202204.06
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Cass., sez. trib., 6 aprile 2022 (ord. interloc.), n. 11118 (testo)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. CANDIA Ugo – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso iscritto al n. 3966/2017 R.G., proposto da:

C.N., rappresentato e difeso dall’Avv. Fabio Falcone, con studio in Rimini, e dall’Avv. Emanuele Coglitore, con studio in Roma, ove elettivamente domiciliato, giusta procura in calce al ricorso introduttivo del presente procedimento;

  • ricorrente –

contro

l’Agenzia delle Entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore Generale pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con sede in Roma, ove per legge domiciliata;

  • controricorrente –

avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale di Napoli il 27 giugno 2016 n. 6089/52/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata (mediante collegamento da remoto, ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 27, comma 1, convertito, con modificazioni, dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, in virtù della proroga disposta dal D.L. 30 dicembre 2021, n. 228, art. 16, comma 3, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 febbraio 2022, n. 15, con le modalità stabilite dal decreto reso dal Direttore Generale dei Servizi Informativi ed Automatizzati del Ministero della Giustizia il 2 novembre 2020) del 16 marzo 2022 dal Dott. Giuseppe Lo Sardo.

Svolgimento del processo

che:

C.N., nella qualità di notaio della sede di Napoli, ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale di Napoli il 27 giugno 2016 n. 6089/52/2016, che, in controversia su impugnazione di avviso di liquidazione dell’imposta di registro ed irrogazione delle sanzioni amministrative in relazione all’enunciazione del finanziamento infruttifero eseguito da un socio ed iscritto in bilancio (sotto la voce “Finanziamento infruttifero socio D.M.B.”) per l’importo di Euro 693.307,00, nonchè della remissione parziale del debito alla restituzione del medesimo finanziamento infruttifero per il minore ammontare di Euro 93.000,00 a corrispondente liberazione di un aumento gratuito del capitale sociale della “Jengo S.p.A.” di Napoli, deliberato nel verbale assembleare a suo rogito del (OMISSIS), rep. n. (OMISSIS), ha rigettato l’appello proposto dal medesimo nei confronti dell’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Napoli il 23 dicembre 2014, n. 31535/29/2014, con compensazione delle spese giudiziali. La Commissione Tributaria Regionale ha confermato la decisione di primo grado, sul presupposto che la rogazione dell’atto enunciante (il verbale assembleare portante l’aumento gratuito del capitale sociale) comportasse la responsabilità solidale del notaio anche per gli atti enunciati (il finanziamento infruttifero erogato dal socio alla società; la parziale rinunzia del socio al rimborso del finanziamento infruttifero erogato alla società) ai fini dell’imposta di registro. L’Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso.

Motivi della decisione

che:

  1. Con il primo motivo, si denuncia nullità della sentenza impugnata per violazione (verosimilmente) dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 34, comma 2, n. 4, del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, artt. 42 e 57, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver rigettato l’appello del contribuente con motivazione meramente apparente – mediante una scarna relatio alla sentenza di prime cure – con riguardo alla responsabilità solidale del notaio in ordine all’imposta di registro sugli atti enunciati.
  2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver omesso di pronunziarsi sull’assenza di responsabilità solidale del notaio in ordine all’imposta di registro sugli atti enunciati.
  3. Con il terzo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. 26 aprile 1931, n. 131, artt. 10, 22 e 57, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver ritenuto la responsabilità solidale del notaio in ordine all’imposta di registro sugli atti enunciati.

Ritenuto che:

  1. Lo scrutinio dei motivi di ricorso è incentrato sulla questione specifica della responsabilità solidale del notaio D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, ex art. 57, comma 1, per l’imposta di registro sugli atti enunciati del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, ex art. 22, nell’atto pubblico rogato o nella scrittura autenticata per suo ministero.

A tale riguardo, si segnala che – sia pure con riguardo ad altro procedimento – la trattazione di tale questione è stata già rimessa a questa Sezione con ordinanza interlocutoria della Sezione Sesta (Cass., Sez. 6-5, 29 aprile 2021, n. 11276).

