Comm. trib. prov. Roma, sez. XV, 4 maggio 2020 (testo)
Commissione Tributaria Provinciale di Roma, sez. XV, sentenza 13 gennaio – 4 maggio 2020, n. 3168
Presidente/Relatore Genovese
Rilevato che, con ricorso notificato il 9 agosto del 2018, la società SOGEDI-Società Generale Editoriale srl ha impugnato l’invito di pagamento (n. 002569/2018) dell’11 giugno 2018 (notificato dal TAR del Lazio-sede di Roma, a mezzo PEC, il 22 giugno 2018), avente ad oggetto la corresponsione del contributo unificato relativo ad un giudizio svoltosi innanzi al medesimo TAR, e del successivo provvedimento (n. 6516/2018 in data 20 luglio) reiettivo delle deduzioni della società;
che, a tal uopo, la contribuente ha premesso: a) di aver proposto ricorso ex art. 120, comma 2-bis CPA, notificato il 23 settembre 2017, per l’annullamento del provvedimento di sua esclusione dalla gara indetta dalla Presidenza del CM – Dipartimento Informazione e Editoria; b) di aver avuto conoscenza della aggiudicazione definitiva e, perciò, di aver dovuto necessariamente proporre (con atto notificato il 24 ottobre 2017), motivi aggiunti, ai sensi dell’art. 120, co. 7, CPA, pur non potendo in sostanza censurare detto provvedimento, non avendo partecipato alla gara;
che, tuttavia, una volta conclusosi il giudizio la segreteria del TAR Lazio aveva preteso il pagamento della somma di ulteriori Euro 2.000,00 in ragione del secondo ricorso (quello proposto per motivi aggiunti) in quanto, attraverso l’ulteriore impugnazione, si sarebbe ampliato il thema decidendum e l’oggetto della controversia;
che, comunque, l’Ufficio non aveva tenuto presente che l’impugnazione aggiuntiva era necessitata dalla previsione dell’art. 120, co. 7, del CPA a tenore del quale “7. I nuovi atti attinenti la medesima procedura di gara devono essere impugnati con ricorso per motivi aggiunti”, a pena di improcedibilità dello stesso ricorso introduttivo (per tutte Cons. Stato, V, 2458 del 2017 ed altre conff.);
che l’Ufficio ha replicato alle censure ribadendo la propria pretesa, senza aggiungere ulteriori argomentazioni e senza fornire specifiche controdeduzioni alle osservazioni in iure svolte dalla ricorrente.
Considerato che il ricorso è fondato e, pertanto, va accolto;
che, infatti, nella materia de qua il giudice tributario è l’interprete istituzionale della legge, senza che gli possa essere imposta una diversa lettura di essa in base ad una circolare della PA (quand’anche resa da un organo di amministrazione della giurisdizione);
che ciò discende non solo dal principio di diritto secondo cui Le circolari ministeriali in materia tributaria non costituiscono fonte di diritti ed obblighi, sicché, ove il contribuente si sia conformato ad un’interpretazione erronea fornita dall’Amministrazione finanziaria, è esclusa soltanto l’irrogazione delle relative sanzioni e degli interessi, senza alcun esonero dall’adempimento dell’obbligazione tributaria, in base al principio di tutela dell’affidamento, espressamente sancito dall’art. 10, comma 2, della L. n. 212 del 2000 (Sez. 5, Sentenze nn. 2133 del 2002, 19479 del 2009, 3757 del 2012, 10195 del 2016 e Ordinanza n. 18618 del 2019), ma anche dal principio secondo cui La declaratoria della sussistenza dei presupposti per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato ex art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, in ragione dell’integrale rigetto, inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione, non ha natura di condanna – non riguardando l’oggetto del contendere tra le parti in causa – bensì la funzione di agevolare l’accertamento amministrativo; pertanto, tale dichiarazione non preclude la contestazione nelle competenti sedi da parte dell’amministrazione ovvero del privato, ma non può formare oggetto di impugnazione (Cass. Sez. L -, Ordinanza n. 29424 del 2019);
che, quanto al merito della presente controversia, incontestata la narrativa processuale anche da parte dell’Ufficio resistente, va valutata la debenza del CU anche con riguardo al ricorso introdotto per motivi aggiunti in relazione alla vicenda procedimentale successiva, in ragione della disposta aggiudicazione definitiva della gara indetta dalla PA (nella specie: la Presidenza del CM -Dipartimento Informazione e Editoria), dalla quale l’impresa (nella specie: la società) ricorrente era stata esclusa;
che, in sostanza, va riconosciuto che l’impugnazione dell’atto di aggiudicazione era in una qualche misura doverosa, in considerazione del proprio interesse alla prosecuzione del giudizio intrapreso (che – come detto – era quello introdotto per l’annullamento del provvedimento di esclusione dell’impresa dalla gara indetta dalla PA);
che una tale ulteriore impugnativa, in considerazione della ragionevolmente temuta sanzione processuale [di improcedibilità per sopravvenuta carenza d’interesse: Cons. Stato Sez. IV Seni, 2016, n. 2636, secondo cui L’omessa impugnazione dei provvedimenti successivi a quello impugnato, aventi effetti analoghi ed incidenti sulla medesima pretesa del ricorrente, determina l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse (D.Lgs. n. 104/2010, CPA)] in assenza della impugnativa aggiuntiva, non aveva nella sostanza ampliato il proposto thema decidendum che aveva mantenuto sempre il medesimo oggetto: quello attinente alla già proposta doglianza relativa all’esclusione alla gara;
