Cass., sez. unite civ., 27 novembre 2023, n. 32790 (testo)
Cass. civ, sez. Unite, sent., 27 novembre 2023, n. 32790
Presidente Virgilio – Relatore Crucitti
Fatti di causa
1.- All’esito dell’esperimento di un procedimento di accertamento tecnico preventivo, la Makevo S.r.l. unipersonale conveniva, davanti al Tribunale di Bassano del Grappa, la . & A. S.r.l., al fine di sentire pronunciare la condanna della società convenuta, quale costruttrice e alienante dell’immobile ad uso artigianale di cui l’attrice era utilizzatrice in forza di contratto di leasing, al risarcimento dei danni per i gravi difetti costruttivi relativi ai serramenti forniti.
Si costituiva in giudizio la M. & A. S.r.l., la quale concludeva per il rigetto della domanda avversaria e chiedeva di essere autorizzata a chiamare in manleva la subappaltatrice impresa individuale L.G., quale fornitrice e installatrice dei serramenti contestati.
Autorizzata la chiamata in garanzia, si costituiva in giudizio altresì l’impresa individuale L.G., la quale negava ogni responsabilità nella fornitura e installazione dei serramenti.
Nel corso del giudizio era espletata consulenza tecnica d’ufficio.
Quindi, all’udienza del 12 dicembre 2017, era dichiarata l’interruzione del processo, in ragione della riferita cancellazione della M. & A. S.r.l. dal registro delle imprese.
Il processo era dunque riassunto verso il socio unico della società convenuta, A.F., il quale si costituiva eccependo che nulla aveva ricevuto in sede di liquidazione della cessata società e coltivando comunque la domanda di manleva verso la terza chiamata.
Il Tribunale di Vicenza, con sentenza n. 34/2019, depositata il 15 marzo 2019, in accoglimento della domanda principale proposta, condannava A.F. al pagamento, a titolo di risarcimento danni, in favore della Makevo S.r.l., della somma di Euro 18.181,25, oltre accessori, e – in accoglimento della spiegata chiamata di terzo in garanzia – disponeva altresì che L.G. tenesse indenne A.F. di quanto questi avesse corrisposto in favore della società attrice. Condannava, poi, la convenuta alla refusione delle spese di lite in favore dell’attrice e compensava le spese relativamente al rapporto tra convenuta e terza chiamata.
In particolare, la sentenza di prime cure sosteneva che la cancellazione della società appaltatrice dal registro delle imprese, con la conseguente limitazione di responsabilità dei soci, ai sensi dell’art. 2495 c.c., non incideva sulla loro legittimazione processuale, ma al più sull’interesse ad agire dei creditori sociali, interesse che tuttavia non era di per sé escluso dalla circostanza che i soci non avessero partecipato utilmente alla ripartizione finale, potendo sussistere beni e diritti che, sebbene non ricompresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, si fossero trasferiti ai soci.
2.- Proponevano separati appelli avverso la sentenza di primo grado A.F. e L.G., i quali lamentavano: 1) la carenza di prova sull’esistenza dei vizi dei serramenti; 2) l’insussistenza dei presupposti per la condanna dell’ex socio unico della società appaltatrice estinta al pagamento del debito sociale, non avendo questi percepito alcunché all’esito della redazione del bilancio finale di liquidazione.
A.F. contestava altresì la disposta compensazione delle spese di lite relative al rapporto di garanzia.
Si costituiva nei giudizi di impugnazione la Makevo S.r.l., la quale deduceva che non vi era alcuna prova che A.F. non avesse percepito alcunché a seguito della liquidazione della società, incombendo il relativo onere sulla controparte.
Aggiungeva che non tutte le poste attive che facevano capo alla società originariamente convenuta erano state oggetto di liquidazione, rimanendo pur sempre esistente il diritto di credito nei confronti della terza chiamata, la cui esistenza aveva avuto conferma proprio dalla sentenza appellata, sicché il diritto di manleva non compreso nel bilancio finale di liquidazione si era trasferito al socio unico, il quale, pertanto, nei limiti della domanda di manleva, avrebbe risposto delle obbligazioni della cessata società di capitali.
Riuniti i giudizi e decidendo sui gravami interposti, la Corte d’appello di Venezia, con la sentenza di cui in epigrafe, accoglieva parzialmente l’appello spiegato da A.F. e integralmente quello spiegato da L.G. e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, rigettava la domanda di risarcimento dei danni per i vizi dell’opera appaltata, rigettava il motivo di gravame con il quale A.F. aveva contestato la disposta compensazione delle spese del giudizio di prime cure nel rapporto con il terzo chiamato L.G. e condannava la Makevo alla refusione, nei limiti di un terzo, delle spese di entrambi i gradi di giudizio, nei confronti di A.F. e di L.G., compensando i restanti due terzi.