1.1 Il tema del ruolo svolto dal notaio in sede di registrazione degli atti ricevuti o autenticati per suo ministero è stata vagliata in più occasioni da questa Corte (tra le più recenti: Cass., Sez. 5, 7 giugno 2019, n. 15450; Cass. Sez. 5, 19 agosto 2020, n. 17357; Cass., Sez. 5, 21 gennaio 2021, n. 1222; Cass., Sez. 5, 11 febbraio 2021, n. 3456; Cass., Sez. 5, 17 marzo 2021, n. 7462; Cass., Sez. 6-5, 20 aprile 2021, n. 10329; Cass., Sez. 5, 17 giugno 2021, n. 17263; Cass., Sez. 5, 10 agosto 2021, n. 22545; Cas., Sez. 5, 29 settembre 2021, n. 26361; Cass., Sez. 5, 29 ottobre 2021, n. 30652; Cass., Sez. 5, 29 ottobre 2021, n. 30739; Cass., Sez. 5, 25 novembre 2021, nn 36598 e 36599; Cass., Sez. 6-5, 31 gennaio 2022, n. 2808) con ragionate argomentazioni che meritano di essere riportate in questa sede.

Disciplinando le “procedure di controllo sulle autoliquidazioni” in materia di registrazione degli atti relativi a diritti su beni immobili, mentre il D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 463, art. 3-bis, comma 3, (quale introdotto dal D.Lgs. 18 gennaio 2000, n. 19, art. 1, comma 1) prevede che, “In caso di presentazione del modello unico informatico per via telematica, le formalità di cui al comma 2, (cioè, “Le richieste di registrazione, le note di trascrizione e di Iscrizione nonchè le domande di annotazione e di voltura catastale, relative agli atti per i quali è attivata la procedura telematica”) sono eseguite previo pagamento dei tributi dovuti in base ad autoliquidazione”, il D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 463, art. 3-ter, (quale introdotto dal D.Lgs. 18 gennaio 2000, n. 19, art. 1, comma 1) stabilisce che: “Gli uffici controllano la regolarità dell’autoliquidazione e del versamento delle imposte e qualora, sulla base degli elementi desumibili dall’atto, risulti dovuta una maggiore imposta, notificano, anche per via telematica, entro il termine di sessanta giorni dalla presentazione del modello unico informatico, apposito avviso di liquidazione per l’integrazione dell’imposta versata. Il pagamento è effettuato, da parte dei soggetti di cui al testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, art. 10, lett. b), approvato con D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, entro quindici giorni dalla data della suindicata notifica; trascorso tale termine, sono dovuti gli interessi moratori computati dalla scadenza dell’ultimo giorno utile per la richiesta della registrazione e si applica la sanzione di cui al D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 47, art. 13. Nel caso di dolo o colpa grave nell’autoliquidazione delle imposte, gli uffici segnalano le irregolarità agli organi di controllo competenti per l’adozione dei conseguenti provvedimenti disciplinari. Per i notai è ammessa la compensazione di tutte le somme versate in eccesso in sede di autoliquidazione con le imposte dovute per atti di data posteriore, con conseguente esclusione della possibilità di richiedere il rimborso all’Amministrazione finanziaria”.

Il ricorso ex lege alle modalità di registrazione telematica dell’atto e di versamento dei tributi su autoliquidazione del notaio, mediante il modello unico informatico (M.U.I.), costituisce un’applicazione meramente strumentale tecnologica ed evolutiva – propria della fase di registrazione dell’atto e riscossione delle imposte di registro, ipotecaria e catastale, con obiettivi di velocizzazione e semplificazione.

1.2 Non si può, però, dire che il ricorso alla procedura automatizzata “muti” la natura della responsabilità giuridica del notaio per il pagamento delle imposte. Non risulta, infatti, variato – nè sussistono vincoli di incompatibilità con tale procedura – il disposto fondamentale di cui al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 57, il quale stabilisce che il notaio sia solidalmente obbligato al pagamento dell’imposta di registro (ma anche delle imposte ipotecaria e catastale, ai sensi del D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 347, art. 11 e art. 13, comma 1) con le parti dell’atto.

Si tratta di responsabilità che, per un verso, trova fondamento e ragione pratica nel ruolo di garanzia a lui assegnato dalla legge nel rafforzamento dei presupposti di satisfattività della pretesa impositiva, così da giustificare che egli intervenga nella sua qualità di responsabile d’imposta, come definita in via generale dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 64, comma 3.

