202010.06
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Cass., sez. trib., 6 ottobre 2020 (ord.), n. 21412 (testo)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore, legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, ex lege, dall’Avvocatura Generale dello Stato, ed elettivamente domiciliata presso i suoi uffici, alla via dei Portoghesi n. 12 in Roma;

  • ricorrente –

contro

D.M.P.;

  • intimato –

avverso la sentenza n. 1777, pronunciata dalla Commissione tributaria regionale di Venezia-Mestre il 14.10.2013 e pubblicata il 10.11.2014;

ascoltata, in camera di consiglio, la relazione svolta dal Consigliere Dott. Di Marzio Paolo.

Svolgimento del processo

  1. L’Agenzia delle entrate notificava a D.M.P. l’avviso di accertamento n. (OMISSIS), con il quale contestava un maggior reddito imponibile ai fini Irpef, in relazione all’anno 2004, nella misura di Euro 161.609,00. L’accertamento era stato eseguito in forma sintetica ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, in applicazione del c.d. “redditometro”. Il contribuente era stato invitato a dichiarare gli indici della capacità contributiva, ed aveva segnalato il possesso di due abitazioni secondarie, oltre a quella principale, trascurando peraltro di comunicare la disponibilità di un’autovettura Mercedes (intestata al coniuge) ed essendo stata valutata dall’Amministrazione finanziaria non verosimile la prospettazione secondo cui le spese per l’abitazione principale, avente superficie di 190 mq., sarebbero state sostenute dal padre, D.M.M., che non viveva presso quell’alloggio e comunque non possedeva redditi adeguati per sopportarne gli oneri. Ulteriori elementi rivelatori di reddito erano poi costituiti, secondo l’Ente impositore, dall’acquisto di un’autovettura “Porsche Carrera”, nonchè dal finanziamento eseguito in favore di due società, una di persone, l’altra di capitali, delle quali risultava socio.

Il contribuente proponeva impugnazione avverso l’atto impositivo innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Vicenza, evidenziando di essere socio della ” D.M. Srl”, di cui deteneva l’80% delle quote, e ricordando che nei confronti della società era stato emesso avviso di accertamento del conseguimento di un maggior reddito, in riferimento all’anno 2004, nella misura di Euro 511.286,00. In conseguenza, i maggiori redditi accertati nei confronti della società, nella misura in cui dovevano considerarsi distribuiti a lui, giustificavano ampiamente le maggiori disponibilità accertate dall’Ufficio mediante il redditometro. In corso di giudizio interveniva la conciliazione tra le parti ed il maggior reddito conseguito dalla società rimaneva fissato nella minor somma di Euro 425.028,00. In considerazione di questi elementi, la CTP osservava che nella determinazione del reddito imponibile del contribuente occorreva “considerare, operando un abbattimento del reddito scaturente dai coefficienti presuntivi applicati, anche il reddito derivante dalla società” (ric., p. VII), e concludeva accogliendo parzialmente il ricorso proposto da D.M.P..

  1. La decisione adottata dalla CTP era impugnata da entrambe le parti innanzi alla Commissione tributaria regionale del Veneto, che aderiva alla tesi proposta dal contribuente osservando che “i ricavi accertati in capo alla società di cui il medesimo contribuente è socio con la moglie, detenendo egli l’80% delle quote, sono tali da coprire sicuramente il reddito accertato con l’atto impugnato… tali importi dimostrano l’esistenza in capo al sig. D.M. della capacità reddituale di mantenere i beni indice nelle sue disponibilità… l’appello va accolto… va accolto in toto il ricorso introduttivo del giudizio e per l’effetto va annullato l’avviso di accertamento impugnato” (sent. CTR, p. 4 ss.).
  2. Avverso la decisione assunta dalla Commissione tributaria regionale di Venezia-Mestre ha proposto ricorso per cassazione l’Ente impositore, affidandosi ad un unico, articolato, motivo di ricorso. Il contribuente, D.M.P., non si è costituito.

Motivi della decisione

  1. Con il suo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Amministrazione finanziaria contesta la violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, e dell’art. 2728 c.c., del D.M. 10 settembre 1992 e D.M. 19 novembre 1992, nonchè del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 32, in cui è incorsa l’impugnata CTR per aver errato nell’applicazione della disciplina legale, ritenendo che l’accertamento di un qualsiasi reddito non dichiarato del contribuente possa vanificare la fondatezza dell’accertamento sintetico.
  2. Mediante il suo strumento di gravame l’Ente impositore censura la sentenza impugnata perchè la CTR avrebbe ritenuto erroneamente che l’accertamento di un reddito conseguenziale, percepito dal contribuente nella sua qualità di socio di maggioranza della ” D.M. Srl”, in applicazione della presunzione di distribuzione tra i soci dei proventi societari non dichiarati in proporzione delle quote possedute, comportasse la dimostrazione della disponibilità, da parte dell’odierno intimato, di un reddito anche eccedente quanto calcolato dall’Amministrazione finanziaria in sede di accertamento sintetico, e pertanto in grado di annullare la presunzione di occultamento di un reddito imponibile discendente dall’applicazione del redditometro.