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di merito rilevava per quanto di interesse in questa sede: a) che la responsabilità del socio, all’esito della cancellazione della società, non poteva evidentemente estendersi all’intero debito, se di entità superiore rispetto a quanto riscosso dal socio, posto che, se così fosse stato, si sarebbe configurata una responsabilità diretta e illimitata dei soci per i debiti sociali, in contrasto col principio della responsabilità limitata dei soci delle società di capitali; b) che, pertanto, nel caso di specie, il socio unico A.F. avrebbe risposto dei debiti della società cancellata nei limiti di quanto ricevuto a seguito della liquidazione, essendo onere del creditore dimostrare che il socio avesse ottenuto una parte dell’attivo sociale, prova che non era stata fornita dalla Makevo, a fronte dell’obiezione del socio circa il fatto che il bilancio finale di liquidazione non avesse stabilito alcuna distribuzione in suo favore; c) che non poteva sostenersi che il socio unico avesse ricevuto, a seguito dell’estinzione della società, il diritto di manleva, quale diritto di credito non compreso nel bilancio finale di liquidazione, sicché egli, nei limiti del valore di tale diritto, avrebbe dovuto rispondere delle obbligazioni della cessata società di capitali; d) che, infatti, il diritto di manleva rappresentava un posterius rispetto alla condanna a risarcire la Makevo e, dunque, non possedeva un’autonoma consistenza patrimoniale, con la conseguenza che, al momento dell’estinzione della società, questa non era titolare di un diritto di credito nei confronti del terzo chiamato, diritto che in conseguenza non era passato in capo al socio; e) che, viceversa, solo nella misura in cui il socio fosse succeduto nel debito della società avrebbe potuto ipotizzarsi che egli fosse anche subentrato nel diritto di manleva; f) che doveva essere confermata la compensazione delle spese processuali tra A.F. e L.G., posto che il primo non era succeduto nel debito della società cancellata e perciò era rimasto estraneo al rapporto processuale tra la società poi estinta e il terzo chiamato, cosicché l’ A. non poteva dolersi della mancata condanna alla refusione delle spese del L. in suo favore; g) che sussistevano gravi ed eccezionali ragioni per disporre la compensazione, nei limiti di due terzi, delle spese dei due gradi di giudizio, poiché l’attrice aveva legittimamente agito nei confronti della società appaltatrice, in ordine ai vizi esistenti nei serramenti, come risultanti sia dall’accertamento tecnico preventivo ante causam sia dalla consulenza tecnica d’ufficio svolta in corso di causa, sicché la mancata condanna, a titolo risarcitorio, era dipesa dalla sopravvenuta cessazione della società debitrice.
3.- Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, la Makevo S.r.l. unipersonale.
Ha resistito con controricorso l’intimato A.F..
Ha altresì resistito l’intimato L.G., il quale ha proposto ricorso incidentale, articolato in due motivi.
4.- La ricorrente e il controricorrente A.F. hanno presentato memorie illustrative.
Ragioni della decisione
1.- Con l’unico motivo svolto la ricorrente principale denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione dell’art. 2495 c.c., comma 2 (ora art. 2495 c.c., comma 3, per effetto della novella di cui al D.L. n. 76 del 2020, convertito, con modificazioni, in L. n. 120 del 2020), per avere la Corte di merito attribuito efficacia estintiva alla cancellazione della società rispetto al debito sociale, anziché contemplare un fenomeno successorio di tale debito, tanto più che il diritto di garanzia nei confronti della propria subappaltatrice, come azionato nel giudizio di primo grado dalla società poi estinta, si era trasferito al socio unico, quale credito condizionato ma perfetto nella sua esistenza giuridica, in forza del quale era stata proposta l’azione giudiziaria di chiamata in garanzia.
Al riguardo, l’istante obietta che il bilancio sarebbe risultato non veritiero, nella misura in cui non avesse segnalato che al potenziale rischio di soccombenza in giudizio doveva essere contrapposta anche la posta attiva inerente alla possibilità di rivalersi di detto debito nei confronti della chiamata in causa.
1.1.- Il motivo è infondato.
Infatti, in sintonia con il tenore della norma evocata, la sentenza impugnata ha escluso che il socio unico della società estinta, all’esito della cancellazione volontaria, potesse rispondere del debito sociale, in mancanza di alcuna prova – a fronte della deduzione del socio circa la mancata riscossione di alcunché in base al bilancio finale di liquidazione – che, invece, questi avesse riscosso denaro o altri beni a seguito della liquidazione sociale.
