Cass., sez. trib., 8 luglio 2021 (ord. interloc.), n. 19381 (testo)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –
Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –
Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –
Dott. MANCINI Laura – rel. Consigliere –
Dott. MAISANO Giulio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso iscritto al n. 25478/2014 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, in via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ape legis;
- ricorrente –
contro
CONTSHIP ITALIA S.P.A., (C.F. (OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro tempore, (incorporante di BORGO SUPERMERCATI S.R.L. con socio unico), rappresentata e difesa dall’Avv. Prof. Francesco d’Ayala Valva ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, viale Parioli 43;
- controricorrente – ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 336/7/14 della Commissione tributaria regionale della Liguria. depositata il 18 marzo 2014.
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 12 gennaio 2021 dal Consigliere Dott.ssa Laura Mancini.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Oggetto del procedimento principale e fatti pertinenti.
- Con avviso di accertamento n. (OMISSIS), relativo all’anno di imposta 2005, l’Agenzia delle entrate, in applicazione della L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 30 recante la disciplina antielusiva delle società non operative (c.d. società “di comodo”), determinò in Euro 338.794,00 il reddito imponibile minimo ai fini IRES della Borgo Supermercati s.r.l. con socio unico, ricostruendolo induttivamente – a fronte di una dichiarazione indicante perdite per Euro 4.929,00 – in ragione del mancato superamento del test di operatività di cui alla disposizione anzidetta, in base al valore dell’unico cespite in titolarità della contribuente rappresentato dalla partecipazione totalitaria nella Mika s.r.l..
- La società impugnò l’atto impositivo davanti alla Commissione tributaria provinciale di Genova deducendo che, essendo una holding pura – in quanto intestataria della sola partecipazione nella Mika s.r.l. -, ed essendo, a propria volta, partecipata da una società di Amburgo quotata nella borsa tedesca, non poteva esserle applicato il regime delle società non operative di cui alla L. n. 724 del 1994.
- Il ricorso fu respinto con sentenza che venne parzialmente riformata dalla Commissione tributaria regionale della Liguria, adita dalla stessa contribuente.
I giudici d’appello, per un verso, assunsero che il fatto che la società appellante fosse partecipata da una società quotata nella borsa tedesca dovesse essere considerato, alla luce del principio di ragionevolezza, ostativo all’applicazione del regime dettato dalla L. n. 724 del 1994, ancorchè, secondo la disciplina vigente ragione temporis, tale situazione non fosse ancora riconducibile ad una causa di esclusione della normativa antielusiva, essendo divenuta tale soltanto con la riforma introdotta dalla L. 27 dicembre 2006, n. 296; per altro verso, sempre in base al principio di ragionevolezza, accolsero la domanda subordinata della ricorrente e, pur rilevando che nell’anno in verifica quest’ultima non aveva percepito dividendi, ridussero il reddito minimo imponibile al 5 per cento del reddito accertato dall’Ufficio all’esito del test di operatività, prospettando “una equiparazione dello stesso alla tassazione del reddito che la società avrebbe conseguito se avesse percepito i dividendi D.P.R. n. 917 del 1986, ex art. 89, comma 2”, in quanto gli utili sarebbero stati soggetti al regime di esenzione al 95 per cento della participation exemption. Argomenti delle parti nel giudizio principale.
- Avverso tale pronuncia l’Amministrazione finanziaria propone ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, cui resiste la Contship Italia s.p.a., quale incorporante della Borgo Supermercati s.r.l. con socio unico, con controricorso contenente ricorso incidentale e ricorso incidentale condizionato, articolati su otto motivi e illustrati da memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c.. Il Procuratore Generale ha depositato requisitoria scritta in forma di memoria.
- La ricorrente principale deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 724 del 1994, art. 30, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 89, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39 e degli artt. 2727-2729 c.c. “in combinato disposto”.
In particolare, l’Amministrazione finanziaria censura la riduzione, in misura del 95 per cento del reddito determinato induttivamente, praticata dai giudici d’appello sul presupposto che, pur essendo “pacifico e indiscusso” che nell’anno di imposta in accertamento la contribuente non avesse percepito dividendi in ragione della partecipazione societaria detenuta, potesse comunque trovare applicazione il regime di esenzione degli utili distribuiti di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 89.
- Alle argomentazioni erariali la Contship Italia s.p.a. ha replicato eccependo, in primo luogo, l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse ex art. 100 c.p.c., per avere l’Agenzia delle entrate omesso di impugnare la ratio decidendi, assorbente e comunque autonoma, riferita all’inapplicabilità alla fattispecie in esame della disciplina delle società di comodo, limitandosi a contestare la statuizione della pronuncia gravata con la quale è stata accordata alla contribuente la riduzione del reddito determinato ai sensi della L. n. 724 del 1994, art. 30.