Per altro verso, l’affermazione della responsabilità concorrente del notaio non toglie che questi, ancorchè pubblico ufficiale obbligato a richiedere la registrazione, rimanga, tuttavia, estraneo al presupposto impositivo, che concerne unicamente le parti contraenti nel momento in cui partecipano alla stipulazione di un atto traslativo di ricchezza o regolativo di un affare al quale l’ordinamento riconduce – ma in capo ai contraenti stessi e soltanto a costoro – un’espressione di capacità contributiva (tra le altre: Cass., Sez. 5, 6 maggio 2005, nn. 9439 e 9440; Cass., Sez. 5, 12 marzo 2015 n. 5016; Cass., Sez. 5, 17 maggio 2017, n. 12257; Cass., Sez. 5, 7 giugno 2019, n. 15450; Cass., Sez. 5, 19 agosto 2020, n. 17357; Cass., Sez. 5, 10 novembre 2020, n. 25119; Cass., Sez. 5, 11 febbraio 2021, n. 3456; Cass., Sez. 5, 29 ottobre 2021, n. 30652), sicchè può ben dirsi che contribuente in senso sostanziale non sia il notaio, ma la parte (difatti, assoggettata a rivalsa per l’intero).

1.3 Neppure, però, risulta variata o in altro modo influenzata l’ulteriore regola generale stabilita dal D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 57, comma 2, secondo cui la responsabilità solidale del notaio (e del pubblico ufficiale in genere) “non si estende al pagamento delle imposte complementari e suppletive”, rimanendo, pertanto, limitata alle imposte principali. Previsione, quest’ultima, volta tra l’altro ad evitare che il notaio possa essere direttamente inciso (seppure con potestà di rivalsa) per importi – indeterminati nell’an e nel quantum – che non rovino copertura nella precostituzione della necessaria provvista presso le parti.

In un contesto nel quale l’impulso di modernizzazione affidato al D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 463, ha comportato il semplice adeguamento di alcuni profili operativi (essenzialmente di liquidazione e riscossione) della disciplina-base di cui al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, senza, tuttavia, stravolgerne i principi fondamentali, si pone allora il problema di definire ed individuare in concreto la tipologia dell’unica imposta per la quale – pur nell’ambito della procedura automatizzata – può essere invocata la responsabilità del notaio, appunto quella “principale”.

1.4 E nel fare ciò resta dirimente quanto stabilito dal D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 42 (richiamato dal D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 347, art. 13, comma 1), secondo cui: “E’ principale l’imposta applicata al momento della registrazione e quella richiesta dall’ufficio se diretta a correggere errori od omissioni effettuati in sede di autoliquidazione nei casi di presentazione della richiesta di registrazione per via telematica; è suppletiva l’imposta applicata successivamente se diretta a correggere errori od omissioni dell’ufficio; è complementare l’imposta applicata in ogni altro caso”.

Questa definizione legislativa ricomprende nella nozione di imposta principale un duplice prelievo: sia quello direttamente versato al momento della registrazione (quale imposta principale contestuale o “autoliquidata”), sia quello integrativamente richiesto dall’ufficio allo scopo di correggere errori od omissioni incorsi nella autoliquidazione medesima (c.d. imposta principale “postuma”). Al di là di questi limiti, l’imposta deve ritenersi complementare (oppure, in caso di errori dell’ufficio, suppletiva).

1.5 Tornando al disposto di partenza, il D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 463, art. 3-ter (quale introdotto dal D.Lgs. 18 gennaio 2000, n. 19, art. 1, comma 1) prevede una particolare procedura di controllo automatizzato dell’autoliquidazione, attribuendo all’amministrazione finanziaria la potestà di notificare al notaio un avviso di liquidazione integrativo, dal quale scaturisce la possibilità, per il notaio medesimo, sia di pagare entro i 15 giorni successivi senza interessi moratori nè sanzioni, sia di eventualmente compensare il proprio debito di rettifica con il credito risultante per le somme da lui versate in eccesso su altre registrazioni telematiche autoliquidate. Orbene, in ogni caso, questa particolare procedura di controllo riguarda unicamente le imposte autoliquidate la cui difformità dal dovuto risulti immediatamente percepibile – potremmo dire per tabulas – dal M.U.I. ovvero dalla disamina dell’atto trasmesso per la registrazione telematica; dispone, infatti, la norma che, in tanto la procedura automatizzata di controllo e recupero delle imposte autoliquidate sia esperibile, in quanto il maggior dovuto emerga “sulla base degli elementi desumibili dall’atto”.

