Cass., sez. VI civ. – T, 26 gennaio 2016 (ord.), n. 1332 (testo)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –
Dott. CARACCIOLO Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. CIGNA Mario – Consigliere –
Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –
Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 19146/2013 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope legis;
– ricorrente –
e contro
P.L.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 25/9/2013 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di FIRENZE del 18/01/2013, depositata il 28/01/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/12/2015 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE CARACCIOLO.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
La Corte:
ritenuto che, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata depositata in cancelleria la seguente relazione:
Il relatore cons. Giuseppe Caracciolo, letti gli atti depositati;
osserva:
La CTR di Firenze ha accolto l’appello di P.L., proposto contro la sentenza n. 87/04/2010 della CTP di Prato che aveva respinto il ricorso del predetto contribuente contro avviso di accertamento per IRPEF 2006, avviso emesso a seguito di accertamento di genere sintetico fondato sulla capacità di spesa desunta da disponibilità ed acquisto – nel corso del periodo 2004 – 2007 – di plurimi autoveicoli di considerevole potenza fiscale e dall’acquisto di quote societarie varie, esborsi non compatibili con i redditi dichiarati in relazione allo svolgimento dell’attività di procacciatore d’affari e pari ad Euro 13.906,00.
La predetta CTR – dopo avere dato atto che “il contribuente ha provato nei limiti del possibile che l’attività svolta nell’anno in questione è stata poco redditizia, e che il danaro occorso per l’acquisto ed il possesso dell’autovettura non era derivato esclusivamente dalla propria attività di procacciatore d’affari….ma di essere stato aiutato, nell’acquisto e nel pagamento rateale dell’autovettura dalla madre…convivente e benestante” – ha motivato la decisione nel senso che “non tutti i fatti, circostanze e movimenti della vita quotidiana sono documentabili, essendo spesso solo dimostrabili e restando al giudice il potere di sindacarne l’attendibilità e la veridicità”. Dalla documentazione era risultato che il P. era ancora residente e convivente con la madre e dalla dichiarazione dei redditi era risultato che il P. nel 2006 era a carico della madre, donde la presunzione che la madre sopperisse, in caso di bisogno, alle esigenze economiche del figlio, “dovendosi presumere il concorso di tutti i componenti nella gestione della vita familiare”. Doveva considerarsi, d’altronde, impossibile “documentare” i prelievi bancari e gli interventi finanziari del genitori, sicchè l’unico elemento probatorio sufficiente (per dimostrare la diversa provenienza dal danaro rispetto al reddito personale) doveva considerarsi la “convivenza”.
Conferma di ciò poteva desumersi dal fatto che il P. solo da poco aveva iniziato l’attività di lavoro e che nel 2006 aveva subito un incidente stradale. Da complesso degli elementi fin qui indicati derivava la prova che le spese sostenute erano state finanziate con redditi diversi dai propri e perciò esenti. L’Agenzia ha interposto ricorso per cassazione affidato a unico motivo. La parte intimata non si è difesa.
Il ricorso – ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., assegnato allo scrivente relatore, componente della sezione di cui all’art. 376 c.p.c. – può essere definito ai sensi dell’art. 375 c.p.c.. Infatti, con il motivo di censura (improntato alla violazione dell’art. 38, e dell’art. 2697) la ricorrente si duole del fatto che il giudice del merito abbia ritenuto sufficientemente documentata la giustificazione delle spese correlate agli acquisti valorizzati come sintomo di capacità reddituale incrementi patrimoniali sulla scorta della semplice considerazione della convivenza con la madre; sull’erronea considerazione della vivenza a carico della madre; su circostanze del tutto inconferenti ai fini di causa (e cioè il recente inizio dell’attività di lavoro e l’incidente stradale), per quanto siffatte “prove” non siano idonee ai fini della dimostrazione che gli acquisti siano stati operati a mezzo di rediti esenti o già soggetti a ritenuta alla fonte.
La censura appare fondata e da accogliersi.
Premesso che in nessun caso possono considerarsi prove rilevanti ai fini che qui occupano quelle a mezzo delle quali il contribuente ha inteso dimostrare l’esistenza di circostanze transeunti che hanno determinato minori redditi a suo favore nel corso dell’anno 2006, siccome ai fini della dimostrazione dell’erroneità dell’accertamento sintetico risultano idonee solo prove che (secondo la formula del menzionato art. 38, in vigore all’epoca dei fatti) siano rivolte a dimostrare che il maggior reddito determinato “è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta”, il quesito che è sostanzialmente posto dal motivo di impugnazione è se possano considerarsi – d’altra parte – idonee le ulteriori prove dedotte dal contribuente, alla luce della predetta formula normativa e dell’ulteriore previsione (ultima parte dell’art. 38, comma 6) secondo cui: “L’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione”.
