201803.22
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Conclusioni Avvocato Generale Nils Wahl, 22 marzo 2018, causa C-648/16, Fortunata Silvia Fontana contro Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di Reggio Calabria (testo)

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

NILS WAHL

presentate il 22 marzo 2018 (1)

Causa C648/16

Fortunata Silvia Fontana

contro

Agenzia delle Entrate – Direzione provinciale di Reggio Calabria

(Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Commissione tributaria provinciale di Reggio Calabria, Italia)

«Imposta sul valore aggiunto – Sospetta evasione fiscale – Studi di settore – Determinazione dell’IVA dovuta mediante metodi induttivi – Principio di proporzionalità – Principio di neutralità – Sindacato giurisdizionale – Diritto di difesa – Livello probatorio»


1.        Le disposizioni della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (2) e i principi che disciplinano il sistema dell’IVA ostano a una normativa nazionale che consente all’amministrazione di accertare l’imposta dovuta da un contribuente, che si presume non aver dichiarato la totalità dell’IVA, mediante un metodo induttivo basato su studi di settore che stimano i probabili ricavi di determinate categorie di contribuenti?

2.        Questa è, in sintesi, la questione sollevata dal presente procedimento, proposta dalla Commissione tributaria provinciale di Reggio Calabria (Italia).

I.      Contesto normativo

A.      Diritto dell’Unione

3.        Il considerando 59 della direttiva IVA così recita:

«È opportuno che, entro certi limiti e a certe condizioni, gli Stati membri possano adottare o mantenere misure speciali che derogano alla presente direttiva, al fine di semplificare la riscossione dell’imposta o di evitare talune forme di evasione o elusione fiscale».

4.        L’articolo 73 della direttiva IVA così dispone:

«Per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi diverse da quelle di cui agli articoli da 74 a 77, la base imponibile comprende tutto ciò che costituisce il corrispettivo versato o da versare al fornitore o al prestatore per tali operazioni da parte dell’acquirente, del destinatario o di un terzo, comprese le sovvenzioni direttamente connesse con il prezzo di tali operazioni».

5.        L’articolo 242 della direttiva IVA enuncia quanto segue:

«Ogni soggetto passivo deve tenere una contabilità che sia sufficientemente dettagliata per consentire l’applicazione dell’IVA e il suo controllo da parte dell’amministrazione fiscale».

6.        L’articolo 244 della medesima direttiva così dispone:

«Ogni soggetto passivo deve provvedere all’archiviazione di copie delle fatture emesse da lui stesso, dall’acquirente o dal destinatario, oppure in suo nome e per suo conto, da un terzo, nonché delle fatture che ha ricevuto».

7.        Ai sensi dell’articolo 250, paragrafo 1, della direttiva IVA:

«Ogni soggetto passivo deve presentare una dichiarazione IVA in cui figurino tutti i dati necessari per determinare l’importo dell’imposta esigibile e quello delle detrazioni da operare, compresi, nella misura in cui sia necessario per la determinazione della base imponibile, l’importo complessivo delle operazioni relative a tale imposta e a tali detrazioni, nonché l’importo delle operazioni esenti».

8.        L’articolo 273 della direttiva IVA stabilisce quanto segue:

«Gli Stati membri possono stabilire, nel rispetto della parità di trattamento delle operazioni interne e delle operazioni effettuate tra Stati membri da soggetti passivi, altri obblighi che essi ritengono necessari ad assicurare l’esatta riscossione dell’IVA e ad evitare le evasioni, a condizione che questi obblighi non diano luogo, negli scambi tra Stati membri, a formalità connesse con il passaggio di una frontiera.

(…)».

B.      Diritto nazionale

9.        L’articolo 39 del decreto del Presidente della Repubblica del 29 settembre 1973, n. 600/1973 (3), così dispone:

«Per i redditi d’impresa delle persone fisiche l’ufficio [dell’Agenzia delle Entrate] procede alla rettifica:

(…)

d) se l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati risulta dall’ispezione delle scritture contabili e dalle altre verifiche di cui all’articolo 33 ovvero dal controllo della completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni contabili sulla scorta delle fatture e degli altri atti e documenti relativi all’impresa nonché dei dati e delle notizie raccolti dall’ufficio [dell’Agenzia delle Entrate] nei modi previsti dall’articolo 32. L’esistenza di attività non dichiarate o la inesistenza di passività dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti.

(…)».

10.      L’articolo 54 del decreto del Presidente della Repubblica del 26 ottobre 1972, n. 633/1972 (4), stabilisce, in sostanza, che la verifica circa la veridicità delle dichiarazioni IVA può essere effettuata sia tramite una rettifica formale della dichiarazione presentata dall’impresa, sia mediante controllo sostanziale, sulla base delle informazioni e dei dati in possesso dell’amministrazione fiscale o acquisiti dalla stessa attraverso l’esercizio di poteri istruttori.