- La società ha, quindi, proposto ricorso incidentale denunciando con il primo motivo la violazione o falsa applicazione della L. n. 724 del 1994, art. 30 “versio legis L. n. 296 del 2006, in rapporto di continuità con la versio legis precedente”, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Secondo la controricorrente, i giudici di primo grado avrebbero giustamente considerato che il fatto che il socio al 100 per cento della Borgo Supermercati s.r.l..
fosse una società di Amburgo quotata nella borsa tedesca impedisse l’operatività del regime delle società di comodo, e ciò ancorchè la disciplina applicabile ratione temporis limitasse l’operatività di una causa di esclusione siffatta alle sole società quotate nei mercati regolamentati italiani.
Il principio dell’inapplicabilità della L. n. 724 del 1994, art. 30 alle società operanti nel mercato regolamentato, soggiunge la contribuente, doveva ritenersi operante tanto per le società italiane, quanto per quelle quotate nel mercato regolamentato dell’Unione Europea, e ciò a prescindere dal fatto che lo stesso principio avesse ottenuto una conferma positiva solo con la L. 27 dicembre 2006, n. 296, temporalmente inapplicabile nel caso di specie, giacchè un’interpretazione diversa avrebbe comportato una discriminazione della libertà di stabilimento, economica e imprenditoriale nell’ambito dell’Unione Europea.
Non di meno, lamenta la Contship Italia s.p.a., la sentenza gravata non ha concluso per l’inoperatività del regime delle società di “comodo”, ma ha soltanto ridotto il quantum debeatur della pretesa impositiva, così omettendo di trarre le corrette conseguenze dall’inquadramento della società in termini di holding pura controllata da società quotata in borsa in Germania.
- Con il secondo motivo di ricorso incidentale si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione della L. n. 724 del 1994, art. 30 “versio legis L. n. 296 del 2006, in rapporto di continuità con la versio legis precedente”.
In subordine, si censura la sentenza gravata in parte qua ha proceduto alla rideterminazione induttiva del reddito della società, nonostante si trattasse di un reddito tassabile alla stregua del regime pex, in ciò ravvisandosi una contraddittoria reiezione del principio di diritto affermato nella premessa della motivazione.
Ribadisce, al riguardo, la ricorrente incidentale che già prima dell’introduzione del testo della L. n. 724 del 1994, art. 30 riformulato dalla L. n. 296 del 2006, il legislatore aveva inteso escludere dal test di operatività le società appartenenti al mercato regolamentato italiano, riconoscendo, quindi, un’incompatibilità sostanziale tra la natura di tali società, delle loro controllanti e controllate, con una possibile qualificazione in termini di società “di comodo”. Tali società, quali holding pure, avendo un oggetto esclusivamente finanziario e appartenendo al mercato regolamentato, sarebbero per natura avulse dagli interessi personali e statici dei soci e condividerebbero la medesima ratio, a prescindere dall’ambito geografico.
- Con il terzo mezzo la Contship Italia s.p.a. denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione della L. n. 724 del 1994, art. 30 in combinato disposto con il D.P.R. n. n 917 del 1986, artt. 85 e 87.
Con il quarto motivo deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti con riferimento alla “prova contraria” comunque fornita dalla Contship Italia s.p.a. a superamento della presunzione di reddito scaturente dal tesi di operatività delle società “di comodo” L. n. 724 del 1994, ex art. 30.
Con il quinto mezzo incidentale la contribuente prospetta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 in combinato disposto con l’art. 112 c.p.c.. lamentando che la sentenza gravata, in parte qua assume che le doglianze della società appellante fossero “vaghe e pretestuose” e non accoglibili, risulta sorretta da una motivazione apparente.
Con il sesto motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 “omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti; vizio di omessa motivazione dell’avviso di accertamento in violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 in relazione alle difese a alla prova fornita dal contribuente in risposta alla richiesta di chiarimenti, ai sensi della L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 4”.
Mediante il settimo motivo si lamenta la violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 in combinato disposto con la L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Infine, l’ottavo mezzo di ricorso incidentale, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, prospetta la violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in combinato disposto con il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36 “con riferimento alle questioni proposte a supporto della richiesta subordinata di annullamento delle sanzioni”.
- In via preliminare, è da osservarsi che l’eccezione di inammissibilità del ricorso principale per carenza di interesse ad agire formulata dalla controricorrente si mostra prima facie inidonea a definire il giudizio.
