Cass., sez. trib., 7 giugno 2019, n. 15450 (testo)
Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza 8 maggio– 7 giugno 2019, n. 15450
Presidente Chindemi – Relatore Stalla
Fatti rilevanti e ragioni della decisione
§ 1. Il notaio G.M.P.A. propone due motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 2188/16 del 13 aprile 2016, con la quale la commissione tributaria regionale della Lombardia, a conferma della prima decisione, ha ritenuto legittimo l’avviso di liquidazione notificatogli dalla agenzia delle entrate, per imposta ipotecaria e di registro in misura proporzionale, su un atto costitutivo di trust da lui rogato e registrato telematicamente con versamento dell’imposta in misura fissa.
La commissione tributaria regionale, in particolare, ha rilevato che: – vertendosi di trust “autodichiarato”, correttamente l’ufficio aveva applicato l’imposta di registro in misura proporzionale sul vincolo di destinazione dei beni così attuato, indipendentemente dal loro trasferimento; – legittimamente il notaio era stato richiesto del pagamento, stante la sua qualità di responsabile d’imposta obbligato in solido con le parti dell’atto D.P.R. n. 131 del 1986, ex art. 57; – infondata era ogni altra eccezione opposta dal notaio.
Resiste con controricorso l’agenzia delle entrate.
§ 2.1 Con il primo motivo di ricorso si lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – “omesso esame” circa un fatto decisivo per il giudizio. Per non avere la Commissione Tributaria Regionale rilevato la dedotta tardività dell’avviso di liquidazione in oggetto, in quanto notificato oltre il termine decadenziale di 60 giorni dalla registrazione telematica dell’atto.
§ 2.2 Il motivo non può trovare accoglimento.
Sotto un primo profilo, si osserva come esso andasse più correttamente formulato con riguardo ad ipotetico vizio di “omessa pronuncia” su eccezione della parte (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), invece che in termini di “omesso esame” (n. 5). Ciò sul presupposto che l’omesso esame di cui alla disposizione citata (come riformulata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv. in L. n. 134 del 2012), deve vertere su un fatto storico decisivo per il giudizio, e non su un elemento di valutazione giuridica. Nella concretezza del caso, il solo riscontro dell’inutile decorso dei 60 giorni per la notificazione dell’avviso D.Lgs. n. 463 del 1997, ex art. 3 ter, non avrebbe consentito di dirimere la controversia, se non all’esito dell’accoglimento di una determinata interpretazione giuridica di quest’ultima disposizione; interpretazione secondo cui come vorrebbe il ricorrente – decorsi inutilmente i 60 giorni dalla registrazione dell’atto, verrebbe per ciò soltanto a cessare qualsivoglia responsabilità del notaio per il pagamento del tributo. Sennonché, la sussistenza di oggettivi margini di opinabilità circa gli effetti giuridici attribuibili al fatto non esaminato (ed alla sua decisività) era sufficiente, di per sé, ad escludere che tale omissione potesse rilevare, invece che in termini di violazione di legge, sotto il diverso aspetto del vizio di motivazione cit,. ex art. 360, comma 1, n. 5.
Sotto un secondo profilo, la doglianza sarebbe comunque infondata quand’anche riqualificata in termini, appunto, di omessa pronuncia e violazione dell’art. 112 c.p.c.. Va infatti considerato che la Commissione Tributaria Regionale, dopo aver dato atto dell’eccezione del notaio appellante circa l’asserita decadenza nella quale era incorsa l’amministrazione finanziaria con riguardo alla mancata osservanza del termine di 60 giorni di cui al D.Lgs. n. 463 del 1997, art. 3 ter, ha poi affrontato il merito della questione (concernente il regime di tassazione applicabile al trust autodichiarato in oggetto), giungendo ad una decisione chiaramente incompatibile, sul piano logico e giuridico, con l’accoglimento della suddetta eccezione, di chiara natura preliminare; il che concreta un’ipotesi che non è di omessa pronuncia, ma di rigetto implicito dell’eccezione stessa (tra le molte: Cass. nn. 452/15, 16254/12, 20311/11). Ed in tal senso va intesa la formula “ogni altra eccezione disattesa” pure utilizzata dal giudice di appello a chiusura del proprio ragionamento.