11.      L’articolo 62 bis del decreto legge del 30 agosto 1993, n. 331 (5), così recita:

«Gli uffici del Dipartimento delle entrate del Ministero delle finanze, sentite le associazioni professionali e di categoria, elaborano (…), in relazione ai vari settori economici, appositi studi di settore al fine di rendere più efficace l’azione accertatrice e di consentire una più articolata determinazione dei coefficienti presuntivi di cui all’articolo 11 del decreto-legge 2 marzo 1989, n. 69 (…). A tal fine gli stessi uffici identificano campioni significativi di contribuenti appartenenti ai medesimi settori da sottoporre a controllo allo scopo di individuare elementi caratterizzanti l’attività esercitata. Gli studi di settore sono approvati con decreti del Ministro delle finanze (…), possono essere soggetti a revisione ed hanno validità ai fini dell’accertamento a decorrere dal periodo di imposta 1995».

12.      L’articolo 62 sexies, terzo comma, del decreto legge n. 331/93 stabilisce quanto segue:

«Gli accertamenti di cui agli articoli 39, primo comma, lettera d), del decreto del Presidente della Repubblica [n. 600/1973] e 54 del decreto del Presidente della Repubblica [n. 633/1972], possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore elaborati ai sensi dell’articolo 62-bis del presente decreto».

13.      L’articolo 10 della legge dell’8 maggio 1998, n. 146 (6), così dispone:

«1. Gli accertamenti basati sugli studi di settore (…) sono effettuati nei confronti dei contribuenti con le modalità di cui al presente articolo qualora l’ammontare dei ricavi o compensi dichiarati risulta inferiore all’ammontare dei ricavi o compensi determinabili sulla base degli studi stessi.

(…)

3 bis. Nelle ipotesi di cui al comma 1 l’ufficio [dell’Agenzia delle Entrate], prima della notifica dell’avviso di accertamento, invita il contribuente a comparire, ai sensi dell’articolo 5 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218.

3-ter. In caso di mancato adeguamento ai ricavi o compensi determinati sulla base degli studi di settore, possono essere attestate le cause che giustificano la non congruità dei ricavi o compensi dichiarati rispetto a quelli derivanti dall’applicazione degli studi medesimi. Possono essere attestate, altresì, le cause che giustificano un’incoerenza rispetto agli indici economici individuati dai predetti studi. Tale attestazione è rilasciata, su richiesta dei contribuenti (…).

(…)

5. Ai fini dell’[IVA], all’ammontare dei maggiori ricavi o compensi, determinato sulla base dei predetti studi di settore, si applica, tenendo conto della esistenza di operazioni non soggette ad imposta ovvero soggette a regimi speciali, l’aliquota media risultante dal rapporto tra l’imposta relativa alle operazioni imponibili, diminuita di quella relativa alle cessioni di beni ammortizzabili, e il volume d’affari dichiarato.

(…)

7. Con decreto del Ministro delle finanze è istituita una commissione di esperti, designati dallo stesso Ministro tenuto anche conto delle segnalazioni delle organizzazioni economiche di categoria e degli ordini professionali. La commissione, prima dell’approvazione e della pubblicazione dei singoli studi di settore, esprime un parere in merito alla idoneità degli studi stessi a rappresentare la realtà cui si riferiscono. (…)

(…)».

II.    Fatti, procedimento e questione pregiudiziale

14.      La signora Fortunata Silvia Fontana è stata sottoposta a un procedimento di rettifica fiscale per l’anno 2010, comprensivo, fra l’altro, dell’IVA.

15.      L’Agenzia delle Entrate (Italia) le ha notificato, il 14 maggio 2014, un invito a comparire dinanzi ad essa, che ha condotto all’instaurazione di un contraddittorio procedimentale nell’ambito del quale la signora Fontana ha depositato memorie e prodotto documenti volti a confutare le determinazioni presuntive di maggiori ricavi rispetto a quanto dichiarato. L’ufficio, tuttavia, non ha ritenuto convincenti le argomentazioni e la documentazione prodotta e, il 24 dicembre 2014, ha notificato alla signora Fontana un avviso di accertamento relativo all’anno 2010 e concernente, fra l’altro, IVA non versata.

16.      Il procedimento di accertamento fiscale scaturiva dall’applicazione alla signora Fontana dello studio di settore relativo alla categoria dei commercialisti.

17.      La ricorrente ha instaurato un procedimento dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Reggio Calabria contestando, fra l’altro, l’importo dell’IVA arretrata richiesto dall’ufficio dell’Agenzia delle Entrate. In particolare, essa ha affermato che l’ufficio aveva erroneamente applicato alla sua situazione lo studio di settore relativo ai commercialisti, anziché lo studio relativo all’attività dei consulenti del lavoro, attività che la signora Fontana riteneva costituire la propria occupazione prevalente. Inoltre, essa ha sostenuto che l’importo dell’IVA richiesto dall’ufficio era stato determinato unicamente sulla base di uno studio di settore, che non considerava le attività economiche da questa concretamente svolte.

