protocollo n. 12 al Trattato UE e al Trattato FUE).
71. Pertanto, la mera circostanza che le norme sulla prescrizione in vigore in Italia nel settore del diritto penale tributario presentino eventualmente le carenze sistemiche descritte dal giudice del rinvio non può servire da fondamento per ritenere sussistente una violazione del principio delle finanze pubbliche sane, nei termini sanciti dall’articolo 119, paragrafo 3 TFUE.
4. Conclusione intermedia
72. In sintesi, è dato rilevare che nessuna delle disposizioni del diritto dell’Unione menzionate concretamente dal giudice del rinvio osta ad una disciplina della prescrizione dei reati come quella introdotta nel diritto penale italiano con l’articolo 160, ultimo comma, del codice penale nella versione della legge n. 251/2005.
73. Tale constatazione non è tuttavia sufficiente, da sola, a fornire una risposta utile al giudice del rinvio, che gli faciliti la decisione della controversia di cui al procedimento principale. Piuttosto, si impongono alcune osservazioni aggiuntive sull’obbligo degli Stati membri di applicare sanzioni effettive (v. al riguardo subito, sezione B); inoltre, occorre esaminare brevemente gli effetti sulla controversia di cui al procedimento principale dell’eventuale contrarietà al diritto dell’Unione della normativa nazionale sulla prescrizione (v. infra, sezione C).
B – L’obbligo degli Stati membri di applicare sanzioni efficaci
74. L’obbligo degli Stati membri di applicare sanzioni efficaci per reati fiscali nel settore dell’IVA non è stato tematizzato in maniera espressa dal giudice del rinvio nella sua domanda di pronuncia pregiudiziale.
75. È vero che, in linea di principio, incombe soltanto al giudice del rinvio definire l’oggetto delle questioni che intende sottoporre alla Corte (37), e che la Corte, da parte sua, non è chiamata ad esaminare problemi giuridici che il giudice nazionale ha escluso esplicitamente o implicitamente dalla sua domanda di pronuncia pregiudiziale (38).
76. Tuttavia, a prescindere da ciò, la Corte, nel pronunciarsi su un rinvio pregiudiziale, è competente a fornire, alla luce degli elementi del fascicolo, precisazioni dirette a guidare il giudice nazionale nella decisione sulla causa principale, esaminando al riguardo anche disposizioni che il giudice del rinvio non ha menzionato (39).
77. Nel caso in esame, la preoccupazione del giudice nazionale che la disciplina sulla prescrizione di cui all’articolo 160, ultimo comma, del codice penale nella versione della legge n. 251/2005 possa essere espressione di una carenza sistemica che comporta, in una pluralità di illeciti fiscali in Italia, la non punibilità degli autori, attraversa come un filo conduttore tutta l’ordinanza di rinvio.
78. In tal modo, la domanda di pronuncia pregiudiziale solleva – perlomeno implicitamente – la questione supplementare se una normativa sulla prescrizione come quella italiana sia compatibile con l’obbligo di diritto dell’Unione che incombe agli Stati membri di applicare sanzioni per irregolarità nel settore dell’IVA. Senza l’esame di tale questione supplementare non è ipotizzabile una risposta utile alla domanda di pronuncia pregiudiziale.
79. Nel prosieguo verificherò, innanzitutto, se una normativa come quella italiana soddisfi l’obbligo generale degli Stati membri di applicare sanzioni efficaci per violazioni del diritto dell’Unione (v. subito, sezione 1), per poi dedicarmi di seguito all’obbligo più specifico degli Stati membri di perseguire penalmente la frode a danno degli interessi finanziari dell’Unione (v. al riguardo infra, sezione 2).
1. L’obbligo generale di prevedere sanzioni efficaci
80. Corrisponde ad un principio generale del diritto dell’Unione, riconducibile in definitiva all’obbligo di leale cooperazione (articolo 4, paragrafo 3, TUE), il fatto che gli Stati membri debbano prevedere sanzioni per violazioni del diritto dell’Unione da parte dei singoli, le quali abbiano un carattere effettivo, proporzionato e dissuasivo (40), nonché punire, sotto il profilo sostanziale e procedurale, le violazioni del diritto dell’Unione – perlomeno – in forme analoghe a quelle previste per le violazioni del diritto interno simili per natura e importanza (41). Siamo in presenza, in definitiva, di particolari espressioni dei principi di effettività e di equivalenza.
81. Per quanto attiene, anzitutto, al principio di equivalenza, la Commissione ha affermato, in udienza, che nel diritto italiano sarebbero senz’altro noti reati ai quali non si applicherebbe alcun termine assoluto di prescrizione. Qualora si dovesse trattare, al riguardo, di reati nel settore della criminalità economica, i quali sono equivalenti alla frode in materia di IVA, occorrerebbe rinunciare, anche per quest’ultima, ad un termine assoluto di prescrizione.
82. Il requisito dell’applicazione di sanzioni aventi carattere effettivo, proporzionato e dissuasivo, conseguente dal principio di effettività, è stato messo in evidenza in tempi recenti dalla Corte anche per il settore dell’IVA. Al riguardo, essa si è fondata nuovamente, oltre che su diverse disposizioni della direttiva 2006/112, sull’obbligo di lealtà degli Stati membri ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 3, TUE (42).
83. Nel settore dell’IVA, un regime sanzionatorio funzionante per violazioni del diritto dell’Unione riveste particolare importanza, dal momento che esso non solo è funzionale alla parità di trattamento di tutte le imprese operanti sul mercato interno, bensì è altresì inteso a tutelare gli interessi finanziari dell’Unione, delle cui risorse proprie fa parte una quota dell’IVA riscossa dagli Stati membri (43). Ai sensi dell’articolo 325 TFUE, gli Stati membri sono pertanto tenuti a lottare contro le attività illecite lesive degli interessi finanziari dell’Unione «con misure dissuasive ed effettive» (44). Lo stesso risulta dal regolamento n. 2988/95, anch’esso parimenti inteso alla tutela degli interessi finanziari dell’Unione.