§ 3.1 Con il secondo motivo di ricorso si deduce – ex art. 360 c.p.c., n. 3, – violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 42 e 57. Per non avere la Commissione Tributaria Regionale considerato che la responsabilità solidale del notaio riguardava unicamente l’imposta principale, cioè quella assolta al momento della registrazione dell’atto e quella liquidata dall’ufficio, in sede di controllo della autoliquidazione, sulla base degli elementi risultanti dall’atto; per contro, la liquidazione di ogni altra imposta complementare e suppletiva poteva essere posta a carico esclusivamente delle parti stipulanti.
§ 3.2 Il motivo è fondato.
Il D.Lgs. n. 463 del 1997, art. 3 ter, stabilisce: “Procedure di controllo sulle autoliquidazioni.
1. Gli uffici controllano la regolarità dell’autoliquidazione e del versamento delle imposte e qualora, sulla base degli elementi desumibili dall’atto, risulti dovuta una maggiore imposta, notificano, anche per via telematica, entro il termine di sessanta giorni dalla presentazione del modello unico informatico, apposito avviso di liquidazione per l’integrazione dell’imposta versata. Il pagamento è effettuato, da parte dei soggetti di cui al testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, approvato con D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 10, lett. b), entro quindici giorni dalla data della suindicata notifica; trascorso tale termine, sono dovuti gli interessi moratori computati dalla scadenza dell’ultimo giorno utile per la richiesta della registrazione e si applica la sanzione di cui al D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 47, art. 13. Nel caso di dolo o colpa grave nell’autoliquidazione delle imposte, gli uffici segnalano le irregolarità agli organi di controllo competenti per l’adozione dei conseguenti provvedimenti disciplinari. Per i notai è ammessa la compensazione di tutte le somme versate in eccesso in sede di autoliquidazione con le imposte dovute per atti di data posteriore, con conseguente esclusione della possibilità di richiedere il rimborso all’Amministrazione finanziaria”.
Il ricorso ex lege alle modalità di registrazione telematica dell’atto e di versamento del tributo su autoliquidazione del notaio, mediante il modello unico informatico (MUI), costituisce un’applicazione meramente strumentale – tecnologica ed evolutiva – propria della fase di registrazione dell’atto e riscossione dell’imposta, con obiettivi di velocizzazione e semplificazione.
Non può però dirsi che il ricorso alla procedura automatizzata ‘mutì la natura della responsabilità giuridica del notaio per il pagamento dell’imposta.
Non risulta infatti variato – nè sussistono vincoli di incompatibilità con tale procedura – il disposto fondamentale di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 57, il quale stabilisce che il notaio sia solidalmente obbligato al pagamento dell’imposta con le parti dell’atto.
Si tratta di responsabilità che, per un verso, trova fondamento e ragione pratica nel ruolo di garanzia a lui assegnato dalla legge nel rafforzamento dei presupposti di satisfattività della pretesa impositiva, così da giustificare che egli intervenga nella sua qualità di responsabile d’imposta, come definita in via generale dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 64, comma 3. Per altro verso, l’affermazione della responsabilità concorrente del notaio non toglie che questi, ancorché pubblico ufficiale obbligato a richiedere la registrazione, rimanga tuttavia estraneo al presupposto impositivo, che concerne unicamente le parti contraenti nel momento in cui partecipano alla stipulazione di un atto traslativo di ricchezza o regolativo di un affare al quale l’ordinamento riconduce – ma in capo ai contraenti stessi e soltanto a costoro un’espressione di capacità contributiva (tra le altre, Cass. nn. 9439-9440/05; 5016/15, ord.; 12257/17), sicché può ben dirsi che contribuente in senso sostanziale non sia il notaio, ma la parte (difatti assoggettata a rivalsa per l’intero).