Onere probatorio che sarebbe ricaduto in positivo sul creditore sociale e non già in negativo sul socio.
Tale conclusione è conforme al consolidato orientamento nomofilattico secondo cui, in caso di credito non soddisfatto verso la società di capitali cancellata dal registro delle imprese, il socio può essere obbligato a rispondere verso il creditore sociale ove quest’ultimo provi l’avvenuta distribuzione dell’attivo e la conseguente riscossione di una quota di esso da parte del socio in base al bilancio finale di liquidazione, incombendo, di converso, sul socio convenuto in giudizio l’onere della prova di aver effettivamente utilizzato le somme ricevute in base al bilancio finale di liquidazione per il pagamento dei debiti della società (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10752 del 21/04/2023; Sez. 1, Sentenza n. 15474 del 22/06/2017; Sez. 6-5, Ordinanzan. 23916 del 23/11/2016; Sez. 5, Sentenza n. 7676 del 16/05/2012; Sez. 5, Sentenza n. 19732 del 10/10/2005).
Anche sotto il secondo profilo dedotto, la censura non resiste ai rilievi esposti dalla sentenza impugnata, secondo cui la condanna del socio unico per il titolo risarcitorio rivendicato, all’esito della cancellazione della società di capitali, non avrebbe potuto essere giustificata dalla successione del socio nel diritto di credito non compreso nel bilancio finale di liquidazione, rappresentato dalla manleva, diritto nei limiti del cui valore questi avrebbe dovuto rispondere delle obbligazioni sociali. E tanto perché – sostiene la pronuncia d’appello – la manleva rappresentava un posterius rispetto alla condanna risarcitoria, sicché la mancata successione del socio nel debito sociale avrebbe escluso anche il subentro dello stesso socio nel diritto di manleva.
A tal fine non e’, dunque, sufficiente invocare la manleva correlata alla posizione debitoria rimasta insoddisfatta, in quanto, al di là di ogni ulteriore rilievo, la garanzia di cui all’art. 106 c.p.c., opera in conseguenza dell’adempimento, da parte del garantito, dell’obbligazione principale: con l’effetto che essa non è idonea a incidere sulla dinamica attuativa dell’obbligazione medesima, la quale potrà restare inadempiuta, a dispetto della garanzia di cui goda il debitore nei confronti del terzo (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 1465 del 18/01/2019).
Pertanto, la copertura della garanzia avrebbe presupposto la successione del socio unico nel debito sociale, circostanza a monte esclusa dal difetto di prova sulla riscossione di somme di denaro o dalla assegnazione di beni sociali in favore del socio, con la conseguenza che, venuto meno il debito principale – nel quale non è succeduto il socio -, è altresì esclusa l’operatività della manleva.
2.- Passando allo scrutinio del ricorso incidentale, con il primo motivo il ricorrente incidentale si duole, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, della violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., con la conseguente illogicità della motivazione relativamente alla compensazione delle spese di lite nel rapporto tra Makevo e L.G., per avere la Corte territoriale disposto la compensazione delle spese di entrambi i gradi di giudizio nei limiti di due terzi, sul presupposto che la Makevo avesse legittimamente agito nei confronti della società appaltatrice, in ordine ai vizi dedotti ed accertati, e che non fosse dipeso dalla sua condotta processuale la sopravvenuta cancellazione della società debitrice.
Senonché, ad avviso dell’istante, se tale motivazione avrebbe potuto giustificare la compensazione delle spese del giudizio di primo grado, non altrettanto ciò sarebbe bastato a legittimare la compensazione delle spese dell’appello, giudizio nel quale la Makevo aveva insistito nell’accoglimento della sua domanda risarcitoria, nonostante la sopravvenuta cancellazione della società.
2.1.- La censura è inammissibile.
Anzitutto la pronuncia impugnata ha correttamente individuato la parte soccombente, sia nei confronti del socio unico della società estinta, sia nei confronti dell’impresa individuale chiamata in manleva, nell’originaria parte attrice che aveva chiesto il risarcimento dei danni, domanda respinta nel giudizio di gravame.