La Contship Italia s.p.a. sottolinea che le censure svolte dalla difesa erariale si appuntano sul solo criterio adottato dai giudici d’appello nella riduzione del reddito minimo imponibile rilevante ai sensi della L. n. 724 del 1994, art. 30 nel testo applicabile ratione temporis – e, dunque, su una statuizione che postula la conferma della legittimità del ricorso al test di operatività e al correlato accertamento induttivo – senza investire l’affermazione, pure rinvenibile tra le argomentazioni spese dalla sentenza gravata, secondo la quale nel caso di specie il regime delle società di comodo non sarebbe applicabile in ragione del fatto che la Borgo Supermercati s.r.l., incorporata dall’odierna controricorrente, fosse partecipata in via totalitaria da una società tedesca quotata in borsa.
Pare, per contro, al Collegio che nell’impianto motivazionale della decisione d’appello tale ultima considerazione risulti superata dalla decisiva, e, quindi, assorbente, ratio decidendi che sorregge il dispositivo di riforma soltanto parziale e di rideterminazione del reddito imponibile in misura inferiore rispetto a quella accertata dall’Ufficio e convalidata dalla sentenza appellata.
Pertanto, impregiudicata ogni decisione definitiva, l’apparente incoerenza esibita dall’enunciato secondo il quale la Borgo Supermercati s.r.l., in quanto partecipata da una società quotata nella borsa tedesca, si sottrae alla disciplina delle società di comodo, rispetto all’assunto per il quale il reddito induttivamente determinato secondo i criteri dettati da tale regime è ridotto secondo ragionevolezza, sembra risolvibile attraverso una considerazione complessiva delle componenti testuali della decisione volta ad enuclearne un senso suscettibile di concreta applicazione.
- Sempre in via preliminare, sembra al Collegio che, tra le censure poste a base del ricorso incidentale, quelle articolate con i primi quattro motivi – aventi ad oggetto, rispettivamente, la questione della configurabilità dell’ipotesi di esclusione ope legis del regime penalizzante, coincidente con l’essere la società sottoposta al test di operatività controllata da una società quotata su un mercato regolamentato estero (primo e secondo motivo), la questione dell’applicabilità o meno della disciplina antielusiva alle holding “pure” (terzo motivo) e quella della ravvisabilità o meno, nel caso concreto, di un’oggettiva situazione di carattere straordinario, che ha reso impossibile il conseguimento di ricavi, capace di scongiurare, ai sensi della L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 1, l’operatività della normativa penalizzante (quarto motivo) -, per la loro priorità logico-giuridica, debbano essere scrutinate con precedenza rispetto alle argomentazioni spese a sostegno del ricorso principale, le quali, invece, si appuntano esclusivamente sul criterio adottato dai giudici d’appello nella riduzione del reddito minimo imponibile rilevante ai sensi della L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 1, nel testo applicabile ratione temporis, e, dunque, su una statuizione che postula la conferma della legittimità del ricorso al test di operatività e al correlato accertamento induttivo.
- Tanto premesso, con riferimento al primo e al secondo motivo di ricorso incidentale, è da osservarsi che, secondo la prospettazione della Contship Italia s.p.a., il socio al cento per cento della Borgo Supermercati s.r.l. era una società quotata nella borsa tedesca da equipararsi, in forza di “un’interpretazione coerente del complesso normativo”, alle “società ed enti i cui titoli sono negoziati in mercati regolamentati italiani”, indicati dalla L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 1, n. 5, nel testo applicabile ratione temporis, come soggetti esclusi ex lege dal regime delle società di comodo.
Ad avviso della contribuente, tale lettura trarrebbe conferma dalla modifica apportata alla disposizione in esame dalla L. n. 296 del 2006, la quale, includendo tra i soggetti esonerati dal test di operatività anche le “società ed enti che controllano società ed enti i cui titoli sono negoziati in mercati regolamentati italiani ed esteri, nonchè alle stesse società ed enti quotati ed alle società da essi controllate, anche indirettamente”, avrebbe recepito un principio immanente nell’ordinamento Eurounitario.
Infatti, precisa la società, un’interpretazione del testo della L. n. 724 del 1994, art. 30 anteriore alla novella del 2006 che non valorizzasse l’anzidetto approccio sistematico, si porrebbe in contrasto con i principi sovranazionali perchè comporterebbe una discriminazione sulla base della nazionalità del soggetto controllante ed un vulnus alla libertà di stabilimento e di iniziativa economica e imprenditoriale nell’ambito dell’Unione Europea.