84. È vero che né dai precetti del diritto primario (articolo 4, paragrafo 3, TUE e articolo 325 TFUE) né dal diritto secondario rilevante (regolamento n. 2988/95 e direttiva 2006/112) risulta un qualsivoglia obbligo degli Stati membri di sanzionare necessariamente penalmente irregolarità nel settore dell’IVA. Piuttosto, gli Stati membri – fatto salvo quanto consegue dalla convenzione PIF (45) – dispongono di una libertà di scelta delle sanzioni applicabili, cosicché nel sistema nazionale è possibile ricorrere, in linea di principio, anche ad una combinazione di sanzioni amministrative e penali (46). È peraltro inerente alla nozione di «sanzione» che non ci si debba limitare a riscuotere semplicemente l’IVA, comunque dovuta, se del caso con interessi di mora.
85. Peraltro, le sanzioni effettivamente in vigore nel rispettivo Stato membro – a prescindere da se esse rivestano natura amministrativa o penale – devono essere effettive, proporzionate e dissuasive (47). Uno Stato membro che poggia il proprio regime sanzionatorio nazionale, tramite una combinazione di sanzioni amministrative e penali, su due pilastri, i quali, né singolarmente né congiuntamente soddisfano i criteri dell’effettività, della proporzionalità e della dissuasione, opera in maniera contraria ai precetti di diritto dell’Unione.
86. La questione se le sanzioni previste nel regime nazionale siano effettive, proporzionate e dissuasive deve essere risolta dal giudice del rinvio. Al riguardo, la rispettiva norma sanzionatoria deve essere esaminata, in tutti i casi in cui tale questione si pone, tenendo conto del ruolo di detta norma nell’ordinamento giuridico complessivo, ivi compreso lo svolgimento della procedura e le peculiarità della procedura dinanzi alle diverse autorità nazionali (48).
87. Come ho illustrato nelle mie conclusioni nel caso Berlusconi e a. (49), non vi sono sostanziali obiezioni a che gli Stati membri assoggettino a prescrizione le sanzioni che devono introdurre in forza del diritto dell’Unione, dal momento che i termini di prescrizione sono intesi a preservare la certezza del diritto e a tutelare gli imputati, non escludendo, in linea di principio, un’applicazione effettiva delle sanzioni. Del resto, anche il regolamento n. 2988/95, al suo articolo 3, prevede, in relazione alle sanzioni amministrative ivi disciplinate, una prescrizione.
88. Deve essere tuttavia garantito che le norme sulla prescrizione applicabili non annullino nel loro insieme l’efficacia e la capacità dissuasiva delle sanzioni previste. Irregolarità nel settore dell’IVA non possono quindi essere sanzionate solo teoricamente. Il sistema sanzionatorio va strutturato, al contrario, in modo tale che chiunque fornisca informazioni errate con riferimento all’IVA o partecipi a corrispondenti manovre, debba effettivamente temere di essere punito (50).
89. Inoltre, come sottolineato giustamente dalla Commissione, devono essere prese in considerazione eventuali interazioni fra sanzioni penali e amministrative. In tal senso, carenze proprie del sistema sanzionatorio penale possono incidere negativamente sul sistema sanzionatorio amministrativo. Ciò avviene, ad esempio, qualora il diritto nazionale preveda la sospensione del procedimento amministrativo nella pendenza di un procedimento penale (51) ed esso non possa successivamente più proseguire, a seguito del verificarsi della prescrizione del reato, in quanto l’infrazione di cui trattasi è prescritta anche sulla scorta dei criteri di diritto amministrativo.
90. In tale contesto merita di essere menzionata la giurisprudenza emessa già in precedenza in relazione a talune normative procedurali italiane nel settore del diritto fiscale. Secondo tale giurisprudenza, gli Stati membri, pur potendo, in determinate circostanze, archiviare procedimenti fiscali che si protraggono per un periodo di tempo eccessivamente lungo (52), non possono tuttavia rinunciare in maniera generale e indiscriminata all’accertamento delle operazioni imponibili effettuate nel corso di una serie di periodi d’imposta con riferimento ad un eventuale obbligo di versare l’IVA (53).
91. Qualora una disciplina nazionale relativa alla prescrizione che tenga conto di tutti questi aspetti abbia come conseguenza che in realtà sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive vengono irrogate raramente, per ragioni sistemiche, ciò è contrario all’obbligo generale degli Stati membri di applicare sanzioni effettive per violazioni del diritto dell’Unione (54).
2. L’obbligo specifico di prevedere sanzioni penali effettive
92. Accanto all’obbligo generale di applicare sanzioni effettive, di cui si è appena discusso, sussiste inoltre un obbligo specifico degli Stati membri di sanzionare penalmente la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione.
93. Tale obbligo di prevedere sanzioni penali risulta dalla convenzione PIF, e segnatamente dal suo articolo 2, paragrafo 1, il quale prescrive che la frode ai danni degli interessi finanziari dell’Unione deve essere sanzionata tramite sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive; in casi di frode grave devono persino essere previste pene privative della libertà.
94. È vero che il Consiglio dell’Unione europea interpreta in maniera restrittiva l’ambito di applicazione della convenzione PIF e desidera escludere dal medesimo l’IVA. Nella sua relazione esplicativa (55), esso ha sostenuto che per entrate ai sensi della convenzione PIF si intendono unicamente le entrate provenienti dalle prime due categorie di risorse proprie dell’Unione, ossia, da un lato, i dazi doganali e, dall’altro, determinati prelievi e contributi nel settore dell’agricoltura. Per contro, le entrate dell’Unione ai sensi della convenzione PIF non comprendono, secondo il Consiglio, quelle provenienti dall’applicazione di un’aliquota uniforme alla base imponibile IVA negli Stati membri, non essendo tale risorsa propria riscossa direttamente per conto dell’Unione.
95. Secondo la tesi sostenuta dal Consiglio nella sua relazione esplicativa, condivisa anche dalla Germania nell’udienza dinanzi alla Corte, l’obbligo di diritto dell’Unione di irrogare sanzioni penali non si applicherebbe pertanto nel caso di irregolarità nel settore dell’IVA (56).