18.      Nutrendo dubbi quanto alla corretta interpretazione del diritto dell’Unione, il giudice del rinvio ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«se è o meno compatibile con gli articoli 113 e 114 TFUE nonché con la [direttiva IVA] la normativa nazionale italiana costituita dagli articoli 62 sexies comma 3 e 62 bis del [decreto legge n. 331/1993], convertito in legge 29 ottobre 1993, n. 427, nella parte in cui consente l’applicazione dell’IVA ad un volume d’affari globale induttivamente accertato, sotto il profilo del rispetto della detrazione e dell’obbligo di rivalsa e, più in generale, in relazione al principio di neutralità e traslazione dell’imposta».

19.      Il governo italiano e la Commissione hanno presentato osservazioni scritte. Hanno inoltre presentato osservazioni orali nel corso dell’udienza del 18 gennaio 2018.

III. Analisi

20.      Attraverso la sua domanda, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se le disposizioni della direttiva IVA e i principi che disciplinano il sistema dell’IVA debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale, quale quella di cui al procedimento principale, che consente all’amministrazione di accertare l’imposta dovuta da un contribuente, che si presume non aver dichiarato la totalità dell’IVA, mediante un metodo induttivo basato su studi di settore che stimano i probabili ricavi di determinate categorie di contribuenti.

21.      A quanto mi risulta, ad oggi la Corte non ha mai esaminato la compatibilità di una normativa nazionale simile a quella di cui al procedimento principale con le regole e i principi che disciplinano il sistema dell’IVA. Purtroppo, nonostante il fatto che tale normativa possieda una serie di caratteristiche specifiche, il giudice del rinvio non offre molti chiarimenti in merito alla possibile incompatibilità con le regole e i principi del sistema dell’IVA.

22.      Ad ogni modo, sulla base dell’ordinanza di rinvio, sembrerebbe che i dubbi del giudice del rinvio riguardino principalmente una possibile violazione dei principi di proporzionalità e neutralità fiscale, sottesi alla direttiva IVA. In particolare, il giudice del rinvio si chiede se un sistema in cui l’IVA che il contribuente è tenuto a versare non è determinata in base alle singole operazioni da questi poste in essere, bensì calcolata in riferimento al volume d’affari globale presunto, incida negativamente sulla possibilità, per il contribuente, da un lato, di detrarre l’IVA pagata a monte e, dall’altro lato, di «traslare» l’IVA a valle sui propri clienti. In particolare, il giudice del rinvio evidenzia che il soggetto passivo rimane inciso dall’imposta per l’intero ammontare che l’amministrazione fiscale reputa dovuto, inclusa l’aliquota che avrebbe dovuto fatturare ai propri clienti.

23.      In tale contesto, considerata la già ricordata brevità della decisione di rinvio e le osservazioni non particolarmente dettagliate del governo italiano, concentrerò la mia analisi su tali specifiche questioni, tralasciando altri elementi che non sono stati espressamente portati all’attenzione della Corte e, conseguentemente, discussi dalle parti.

24.      Prima di esaminare le suddette questioni, tuttavia, reputo utile offrire una descrizione sintetica del funzionamento della normativa nazionale di cui al procedimento principale.

A.      Gli studi di settore

25.      A quanto mi risulta, gli studi di settore oggetto del procedimento principale sono preparati e approvati dal Ministero delle finanze italiano, dopo aver consultato le associazioni professionali e di categoria.

26.      Tali studi sono elaborati sulla base di analisi economiche e tecniche statistico-matematiche e sono utilizzati per stimare i probabili ricavi di determinate categorie di contribuenti. Ciò avviene attraverso l’individuazione della capacità potenziale di tali categorie di contribuenti di produrre ricavi, alla luce di fattori interni ed esterni che possono incidere su tale capacità (quali gli orari di attività, la situazione del mercato, ecc.). Più concretamente, gli studi di settore sono preparati rilevando, per ogni categoria, le relazioni esistenti tra le variabili contabili e quelle strutturali, sia interne (il processo produttivo, l’area di vendita, ecc.) che esterne all’azienda (l’andamento della domanda, il livello dei prezzi, la concorrenza). Gli studi di settore tengono conto, inoltre, delle caratteristiche dell’area territoriale in cui operano i contribuenti.

27.      Gli studi di settore possono essere utilizzati dai contribuenti quali parametri di riferimento nella fase di presentazione delle dichiarazioni all’amministrazione fiscale e sono altresì utilizzati da quest’ultima a fini di controllo. Lo studio di settore applicabile a una determinata situazione è lo studio relativo all’«attività prevalente» del contribuente, ossia l’attività che ha generato, nel corso del periodo rilevante, il maggiore ammontare di ricavi.