Al contrario, ogniqualvolta la pretesa impositiva non trovi riscontro cartolare ed ictu oculi, ma richieda l’accesso ad elementi extratestuali o anche l’esperimento di particolari accertamenti fattuali o valutazioni giuridico-interpretative, l’amministrazione finanziaria non potrà procedere alla notificazione al notaio, nei 60 giorni, dell’avviso di liquidazione integrativo, dovendo invece emettere, secondo le regole generali, avviso di accertamento – per un’imposta che, a quel punto, avrà necessariamente natura complementare – nei confronti delle parti contraenti.

1.6 Va detto che in ordine al presupposto della “emersione dall’atto” quale requisito del controllo automatizzato della autoliquidazione, la stessa amministrazione finanziaria (Circolare dell’Agenzia delle Entrate 5 febbraio 2003, n. 6/E, richiamata dalla Circolare dell’Agenzia delle Entrate 29 maggio 2013, n. 18/E) invita gli uffici – pur nella necessaria considerazione contenutistica e sostanziale dell’atto – a riscontrare soltanto gli errori e le omissioni che siano oggettivi, univoci ed immediatamente desumibili dall’atto stesso; dunque, “senza sconfinare, in questa fase riservata al controllo dell’imposta principale, in delicate valutazioni o apprezzamenti sulla reale portata degli atti registrati o, comunque, pervenire a conclusioni sorrette da interpretazioni non univoche o che necessitino di qualsiasi attività istruttoria”.

1.7 Nella giurisprudenza di legittimità non mancano affermazioni puntuali – riferite anche alla modalità di registrazione telematica – della nozione di imposta “principale”; essendosi, ad esempio, escluso tale qualifica con riguardo all’imposta recuperata dall’ufficio per ritenuta assenza dei presupposti della agevolazione per la c.d. “prima casa” (Cass., Sez. 5, 3 gennaio 2017, n. 2400), ovvero per riqualificazione giuridica dell’atto D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, ex art. 20 (Cass., Sez. 5, 16 gennaio 2019, n. 881; Cass., Sez. 5, 17 ottobre 2019, n. 26379; Cass., Sez. 5, 19 agosto 2020, n. 17357; Cass., Sez. 5, 11 febbraio 2021, n. 3456 – si veda anche, sulla natura complementare dell’imposta scaturente da disconoscimento di agevolazione: Cass., Sez. 5, 31 gennaio 2017, n. 2403; Cass., Sez. 5, 17 maggio 2017, n. 12257).

1.8 Il sistema risultante dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 463, art. 3-bis e 3-ter (quali introdotti dal D.Lgs. 18 gennaio 2000, n. 19, art. 1, comma 1) lascia irrisolte alcune questioni fondamentali che vanno dagli effetti della solidarietà tra contribuente/cliente e notaio rogante nella fase di pagamento dei tributi fino a quelle più strettamente processuali rispetto alla legittimazione nell’azione di rimborso e nell’opposizione all’atto di accertamento.

Tale meccanismo applicativo è l’unico oggi previsto, tanto da apparire come – per certi versi – doppiamente imposto poichè non sono previsti sistemi di liquidazione e pagamento alternativi e neppure la possibilità per la parte di non ricorrere in tutto o in parte (ad esempio, per gli adempimenti tributari inerenti e conseguenti l’atto) al notaio. Quest’ultimo, a sua volta, non potendo rifiutare di prestare il proprio ufficio (L. 16 febbraio 1913, n. 89, art. 27) e, dunque, essendo obbligato ad un’attività che può comportare l’esposizione ad una responsabilità fiscale ha, comunque, la possibilità di trattenere preventivamente le imposte potendo rifiutare il proprio ministero ove non siano anticipate dalle parti le somme dovute in ordine all’atto richiesto (L. 16 febbraio 1913, n. 89, art. 28).