96. La relazione esplicativa del Consiglio costituisce tuttavia unicamente l’espressione di un’opinione, non vincolante sotto il profilo giuridico, di un organo dell’Unione che non è inoltre esso stesso parte contraente della convenzione PIF, ma ha partecipato soltanto ai lavori preparatori, elaborando il testo della convenzione e raccomandando la sua adozione agli Stati membri in conformità delle disposizioni dei Trattati (articolo K.3, paragrafo 2, lettera c, UE).
97. La relazione esplicativa del Consiglio non può pertanto essere considerata un’interpretazione autentica della convenzione PIF, tanto più che né la convenzione stessa né il suo protocollo aggiuntivo fanno in alcun modo riferimento a tale relazione. Un’interpretazione della convenzione PIF giuridicamente vincolante all’interno dell’Unione spetta unicamente alla Corte; ciò era desumibile già originariamente dal protocollo aggiuntivo alla convenzione PIF, il quale autorizzava la Corte ad interpretare tale convenzione, e consegue attualmente dall’articolo 19, paragrafo 1, seconda frase, e paragrafo 3, lettera b) TUE, nonché dall’articolo 267 TFUE.
98. A mio avviso, la Corte dovrebbe trattare la relazione esplicativa del Consiglio alla convenzione PIF non diversamente dalle dichiarazioni stampa rilasciate dagli organi dell’Unione in relazione ad atti normativi o come dichiarazioni a verbale rese in occasione dell’adozione di siffatti atti. Siffatte dichiarazioni non possono, secondo una giurisprudenza costante, essere prese in considerazione per interpretare una disposizione di diritto derivato, quando esse non hanno trovato alcun riscontro in tale disposizione (57).
99. Una situazione del genere ricorre nella specie. Per giustificare l’esclusione dell’IVA dall’ambito di applicazione della convenzione PIF, il Consiglio richiama esclusivamente la circostanza, nella sua relazione esplicativa, che l’IVA non è «una risorsa propria riscossa direttamente per conto dell’[Unione]» (58). Esattamente tale considerazione non trova tuttavia alcun riscontro nel dettato della convenzione PIF e non può giustificare un’interpretazione restrittiva del suo ambito di applicazione.
100. Piuttosto, l’ambito di applicazione della convenzione PIF è concepito in termini alquanto ampi. Ai sensi del suo articolo 1, paragrafo 1, lettera b), esso si estende in maniera forfettaria e senza alcuna limitazione alle «entrate» dell’Unione relative alle «risorse» del suo «bilancio generale». Di tali risorse fanno parte, non da ultimo, anche le risorse proprie dell’Unione provenienti dall’IVA (59). Sussiste infatti un nesso diretto tra la riscossione dell’IVA da parte degli Stati membri e la messa a disposizione del bilancio dell’Unione delle corrispondenti risorse IVA (60).
101. Un ambito di applicazione inteso in senso ampio, inclusivo dell’IVA, corrisponde del resto alla finalità perseguita dalla convenzione PIF, consistente, in termini del tutto generali, nella lotta contro le frodi che ledono gli interessi finanziari dell’Unione, e con la quale ci si propone di lottare con il massimo vigore contro tali frodi (61).
102. Per contro, una limitazione dell’ambito di applicazione della convenzione PIF ai soli casi di frode nel settore dei dazi doganali e dei prelievi ovvero dei contributi agricoli ridurrebbe considerevolmente l’apporto di tale strumento normativo alla tutela degli interessi finanziari dell’Unione. Un’interpretazione a tal punto restrittiva dell’ambito di applicazione della convenzione PIF, come sembra avere in mente il Consiglio, sarebbe in contraddizione con la regola secondo la quale l’interpretazione di una disposizione del diritto dell’Unione suggerita da un organo dell’Unione non può avere quale risultato di privarla di ogni effetto utile (62).
103. Pertanto, la convenzione PIF fonda un obbligo degli Stati membri di sanzionare penalmente casi di frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione nel settore dell’IVA, e in ogni caso i casi di frode grave. Tale obbligo riveste nella specie una particolare importanza, in quanto mere sanzioni amministrative difficilmente possono, di per sé – in particolare le sanzioni pecuniarie e gli interessi di mora –, esplicare un effetto sufficientemente dissuasivo, alla luce delle circostanze spesso sottese ai casi di frode nel settore dell’IVA. In tal senso, numerose persone e imprese coinvolte in siffatti casi di frode si trovano comunque in una situazione finanziaria estremamente precaria.
104. La questione se le sanzioni penali previste nel sistema nazionale siano «effettive, proporzionate e dissuasive» ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, della convenzione PIF, deve essere risolta dal giudice del rinvio. Al riguardo vale quanto affermato supra (63): la rispettiva disposizione sanzionatoria deve essere esaminata, in tutti i casi in cui tale questione si pone, tenendo conto del ruolo di detta norma nell’ordinamento giuridico complessivo, ivi compreso lo svolgimento della procedura e le peculiarità della procedura dinanzi alle diverse autorità nazionali
105. Qualora una normativa nazionale sulla prescrizione abbia come conseguenza che in realtà sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive vengono irrogate raramente, per ragioni sistemiche, ciò è contrario all’obbligo degli Stati membri, risultante dall’articolo 2 della convenzione PIF, di prevedere sanzioni penali adeguate per la frode lesiva degli interessi finanziari dell’Unione.
C – Gli effetti sulla controversia di cui al procedimento principale di un’eventuale contrarietà al diritto dell’Unione della normativa nazionale sulla prescrizione
106. Qualora il giudice del rinvio dovesse pervenire alla conclusione, sulla scorta dei parametri illustrati supra, che la normativa nazionale sulla prescrizione, e in particolare la disposizione menzionata nella domanda di pronuncia pregiudiziale, ossia l’articolo 160, ultimo comma del codice penale, nella versione della legge n. 251/2005, è contraria al diritto dell’Unione, restano infine da esaminare gli effetti a ciò connessi per la controversia di cui al procedimento principale.