A tale proposito va preliminarmente evidenziato che il giudice del merito (così come denunciato dalla parte ricorrente) ha erroneamente dichiarato di voler trarre il proprio convincimento dalle risultanze della dichiarazione dei redditi della madre del P. secondo cui quest’ultimo risultava fiscalmente a carico della madre, atteso che siffatta risultanza appare del tutto incompatibile con le emergenze di causa da cui si trae che il P. nel 2006 aveva 30 anni (a desumere dal suo codice fiscale) ed aveva percepito e dichiarato redditi per Euro 13.906,00, circostanze entrambe incompatibili con il concetto di vivenza a carico valido per l’epoca, atteso che l’art. 12 del TUIR vigente nell’anno di causa consentiva di ritenere fiscalmente a carico (ai fini delle detrazioni spettanti in sede di dichiarazione) i figli con età superiore a tre anni che percepissero redditi inferiori ad Euro 2.840,51.
Ai fini del quesito di cui si tratta residua, quindi, la circostanza della convivenza del P. con la madre (che il giudicante definisce “benestante”), ciò che – in difetto di documentazione fidefacente utile a documentare la provenienza del danaro utilizzato per gli acquisti – avrebbe consistenza di “presunzione” utile ad indurre che la madre “sopperisse, in caso di bisogno, alle esigenze economiche del figlio”, dovendosi presumere “all’interno del nucleo familiare”, il “concorso di tutti i componenti nella gestione della vita”.
Si tratta di presunzione che – per vero – è, in astratto, pacificamente ammessa nel ribadito indirizzo giurisprudenziale di codesta Corte Suprema, secondo il quale: “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, con riferimento alla determinazione sintetica del reddito complessivo netto in base ai coefficienti presuntivi individuati dai decreti ministeriali previsti dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, (cosiddetti redditometri), la prova contraria ivi ammessa, richiedendo la dimostrazione documentale della sussistenza e del possesso, da parte del contribuente, di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, implica un riferimento alla complessiva posizione reddituale dell’intero suo nucleo familiare, costituito dai coniugi conviventi e dai figli, soprattutto minori, atteso che la presunzione del loro concorso alla produzione del reddito trova fondamento, ai fini dell’accertamento suddetto, nel vincolo che li lega, e non già nel mero fatto della convivenza, così escludendosi la desumibilità da quest’ultima del possesso di redditi prodotti da un parente diverso o da un affine, in quanto tale estraneo al nucleo familiare”. (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 5365 del 07/03/2014).
Senonchè, la questione di causa attiene non già alla rilevanza del reddito familiare (per i quali fini si sarebbe trattato della necessità di un ricalcolo da parte del giudice del merito della capacità di spesa del P. nel complessivo contesto del reddito familiare, e perciò nell’ottica della capacità di spesa di detto nucleo desumibile dal suo complessivo tenore di vita, con riparto al P. della quota a lui imputabile) ma bensì della idoneità della prova volta a dimostrare che il P. è rimasto (in tutto o in parte) sollevato dall’onere pecuniario delle spese sostenute in virtù del contributo dei redditi (esenti o già assoggettati a prelievo tributario) materni ed elargiti a favore di quello.
A quest’ultimo proposito – perciò – non si tratta di un semplice computo statistico – matematico dell’adeguatezza dei dichiarati redditi familiari complessivi rispetto al complessivo “tenore di vita” desunto dagli indici sintomatici di spesa, ma si tratta invece proprio della prova del “possesso” di tali redditi da parte del P. per quella durata di tempo sufficiente a far presumere che egli li abbia impiegati come provvista per le spese di cui si è detto, e perciò di quella prova “documentale” a cui rimanda la disciplina richiamata, con una espressa indicazione delle fonti tassativamente producibili e valorizzagli che preclude il riferimento in termini ampli e comprensivi al criterio del “libero convincimento del giudice” a cui sostanzialmente il giudice dell’appello si è richiamato.
