Cass., sez. trib., 8 aprile 2015, n. 6963 (testo)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BIELLI Stefano – Presidente –
Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –
Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –
Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 5767-2009 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente –
contro
M.A.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 135/2007 della COMM.TRIB.REG. del LAZIO, depositata il 17/01/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/03/2014 dal Consigliere Dott. ANTONIO VALITUTTI;
udito per il ricorrente l’Avvocato GAROFOLI che ha chiesto l’accoglimento;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GAMBARDELLA Vincenzo che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo
1. A M.A., titolare dell’omonima impresa individuale, veniva notificato un avviso di accertamento, emesso ai fini IVA per l’anno 1996, con il quale l’Ufficio – sul presupposto dell’avvenuta presentazione della dichiarazione annuale con un ritardo superiore a trenta giorni, D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 37, e della mancata risposta del contribuente al questionario inviatogli – accertava in via induttiva, sulla base degli indici para-metrici di cui alla L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 181, un maggiore volume di affari per l’anno di imposta in contestazione.
2. L’atto veniva impugnato dal M. dinanzi alla CTP di Rieti, che accoglieva il ricorso.
4. L’appello avverso tale pronuncia, proposto dall’Agenzia delle Entrate veniva, del pari, disatteso dalla CTR del Lazio, con sentenza n. 135/29/07, depositata il 17.1.08, con la quale il giudice di seconde cure riteneva non adeguatamente comprovata la determinazione dei ricavi operata in via induttiva, ritenendo del tutto privi di valore probatorio, sul piano presuntivo, gli indici parametri adoperati dall’Ufficio.
5. Per la cassazione della sentenza n. 135/29/07 ha, quindi, proposto ricorso l’Agenzia delle Entrate, affidato a sei motivi. L’intimato non ha svolto attività difensiva.
Motivi della decisione
1. Con i primi tre motivi di ricorso – che, per la loro evidente connessione, vanno esaminati congiuntamente – l’Agenzia delle Entrate denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 37 e 55, artt. 2697, 2727 e 2729 c.c., L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 181, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè l’insufficiente motivazione su fatti decisivi della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.
1.1. Avrebbe, invero, errato la CTR, ad avviso della ricorrente, nel ritenere – peraltro con motivazione del tutto incongrua – che, a fronte della tardiva presentazione della dichiarazione IVA da parte del M. e della mancata risposta, da parte del medesimo, al questionario inviatogli dall’Ufficio, l’Amministrazione finanziaria non fosse legittimata ad accertare – in via induttiva e mediante il ricorso ad elementi parametrici a carattere presuntivo – i maggiori ricavi conseguiti dal contribuente, ai fini IVA per l’anno in contestazione.
1.2. L’impugnata sentenza avrebbe, dipoi, erroneamente ritenuto che l’Ufficio non avesse assolto l’onere, sul medesimo incombente, di provare la pretesa fiscale azionata. E ciò, sebbene l’antieconomicità della gestione dell’impresa, ed in particolare le incongruenze, risultanti dalle stesse scritture contabili, scaturenti dal confronto tra acquisti e ricavi, nonchè la divergenza tra l’attività indicata dal contribuente nella propria dichiarazione tardiva e quella indicata, invece, nel ricorso introduttivo della controversia, costituissero elementi fortemente presuntivi, a fronte della totale carenza di elementi di prova di segno contrario da parte del contribuente.
1.3. Le censure sono fondate.
1.3.1. Va osservato, infatti, che la presentazione della dichiarazione annuale delle operazioni imponibili, oltre il termine di trenta giorni previsto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 37, comporta che detta dichiarazione deve ritenersi omessa a tutti gli affetti (Cass. 11737/11; 16341/13), con la conseguenza che, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55, comma 1, il contribuente è esposto alla determinazione in via induttiva dell’ammontare imponibile e della relativa aliquota, sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a conoscenza dell’Ufficio (Cass. 1240/14).
1.3.2. In caso di omessa presentazione della dichiarazione annuale, infatti, l’accertamento induttivo dell’imposta può essere fondato dall’Amministrazione finanziaria, non solo su prove documentali, ma anche su indizi aventi i caratteri di gravità, precisione e concordanza per ricavarne una valida presunzione ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 53, 54 e 55 e art. 2727 c.c.. La presunzione in parola ha, dunque, il valore autonomo di prova della pretesa fiscale e produce, di conseguenza, l’effetto di spostare sul contribuente l’onere della prova contraria (Cass. 9203/08).