107. Secondo una giurisprudenza costante, i giudici nazionali sono tenuti a garantire la piena efficacia del diritto dell’Unione (64).
108. A tal fine, ad essi incombe anzitutto l’obbligo di interpretare ed applicare l’intero diritto nazionale in conformità con il diritto dell’Unione. I giudici nazionali sono tenuti al riguardo ad interpretare il diritto nazionale quanto più possibile alla luce della lettera e dello scopo delle pertinenti disposizioni del diritto dell’Unione, al fine di pervenire al risultato con esse perseguito (65). Essi devono adoperarsi al meglio nei limiti del loro potere, prendendo in considerazione il diritto interno nel suo insieme ed applicando i metodi di interpretazione riconosciuti da quest’ultimo, al fine di garantire la piena efficacia dei precetti di diritto dell’Unione e di pervenire ad una soluzione conforme allo scopo perseguito dal diritto dell’Unione (66).
109. Il giudice del rinvio sarà tenuto, in particolare, a verificare se, per mezzo di un’interpretazione conforme, possa essere conseguito un risultato che comporti una sospensione della prescrizione, fintantoché i giudici penali italiani – o perlomeno determinati gradi di giudizio – siano investiti del procedimento principale.
110. L’obbligo di interpretazione conforme trova peraltro un limite nei principi generali del diritto e non può servire da fondamento per un’interpretazione contra legem del diritto nazionale (67).
111. Qualora il giudice del rinvio non dovesse poter conseguire, tramite l’interpretazione del diritto nazionale, un risultato conforme al diritto dell’Unione, esso sarebbe tenuto a garantire la piena efficacia del diritto dell’Unione, disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale, anche posteriore, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale (68).
112. Se del caso, il giudice del rinvio dovrebbe dunque disapplicare nel procedimento principale una disposizione quale l’articolo 160, ultimo comma, del codice penale, nella versione della legge n. 251/2005, qualora tale disposizione dovesse essere l’espressione di una carenza sistemica che impedisce il conseguimento di un risultato conforme al diritto dell’Unione a causa di termini di prescrizione eccessivamente brevi.
113. Occorre peraltro esaminare ancora in maniera più dettagliata la questione se ad un siffatto modo di procedere ostino i principi generali del diritto dell’Unione, e segnatamente il principio della legalità delle pene (nullum crimen, nulla poena sine lege). Tale principio fa parte dei principi generali del diritto alla base delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri (69), ed ha acquisito, grazie all’articolo 49 della Carta dei diritti fondamentali, rango di diritto fondamentale dell’Unione. In virtù del principio di omogeneità (articolo 52, paragrafo 3, prima frase, della Carta), nell’interpretare l’articolo 49 della Carta occorre in particolare rispettare l’articolo 7 della CEDU e la giurisprudenza elaborata al riguardo dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte eur. D.U.).
114. Il principio della legalità delle pene stabilisce che nessuno può essere condannato per un’azione o un’omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o il diritto internazionale, e che non può neanche essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso (articolo 49, paragrafo 1, prima e seconda frase della Carta). Ad esso si accompagna la regola secondo cui le direttive non possono essere utilizzate direttamente per determinare o aggravare la responsabilità penale (70).
115. Diversamente da quanto ritenuto dal sig. Anakiev e dal governo italiano, in un caso come quello in esame non si deve però temere un conflitto con il principio della legalità delle pene. Tale principio, infatti, si limita ad esigere, sotto il profilo di diritto sostanziale, che la legge definisca chiaramente i reati e le pene che li reprimono (71). Le norme sulla prescrizione, tuttavia, nulla dicono in relazione alla punibilità di una condotta né alla misura della pena, bensì si pronunciano unicamente sulla perseguibilità di un reato, non ricadendo pertanto assolutamente nell’ambito di applicazione della regola nullum crimen, nulla poena sine lege (72). Per lo stesso motivo, neanche il principio dell’applicazione retroattiva della pena più mite (articolo 49, paragrafo 1, terza frase, della Carta dei diritti fondamentali (73)) si applica alle questioni concernenti la prescrizione.
116. In ciò il caso in esame si distingue del resto in maniera fondamentale dalla causa Berlusconi e a., la quale verteva – diversamente che nella specie – su una modifica delle disposizioni di diritto sostanziale del diritto nazionale, e in particolare delle pene massime e minime applicabili per determinati reati, il che ha comportato, inter alia, pene troppo ridotte ed ha pertanto esplicato effetti indiretti sulla prescrizione dei reati (74).
117. Ciò premesso, in un caso come quello in esame, i requisiti attinenti alla legalità delle pene sono interamente soddisfatti, dal momento che la punibilità della condotta addebitata agli imputati e la pena massima e minima che la reprimono si evincono in maniera immutata dalla legge penale italiana, e precisamente dagli articoli 2 e 8 del D.Lgs. 74/2000. La punibilità o la misura della pena non risultano affatto direttamente da disposizioni di diritto dell’Unione come gli articoli 4, paragrafo 3, TUE e 325 TFUE, dalla direttiva 2006/112, dal regolamento n. 2988/95 o dalla convenzione PIF.
118. Diversamente che nel caso Berlusconi e a., l’applicazione dei precetti di diritto dell’Unione non creerebbe dunque di per sé, nella specie, obblighi a carico di un soggetto, e in particolare non istituirebbe o renderebbe più gravosa la punibilità dei singoli. Essa si limiterebbe – a livello procedurale – a liberare le autorità nazionali preposte alla repressione dei reati da vincoli contrari al diritto dell’Unione.
119. Dal principio della legalità delle pene non è dato desumere che le norme applicabili sulla durata, il decorso e l’interruzione della prescrizione debbano necessariamente orientarsi sempre alle disposizioni di legge in vigore al momento della commissione del reato. Non sussiste un affidamento meritevole di tutela in tal senso.
