Chi perde paga (l’imposta di registro). Ma dopo tocca a chi vince
La Commissione Finanze del Senato ha approvato, in sede redigente, un disegno di legge che modifica l’art. 57, comma 1, T.U. Registro, prevedendo che, per gli atti depositati a partire dal 1° gennaio 2023, soltanto la parte soccombente è obbligata al pagamento dell’imposta di registro relativa alla sentenza che definisce, anche parzialmente, il giudizio, mentre la responsabilità della parte vincitrice per l’obbligazione tributaria scatta soltanto una volta che sia decorso il termine di sessanta giorni dalla notifica dell’avviso di liquidazione alla parte soccombente senza che l’imposta sia stata da questa interamente assolta.
La Commissione Finanze del Senato ha approvato il disegno di legge (A.S. n. 892) che modifica l’art. 57, comma 1, d.p.r. 26 aprile 1986, n. 131 (“Testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro”, T.U. Registro nel prosieguo), recante la disciplina dei soggetti obbligati al pagamento dell’imposta di registro.
In base al testo oggi vigente, oltre ai pubblici ufficiali, che hanno redatto, ricevuto o autenticato l’atto, e ai soggetti nel cui interesse fu richiesta la registrazione, sono solidalmente obbligati al pagamento dell’imposta le parti contraenti, le parti in causa, coloro che hanno sottoscritto o avrebbero dovuto sottoscrivere le denunce di cui agli articoli 12 e 19 e coloro che hanno richiesto i provvedimenti di cui agli articoli 633, 796, 800 e 825 del codice di procedura civile: ne consegue che, ad oggi, le parti in causa sono obbligate in solido al pagamento dell’imposta di registro relativa alla sentenza che definisce, anche parzialmente, il giudizio e ciò indipendentemente dalle statuizioni concernenti la soccombenza.
La novella ha l’obiettivo di tenere salva la parte vittoriosa dall’onere economico derivante dall’inadempimento della parte soccombente: molto spesso, infatti, la parte soccombente non provvede al pagamento dell’imposta di registro della sentenza e ciò fa sì che ne sia gravata la parte vincitrice.
La versione originaria del disegno di legge in commento prevedeva l’introduzione di un ulteriore periodo così fraseggiato: “Per gli atti dell’autorità giudiziaria in materia di controversie civili che definiscono anche parzialmente il giudizio, il pagamento dell’imposta di registro grava sulla parte soccombente”.
In sede redigente, la Commissione Finanze ha introdotto alcuni emendamenti, riformulando il testo del disegno di legge come segue: “1. Per gli atti dell’autorità giudiziaria che definiscono anche parzialmente giudizi civili, il pagamento dell’imposta grava sulle parti soccombenti e, in via sussidiaria, decorsi sessanta giorni dalla notifica dell’avviso di liquidazione senza che l’imposta sia stata da queste ultime interamente assolta, sulle parti vittoriose. In caso di soccombenza reciproca l’imposta grava solidalmente sulle parti in causa. 2. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano agli atti dell’autorità giudiziaria depositati a partire dal 1° gennaio 2023”. In buona sostanza, per gli atti depositati a partire dal 1° gennaio 2023 si deve distinguere tra due fattispecie:
– in caso di soccombenza reciproca, le parti in causa continuano ad essere obbligate in solido al pagamento dell’imposta di registro relativa alla sentenza che definisce, anche parzialmente, il giudizio;
– negli altri casi, soltanto la parte soccombente è obbligata al pagamento dell’imposta di registro relativa alla sentenza che definisce, anche parzialmente, il giudizio, mentre la responsabilità della parte vincitrice per l’obbligazione tributaria viene “posticipata” ad un momento successivo, vale a dire una volta che sia decorso il termine di sessanta giorni dalla notifica dell’avviso di liquidazione alla parte soccombente senza che l’imposta sia stata da questa interamente assolta. Si tratta sostanzialmente di un meccanismo riconducibile alla responsabilità sussidiaria, che, nei rapporti obbligatori con pluralità di debitori, si traduce nel dovere, per il creditore, di agire prima nei confronti del c.d. “debitore principale” e, nel solo caso in cui non sia stato interamente soddisfatto, nei confronti dei c.d. “debitori sussidiari” (cfr. artt. 1944, 2267, 2268 e 2304c.c.).
Per l’obbligazione tributaria è quindi previsto un beneficium excussionis sui generis, perché esso scatta anticipatamente rispetto all’escussione del patrimonio del debitore principale con l’attivazione dell’esecuzione forzata, essendo sufficiente il semplice inadempimento dell’invito a pagare.
Con tale modifica la Commissione Finanze ha eluso l’obiettivo che i firmatari del disegno di legge si erano posti, preferendo mantenere una tutela forte dell’interesse erariale con un mero beneficium excussionis, con conseguente differimento della responsabilità solidale della parte vincitrice al momento in cui sia accertato l’inadempimento dell’obbligazione tributaria della parte soccombente.
Nel rapporto tra oneri fiscali e diritto alla tutela giurisdizionale ancora una volta sembra aver prevalso la logica del solve et repete a discapito del principio di proporzionalità, in forza del quale l’adempimento del dovere tributario deve essere garantito attraverso un meccanismo che non determini la ingiustificata compressione del diritto di difesa ex art. 24 Cost. (cfr. Corte Cost., 7 giugno 2022, n. 140).
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