1.9 Secondo l’interpretazione dottrinale, questo sistema, che non è stato accompagnato da una manutenzione delle norme di riferimento contenute nel T.U.R. (nonchè nel T.U.I.C.), necessita oggi di una rilettura delle stesse “sistematicamente orientata dall’autoliquidazione” e, probabilmente, una diversa qualificazione giuridica del ruolo del notaio.

In questa prospettiva, si è segnalata l’opportunità di riflettere su alcuni elementi di novità del sistema. Premessa l’obbligatorietà dell’autoliquidazione e della “mediazione” notarile, si deve aggiungere che, nella fase compresa dalla stipulazione dell’atto fino alla richiesta dell’imposta principale l’unico interlocutore dell’amministrazione finanziaria è il notaio. Questi determina l’entità della provvista stimando l’entità dell’imposta e nei 60 giorni successivi alla registrazione può ricevere una nuova liquidazione dell’amministrazione finanziaria per il recupero di quella che la legge definisce come imposta principale (e rispetto alla quale residua un rapporto di coobbligazione con le parti). Rispetto a questo atto il notaio può pagare nei 15 giorni senza sanzioni, pagare oltre i 15 giorni con sanzioni solo a lui riferibili ovvero può impugnare entro il termine di 60 giorni con riflessi eventualmente anche in ordine alla mediazione, all’autotutela, all’adesione.

Di contro, i contraenti/contribuenti sono esclusi da ogni possibilità di relazione o interazione con l’amministrazione finanziaria, sia per la sola verifica della correttezza del notaio nell’adempimento dell’obbligazione tributaria con la provvista fornitagli allo scopo, sia per l’eventuale sostituzione in proprio al notaio inerte o negligente nell’adempimento dell’obbligazione tributaria.

1.10 La lettura di tale sistema improntato sull’autoliquidazione obbligata per il tramite del notaio ha indotto la più recente dottrina a riqualificare il notaio non come un responsabile d’imposta (o un sostituto d’imposta), ma piuttosto – secondo la suggestiva definizione all’uopo coniata – come una sorta di “mandatario nell’interesse del Fisco”, trovandosi tale professionista in una posizione autonoma, sui generis, non riconducibile, salvo inammissibili forzature, ad altre categorie. Il che ha indotto qualche esegeta a sostenere l’efficacia liberatoria del pagamento eseguito dai contribuenti/contraenti (con riguardo alle imposte “autoliquidate”) in mani del notaio, facendo leva ora sull’applicabilità dell’art. 1188 c.c., che configura il notaio come indicatario di pagamento (adiectus solutionis causa) per conto dell’amministrazione finanziaria, ora sull’affidamento dei contribuenti/contraenti nell’obbligatorietà della funzione notarile, che richiede di essere salvaguardato anche nei confronti dell’amministrazione finanziaria.

1.11 Tuttavia, è il caso di rilevare come tale ricostruzione si possa attagliare, al più, soltanto al caso in cui – secondo la previsione del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 463, art. 3-ter (quale introdotto dal D.Lgs. 18 gennaio 2000, n. 19, art. 1, comma 1) – l’amministrazione finanziaria si avveda dell’errore o dell’omissione del notaio in sede di controllo sulla “regolarità dell’autoliquidazione e del versamento delle imposte” nei 60 giorni successivi alla presentazione del M.U.I. e provveda, perciò, all’emissione di “apposito avviso di liquidazione per l’integrazione dell’imposta versata”, considerando che il pagamento della maggiore imposta è dovuto ex lege dal notaio entro 15 giorni dal ricevimento della notifica. Difatti, la suddetta norma stabilisce che “il pagamento è effettuato, da parte dei soggetti di cui al testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, art. 10, lett. b), approvato con D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (cioè, dai notai che hanno ricevuto o autenticato l’atto soggetto ad imposta), entro quindici giorni dalla data della suindicata notifica”, ammettendo i medesimi notai alla “compensazione di tutte le somme versate in eccesso in sede di autoliquidazione con le imposte dovute per atti di data posteriore, con conseguente esclusione della possibilità di richiedere il rimborso all’amministrazione finanziaria”.

Dunque, al di fuori di tale ipotesi (la cui “specialità” sarebbe strettamente connessa alla centralità istituzionale della funzione notarile nella instaurazione e nello sviluppo della procedura di “autoliquidazione”), si dovrebbe ripristinare la regola generale della solidarietà passiva tra il notaio ed i contribuenti/contraenti D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, ex art. 57, comma 1.