120. Piuttosto, l’intervallo di tempo all’interno del quale può essere perseguito un reato può mutare anche successivamente alla commissione di quest’ultimo, fintantoché non sia intervenuta la prescrizione (75). In definitiva, accade nella specie lo stesso che nel caso dell’applicazione di norme processuali nuove a situazioni che, pur createsi nel passato, non si sono ancora concluse (76).
121. Nell’ambito dell’autonomia procedurale degli Stati membri, ciò apre, in tutti i casi in cui non è ancora intervenuta la prescrizione (77), un margine discrezionale ai fini della considerazione di valutazioni di diritto dell’Unione che i giudici degli Stati membri devono sfruttare completamente in sede di applicazione del rispettivo diritto nazionale, nel rispetto dei principi di equivalenza e di effettività.
122. Non si tratta, in proposito, di ricavare nuovi termini di prescrizione direttamente dal diritto dell’Unione. Gli articoli 4, paragrafo 3, TUE e 325 TFUE non contengono comunque, al riguardo, al pari del regolamento n. 2988/95 e della convenzione PIF, disposizioni sufficientemente concrete che consentirebbero un’applicazione diretta nei confronti del singolo. Lo stesso vale – già a causa della sua natura giuridica – per la direttiva 2006/112 (78).
123. Piuttosto, dal diritto nazionale deve risultare un’applicazione concreta e conforme della durata e del decorso dei termini di prescrizione. Il diritto dell’Unione esplica al riguardo tutt’al più un effetto indiretto per la controversia di cui al procedimento principale, aiutando il giudice nazionale a porre le giuste basi per un’interpretazione conforme del diritto nazionale.
124. Si tratta, al riguardo, non di abolire in toto la prescrizione, bensì di applicare una disciplina adeguata della prescrizione (79), la quale faccia apparire realistica l’irrogazione di sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive in un procedimento equo e che si conclude entro un termine ragionevole (articolo 47, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali e articolo 6, paragrafo 1, prima frase, CEDU).
125. Fra le misure che il giudice del rinvio è tenuto ad adottare in tale contesto, può rientrare in particolare un’applicazione delle disposizioni sulla prescrizione senza il termine assoluto di prescrizione previsto dall’articolo 160, ultimo comma del codice penale nella versione della legge n. 251/2005. Come menzionato in precedenza (80), sembrano sussistere senz’altro, nel diritto italiano, stando alle informazioni fornite dalla Commissione in udienza, illeciti penali – anche nel settore della criminalità economica –, non soggetti ad alcun termine assoluto di prescrizione.
126. In alternativa, sarebbe ipotizzabile un ricorso ai termini di prescrizione per reati fiscali, prolungati di un terzo, oggetto del frattempo di una nuova disciplina (81), come risultano adesso in Italia dalla legge n. 148/2011 (82). Infine, verrebbe in considerazione anche la possibilità di continuare a ritenere applicabili al caso in esame le norme sulla prescrizione precedentemente in vigore, quali risultavano dal codice penale nella sua versione prima della legge n. 251/2005.
127. Quale di queste diverse strade debba essere percorsa è, in definitiva, una questione attinente al diritto nazionale e alla sua interpretazione, la cui valutazione incombe unicamente al giudice nazionale. Sotto il profilo del diritto dell’Unione occorre unicamente aver cura che la soluzione accolta venga trovata nell’ambito di un procedimento equo (articolo 47, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali e articolo 6, paragrafo 1, prima frase, CEDU) in maniera non discriminatoria, e che la stessa poggi su criteri chiari, comprensibili, nonché generalmente applicabili.
VII – Conclusione
128. Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di risolvere come segue le questioni poste dal Tribunale di Cuneo:
1) Gli articoli 4, paragrafo 3, TUE e 325 TFUE, il regolamento (CE, Euratom) n. 2988/95 e la direttiva 2006/112/CE devono essere interpretati nel senso che essi obbligano gli Stati membri a prevedere sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive per irregolarità commesse nel settore dell’IVA.
2) L’articolo 2, paragrafo 1, della convenzione relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee, firmata a Lussemburgo il 26 luglio 1995, obbliga gli Stati membri a punire frodi nel settore dell’IVA tramite sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive che comprendano, almeno nei casi di frode grave, pene privative della libertà.
3) Una normativa nazionale sulla prescrizione dei reati, la quale, per motivi sistemici, comporta in numerosi casi la non punibilità dei responsabili di frodi nel settore dell’IVA, è incompatibile con i summenzionati precetti del diritto dell’Unione. Una siffatta normativa deve essere disapplicata dai giudici nazionali in procedimenti penali pendenti.
1 – Lingua originale: il tedesco.
2 – V. articolo 2, paragrafo 1, lettera b) della decisione 2007/436/CE, Euratom del Consiglio del 7 giugno 2007, relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunità europee (GU L 163, pag. 17); in prosieguo: la «decisione sulle risorse proprie».
3 – Sentenza Berlusconi e a. (C‑387/02, C‑391/02 e C‑403/02, EU:C:2005:270).
4 – Regolamento (CE, Euratom) n. 2988/95 del Consiglio del 18 dicembre 1995, relativo alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità (GU L 312, pag. 1).
5 – Convenzione relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee, firmata a Lussemburgo il 26 luglio 1995 (GU C 316, pag. 49). L’abbreviazione «PIF» sta per il corrispondente francese dell’espressione «tutela degli interessi finanziari» («protection des intérêts financiers»).
6 – Direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (GU L 347, pag. 1).
7 – GU 1995, C 316, pag. 48.
8 – Trattato sull’Unione europea nella versione del Trattato di Maastricht.
9 – Codice penale.
10 – GURI del 7 dicembre 2005, n. 285.
11 – [La nota riporta la traduzione tedesca del termine «decreto legislativo»; N.d.T.].
12 – Il D.Lgs. 74/2000 reca il titolo «Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto» ed è pubblicato in GURI del 31 marzo 2000, n. 76.
13 – In italiano: «imprese cartiere»; con tale espressione si intendono società dedite esclusivamente all’emissione di documentazione fiscale volta a frodare il fisco.
14 – [La nota riporta il termine italiano – lingua processuale – «udienza preliminare»; N.d.T.].