Sulla scorta di tali considerazioni, la ricorrente incidentale ha, sia pure in via subordinata, sollecitato la rimessione della questione alla Corte di giustizia dell’Unione Europea, previa sospensione del giudizio.
- Ritiene il Collegio che il dubbio di compatibilità della L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 1, n. 5, nella versione nella specie applicabile ratione temporis, con il divieto di discriminazione sancito dall’art. 18 (ex art. 12 del TCE) del TFUE e con il principio di libertà di stabilimento enunciato nell’art. 49 (ex art. 43 TCE) e ss. del TFUE non possa essere dissipato ricorrendo all’interpretazione conforme al diritto dell’Unione Europea, ostandovi la formulazione rigida della disposizione nazionale denunciata, la quale circoscriveva l’ambito soggettivo di operatività della causa di esclusione della disciplina delle società di comodo allo specifico novero delle società e degli enti i cui titoli fossero negoziati nei mercati regolamentati italiani.
Occorre, infatti, considerare che il limite di tolleranza e di elasticità del significante testuale dell’enunciato normativo costituisce il confine oltre il quale il tentativo interpretativo deve arrestarsi, soprattutto nell’ipotesi, configurabile nel caso di specie, in cui si prospetti un’esegesi adeguatrice del diritto interno a quello comune, nella quale il vincolo conformativo scaturente dal primato del diritto Europeo imprime una caratterizzazione teleologica alle prerogative del giudice “comunitario di diritto comune” (Corte giustizia, 9 marzo 1978, Simmenthal, C106/77, EU:C:1978:49; Corte giustizia, 19 giugno 1990, Factortame, C-213/89, EU:C:1990:257).
In ogni caso, l’interpretazione conforme appare impraticabile in ragione del carattere non autoevidente della soluzione dell’antinomia normativa scaturente dal raffronto della disposizione nazionale con i richiamati parametri sovranazionali e dell’assenza di indicazioni della giurisprudenza Europea utili alla specifica fattispecie in esame.
Infatti, come chiarito dalla stessa Corte di giustizia dell’Unione Europea, il giudice nazionale di ultima istanza è obbligato al rinvio pregiudiziale, salvo che “la corretta applicazione del diritto comunitario può imporsi con tale evidenza da non lasciar adito ad alcun ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alla questione sollevata” (Corte giustizia, 6 ottobre 1982, Cilfit, C-238/81, EU:C:1982:335; v. anche Corte giustizia, 16 luglio 1992, Meilicke, C-83/91, EU:C:1992:332; Corte giustizia, 27 marzo 1980, Denkavit, C-61/79, EU:C:1980:100; Corte giustizia, 12 febbraio 2008, Kempter, C-2/06, EU:C:2008:78; Corte giustizia, 21 luglio 2011, Kelly, C-104/10, EU:C:2011:506).
Le considerazioni che precedono inducono, dunque, a sollecitare, in via pregiudiziale, l’intervento interpretativo della Corte di giustizia dell’Unione Europea affinchè chiarisca se la L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 1, n. 5, nella formulazione anteriore alle modifiche introdotte dalla L. n. 296 del 2006, sia compatibile con il diritto dell’Unione e, in particolare, con il divieto di discriminazione e di restrizione della libertà di stabilimento, avuto riguardo all’efficacia diretta dell’art. 49 del TFUE che riconosce e garantisce tale ultima libertà (Corte giustizia, 21 giugno 1974, Reyners, C-2/74, EU:C:1974:68; v. anche Corte Cost., sentenza n. 284 del 2007, IT:COST:2007:284; Corte Cost., ordinanza n. 48 del 2017, IT:COST:2017:48).
Le disposizioni giuridiche pertinenti del diritto nazionale.
- A tal fine si rende opportuna una sintetica ricostruzione del contesto normativo e giurisprudenziale in cui si collocano le disposizioni del diritto interno rilevanti ai fini della decisione.
Come più volte precisato da questa Corte, la disciplina dettata dalla L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 30 (recante Misure di razionalizzazione della finanza pubblica) mira a disincentivare la costituzione di società “di comodo”, ovvero il ricorso all’utilizzo dello schema societario per il raggiungimento di scopi eterogenei rispetto alla normale dinamica degli enti collettivi commerciali (come quello, proprio delle società c.d. di mero godimento, dell’amministrazione dei patrimoni personali dei soci con risparmio fiscale) (ex multis, Cass. Sez. 5, 13/5/2015, n. 21358, IT:CASS:2015:21358CIV; Cass. Sez. 6-5, ord. 28/9/2017, n. 26728, IT:CASS:2016:13699CIV).