Nel suo ricorso l’Agenzia delle Entrate ripercorre il “ben noto meccanismo che presiede all’accertamento sintetico… una metodologia che valorizza gli indici esteriori esprimenti il tenore di vita del soggetto… attraverso tale procedimento, i redditi occultati vengono portati ad emersione in occasione dell’acquisto di beni destinati ad incrementare, con un certo grado di stabilità, il patrimonio del contribuente… il risultato reddituale… dispensa l’Amministrazione finanziaria dal fornire ulteriori prove” (ric., p. X). L’Ente impositore, quindi, si sofferma nel suo ricorso al fine di dimostrare, anche attraverso vaste citazioni della giurisprudenza di legittimità, che la disciplina normativa in materia di contrasto delle presunzioni raggiunte mediante l’accertamento effettuato con il metodo sintetico richiede al contribuente, che voglia opporre una prova contraria, “qualcosa in più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenuta alla fonte)… chiede espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche” (ric., p. XIII).

Questa Corte di legittimità è recentemente tornata a sintetizzare qual è il regime dell’onere della prova in presenza di un accertamento sintetico del reddito, ed ha chiarito che “in tema di accertamento in rettifica delle imposte sui redditi delle persone fisiche, la determinazione effettuata con metodo sintetico, sulla base degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e 19 novembre 1992, riguardanti il cd. redditometro, dispensa l’Amministrazione da qualunque ulteriore prova rispetto all’esistenza dei fattori-indice della capacità contributiva, sicchè è legittimo l’accertamento fondato su essi, restando a carico del contribuente, posto nella condizione di difendersi dalla contestazione dell’esistenza di quei fattori, l’onere di dimostrare che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore”, Cass. sez. V, 31.10.2018, n. 27811. Tanto premesso, la Suprema Corte non ha mancato di sottolineare che “in tema di imposte sui redditi, l’accertamento del reddito con metodo sintetico, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 38, non impedisce al contribuente di dimostrare, attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta e, più in generale, che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore”, Cass. sez. V, 19.10.2016, n. 21142.

2.1. Invero, all’orientamento interpretativo esposto occorre assicurare continuità, risultando assolutamente condivisibile, sol che si proceda ad una piana lettura della norma di riferimento. Il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, dispone al comma 4 che “l’ufficio… può sempre determinare sinteticamente il reddito complessivo del contribuente sulla base delle spese di qualsiasi genere sostenute nel corso del periodo d’imposta, salva la prova che il relativo finanziamento è avvenuto con redditi diversi da quelli posseduti nello stesso periodo d’imposta, o con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o, comunque, legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile”. Pertanto, una volta effettuato nei modi di legge il calcolo del reddito con modalità sintetica, ed accertate le spese sostenute dal contribuente, quest’ultimo può conseguire la non applicazione delle presunzioni legali di percezione di un maggior reddito non dichiarato dimostrando che il finanziamento delle spese da lui sostenute è avvenuto: 1) con redditi diversi da quelli posseduti nello stesso periodo d’imposta; 2) con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o, comunque, legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile. In queste categorie, espressamente indicate dalla legge, non rientra la disponibilità di un reddito ulteriore non dichiarato che sia conseguenza della presunzione di distribuzione del maggior reddito percepito in quanto partecipe di una società di capitali avente ristretta base partecipativa. Il ricorso proposto dall’Amministrazione finanziaria risulta pertanto fondato.

La correttezza di questa conclusione si afferma, invero, anche in relazione al profilo della necessaria coerenza dell’ordinamento. La tesi affermata dalla CTR comporterebbe, infatti, che in presenza dell’accertamento della percezione di un maggior reddito dipendente da partecipazione societaria e non dichiarato, il contribuente potrebbe avvalersi della sua condotta illegale ed invocare proprio quel reddito quale causa di inutilizzabilità dell’accertamento sintetico effettuato nei suoi confronti. Appare soltanto opportuno ricordare ancora che i tributi dovuti dal contribuente, in relazione al maggior reddito conseguenziale accertato, non emerge in atti che siano mai stati dichiarati dall’odierno ricorrente, o richiesti dall’Amministrazione finanziaria, e tantomeno risulta che siano stati versati.

2.2. In conclusione può esprimersi il seguente principio di diritto: “l’accertamento di redditi percepiti dal contribuente e non dichiarati, conseguenziali all’accertamento di maggiori redditi ottenuti da una società di capitali avente ristretta base partecipativa, non è in grado di dimostrare una capacità di spesa del contribuente idonea ad escludere l’applicabilità delle presunzioni derivanti dall’accertamento sintetico del reddito, operato ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, c.d. “redditometro”, perchè tali proventi non sono riconducibili alle categorie dei redditi: diversi da quelli posseduti nello stesso periodo d’imposta, oppure esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o, comunque, legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile, indicate dalla legge come idonee ad escludere l’applicabilità della presunzione di conseguimento di un maggior reddito ai fini dell’accertamento sintetico”.

  1. Il ricorso proposto dall’Amministrazione finanziaria deve essere quindi accolto, con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Veneto che procederà a nuovo giudizio, nel rispetto dei principi esposti esaminando, se del caso, anche le questioni ritenute assorbite (es. sanzioni), e provvederà pure a regolare le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie, per quanto di ragione, il ricorso introdotto dall’Agenzia delle Entrate, cassa la decisione impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Veneto perchè, in diversa composizione, proceda a rinnovare il giudizio nel rispetto dei principi innanzi esposti, provvedendo anche a disciplinare le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 27 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2020