E ciò in applicazione del principio di causalità, a mente del quale il rimborso delle spese processuali sostenute dal terzo chiamato in garanzia dal convenuto deve essere posto a carico dell’attore, ove la chiamata in causa si sia resa necessaria in relazione alle tesi sostenute dall’attore stesso e queste siano risultate infondate, a nulla rilevando che l’attore non abbia proposto nei confronti del terzo alcuna domanda, mentre il rimborso rimane a carico della parte che abbia chiamato o abbia fatto chiamare in causa il terzo qualora l’iniziativa del chiamante si riveli manifestamente infondata o palesemente arbitraria. In particolare, le spese del giudizio sostenute dal terzo chiamato in garanzia, una volta che sia stata rigettata la domanda principale, vanno poste a carico della parte che, rimasta soccombente, abbia provocato e giustificato la chiamata, trovando tale statuizione adeguata giustificazione nel principio di causalità che governa la regolamentazione delle spese di lite (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 10364 del 18/04/2023; Sez. 6-3, Ordinanza n. 18710 del 01/07/2021; Sez. 3, Ordinanza n. 31889 del 06/12/2019; Sez. 2, Sentenza n. 23948 del 25/09/2019; Sez. 2, Ordinanza n. 23123 del 17/09/2019; Sez. 6-3, Sentenza n. 2492 del 08/02/2016; Sez. 1, Sentenza n. 7431 del 14/05/2012).
All’esito, è stata disposta la compensazione nei limiti di due terzi delle spese di entrambi i gradi di giudizio sulla scorta del riferimento alle “gravi ed eccezionali ragioni”, che sono state “esplicitamente indicate”, secondo la formula dell’art. 92 c.p.c., comma 2, vigente ratione temporis, per effetto della novella di cui alla L. n. 69 del 2009.
Segnatamente, il giudice del gravame ha dato conto che il diverso esito del giudizio d’appello (a fronte delle risultanze istruttorie ricavabili dallo svolto accertamento tecnico preventivo ante causam e dalla consulenza tecnica d’ufficio espletata in corso di causa) è dipeso dalla sopravvenuta cancellazione della società, non prevedibile al momento in cui la domanda è stata spiegata in prime cure, secondo una valutazione complessiva dell’esito della lite.
Ora, la compensazione per “gravi ed eccezionali ragioni”, nei casi in cui difetti la reciproca soccombenza, riporta a una nozione elastica, che ricomprende la situazione di obiettiva incertezza sul diritto controverso e che può essere conosciuta dal giudice di legittimità ove il giudice del merito si sia limitato a una enunciazione astratta o, comunque, non puntuale, restando in tal caso violato il precetto di legge e versandosi, se del caso, in presenza di motivazione apparente.
Tuttavia, il sindacato della Corte di cassazione non può giungere sino a misurare “gravità ed eccezionalità”, al di là delle ipotesi in cui all’affermazione del giudice non corrispondano le evidenze di causa o la giurisprudenza consolidata, ipotesi che non è stata integrata nella fattispecie, attesa la logicità delle argomentazioni offerte, sicché la doglianza è inammissibile (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 15495 del 16/05/2022; Sez. 6-L, Ordinanza n. 9977 del 09/04/2019; Sez. 6-L, Ordinanza n. 23059 del 26/09/2018; Sez. 6-5, Ordinanza n. 6059 del 09/03/2017; Sez. 6-5, Ordinanza n. 11222 del 31/05/2016).
3.- Con il secondo motivo il ricorrente incidentale contesta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 91 c.p.c., con la correlata carenza della motivazione relativamente al rapporto tra A.F. e L.G., per avere la Corte distrettuale mancato di disporre la condanna alle spese di A.F., in favore di L.G., per effetto della soccombenza sul motivo di appello spiegato dall’ A., nella parte in cui era censurata la compensazione delle spese del giudizio di primo grado con riferimento al rapporto di garanzia.
3.1.- La doglianza è inammissibile.
E tanto perché, all’esito della riforma della sentenza di primo grado, la pronuncia d’appello ha correttamente individuato quale unica parte soccombente, nei confronti di entrambi gli appellanti A.F. e L.G., la sola appellata Makevo, in applicazione del principio innanzi esposto di causalità.
Sicché non vi erano i presupposti affinché fosse disposta alcuna condanna ulteriore alle spese di lite di A.F. in favore di L.G..
Il che avrebbe peraltro determinato una doppia, separata condanna per lo stesso giudizio, con indebita locupletazione per l’odierno ricorrente incidentale.
4.- In definitiva, il ricorso principale e il ricorso incidentale devono essere respinti.
Le spese di lite seguono il principio di soccombenza e si liquidano come da dispositivo nel rapporto tra la ricorrente principale e il controricorrente A.F. mentre devono essere compensate, in ragione della soccombenza reciproca, nel rapporto tra la ricorrente principale e il ricorrente incidentale.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione
rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale, condanna il ricorrente principale alla refusione, in favore del controricorrente, delle spese di lite, che liquida in complessivi Euro 2.400,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge, e compensa interamente le spese di lite tra la ricorrente principale e il ricorrente incidentale.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 14 novembre 2023.
Depositato in Cancelleria il 24 novembre 2023