La finalità di deterrenza è perseguita attraverso la fissazione di standard minimi di ricavi e proventi, correlati al valore di determinati beni aziendali, il cui mancato raggiungimento costituisce indice sintomatico del carattere non operativo della società (v., ex multis, Cass. Sez. 5, 24/2/2020, n. 4850, IT:CASS:2021:5962CIV).
La presunzione legale relativa di inoperatività si fonda sull’id quod plerumque accidit in quanto, secondo una massima di esperienza, non vi è, di norma, effettività di impresa senza una continuità minima nei ricavi (Cass. Sez. 5, 10/3/2017, n. 6195, IT:CASS:2017:6195C1V).
Il disfavore dell’ordinamento nazionale per tale incoerente impiego del modulo societario – ricavabile, oltre che dalla disciplina fiscale antielusiva, dal più generale divieto, desumibile dall’art. 2248 c.c., di regolare la comunione dei diritti reali con le norme in materia societaria – trova spiegazione nella distonia tra l’interesse che la società di mero godimento è diretta a soddisfare e lo scopo produttivo al quale il contratto di società è preordinato.
La potenzialità imprenditoriale, comprovata dallo svolgimento o, quanto meno, dalla programmazione di un’attività commerciale finalizzata alla realizzazione di ricchezza, rappresenta, infatti, l’elemento che condiziona la disciplina fiscale delle singole componenti reddituali e patrimoniali dell’impresa, di guisa che la produttività degli ossei patrimoniali detenuti dalla società costituisce condizione necessaria, ancorchè non sufficiente (Cass. Sez. 5, ord. n. 31626 del 2019, IT:CASS:2019:31626C1V), per ottenere la disapplicazione della disciplina antielusiva.
- Come espressamente indicato nella L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 1, l’ambito soggettivo di applicazione del regime delle società di comodo include le sole società di tipo commerciale a scopo di lucro, tra le quali vanno ricomprese anche le stabili organizzazioni di società estere e le società c.d. esterovestite.
L’individuazione delle società soggette al regime anzidetto avviene attraverso il test di operatività, che valuta la produttività dei beni patrimoniali dalle stesse detenuti in relazione a parametri reddituali minimi predeterminati dalla legge, con la conseguenza che, il mancato superamento di tale verifica, conduce alla determinazione presuntiva delle imposte secondo una logica di potenzialità patrimoniale.
La L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 1, nella versione, nella specie applicabile, risultante dalle modifiche introdotte dal D.L. 11 marzo 1997, n. 50, stabiliva, in particolare, che “(1)e società per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità limitata, in nome collettivo e in accomandita semplice, nonchè le società e gli enti di ogni tipo non residenti, con stabile organizzazione nel territorio dello Stato, si considerano, salva la prova contraria, non operativi se l’ammontare complessivo dei ricavi, degli incrementi delle rimanenze e dei proventi, esclusi quelli straordinari, risultanti dal conto economico, ove prescritto, è inferiore alla somma degli importi che risultano applicando: a) l’1 per cento al valore dei beni indicati nel testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 53, comma 1, lett. c), anche se costituiscono immobilizzazioni finanziarie, aumentato del valore dei crediti; b) il 4 per cento al valore delle immobilizzazioni costituite da beni immobili e da beni indicati nel D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, art. 8-bis, comma 1, lett. a), anche in locazione finanziaria; c) il 15 per cento al valore delle altre immobilizzazioni, anche in locazione finanziaria”.
La stessa disposizione, nonostante le modifiche legislative subite nel corso del tempo, ha sempre contemplato una serie di ipotesi in cui la società può sottrarsi alle conseguenze della ricostruzione presuntiva del reddito minimo, non solo dando la prova della dipendenza della propria improduttività da oggettive situazioni di carattere straordinario che hanno reso impossibile il conseguimento di ricavi, ma anche dimostrando la ricorrenza di una delle cause di esclusione del regime penalizzante indicate dalla legge.
Si tratta di situazioni – il cui novero è stato ampliato a seguito dei ripetuti interventi di riforma che hanno investito il ridetto art. 30 – al cui verificarsi l’attuazione del meccanismo presuntivo di determinazione del reddito è inibita ex unte.