B.      Contesto generale

28.      Dopo aver illustrato le caratteristiche principali della normativa nazionale in oggetto, reputo utile richiamare brevemente le disposizioni di diritto dell’Unione rilevanti, così come la giurisprudenza della Corte relativa a tali disposizioni. Infatti, in una serie di cause, la Corte ha già chiarito vari aspetti della normativa in materia di IVA che sono importanti nell’ambito del presente procedimento.

1.      Il ruolo dei contribuenti e la base imponibile

29.      In primo luogo, è opportuno sottolineare che il principio base del sistema dell’IVA prevede che l’imposta gravi esclusivamente sul consumatore finale. Di conseguenza la base imponibile dell’IVA che deve essere riscossa dall’amministrazione fiscale non può essere superiore al corrispettivo pagato dal consumatore finale e sul quale è stata calcolata l’IVA dovuta, in ultima analisi, da tale consumatore. Infatti, i soggetti passivi non sono assoggettati all’IVA. L’unico obbligo imposto ai soggetti passivi, quando intervengono nel processo di produzione e di distribuzione precedente alla fase di imposizione finale, è la riscossione dell’imposta, in ciascuna fase di questo processo, per conto dell’amministrazione fiscale, alla quale la restituiscono (7).

30.      L’articolo 73 della direttiva IVA stabilisce che, per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi, la base imponibile comprende tutto ciò che costituisce il corrispettivo versato o da versare al fornitore o al prestatore per tali operazioni da parte dell’acquirente (8). Tale corrispettivo rappresenta, dunque, il valore soggettivo, ossia il valore realmente percepito e non un valore stimato secondo criteri oggettivi (9). Se l’amministrazione fiscale riscuotesse un importo superiore all’imposta effettivamente pagata dal consumatore finale, non verrebbe rispettato il principio della neutralità dell’IVA nei confronti dei soggetti passivi (10).

31.      Al fine di garantire la totale neutralità del sistema nei confronti dei soggetti passivi interessati, la direttiva IVA prevede un sistema di detrazioni mirante a esonerare il soggetto passivo da qualsiasi indebito onere di IVA. Un elemento di base del sistema dell’IVA consiste nel fatto che, ad ogni operazione, l’IVA è dovuta solo previa detrazione dell’ammontare dell’imposta che ha gravato direttamente sul costo dei vari elementi costitutivi del prezzo dei beni e dei servizi (11).

2.      Gli obblighi dei soggetti passivi

32.      In secondo luogo, a norma dell’articolo 242 della direttiva IVA, ogni soggetto passivo deve tenere una contabilità che sia sufficientemente dettagliata per consentire l’applicazione dell’IVA e il suo controllo da parte dell’amministrazione fiscale. L’articolo 244 di tale direttiva esige, inoltre, che ogni soggetto passivo provveda all’archiviazione di copie delle fatture da esso emesse e ricevute. Inoltre, ai sensi dell’articolo 250, paragrafo 1, della medesima direttiva, ogni soggetto passivo deve presentare una dichiarazione IVA in cui figurino tutti i dati necessari per determinare l’importo dell’imposta dovuta allo Stato.

33.      Come più volte statuito dalla Corte, dall’articolo 2, dall’articolo 250, paragrafo 1 e dall’articolo 273 della direttiva IVA, nonché dall’articolo 4, paragrafo 3, TUE, discende, in capo ad ogni Stato membro, l’obbligo di adottare tutte le misure legislative e amministrative atte a garantire che l’IVA dovuta sia interamente riscossa nel suo territorio e a prevenire l’evasione. Il comportamento fraudolento del soggetto passivo, quale l’occultamento di cessioni e di entrate, non può ostacolare la riscossione dell’IVA. In tal caso, le autorità degli Stati membri sono tenute ad agire al fine di ripristinare la situazione quale sarebbe sussistita in assenza di evasione fiscale (12).

34.      Inoltre, la Corte ha dichiarato che l’articolo 273 della direttiva IVA, al di fuori dei limiti da esso fissati, non precisa né le condizioni, né gli obblighi che gli Stati membri possono prevedere e, dunque, conferisce agli Stati membri un margine discrezionale circa i mezzi idonei a raggiungere gli obiettivi sopra ricordati. Tuttavia, i provvedimenti che gli Stati membri possono adottare, in forza dell’articolo 273 della direttiva IVA, per assicurare l’esatta riscossione dell’imposta e prevenire l’evasione non devono eccedere quanto necessario a conseguire siffatti obiettivi (proporzionalità) e non devono compromettere la neutralità dell’IVA (13).

35.      Gli stessi principi trovano applicazione con riguardo alle sanzioni che gli Stati membri possono imporre nel caso di violazione di obblighi discendenti dalla normativa sull’IVA. In assenza di un sistema di sanzioni nella direttiva IVA, gli Stati membri conservano la competenza a individuare le sanzioni che reputano appropriate. Tuttavia, essi sono tenuti ad esercitare tale competenza nel rispetto del diritto dell’Unione e dei suoi principi generali. In particolare, siffatte sanzioni non possono violare il principio di proporzionalità (14), né compromettere la neutralità dell’IVA (15).