Neppure, però, risulta variata o in altro modo influenzata – venendo con ciò all’oggetto precipuo della lite – l’ulteriore regola generale stabilita dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 57, comma 2, secondo cui la responsabilità solidale del notaio (e del pubblico ufficiale in genere) “non si estende al pagamento delle imposte complementari e suppletive”, rimanendo pertanto limitata all’imposta principale. Previsione, quest’ultima, volta tra l’altro ad evitare che il notaio possa essere direttamente inciso (seppure con potestà di rivalsa) per importi – indeterminati nell’an e nel quantum – che non rovino copertura nella precostituzione della necessaria provvista presso le parti.
In un contesto nel quale l’impulso di modernizzazione affidato al D.Lgs. n. 463 del 1997, ha comportato il semplice adeguamento di alcuni profili operativi (essenzialmente di liquidazione e riscossione) della disciplina-base di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, senza tuttavia stravolgerne i principi fondamentali, si pone allora il problema di definire ed individuare in concreto la tipologia dell’unica imposta per la quale – pur nell’ambito della procedura automatizzata – può essere invocata la responsabilità del notaio, appunto quella “principale”. E nel fare ciò resta dirimente quanto stabilito dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 42, secondo cui “è principale l’imposta applicata al momento della registrazione e quella richiesta dall’ufficio se diretta a correggere errori od omissioni effettuati in sede di autoliquidazione nei casi di presentazione della richiesta di registrazione per via telematica; è suppletiva l’imposta applicata successivamente se diretta a correggere errori od omissioni dell’ufficio; è complementare l’imposta applicata in ogni altro caso”.
Questa definizione legislativa ricomprende nella nozione di imposta principale un duplice prelievo: sia quello direttamente versato al momento della registrazione (quale imposta principale contestuale o “autoliquidata”), sia quello integrativamente richiesto dall’ufficio allo scopo di correggere errori od omissioni incorsi nella autoliquidazione medesima (c.d. imposta principale “postuma”).
Al di là di questi limiti, l’imposta deve ritenersi complementare (oppure, in caso di errori dell’ufficio, suppletiva).
Tornando al disposto di partenza, il D.Lgs. n. 463 del 1997, art. 3 ter, prevede una particolare procedura di controllo automatizzato dell’autoliquidazione, attribuendo all’amministrazione finanziaria la potestà di notificare al notaio un avviso di liquidazione integrativo, dal quale scaturisce la possibilità, per il notaio medesimo, sia di pagare entro i 15 giorni successivi senza interessi moratori nè sanzioni, sia di eventualmente compensare il proprio debito di rettifica con il credito risultante per le somme da lui versate in eccesso su altre registrazioni telematiche autoliquidate.
Orbene, in ogni caso, questa particolare procedura di controllo riguarda unicamente l’imposta autoliquidata la cui difformità dal dovuto risulti immediatamente percepibile – potremmo dire per tabulas – dal MUI ovvero dalla disamina dell’atto trasmesso per la registrazione telematica; dispone infatti la norma che, in tanto la procedura automatizzata di controllo e recupero dell’imposta autoliquidata sia esperibile, in quanto il maggior dovuto emerga “sulla base degli elementi desumibili dall’atto”.
Al contrario, ogniqualvolta la pretesa impositiva non trovi riscontro cartolare ed ictu oculi, ma richieda l’accesso ad elementi extratestuali o anche l’esperimen di particolari accertamenti fattuali o valutazioni giuridico-interpretative, l’amministrazione finanziaria non potrà procedere alla notificazione al notaio, nei 60 giorni, dell’avviso di liquidazione integrativo, dovendo invece emettere, secondo le regole generali, avviso di accertamento – per un’imposta che, a quel punto, avrà necessariamente natura complementare – nei confronti delle parti contraenti.
Va detto che in ordine al presupposto della “emersione dall’atto” quale requisito del controllo automatizzato della autoliquidazione, la stessa amministrazione finanziaria (v. Circ. n. 6/E del 5 febbraio 2003, richiamata dalla Circ. n. 18/E del 29 maggio 2013) invita gli uffici – pur nella necessaria considerazione contenutistica e sostanziale dell’atto – a riscontrare soltanto gli errori e le omissioni che siano oggettivi, univoci ed immediatamente desumibili dall’atto stesso; dunque, “senza sconfinare, in questa fase riservata al controllo dell’imposta principale, in delicate valutazioni o apprezzamenti sulla reale portata degli atti registrati o, comunque, pervenire a conclusioni sorrette da interpretazioni non univoche o che necessitino di qualsiasi attività istruttoria”.