In particolare, a mente della L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 1, nella versione temporalmente riferibile alla fattispecie in esame, il regime delle società di comodo non si applicava “(1)) ai soggetti ai quali, per la particolare attività svolta, è fatto obbligo di costituirsi sotto forma di società di capitali; 2) ai soggetti che non si trovano in un periodo di normale svolgimento dell’attività; 3) ai soggetti che si trovano nel primo periodo di imposta; 4) alle società in amministrazione controllata o straordinaria; 5) alle società ed enti i cui titoli sono negoziati in mercati regolamentati italiani; 6) alle società esercenti pubblici servizi di trasporto; 6-bis) alle società con un numero di soci non inferiore a 100”.
Occorre evidenziare che, per quanto concerne l’ipotesi di cui al n. 5, rilevante nel presente giudizio, la L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 109, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)), con effetto a decorrere dal periodo d’imposta in corso alla data del 4 luglio 2006, entrata in vigore del D.L. n. 223 del 2006, ne ha ampliato la portata, prevedendo che il tesi di operatività non si applica “alle società ed enti che controllano società ed enti i cui titoli sono negoziati in mercati regolamentati italiani ed esteri, nonchè alle stesse società ed enti quotati ed alle società da essi controllate, anche indirettamente”.
In entrambe le versioni l’enunciato normativo esibisce una ratio evidentemente correlata alle garanzie che derivano dall’essere le società emittenti i titoli quotati in mercati regolamentati sottoposte al controllo degli enti pubblici preposti alla tutela degli investitori e all’efficienza del mercato.
Non di meno, la differente estensione applicativa della causa di esonero ex art. 30, comma 1, n. 5, cit., che emerge dal raffronto del testo scaturito dalla novella del 2006 con la versione previgente, non sembra autorizzare una lettura, come quella proposta dalla società ricorrente incidentale, che intraveda nella formulazione più recente la positivizzazione di un principio preesistente e immanente al sistema ordinamentale sovranazionale.
Invero, in assenza di un’espressa previsione normativa, come quella introdotta dalla ridetta novella del 2006, l’inequivoco tenore letterale della disciplina previgente se, per un verso, grazie all’ampio riferimento alle “società ed enti” consentiva di includere tra i soggetti che potevano avvantaggiarsi della causa di esclusione del regime penalizzante anche le stabili organizzazioni di enti di paesi dell’Unione Europea i cui titoli fossero quotati nei mercati regolamentati italiani, per altro verso impediva di estendere la causa di esonero in esame alle società quotate nei mercati esteri, o di assimilare, allo stesso fine, la società controllante alla controllata (e viceversa), ostando ad un’operazione ermeneutica di questo tipo l’autonoma soggettività che, alla stregua dell’ordinamento italiano, caratterizza gli enti legati dal rapporto di controllo.
Infatti, ai sensi dell’art. 2359 c.c., “Sono considerate società controllate: 1) le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria; 2) le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria; 3) le società che sono sotto influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa. Ai fini dell’applicazione nel comma 1, nn. 1) e 2) si computano anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persona interposta: non si computano i voti spettanti per conto di terzi. Sono considerate collegate le società sulle quali un’altra società esercita un’influenza notevole. L’influenza si presume quando nell’assemblea ordinaria può essere esercitato almeno un quinto dei voti ovvero un decimo se la società ha azioni quotate in mercati regolamentati”.
Sussiste, pertanto, un rapporto di controllo quando, come nel caso di specie, una società è in condizione di esercitare un’influenza dominante su un’altra società in ragione del possesso della quota maggioritaria di partecipazione della stessa (controllo interno di diritto), oppure quando la società controllante, pur non disponendo della maggioranza dei voti, è, comunque, in grado di esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria della controllata (controllo interno di fatto), ovvero nell’ipotesi in cui il rapporto di dipendenza della controllata dalla controllante è la conseguenza di vincoli contrattuali (controllo esterno di fatto).
Deve, dunque, ritenersi che l’estensione dell’ambito applicativo della causa di esclusione operata dalla novella del 2006, che si spinge sino a ricomprendere nel beneficio le ipotesi di controllo indiretto, costituisca il frutto di una precisa scelta discrezionale del legislatore evidentemente tesa a favorire i gruppi societari, nazionali e internazionali, ovvero situazioni diverse da quella della società, nazionale o Europea, emittente titoli quotati nei mercati regolamentati italiani.
Le disposizioni giuridiche pertinenti del diritto dell’Unione Europea.