C.      Le questioni sollevate nel presente procedimento

36.      È nell’ambito di tale contesto che esaminerò le questioni sollevate dal presente procedimento. Tuttavia, valuterò esclusivamente se una normativa che consente all’amministrazione fiscale di accertare l’imposta dovuta da un contribuente – che si presume non aver dichiarato la totalità dell’IVA – mediante un metodo induttivo basato su studi di settore si ponga in contrasto, di per sé, con i principi di proporzionalità e neutralità fiscale.

37.      Infatti, in ragione della ripartizione di competenze fra la Corte di giustizia e i giudici nazionali, spetta a questi ultimi stabilire, alla luce delle indicazioni offerte dalla prima, se l’applicazione concreta di siffatta normativa a un caso specifico possa determinare una violazione di tali principi, tenuto conto di tutte le circostanze del procedimento principale (16).

1.      Principio di proporzionalità

38.      Per quanto concerne il principio di proporzionalità, esporrò nel prosieguo le ragioni per cui ritengo che un sistema quale quello previsto dalla normativa nazionale in oggetto non ecceda quanto necessario ad assicurare che l’IVA dovuta sia interamente riscossa e a prevenire l’evasione.

39.      Anzitutto, è necessario ricordare che, in caso di frode o evasione fiscale, l’amministrazione fiscale può – e si può sostenere che debba – disattendere le dichiarazioni IVA inesatte presentate da un contribuente e, ove necessario, discostarsi dalle risultanze della contabilità da questi tenuta. L’amministrazione fiscale è tenuta a calcolare l’importo dell’IVA dovuta dal contribuente sulla base delle operazioni da questi effettivamente poste in essere, anche nell’ipotesi in cui non siano state emesse fatture e le operazioni in questione non risultino dalla contabilità.

40.      A mio avviso, al fine di combattere efficacemente l’evasione fiscale derivante dall’«economia sommersa», l’amministrazione fiscale potrebbe spesso aver bisogno di ricorrere a metodi induttivi o a una serie di presunzioni, nello stimare i risultati economici di contribuenti sospettati di aver commesso errori o illeciti. In particolare, quando non esistono tracce documentali da seguire per ricostruire la realtà, sembra pressoché inevitabile che, a volte, l’amministrazione fiscale si basi, in prima battuta, su fatti che, tenendo in considerazione tutte le circostanze pertinenti, appaiono molto probabili.

41.      A mio giudizio, non vi è alcuna ragione per cui l’amministrazione fiscale, in siffatto contesto, non dovrebbe fare uso di dati statistici ed economici per elaborare parametri realistici e individuare possibili anomalie. La scelta di usare uno strumento quale gli studi di settore, al fine di individuare i contribuenti che potrebbero non aver dichiarato la totalità dell’IVA e di valutare gli importi eventualmente esigibili appare, dunque, rientrare nel margine di discrezionalità che la direttiva IVA riconosce agli Stati membri per assicurare la riscossione dell’IVA per intero e prevenire l’evasione.

42.      Tuttavia, è quasi superfluo notare che l’accertamento definitivo da parte dell’amministrazione fiscale relativamente a qualunque importo esigibile deve rispecchiare fedelmente la realtà dei risultati economici del contribuente. In altri termini, qualsiasi rettifica effettuata dall’amministrazione fiscale deve, ovviamente, essere intrinsecamente corretta. A tal fine, se è stato utilizzato un metodo induttivo per stimare il fatturato di un contribuente, siffatto metodo deve essere in grado di condurre a risultati veritieri. Più specificamente, se si utilizzano studi di settore per elaborare determinate ipotesi, è necessario che tali studi siano accurati, attendibili e aggiornati.

43.      Infatti, come già ricordato, al di là delle sanzioni che possono essere legittimamente irrogate in caso di frode o evasione, l’amministrazione fiscale non può esigere, in qualità di IVA non dichiarata, importi superiori a quelli che il soggetto passivo ha ricevuto (o avrebbe dovuto ricevere) dai suoi clienti. L’amministrazione fiscale non può confondere il recupero dell’IVA non versata con l’imposizione di sanzioni per violazione delle regole in materia di IVA. Si tratta di strumenti distinti, di natura e con funzioni differenti (17).

44.      Pertanto, quando non sussistono dati precisi relativi alle operazioni imponibili, gli Stati membri devono ricorrere a strumenti procedurali che concilino l’esigenza di consentire l’individuazione di IVA non dichiarata e di facilitarne il calcolo con la necessità che gli importi chiesti in quanto non versati siano il più possibile prossimi, e non superiori, a quelli previsti dall’articolo 73 della direttiva IVA (18). Tale impostazione risulta confermata dal considerando 59 della direttiva IVA, che riconosce espressamente la discrezionalità di cui gli Stati membri godono, entro certi limiti e a determinate condizioni, nell’adozione di misure volte a semplificare la riscossione dell’imposta e a evitare l’evasione o l’elusione fiscale.