15 – Il Tribunale di Mondovì era stato nel frattempo accorpato al Tribunale di Cuneo.
16 – Giudice dell’Udienza Preliminare.
17 – Sono sottratte a tale competenza pregiudiziale soltanto determinate parti del diritto dell’Unione facenti parte del settore della politica estera e di sicurezza comune (articolo 24, paragrafo 1, secondo comma, sesta frase, TUE e articolo 275, paragrafo 1, TFUE).
18 – Sentenze Cowan (186/87, EU:C:1989:47, punto 19); Placanica (C‑338/04, C‑359/04 e C‑360/04, EU:C:2007:133, punto 68) e Achughbabian (C‑329/11, EU:C:2011:807, punto 33).
19 – Sentenza Åkerberg Fransson (C‑617/10, EU:C:2013:105, punti 27 e 28).
20 – Trattato sull’Unione europea nella versione del Trattato di Maastricht.
21 – Protocollo n. 36 al Trattato UE e al Trattato FUE (GU 2008, C 115, pag. 322).
22 – In tal senso sentenza Weryński (C‑283/09, EU:C:2011:85, punti 30 e 31).
23 – Protocollo concernente l’interpretazione, in via pregiudiziale, da parte della Corte di giustizia delle Comunità europee, della convenzione relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee, firmata a Bruxelles il 29 novembre 1996 (GU 1997, C 151, pag. 1). Come già la convenzione PIF stessa, anche tale protocollo aggiuntivo è stato concluso sul fondamento dell’articolo K.3, paragrafo 2, lettera c), UE ed è entrato in vigore il 17 ottobre 2002.
24 – Trattato sull’Unione europea nella versione del Trattato di Amsterdam.
25 – V., da un lato, la dichiarazione della Repubblica italiana ai sensi dell’articolo 35, paragrafi 2 e 3, lettera b), EU (Comunicazione in GU 1999, L 114, pag. 56) e, dall’altro, la dichiarazione della Repubblica italiana del 19 luglio 2002 in forza del protocollo aggiuntivo alla convenzione PIF, quest’ultima consultabile al sito Internet del Consiglio dell’Unione europea (visitato da ultimo il 20 febbraio 2015): http://www.consilium.europa.eu/fr/documents-publications/agreements-conventions/ratification/?v=decl&aid=1996090&pid=I.
26 – Sentenze Beck e Bergdorf (C‑355/97, EU:C:1999:391, punto 22); Régie Networks (C‑333/07, EU:C:2008:764, punto 46) e Križan e a. (C‑416/10, EU:C:2013:8, punto 54).
27 – Sentenze Bosman (C‑415/93, EU:C:1995:463, punto 61); Beck e Bergdorf (C‑355/97, EU:C:1999:391, punto 22); Régie Networks (C‑333/07, EU:C:2008:764, punto 46), nonché Križan e a. (C‑416/10, EU:C:2013:8, punti 53 e 54).
28 – V. in particolare le sentenze Berlusconi e a. (C‑387/02, C‑391/02 e C‑403/02, EU:C:2005:270), nonché Åkerberg Fransson (C‑617/10, EU:C:2013:105).
29 – V., in tal senso, la sentenza Berlusconi e a. (C‑387/02, C‑391/02 e C‑403/02, EU:C:2005:270) e l’ordinanza Mulliez e a. (C‑23/03, C‑52/03, C‑133/03, C‑337/03 e C‑473/03, EU:C:2006:285), nelle quali la Corte non ha esaminato le eccezioni di irricevibilità sollevate dalle diverse parti nel procedimento, bensì ha risolto immediatamente nel merito le questioni pregiudiziali.
30 – V. al riguardo infra, paragrafi da 57 a 72 delle presenti conclusioni.
31 – Analogamente, la Corte, nella sentenza E e F (C‑550/09, EU:C:2010:382), ha risposto alla domanda di pronuncia pregiudiziale di un giudice tedesco, parimenti chiamato a statuire sul fondamento di un atto di accusa della procura sull’avvio del procedimento penale. V. inoltre – più in generale – le sentenze AGM-COS.MET (C‑470/03, EU:C:2007:213, punto 45) e Coleman (C‑303/06, EU:C:2008:415, punti da 28 a 32).
32 – Sentenze Asjes e a. (da 209/84 a 213/84, EU:C:1986:188, punti 71 e 72); Vlaamse Reisbureaus (311/85, EU:C:1987:418, punto 10); Cipolla e a. (C‑94/04 e C‑202/04, EU:C:2006:758, punti 46 e 47), nonché API e a. (da C‑184/13 a C‑187/13, C‑194/13, C‑195/13 e C‑208/13, EU:C:2014:2147, punti 28 e 29).
33 – In tal senso sentenze Germania/Commissione (C‑156/98, EU:C:2000:467, punto 22); Commissione/Government of Gibraltar e Regno Unito (C‑106/09 P e C‑107/09 P, EU:C:2011:732, punti 72 e 73); 3M Italia (C‑417/10, EU:C:2012:184, punti da 41 a 44), nonché P (C‑6/12, EU:C:2013:525, punto 18).
34 – V. al riguardo infra, paragrafi da 74 a 121 delle presenti conclusioni.
35 – Quest’ultima circostanza viene sottolineata dalla sentenza Caja de Ahorros y Monte de Piedad de Madrid (C‑484/08, EU:C:2010:309, punto 46), in relazione al principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza, parimenti sancito all’articolo 119 TFUE.
36 – Analogamente la sentenza Échirolles Distribution (C‑9/99, EU:C:2000:532, punto 25), a sua volta con riferimento al principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza, sancito all’articolo 119 TFUE.
37 – Sentenze Franzén (C‑189/95, EU:C:1997:504, punto 79) e Belgian Electronic Sorting Technology (C‑657/11, EU:C:2013:516, punto 28), nonché ordinanza Szabó (C‑204/14, EU:C:2014:2220, punto 16).