1.3.3. Da quanto suesposto deve, pertanto, inferirsi l’erroneità dell’impugnata sentenza, laddove ha ritenuto che non fosse stato assolto dall’Ufficio l’onere probatorio, sul medesimo incombente, di dimostrate la pretesa fiscale azionata.
1.3.3.1. Ed invero, va rilevato che l’Amministrazione finanziaria ha accertato – sulla base delle stesse scritture contabili – la totale antieconomicità dell’attività di impresa svolta dal contribuente, atteso che il medesimo esponeva continui acquisti di merce pure a fronte di enormi giacenze di invenduto e di redditi decrescenti vistosamente nell’arco di un triennio. Inoltre, ad un incremento notevolissimo dei beni strumentali – ed in particolare delle immobilizzazioni materiali, che lasciavano intravvedere una certa solidità aziendale acquisita -corrispondeva, per contro, una tendenza inversamente proporzionale dei ricavi, in calo vertiginoso nell’arco dell’ultimo triennio.
1.3.3.2. Ebbene, a fronte di questi elementi, di indubbio spessore indiziario e presuntivo, offerti dall’Ufficio, il contribuente si è limitato ad allegazioni del tutto generiche circa la regolarità delle appostazioni contenute nella contabilità aziendale.
Orbene, va osservato, al riguardo, che nel giudizio tributario, una volta contestata dall’Erario l’antieconomicità di una operazione posta in essere dal contribuente, perchè basata su contabilità complessivamente inattendibile, in quanto contrastante con i criteri di ragionevolezza, diviene onere del contribuente stesso dimostrare la liceità fiscale della suddetta operazione, ed il giudice tributario non può, al riguardo, limitarsi a constatare la regolarità della documentazione cartacea. Infatti, in tali ipotesi, è consentito al fisco dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate, utilizzando presunzioni semplici e obiettivi parametri di riferimento, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale è tenuto a dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate a fronte della contestata antieconomicità delle stesse (Cass. 11599/07; 14941/13).
1.3.4. Del pari erronea è da ritenersi, quindi, l’impugnata sentenza anche nella parte in cui ha negato rilevanza probatoria agli indici parametrici applicati dall’Amministrazione finanziaria nel caso concreto.
1.3.4.1. Va osservato, infatti, in proposito, che la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sè considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, peraltro, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame.
1.3.4.2. E’ chiaro, pertanto, che – nel caso in cui il contribuente non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte – le conseguenze di tale comportamento inattivo non potranno che ricadere sul medesimo, in quanto – in siffatta ipotesi – l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli “standards”, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito stesso (cfr. Cass. S.U. 26635/09; 12558/10; 12428/12; 11633/13).
1.3.4.3. Ne discende che, nel caso concreto, in presenza di un comportamento inattivo del M., che non ha neppure dato risposto al questionario inviatogli dall’Ufficio, del tutto legittimo si palesa il ricorso, da parte dell’Amministrazione ai parametri presuntivi di cui alla L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 181.
1.4. Per tali ragioni, dunque, i motivi di ricorso in esame vanno accolti.
2. Con il quarto e quinto motivo – che, in quanto strettamente connessi, vanno esaminati congiuntamente l’Agenzia delle Entrate denuncia l’omessa o insufficiente motivazione su un fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
2.1. Si duole la ricorrente del fatto che la CTR abbia, in relazione alle lavorazioni ultrannuali, ritenuto che il prospetto di tali lavorazioni, previsto in via generale dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 60 (nel testo applicabile ratione temporis) sebbene non conforme alle circolari ministeriali in materia, fosse, nondimeno, “idoneo a dare conto dell’effettiva attività dell’impresa”. Il giudice di appello non avrebbe, invero, considerato, al riguardo, le dettagliate deduzioni dell’Ufficio circa l’estrema genericità di tale prospetto, carente delle indicazioni richieste, sia dalla norma succitata, che dalle circolari del 31.1.81 e del 22.9.82.