- Ritiene il Collegio che la divaricazione tra il trattamento fiscale serbato dalla versio legis della L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 1, n. 5, nella specie applicabile, alle società ed enti operanti nei mercati regolamentati italiani e quello riservato alle società, come l’odierna controricorrente, controllate da società i cui titoli fossero negoziati in mercati regolamentati esteri, non potendo essere superata attraverso un’interpretazione conforme al diritto dell’Unione, si riveli idonea a produrre un vulnus al principio di non discriminazione sancito dall’art. 18 (ex art. 12 del TCE) del TFUE e al principio di libertà di stabilimento di cui agli artt. 49 (ex art. 43 TCE) e ss. del TFUE. 17. Occorre, infatti, considerare che in materia fiscale il principio di non discriminazione si arricchisce del precetto che impone il rispetto del “trattamento nazionale” nei confronti di chi si avvalga delle libertà fondamentali garantite dal Trattato, come confermato dalla stessa giurisprudenza Eurounitaria secondo la quale “per quanto riguarda (esercizio del potere impositivo così ripartito, gli Stati membri sono tenuti ad adeguarsi alle norme comunitarie e, più in particolare, a rispettare il principio del trattamento nazionale dei cittadini degli altri Stati membri e dei propri cittadini che hanno fatto uso delle libertà garantite dal Trattato” (Corte giustizia, 12 dicembre 2002, De Groot, C-385/00, p. 94, EU:C:2002:750).
- Va, inoltre, evidenziato che le norme Europee in materia di parità di trattamento vietano non solo le discriminazioni palesi basate sulla sede delle società, ma anche qualsiasi forma dissimulata di discriminazione che, in applicazione di altri criteri di distinzione, conduca di fatto allo stesso risultato (Corte giustizia, Grande sezione, 5 febbraio 2014, Hervis Sport, C-385/12, p. 30, EU:C:2014:47; Corte giustizia, 14 febbraio 1995, Schumacker, C-279/93, p. 26, EU:C:1995:31).
Le disposizioni del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea in tema di libertà di stabilimento, sebbene mirino, così come formulate, ad assicurare il beneficio della disciplina nazionale dello stato membro ospitante, ostano parimenti a che lo stato membro di origine impedisca o renda più gravoso lo stabilimento in un altro stato membro di un proprio cittadino o di una società costituita secondo la propria legislazione, di modo che devono essere considerati come restrizioni alla libertà di stabilimento tutti i provvedimenti che vietano, ostacolano o rendono meno attraente l’esercizio di tale libertà (Corte giustizia, 16 aprile 2015, Commissione contro Repubblica federale di Germania, C-591/13, p. 56, EU:C:2015:230; Corte giustizia, 26 maggio 2011, Commissione contro Danimarca, C-261/11, EU:C:2013:480).
- La giurisprudenza Europea ha anche precisato che la libertà di stabilimento può essere declinata, secondo le sue modalità di esercizio, in modo duplice, venendo in rilievo una nozione di stabilimento primario, nel caso in cui il beneficiario eserciti le attività di cui all’art. 43 TFUE nel paese ospitante, e secondario ove il beneficiario svolga la propria attività tanto nel paese d’origine, conservandovi la propria sede principale, quanto in un paese ospitante mediante una stabile organizzazione (Corte giustizia, 27 settembre 1988, Daily Mail, causa C-81/98, EU:C:1999:534).
- Pertanto, anche il controllo esercitato mediante la detenzione di partecipazioni societarie costituisce una forma di stabilimento secondario (Corte giustizia, 6 ottobre 2015, C-66/14, Finanziamt Linz, EU:C:2015:661; Corte giustizia, 12 giugno 2014, SCA Group Holding BV, C-39/13, C-41/13, EU:C:2014:1758; Corte giustizia, 25 febbraio 2010, X Holding, C-337/08, EU:C:2010:89), tanto che la Corte di giustizia ha confermato che la libertà di stabilimento comprende il diritto di svolgere l’attività di impresa mediante una controllata, una succursale o una agenzia (Corte giustizia, Grande Sezione, 12 settembre 2006, C-196/2004, Cadbury Schweppes plc, Cadbury Schweppes Overseas Ltd, EU:C:2006:278).
Infatti, come chiarito anche da questa Corte, lo stabilimento implica la volontà di creare un legame attivo con le vicende imprenditoriali della società partecipata che si evidenzia non attraverso il semplice diritto di voto, ma con una sostanziale influenza sulle decisioni della società. Elemento, questo, che deve essere apprezzato alla luce della disciplina societaria dello stato in cui ha sede l’impresa (Cass. Sez. 5, n. 7682 del 25/5/2002, IT:CASS:2002:7682CIV).
Le ragioni del rinvio pregiudiziale.