38 – Sentenze Alsatel (247/86, EU:C:1988:469, punti 7 e 8) e Hennen Olie (C‑302/88, EU:C:1990:455, punto 20); v. inoltre, recentemente, le conclusioni dell’avvocato generale Mengozzi nella causa Wagner-Raith (C‑560/13, EU:C:2014:2476, paragrafi da 16 a 48).
39 – Sentenze SARPP (C‑241/89, EU:C:1990:459, punto 8); Ritter-Coulais (C‑152/03, EU:C:2006:123, punto 29); Promusicae (C‑275/06, EU:C:2008:54, punto 42); Aventis Pasteur (C‑358/08, EU:C:2009:744, punto 50), nonché Centre public d’action sociale d’Ottignies-Louvain-La-Neuve (C‑562/13, EU:C:2014:2453, punto 37).
40 – Sentenze Commissione/Grecia (68/88, EU:C:1989:339, punto 24); Berlusconi e a. (C‑387/02, C‑391/02 e C‑403/02, EU:C:2005:270, punto 65); Adeneler e a. (C‑212/04, EU:C:2006:443, punto 94), nonché Fiamingo e a. (C‑362/13, C‑363/13 e C‑407/13, EU:C:2014:2044, punti 62 e 64).
41 – Sentenze Commissione/Grecia (68/88, EU:C:1989:339, punti 23 e 24) e Berlusconi e a. (C‑387/02, C‑391/02 e C‑403/02, EU:C:2005:270, punti 64 e 65); nello stesso senso sentenza SGS Belgium e a. (C‑367/09, EU:C:2010:648, punto 41).
42 – Sentenza Åkerberg Fransson (C‑617/10, EU:C:2013:105, punti 25 e 36).
43 – Articolo 2, paragrafo 1, lettera b) della decisione sulle risorse proprie; v., a titolo integrativo, sentenze Commissione/Italia (C‑132/06, EU:C:2008:412, punto 39) e Belvedere Costruzioni (C‑500/10, EU:C:2012:186, punto 22), nonché la sentenza Commissione/Germania (C‑539/09, EU:C:2011:733, punti 71 e 72).
44 – Sentenza Åkerberg Fransson (C‑617/10, EU:C:2013:105, punti 26 e 36).
45 – V. al riguardo infra, paragrafi da 92 a 105 delle presenti conclusioni.
46 – Sentenza Åkerberg Fransson (C‑617/10, EU:C:2013:105, punto 34). Gli Stati membri restano liberi di ricorrere a sanzioni penali, ai sensi dell’articolo 6 del regolamento n. 2988/95.
47 – In tal senso – pur se in un altro contesto – sentenze von Colson e Kamann (14/83, EU:C:1984:153, punto 28); Adeneler e a. (C‑212/04, EU:C:2006:443, punti da 102 a 104), nonché Fiamingo e a. (C‑362/13, C‑363/13 e C‑407/13, EU:C:2014:2044, punto 61 in fine).
48 – In tal senso già le mie conclusioni nella causa Berlusconi e a. (C‑387/02, C‑391/02 e C‑403/02, EU:C:2004:624, paragrafo 91).
49 – V. al riguardo, di nuovo, le mie conclusioni nella causa Berlusconi e a. (C‑387/02, C‑391/02 e C‑403/02, EU:C:2004:624, paragrafo 107).
50 – V. le mie conclusioni nella causa Berlusconi e a. (C‑387/02, C‑391/02 e C‑403/02, EU:C:2004:624, paragrafo 108).
51 – Tale possibilità è prevista a favore degli Stati membri dall’articolo 6 del regolamento n. 2988/95.
52 – Sentenza Belvedere Costruzioni (C‑500/10, EU:C:2012:186, punto 28).
53 – Sentenza Commissione/Italia (C‑132/06, EU:C:2008:412, punti da 43 a 47 e 52).
54 – Analogamente le mie conclusioni nella causa Berlusconi e a. (C‑387/02, C‑391/02 e C‑403/02, EU:C:2004:624, paragrafo 110).
55 – Relazione esplicativa della convenzione sulla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee, approvata dal Consiglio il 26 maggio 1997 (GU 1997, C 191, pag. 1); v. ivi, in particolare, il commento all’articolo 1, paragrafo 1, della convenzione (GU 1997, C 191, pag. 4, ultimo capoverso).
56 – Secondo il governo tedesco, solo una proposta normativa della Commissione ancora pendente porterebbe ad includere l’IVA nella cerchia dei beni per i quali il diritto dell’Unione impone agli Stati membri l’introduzione di sanzioni penali: proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla tutela penale degli interessi finanziari della Comunità, COM(2001), 272 def. (GU C 240 E, pag. 125).
57 – Sentenze Antonissen (C‑292/89, EU:C:1991:80, punto 18); Skov e Bilka (C‑402/03, EU:C:2006:6, punto 42) e Quelle (C‑404/06, EU:C:2008:231, punto 32).
58 – V., al riguardo, i passaggi della relazione esplicativa in GU 1997, C 191, pag. 4, ultimo paragrafo.
59 – Articolo 2, paragrafo 1, lettera b) della decisione sulle risorse proprie.
60 – Sentenze Commissione/Germania (C‑539/09, EU:C:2011:733, punto 72) e Åkerberg Fransson (C‑617/10, EU:C:2013:105, punto 26).
61 – Primo e secondo considerando dell’atto del Consiglio che stabilisce la convenzione PIF (GU 1995, C 316, pag. 48).
62 – Sentenza Commissione/Belgio (C‑437/04, EU:C:2007:178, punto 56 in fine).
63 – V. supra, paragrafi da 86 a 90 delle presenti conclusioni.
64 – Parere 1/09 (EU:C:2011:123, punto 68); in maniera specifica per le direttive v. inoltre, ex plurimis, sentenza Kücükdeveci (C‑555/07, EU:C:2010:21, punto 48).