2.2. Le censure sono fondate.
2.2.1. Osserva, invero, la Corte che la motivazione omessa o insufficiente è configurabile in qualsiasi ipotesi nella quale dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l’obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che ha indotto il giudicante, sulla base degli elementi acquisiti, al convincimento espresso nella decisione emessa (cfr. da ultimo, Cass.S.U. 24148/13).
2.2.2. Ebbene, nel caso di specie, la motivazione dell’impugnata sentenza appare carente sotto entrambi i profili suindicati.
2.2.2.1. Ed infatti, a fronte dell’allegazione dettagliata da parte dell’Amministrazione finanziaria, nel proprio atto di appello (trascritto nei suoi punti essenziali ai fini dell’autosufficienza), delle carenze del prospetto delle lavorazioni ultrannuali, e della mancanza della scheda di lavorazione o di cantiere, richiesta dalle predette circolari, la CTR – benchè abbia dato atto della contrarietà del prospetto in parola con le norme succitate – non ha speso al riguardo una sola parola, neppure per contestarli, in ordine agli elementi addotti dall’Ufficio.
2.2.2.2. Inoltre, la motivazione della decisione di appello si palesa, sul punto, del tutto anapodittica, risolvendosi nella mera declaratoria di idoneità del prospetto in questione a rappresentare, ad onta delle sue carenze formali, l’effettiva attività svolta dall’ impresa. La sentenza non contiene, peraltro, indicazione alcuna degli elementi sulla scorta dei quali abbia ritenuto sussistere siffatta idoneità documentativa del prospetto in parola. Per il che non è possibile cogliere, nell’ impianto motivazionale dell’impugnata pronuncia, l’iter logico-giuridico posto dal giudicante a fondamento della stessa decisione adottata.
2.3. Le censure suesposte devono, pertanto, essere accolte.
3. Con il sesto motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate denuncia, infine, l’insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
3.1. L’amministrazione censura, infatti, l’erroneità ed illogicità dell’impugnata sentenza, laddove ha escluso la discordanza tra l’attività indicata dal contribuente nella dichiarazione tardiva presentata ai fini IVA (trasporto merce per conto terzi, codice 60250) e quella indicata nel ricorso alla CTP (movimento di terra, codice 45110), ritenendo trattarsi della stessa attività, considerata sotto due diversi punti di vista: “secondo il contribuente egli muove la terra e la trasporta, secondo l’Ufficio trasporta la terra dopo averla rimossa”.
3.2. Il motivo è fondato.
3.2.1. E’ – per vero – del tutto evidente l’incongruenza del percorso argomentativo seguito dalla CTR, la quale non spiega affatto perchè dovrebbe trattarsi della stessa attività vista sotto due prospettive diverse, laddove è evidente che i diversi codici attribuiti alle due attività suindicate, utilizzati ai fini dell’attribuzione della partita IVA, non possono designare attività analoghe o permutabili, giacchè – se così fosse – non si spiegherebbe tale diversità del relativo codice identificativo. Orbene, l’Ufficio era in possesso di dati – desunti dalla stessa dichiarazione IVA annuale – da cui risultava che il M. svolgeva l’attività di trasporto merci per conto terzi, mentre il contribuente nel ricorso alla CTP affermava di svolgere attività di movimento terra. Il giudice di appello afferma trattarsi della medesima cosa – senza dire per quale ragione – ma è evidente che, le due attività, cui corrispondono codici identificativi diversi sono differenti, tanto più che la terra da escavazioni non pare possa essere facilmente equiparata a “merce trasportabile”.
3.2.2. Il motivo va, di conseguenza accolto.
4. L’accoglimento del ricorso comporta la cassazione dell’impugnata sentenza, con rinvio ad altra sezione della CTR del Lazio, che dovrà procedere a nuovo esame del merito della controversia, alla luce dei principi di diritto e dei rilievi suesposti.
5. Il giudice di rinvio provvedere, altresì alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione;
accoglie il ricorso; cassa l’impugnata sentenza con rinvio ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, che provvedere alla liquidazione anche delle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 10 marzo 2014.
Depositato in Cancelleria il 8 aprile 2015