45.      Alla luce di tale contesto, una normativa nazionale che consentisse all’amministrazione fiscale di determinare l’esistenza di IVA non dichiarata e il relativo importo unicamente (o prevalentemente) sulla base di presunzioni scaturenti da incongruenze tra i ricavi dichiarati dal contribuente e i ricavi stimati sulla base di uno studio di settore, non mi sembra in grado di stabilire un giusto equilibrio fra tali esigenze. Da un lato, un simile sistema semplificherebbe indubbiamente il compito dell’amministrazione fiscale di riscuotere le imposte ed evitare l’evasione e l’elusione. Dall’altro lato, tuttavia, un tale sistema parrebbe difficilmente in grado di offrire un quadro veritiero della realtà economica relativa a ciascun caso specifico. Dunque, con tutta probabilità, esso darebbe frequentemente adito ad errori, spesso a scapito dei contribuenti. Un simile sistema, pertanto, risulterebbe eccessivo rispetto a quanto necessario per assicurare che l’IVA dovuta sia interamente riscossa e a prevenire l’evasione o l’elusione.

46.      Tuttavia, sulla base degli elementi contenuti nel fascicolo, non risulta che questo sia il caso della normativa oggetto del procedimento principale. Ritengo che vi siano due motivi principali per cui tale normativa non risulta problematica dal punto di vista della proporzionalità.

47.      In primo luogo, la normativa nazionale in oggetto, così come interpretata dai giudici italiani, implica che gli studi di settore si limitino a fornire indizi relativi a una possibile anomalia nelle dichiarazioni di un contribuente. Pertanto, una deviazione significativa rispetto alle risultanze di tali studi non conduce automaticamente ad una decisione sfavorevole da parte dell’amministrazione. Essa può meramente comportare l’apertura di un contraddittorio procedimentale volto a stabilire la reale situazione economica di un contribuente. Di conseguenza, sono la revisione e la «rettifica» di tali risultati alla luce degli elementi addotti dal contribuente che permettono all’amministrazione fiscale di determinare se, in un caso specifico, vi sia stata evasione o elusione d’imposta e di quantificare l’importo dovuto. È importante notare che il coinvolgimento del contribuente interessato nel procedimento amministrativo – in vista del quale deve essere concesso al contribuente un periodo di tempo idoneo a preparare la propria difesa – costituisce, secondo la giurisprudenza nazionale, un requisito procedurale essenziale per la legittimità dell’accertamento da parte dell’amministrazione fiscale (19).

48.      In secondo luogo, le incongruenze tra i dati economici dichiarati da un contribuente e i dati che potrebbero risultare dall’applicazione dello studio di settore non danno luogo a una presunzione legale. Infatti, l’applicazione dello studio di settore ad una situazione concreta può comportare unicamente una presunzione semplice, ai sensi dell’articolo 2729, primo comma, del codice civile italiano. In base a tale disposizione, la valutazione di tali presunzioni è lasciata alla «prudenza del giudice», il quale non deve ammettere che presunzioni «gravi, precise e concordanti».

49.      Pertanto, l’applicazione dello studio di settore a una situazione concreta non produce un’effettiva inversione dell’onere della prova: l’amministrazione fiscale continua ad avere l’onere di provare, nella misura richiesta dalla normativa, qualsiasi violazione asseritamente commessa dal contribuente. L’applicazione dello studio di settore, tuttavia, fa sorgere, in capo al contribuente, l’onere di addurre elementi probatori: questi è tenuto a presentare deduzioni e documentazione di supporto che possano giustificare l’incongruenza fra i suoi risultati e quelli che ci si potrebbe normalmente attendere da una attività similare. A quanto mi risulta, l’amministrazione fiscale è tenuta a tenere in considerazione tali elementi e, qualora non li reputi convincenti, deve chiarire i motivi della propria posizione nella decisione finale. Nell’ipotesi in cui s’instauri un contenzioso, spetterà al giudice valutare liberamente gli elementi addotti da entrambe le parti, senza essere vincolato da alcuna presunzione.

50.      Ciò detto, va tenuto a mente che regole nazionali relative alla riscossione di IVA non dichiarata costituiscono attuazione delle disposizioni della direttiva IVA e, in quanto tali, devono essere interpretate e applicate in conformità con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (nel prosieguo, «la Carta») (20).

51.      A mio avviso, tale aspetto riveste una notevole importanza nella presente causa. Infatti, una normativa quale quella oggetto del procedimento principale accresce, in maniera non marginale, i poteri dell’amministrazione nei confronti dei contribuenti. All’amministrazione è permesso, con riguardo a singoli contribuenti, elaborare determinate ipotesi formulate prima facie, ricorrendo a dati statistici ed economici che non riguardano tali contribuenti. A mio avviso, affinché un simile sistema possa essere considerato proporzionato, è necessario un rigoroso rispetto degli articoli 47 («Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale») e 48 («Presunzione di innocenza e diritti della difesa») della Carta.