Nella giurisprudenza di legittimità non mancano affermazioni puntuali – riferite anche alla modalità di registrazione telematica – della nozione di imposta “principale”; essendosi ad esempio escluso tale qualifica con riguardo all’imposta recuperata dall’ufficio per ritenuta assenza dei presupposti della agevolazione “prima casa” (Cass. n. 2400/17), ovvero per riqualificazione giuridica dell’atto D.P.R. n. 131 del 1986, ex art. 20, (da ultimo, Cass. n. 881/19; si veda anche, sulla natura complementare dell’imposta scaturente da disconoscimento di agevolazione, Cass. nn. 2403/17 e 12257/17).
È anche nel richiamo di questa giurisprudenza che si ritiene di dover parzialmente superare quanto in caso analogo stabilito da Cass. n. 13626/18; segnatamente là dove in essa si attribuisce alla – pur imprescindibile – bipartizione del D.Lgs. n. 463 del 1997, art. 3 ter, (tra elementi di imposizione `desumibilì ed elementi “non desumibili” dall’atto) una valenza assorbente e sostanzialmente sostitutiva, nella modalità automatizzata di registrazione, della tripartizione operata dalla norma-base dell’art. 42 cit..
Ora, applicando questi principi al caso di specie, risulta come la Commissione Tributaria Regionale non abbia tenuto in debito conto – ed in ciò si concreta la lamentata violazione di legge – che l’imposta dedotta in giudizio non aveva natura principale (nemmeno “postuma”), bensì complementare; così da esulare in radice, come detto, dalla responsabilità solidale del notaio.
Essa non derivava infatti da “elementi desumibili dall’atto” e, in quanto tali, dotati di immediata evidenza ed univoca lettura, quanto piuttosto da una determinata valutazione giuridica di inquadramento dell’istituto del trust e del vincolo di destinazione patrimoniale da esso stabilito; inquadramento (come noto, tuttora tra i più controversi in dottrina e giurisprudenza) a sua volta dirimente in ordine alla affermata assoggettabilità del trust al regime tributario proprio dei trasferimenti di ricchezza.
Va poi considerato che la questione implicava non solo un’attività (tecnico-interpretativa) di inquadramento sistematico, ma anche il discernimento del concreto atteggiarsi dello specifico trust in questione; quanto a sua composizione, struttura e finalità, modalità di gestione, obbligazioni e termini di adempimento.
Ne consegue che – indipendentemente dal fatto che il notaio ricorrente non abbia in realtà contestato, nel presente giudizio, l’applicabilità al trust in oggetto dell’imposta proporzionale di trasferimento, ma soltanto la natura “principale” dell’imposta richiestagli – l’avviso di liquidazione integrativa da lui opposto risulta effettivamente illegittimo; e ciò per il solo fatto che esso miri a far valere un’ipotesi di responsabilità solidale del notaio al di fuori dei casi consentiti.
La sentenza va dunque cassata, con la riaffermazione dei seguenti principi:
– in base al combinato disposto del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 42, 57, e D.Lgs. n. 463 del 1997, art. 3 ter, anche in caso di registrazione con procedura telematica, il notaio risponde in via solidale con i contraenti e salvo rivalsa unicamente per l’imposta che abbia natura principale;
– a tal fine, si considera principale solo l’imposta risultante dal controllo della autoliquidazione ovvero da elementi desumibili dall’atto con immediatezza e senza necessità di accertamenti fattuali o extratestuali, nè di valutazioni giuridico-interpretative.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, sussistono i presupposti per la decisione nel merito, ex art. 384 c.p.c., mediante accoglimento del ricorso introduttivo del giudizio.
Le spese di lite dell’intero procedimento vengono compensate, in ragione della non sempre lineare evoluzione normativa ed interpretativa in materia.
P.Q.M.
La Corte:
– accoglie il ricorso;
– cassa la sentenza impugnata e decide nel merito mediante accoglimento del ricorso introduttivo;
– compensa le spese dell’intero giudizio.