65 – Sull’interpretazione conforme al diritto primario v. sentenze Murphy e a. (157/86, EU:C:1988:62, punto 11) e ITC (C‑208/05, EU:C:2007:16, punto 68); sull’interpretazione conforme al diritto derivato v. sentenze Marleasing (C‑106/89, EU:C:1990:395, punto 8); Pfeiffer e a. (da C‑397/01 a C‑403/01, EU:C:2004:584, punto 113); Dominguez (C‑282/10, EU:C:2012:33, punto 24) e Asociaţia Accept (C‑81/12, EU:C:2013:275, punto 71).
66 – Sentenze Pfeiffer e a. (da C‑397/01 a C‑403/01, EU:C:2004:584, punti da 115 a 119); Adeneler e a. (C‑212/04, EU:C:2006:443, punto 111); Dominguez (C‑282/10, EU:C:2012:33, punto 27), Association de médiation sociale (C‑176/12, EU:C:2014:2, punto 38) e Schoenimport «Italmoda» Mariano Previti (C‑131/13, C‑163/13 e C‑164/13, EU:C:2014:2455, punto 52); analogamente già la sentenza von Colson e Kamann (14/83, EU:C:1984:153, punto 28: «in tutti i casi in cui il diritto nazionale gli attribuisce un margine discrezionale»).
67 – Sentenza Association de médiation sociale (C‑176/12, EU:C:2014:2, punto 39); v. inoltre sentenze Kolpinghuis Nijmegen (80/86, EU:C:1987:431, punto 13) e Adeneler e a. (C‑212/04, EU:C:2006:443, punto 110).
68 – Sentenze Simmenthal (106/77, EU:C:1978:49, punti 21 e 24), Melki e Abdeli (C‑188/10 e C‑189/10, EU:C:2010:363, punto 43) e Åkerberg Fransson (C‑617/10, EU:C:2013:105, punto 45).
69 – Sentenze Advocaten voor de Wereld (C‑303/05, EU:C:2007:261, punto 49) e Intertanko e a. (C‑308/06, EU:C:2008:312, punto 70).
70 – Sentenze X (14/86, EU:C:1987:275, punto 20); Kolpinghuis Nijmegen (80/86, EU:C:1987:431, punto 13); X (C‑74/95 e C‑129/95, EU:C:1996:491, punto 24); Berlusconi e a. (C‑387/02, C‑391/02 e C‑403/02, EU:C:2005:270, punto 74), nonché Grøngaard e Bang (C‑384/02, EU:C:2005:708, punto 30).
71 – Sentenze Advocaten voor de Wereld (C‑303/05, EU:C:2007:261, punto 50); Intertanko e a. (C‑308/06, EU:C:2008:312, punto 71) e Lafarge/Commissione (C‑413/08 P, EU:C:2010:346, punto 94).
72 – V. al riguardo Corte eur. D.U., sentenza 22 giugno 2000, Coëme e a./Belgio (ricorso n. 32492/96 e a., Recueil des arrêts et décisions 2000-VII, punto 149), e del 17 settembre 2009, Scoppola/Italia (n. 2) (ricorso n. 10249/03, punto 110); si ricollega alla sentenza della Corte eur. D.U. Coëme e a./Belgio: Corte costituzionale italiana, sentenza del 19 luglio 2011, n. 236, punto 15; nello stesso senso già in precedenza il Bundesverfassungsgericht [Corte costituzionale tedesca] (BVerfGE 25, 269, 286 e segg.).
73 – Sul radicamento di tale principio nelle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, nonché nei principi generali del diritto dell’Unione v. inoltre sentenza Berlusconi e a. (C‑387/02, C‑391/02 e C‑403/02, EU:C:2005:270, punti 68 e 69), nonché le mie conclusioni in tale causa (EU:C:2004:624, paragrafi da 155 a 157). Recentemente anche la Corte eur. D.U. ha riconosciuto tale principio nell’ambito dell’articolo 7 CEDU [sentenza del 17 settembre 2009, Scoppola/Italia (n. 2), ricorso n. 10249/03, punti da 105 a 109)].
74 – V. la sentenza Berlusconi e a. (C‑387/02, C‑391/02 e C‑403/02, EU:C:2005:270, punti da 18 a 22), nonché le mie conclusioni in tale causa (EU:C:2004:624, paragrafo 31).
75 – Corte eur. D.U., sentenza del 22 giugno 2000, Coëme e a./Belgio (ricorso n. 32492/96 e a., Recueil des arrêts et décisions 2000-VII, punto 149).
76 – V. al riguardo, sentenze Meridionale Industria Salumi e a. (da 212/80 a 217/80, EU:C:1981:270, punto 9); Pokrzeptowicz-Meyer (C‑162/00, EU:C:2002:57, punto 49); Molenbergnatie (C‑201/04, EU:C:2006:136, punto 31) e Commissione/Spagna (C‑610/10, EU:C:2012:781, punto 45), nonché le mie conclusioni nella causa Commissione/Moravia Gas Storage (C‑596/13 P, EU:C:2014:2438, paragrafi da 28 a 31).
77 – Nel caso dell’imputato Anakiev, i fatti oggetto dell’accusa sono, stando alle informazioni del giudice del rinvio, già prescritti.
78 – Sentenze Arcaro (C‑168/95, EU:C:1996:363, punto 36); X (C‑74/95 e C‑129/95, EU:C:1996:491, punto 23), e Berlusconi e a. (C‑387/02, C‑391/02 e C‑403/02, EU:C:2005:270, punto 73).
79 – V. al riguardo già supra, paragrafi 87 e 88 delle presenti conclusioni.
80 – V. al riguardo supra, paragrafo 81 delle presenti conclusioni.
81 – L’imputato Anakiev ha richiamato questa nuova normativa nel procedimento dinanzi alla Corte.
82 – V. ivi articolo 2, comma 36-vicies semel, lettera l) (GURI del 16 settembre 2011, n. 216).
(fonte “InfoCuria – Giurisprudenza della Corte di giustizia”)
- Reati tributari: l’interruzione della prescrizione è incompatibile con il diritto europeo (nota a conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa C-105/14, 30 aprile 2015)
- Reati tributari: l’interruzione della prescrizione viola il diritto europeo? (nota a Tribunale di Cuneo, 17 gennaio 2014 (ord.), GUP Boetti)