52.      Ciò significa, in primo luogo, che, prima che l’amministrazione fiscale adotti un provvedimento che inciderà negativamente su un contribuente, tale soggetto deve essere messo in condizione di manifestare utilmente il proprio punto di vista in merito alle informazioni sulle quali l’amministrazione intende fondare la sua decisione. A tale soggetto deve essere concesso tempo sufficiente per preparare la propria difesa (21). In secondo luogo, qualunque accertamento effettuato dall’amministrazione fiscale deve poter essere oggetto di impugnazione dinanzi a un giudice in grado di esaminare tutte le questioni di fatto e di diritto invocate da tale soggetto.

53.      A tal riguardo, per quanto concerne l’applicazione dello studio di settore, ritengo che un contribuente debba, in particolare, poter contestare tanto la correttezza intrinseca dello studio (22), quanto la sua rilevanza ai fini della valutazione del suo caso specifico (ad esempio, in ragione di elementi presi o meno in considerazione nello studio che possono incidere sulle stime elaborate).

54.      Alla luce di ciò, una questione cruciale è, ovviamente il livello probatorio che il contribuente è tenuto a soddisfare per assolvere il proprio onere di produzione delle prove e per confutare la presunzione semplice derivante dall’applicazione dello studio. A mio avviso, tale livello deve essere funzione degli elementi raccolti dall’amministrazione fiscale che suffragano i risultati dello studio: maggiore è la quantità e l’attendibilità di tali elementi, più elevato sarà il livello richiesto al contribuente per assolvere il suo onere, e viceversa.

55.      Tuttavia, in tale contesto non si dovrebbe ignorare il fatto che qualsiasi attività economica non solo è soggetta a rischi e incertezze, ma può altresì essere pregiudicata da eventi essenzialmente fortuiti. Non tutte le crisi o i risultati negativi di un’impresa possono essere facilmente previsti ex ante e logicamente spiegati ex post (né tantomeno provati, nella misura richiesta dalla normativa, nell’ambito di procedimenti giudiziari). Per confutare una presunzione discendente dall’applicazione di uno studio di settore, il contribuente potrebbe, dunque, essere costretto a provare fatti negativi (quali l’assenza o il numero ridotto di operazioni imponibili in un determinato periodo di tempo) il che, in determinate circostanze, potrebbe rivelarsi un compito piuttosto arduo. Pertanto, il giudice nazionale adito deve tenere in considerazione tale aspetto nella valutazione delle argomentazioni e delle prove addotte dal contribuente per contrastare un accertamento che si fonda, fra l’altro, su uno studio basato su dati statistici ed economici.

56.      Conseguentemente, ritengo che una normativa nazionale quale quella di cui al procedimento principale non si ponga in contrasto, di per sé, con il principio di proporzionalità, purché essa sia applicata in conformità con gli articoli 47 e 48 della Carta.

2.      Il principio di neutralità fiscale

57.      Per quanto riguarda il principio di neutralità fiscale, non ravviso alcun motivo per considerare una normativa nazionale quale quella di cui al procedimento principale in contrasto, di per sé, con tale principio, principalmente per due ragioni.

58.      Da un lato, nulla impedisce a un contribuente che è sottoposto a un accertamento fiscale basato sull’applicazione di uno studio di settore di invocare la detrazione di tutta l’IVA pagata a monte e adeguatamente documentata. In altri termini, non vedo come la possibilità, per l’amministrazione fiscale, di determinare e quantificare l’IVA non dichiarata mediante, fra l’altro, presunzioni derivanti da studi di settore, avrebbe un impatto sul diritto alla detrazione spettante al soggetto passivo.

59.      Tuttavia, discende dai principi summenzionati che l’amministrazione fiscale è tenuta a elaborare un quadro veritiero della situazione economica dei contribuenti e, a prescindere dalle sanzioni che possono essere imposte, non può esigere, in qualità di imposta non versata, un importo superiore a quello effettivamente dovuto.

60.      Dall’altro lato, non mi convince nemmeno l’argomento sollevato nella decisione di rinvio relativo alla «traslazione». In caso di evasione o elusione fiscale, l’IVA dovuta richiesta dall’amministrazione fiscale costituisce la frazione, corrispondente all’aliquota IVA applicabile, del corrispettivo effettivamente ricevuto dal soggetto passivo nel contesto dell’operazione non dichiarata (23).

61.      In ogni caso, in una situazione quale quella di cui al procedimento principale, un contribuente responsabile per frode o evasione non può invocare il principio di neutralità, equiparando la sua situazione a quella di un contribuente che ha debitamente assolto i propri obblighi ai sensi delle regole nazionali e dell’Unione in materia di IVA. Come statuito dalla Corte nella causa Maya Marinova, i soggetti passivi che hanno commesso un’evasione consistente, fra l’altro, nel dissimulare operazioni imponibili ed entrate ad esse relative, non si trovano in una situazione comparabile a quella dei soggetti passivi che rispettano i loro obblighi in materia di contabilità, dichiarazione e pagamento dell’IVA. In tali circostanze, il principio di neutralità fiscale non può essere validamente invocato da un contribuente che abbia intenzionalmente preso parte a un’evasione fiscale e abbia messo in pericolo il funzionamento del sistema comune dell’IVA (24).