che la parte pubblica non ha al riguardo controdedotto mostrando in cosa e come la ricorrente impresa abbia ampliato il thema decidendum non essendo dubitabile che per portare a termine la propria domanda la società esclusa dalla gara avrebbe dovuto, necessariamente, impugnare anche gli atti successivi in conseguenza della sua mancata partecipazione alla competition volta all’aggiudicazione del contratto;
che, infatti, la moltiplicazione degli atti amministrativi impugnabili, in conseguenza della prima impugnativa, non è ascrivibile al ricorrente, dovendo piuttosto esaminarsi quale sia stata la causa petendi del successivo atto per motivi aggiunti (se cioè essi siano stati la mera conseguenza della prima impugnazione ovvero ad essa si siano aggiunte doglianze di ordine diverso e non perfettamente allineate a quelle originarie);
che, al riguardo, in forza della regula iuris enunciata dalla CGUE nella Sentenza (Quinta Sezione) 6 ottobre 2015, nella causa C-61/14, secondo cui l’articolo 1 della direttiva 89/665, come modificata dalla direttiva 2007/66, nonché i principi di equivalenza e di effettività seppure non ostino né alla riscossione di tributi giudiziari multipli nei confronti di un amministrato che introduca diversi ricorsi giurisdizionali relativi alla medesima aggiudicazione di appalti pubblici né a che tale amministrato sia obbligato a versare tributi giudiziari aggiuntivi per poter dedurre motivi aggiunti relativi alla medesima aggiudicazione di appalti pubblici, nel contesto di un procedimento giurisdizionale in corso, tuttavia, nell’ipotesi di contestazione di una parte interessata, spetta al giudice nazionale esaminare gli oggetti dei ricorsi presentati da un amministrato o dei motivi dedotti dal medesimo nel contesto di uno stesso procedimento onde il giudice nazionale, se accerta che tali oggetti non sono effettivamente distinti o non costituiscono un ampliamento considerevole dell’oggetto della controversia sia pendente, è tenuto a dispensare l’amministrato dall’obbligo di pagamento di tributi giudiziari cumulativi;
che tale giudice nazionale è il giudice tributario (Sez. U, Sentenze nn. 9840 del 2011, 5994 del 2012);
che, nel caso di specie, non può valere la (peraltro, generica) affermazione contenuta nella circolare del Consiglio di Stato del 18 ottobre 2011 (Istruzioni sull’applicazione della disciplina in materia di contributo unificato nel processo amministrativo) secondo la quale: Il risultato ottenuto dalla nuova definizione di “ricorso “, resa dall’art. 13, comma 6-bis. I, del T.U. n. 115 del 2002, è stato di allargare la base imponibile, andando a colpire quegli atti processuali – autonomi rispetto a quello introduttivo del giudizio – che comportino un sostanziale ampliamento del “thema decidendum”, nel duplice senso:
– di estendere l’impugnazione a provvedimenti diversi da quelli già portati all’attenzione del giudice col ricorso introduttivo ovvero di prevedere l’impugnazione di questi ultimi o di atti ad essi strettamente connessi ad opera del controinteressato con ricorso incidentale;
– di introdurre nuove azioni di accertamento o di condanna;
sicché – alla luce di tali premesse – la scelta effettuata dal Legislatore comport(erebbe) che, se il ricorso introduttivo del giudizio contiene una pluralità di “domande” (tutte annullatone, ovvero anche costitutive, di condanna o di accertamento), è dovuto, sempre e comunque, un unico contributo unificato: in via esemplificativa, ciò si verific(herebbe) con l’impugnativa diretta, contestualmente, all’annullamento di un atto amministrativo e alla condanna della P.A. al risarcimento del danno; e diversamente, se la pluralità di domande è il frutto di un ampliamento successivo, operato con i motivi aggiunti, al deposito di tali atti andrà versato un ulteriore contributo unificato;
e che, pertanto, il contributo non (sarebbe) dovuto qualora con i motivi aggiunti venga impugnato l’originario provvedimento per vizi diversi da quelli fatti valere con il ricorso originario;
che, alla luce del diritto Europeo non è affatto condivisibile la regola secondo cui L’individuazione da parte dell’ufficio giudiziario del presupposto d’imposta, in relazione al deposito di “motivi aggiunti”, va effettuata tenendo conto dei seguenti requisiti formali, che devono sussistere congiuntamente:
a) impugnazione di un atto (di qualsivoglia natura e portata sostanziale) “nuovo”, vale a dire non gravato con il ricorso introduttivo del giudizio (….);
b) intestazione dell’atto giudiziario che si va a depositare come “motivi aggiunti”;
c) notifica dello stesso alle controparti;
che, infatti, richiamati i principi sopra esposti sui limiti dell’interpretazione a mezzo di circolare della PA (quand’anche resa in sede di amministrazione della giurisdizione, come nella specie), è rilevante il profilo sostanziale della nuova impugnazione condotta per motivi aggiunti, dovendosi valutare se il nuovo atto oggetto di impugnativa lo sia stato per le stesse sostanziali ragioni (causa petendi) già svolte con il primo mezzo ovvero esse siano state modificate od ampliate;
che nella specie la PA non ha controdedotto, allegato e dimostrato nulla (circa l’eventuale aggiunta di una nuova causa petendi nella richiesta annullatoria conseguente alla proposizione della prima domanda) al riguardo;
che, in conclusione, il ricorso va accolto con la compensazione delle spese processuali per la novità della questione esaminata.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso e annulla l’atto impugnato. Compensa le spese giudiziali tra le parti.