- Tanto premesso, la L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 1, n. 5, nel testo applicabile ragione lemporis, sembra interferire con il diritto di libertà di stabilimento tanto in ragione della mancata inclusione, tra i soggetti che possono avvantaggiarsi della causa di esonero dal regime penalizzante, delle società controllanti o controllate da società quotate, quanto in ragione della limitazione di simile beneficio alle sole società i cui titoli siano negoziati nei mercati regolamentati italiani e non anche a quelle quotate nei mercati esteri.
- Innanzitutto, la mancata estensione della causa di esclusione in parola, potenzialmente foriera di un vantaggio fiscale per le controllanti, nazionali ed estere, quotate in mercati regolamentati, potrebbe risultare idonea a produrre una restrizione della libertà di stabilimento, con conseguente effetto dissuasivo nei confronti delle società che, pur non residenti e prive di stabili organizzazioni, intendano comunque esercitare la libertà di stabilimento secondario in Italia attraverso il controllo di società ivi residenti.
Contrastano, invero, con il divieto di restrizione le disposizioni di uno stato membro che ostacolino o comunque rendano meno appetibile lo stabilimento in un altro stato membro di un proprio cittadino o di una società costituita secondo la propria legislazione e che, dunque, pur essendo indistintamente applicabili, restringano il libero esercizio delle libertà riconosciute dall’ordinamento Europeo (Corte giustizia, 16 luglio 1998, Imperial Chemical Industries plc (ICI). C-264/96, EU:C:1998:370; Corte giustizia, 15 maggio 1997, Futura, C-250/95, EU:C:1997:239; Corte giustizia, Grande Sezione, 12 settembre 2006, C-196/2004, Cadbury Schweppes plc, Cadbury Schweppes Overseas Ltd, cit.).
- Occorre, infine, evidenziare che la formulazione della L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 1, n. 5, anteriore alla riforma del 2006, oltre all’evidenziato effetto restrittivo, sembra comportare anche una discriminazione in senso stretto tra le società emittenti titoli negoziati nei mercati regolamentati italiani e le società quotate in mercati esteri.
La limitazione del trattamento fiscale di favore alle sole società o enti, residenti o aventi stabili organizzazioni in Italia, quotate nei mercati regolamentati nazionali non pare, infatti, giustificata ove si osservi che la ratio dell’esonero dal regime penalizzante accordato dalla disposizione in esame – che, come già evidenziato, sembra doversi identificare nel fatto che nelle società quotate le esigenze di tutela del pubblico risparmio giustificano la previsione di forme di controllo esterno, affidato ad apposite autorità dotate di pregnanti poteri di verifica e di reazione alle eventuali irregolarità riscontrate, che riducono la possibilità di strumentalizzazione dello schermo societario a fini elusivi -, risulta soddisfatta dall’essere i titoli della società ammessi in un mercato regolamentato, senza che assuma rilevanza l’ordinamento giuridico di riferimento.
La questione pregiudiziale.
- Alla luce delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene di dover proporre questione pregiudiziale interpretativa ai sensi dell’art. 267 TFUE sottoponendo alla Corte di giustizia dell’Unione Europea il seguente quesito:
“se l’art. 18 (ex art. 12 TCE) e art. 49 (ex art. 43 TCE) del TFUE ostino ad una disciplina nazionale che, come la L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 30, comma 1, n. 5, nella versione, applicabile ratione temporis, anteriore alle modifiche apportate dalla L. 27 dicembre 2006, n. 296, escluda dal regime fiscale antielusivo delle società non operative – basato sulla fissazione di standard minimi di ricavi e proventi, correlati al valore di determinati beni aziendali, il cui mancato raggiungimento costituisce indice sintomatico del carattere non operativo della società e comporta la determinazione del reddito imponibile in via presuntiva – le sole società ed enti i cui titoli siano negoziati in mercati regolamentati italiani e non anche le società ed enti i cui titoli siano negoziati in mercati regolamentati esteri, nonchè le società che controllano o sono controllate, anche indirettamente, dalle stesse società ed enti quotati”.
- Il rinvio pregiudiziale determina la sospensione del giudizio ai sensi dell’art. 295 c.p.c..
P.Q.M.
La Corte, visto l’art. 267 TFUE, chiede alla Corte di giustizia dell’Unione Europea di pronunciarsi, in via pregiudiziale, sulla questione di interpretazione del diritto dell’Unione indicata al p. 24 della motivazione; dispone la sospensione del processo e dispone che copia della presente ordinanza sia trasmessa alla Cancelleria della Corte di giustizia dell’Unione Europea a norma della L. 13 marzo 1958, n. 204, art. 3 unitamente agli atti di causa.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 12 gennaio 2021 e, a seguito di riconvocazione, il 29 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2021