62.      Di conseguenza, ritengo che un sistema quale quello delineato dalla normativa nazionale in questione non si ponga in contrasto, di per sé, con il principio di neutralità fiscale.

IV.    Conclusione

63.      In conclusione, suggerisco alla Corte di rispondere alla questione pregiudiziale, sollevata dalla Commissione tributaria provinciale di Reggio Calabria (Italia), nel modo seguente:

I principi di proporzionalità e neutralità fiscale, sottesi alla direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, non ostano a una normativa nazionale che consenta all’amministrazione di accertare l’imposta dovuta da un contribuente, che si presume non aver dichiarato la totalità dell’imposta sul valore aggiunto, mediante un metodo induttivo basato su studi di settore che stimano i probabili ricavi di determinate categorie di contribuenti, purché tale normativa sia applicata in conformità con gli articoli 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

Spetta al giudice del rinvio determinare se la concreta applicazione di tale normativa al caso specifico contrasti con tali principi, tenuto conto di tutte le circostanze di cui al procedimento principale.


1      Lingua originale: l’inglese.


2      In prosieguo: la «direttiva IVA» (GU 2006, L 347, pag. 1).


3      GURI n. 268 del 16 ottobre 1973.


4      GURI n. 292 dell’11 novembre 1972.


5      GURI n. 203 del 30 agosto 1993.


6      GURI n. 110 del 14 maggio 1998.


7      V., in tal senso, sentenza del 24 ottobre 1996, Elida Gibbs (C‑317/94, EU:C:1996:400, punti 19 e 22).


8      V. sentenza del 20 dicembre 2017, Boehringer Ingelheim Pharma (C‑462/16, EU:C:2017:1006, punto 31 e la giurisprudenza ivi citata).


9      V. sentenza del 7 novembre 2013, Tulică e Plavoşin (C‑249/12 e C‑250/12, EU:C:2013:722, punto 33 e la giurisprudenza ivi citata).


10      V., in tal senso, sentenza del 24 ottobre 1996, Elida Gibbs (C‑317/94, EU:C:1996:400, punti 24 e 28).


11      V., in tal senso, sentenza del 24 ottobre 1996, Elida Gibbs (C‑317/94, EU:C:1996:400, punto 23).


12      Sentenza del 5 ottobre 2016, Maya Marinova (C‑576/15, EU:C:2016:740, punti 41 e 42 e la giurisprudenza ivi citata).


13      Ibidem, punti 43 e 44.


14      Sentenza del 19 luglio 2012, Rēdlihs (C‑263/11, EU:C:2012:497, punto 44).


15      Sentenza del 20 giugno 2013, Rodopi-M 91 (C‑259/12, EU:C:2013:414, punto 32).


16      V., in tal senso, sentenze del 28 luglio 2016, Astone (C‑332/15, EU:C:2016:614, punto 36), e del 5 ottobre 2016, Maya Marinova (C‑576/15, EU:C:2016:740, punto 46).


17      V., in tal senso, sentenze del 15 gennaio 2009, K-1 (C‑502/07, EU:C:2009:11, punti 18 e 19); del 19 luglio 2012, Rēdlihs (C‑263/11, EU:C:2012:497, punto 49), e del 9 luglio 2015, Salomie e Oltean (C‑183/14, EU:C:2015:454, punto 52).


18      V., per analogia, sentenze del 10 luglio 2008, Koninklijke Ahold (C‑484/06, EU:C:2008:394, punto 39), e del 5 ottobre 2016, Maya Marinova (C‑576/15, EU:C:2016:740, punto 48).


19      V., in particolare, Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenze n. 26635, 26636, 26637 e 26638 del 18 dicembre 2009 e n. 18184 del 29 luglio 2013.


20      V., in tal senso, sentenza del 26 febbraio 2013, Åkerberg Fransson (C‑617/10, EU:C:2013:105, punto 27).


21      V., in tal senso, sentenza del 3 luglio 2014, Kamino International Logistics e Datema Hellmann Worldwide Logistics (C‑129/13 e C‑130/13, EU:C:2014:2041, punti 30, 33 e 38 e la giurisprudenza ivi citata).


22      Per tale motivo, ritengo indispensabile il massimo grado di trasparenza per quanto concerne le metodologie adottate nella preparazione dello studio, nonché gli elementi e i parametri in esso utilizzati.


23      V. articoli 73, 78, lettera a) e 96 della direttiva IVA.


24      Sentenza del 5 ottobre 2016, Maya Marinova (C‑576/15, EU:C:2016:740, punto 49).