Dovendosi esaminare, a questo proposito, la formula normativa scevri da suggestioni derivanti dalla modifiche introdotte in epoca successiva con il D.L. n. 78 del 2010, va detto che la norma – da una parte – non contiene nessuna indicazione in ordine alla titolarità soggettiva dei “redditi esenti” e lo di quelli “soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’ imposta” considerati idonei dal legislatore ad integrare il reddito dichiarato al fine di escludere e/o limitare l’ammontare del reddito sinteticamente accertato dall’Ufficio in base agli appositi indici; la stessa – d’altra parte – richiede che il contribuente che li alleghi dia la prova del “possesso” di detti redditi da parte sua con “idonea documentazione”, per cui ne è necessaria la dimostrazione documentale non solo della sussistenza (cui induce l’utilizzo del termine “entità”) ma anche del loro “possesso” da parte dello stesso contribuente. Infatti, anche di recente codesta Suprema Corte è tornata a ribadire che:”….la prova documentale contraria ammessa per il contribuente dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 6, nella versione vigente “ratione temporis”, non riguarda la sola disponibilità di redditi esenti o di redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, ma anche l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso, che costituiscono circostanze sintomatiche del fatto che la spesa contestata sia stata sostenuta proprio con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 25104 del 26/11/2014), pur non essendo onere del contribuente di dare la prova rigorosa e puntuale dell’impiego proprio di detti redditi per l’acquisizione degli incrementi patrimoniali (in termini Cass. Sez. 5, Sentenza n. 6396 del 19/03/2014), attesa la fungibilità delle diverse fonti di provvista economica. Se ai fini della sussistenza dei redditi di cui qui si tratta è, quindi, indubbio che sia idonea la documentazione che il giudicante attesta prodotta in causa (la dichiarazione dei redditi materna), ai fini del possesso di detti redditi a favore del contribuente detta idonea “documentazione” non pare possa rinvenirsi nel semplice vincolo di convivenza attestato e pacifico in causa, ma deve rispondere alle più rigorose specifiche forme richieste dalla norma per la dimostrazione del transito “endofamiliare del reddito”, le quali ultime sono evidentemente improntate ad una finalità antielusiva.
E d’altronde, la dimostrazione della semplice esistenza del reddito riferibile al familiare convivente, se è rivelatrice di una astratta maggiore capacità contributiva familiare non è di per sè stesso induttiva del fatto che detto maggiore reddito sia stato impiegato proprio per sovvenire alle esigenze di uno dei componenti del nucleo, sul quale ultimo incombe “l’onere” di contrastare il risultato derivante dall’applicazione di detti indici nei suoi confronti soltanto con la ridetta prova documentale. A tal proposito, anche di recente codesta Suprema Corte è tornata a ribadire che:” In tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, la prova documentale contraria ammessa per il contribuente dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 6, nella versione vigente “ratione temporis”, non riguarda la sola disponibilità di redditi esenti o di redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, ma anche l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso, che costituiscono circostanze sintomatiche del fatto che la spesa contestata sia stata sostenuta proprio con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 25104 del 26/11/2014), pur non essendo onere del contribuente di dare la prova rigorosa e puntuale dell’impiego proprio di detti redditi per l’acquisizione degli incrementi patrimoniali (in termini Cass. Sez. 5, Sentenza n. 6396 del 19/03/2014).
Ed in situazione di fatto del tutto comparabile con quella per cui è causa (e cioè di transito endofamiliare delle disponibilità ai fini della esenzione della spesa sostenuta) codesta Suprema Corte ha puntualmente messo in rilievo che”…qualora…..il contribuente deduca che tale spesa sia il frutto di liberalità, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, la prova delle liberalità medesime deve essere fornita dal contribuente con la produzione di documenti, ai quali la motivazione della sentenza deve fare preciso riferimento”. (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 24597 del 03/12/2010, in termini anche Sez. 5, Sentenza n. 20588 del 24/10/2005).
Non resta perciò che concludere che, alla luce dei superiori principi, il giudice del merito non avrebbe potuto considerare normativamente idonea la prova della mera esistenza della capacità economica familiare, avendo anche l’obbligo di verificare che detta esistenza sia corroborata da altri elementi anche formalmente idonei a conseguire la dimostrazione dell’avvenuto trasferimento del possesso in favore di uno specifico dei componenti del nucleo. Di che – francamente – non è lecito supporre che sia così complessa la integrazione della prova, almeno per masse, come il giudice del merito inclina a credere.
In definitiva, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per manifesta fondatezza, con conseguente rinvio al giudice del merito per una nuova valutazione delle emergenze di causa.
Roma, 30 maggio 2015.
ritenuto inoltre:
che la relazione è stata notificata agli avvocati delle parti;
che non sono state depositate conclusioni scritte, nè memorie;
che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va accolto;
che le spese di lite posso essere regolate dal giudice del rinvio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso. Cassa la decisione impugnata e rinvia alla CTR Toscana che, in diversa composizione, provvederà anche sulle spese di lite del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 9 dicembre 2015.
Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2016