1.12 Come si desume dalla circolare emanata dalla Direzione Centrale Normativa e Contenzioso dell’Agenzia delle Entrate il 5 febbraio 2003 n. 6/E (richiamata dalla ricorrente), “il quadro normativo di riferimento porta a ritenere che l’attività di controllo demandata agli uffici non sia limitata a una verifica di eventuali errori materiali o di incoerenza rispetto ai dati contenuti nel modello unico informatico (questo tipo di controllo è, infatti, eseguito dal sistema telematico, cfr. circolare n. 3/T del 2002). Il controllo sulla determinazione dell’imposta principale dovuta in sede di “registrazione telematica” degli atti, deve tener conto anche degli elementi desumibili dalla copia dell’atto trasmesso per via telematica e non solo, quindi, di quelli risultanti dal modello unico informatico”. Per cui, “il limite all’attività di controllo è costituito, in definitiva, dal contenuto dell’atto, con la conseguenza che l’ufficio non può fare riferimento a elementi esterni allo stesso, neanche se già in suo possesso, nè può, altrimenti, acquisirne ulteriori inoltrando specifiche richieste agli interessati o svolgendo qualsiasi altra indagine”. Di qui la raccomandazione “(…) agli uffici di rilevare esclusivamente errori ed omissioni sulla base di elementi oggettivi, univoci e chiaramente desumibili dall’atto, senza sconfinare, in questa fase riservata al controllo dell’imposta principale, in delicate valutazioni o apprezzamenti sulla reale portata degli atti registrati o, comunque, pervenire a conclusioni sorrette da interpretazioni non univoche o che necessitino di qualsiasi attività istruttoria”.

1.13 Pertanto, nell’esercizio del potere di controllo di cui al D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 463, art. 3-ter, l’amministrazione finanziaria può rideterminare l’imposta di registro sulla scorta di elementi rilevabili e desumibili ictu oculi dal tenore letterale delle pattuizioni intercorse tra le parti.

Tuttavia, come questa Corte ha già avuto modo di affermare in precedenti analoghi, l’imposta liquidata a seguito di riqualificazione dell’atto D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, ex art. 20, a cui l’amministrazione finanziaria procede dopo la registrazione effettuata dal contribuente, non può essere qualificata nè imposta principale, nè imposta supplementare. Infatti, deve escludersi che si tratti di imposta principale, in quanto quest’ultima è liquidata al momento della registrazione, sulla base del contenuto dell’atto da registrare, mentre l’attività riqualificatoria D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, ex art. 20, viene svolta dall’amministrazione finanziaria soltanto in un secondo momento, e comunque dopo che sia stata versata l’imposta principale. Neppure può configurarsi una imposta suppletiva, atteso che il D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 42, definisce tale quella che viene liquidata dall’amministrazione finanziaria per correggere propri errori od omissioni commessi, ed è pertanto generalmente configurabile in relazione ad atti soggetti a registrazione d’ufficio (Cass., Sez. 5″, 19 maggio 2008, n. 12608; Cass., Sez. 5″, 16 gennaio 2019, n. 881; Cass., Sez. 5″, 17 giugno 2019, n. 15450; Cass., Sez. 5, 19 agosto 2020, n. 17357; Cass., Sez. 5, 11 febbraio 2021, n. 3456).

Ai sensi del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 42, dunque, l’imposta di cui si discorre rientra nell’ultima ipotesi contemplata dalla citata norma, secondo la quale “è complementare l’imposta applicata in ogni altro caso”, ossia in qualunque caso diverso da quelli che costituiscono imposta principale o suppletiva. La liquidazione di cui è causa non è, infatti, intervenuta a correggere errori od omissioni dell’amministrazione finanziaria, ma a ricostruire a posteriori il reale contenuto giuridico dell’atto registrato in ossequio alla previsione del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 20: essa ha dato vita, dunque, ad un’imposta che (non essendo certamente “principale”) deve considerarsi “complementare”, in quanto appartenente alla categoria residuale (così: Cass., Sez. 5″, 19 giugno 2013, n. 15319).

1.14 Dunque, si può escludere che l’amministrazione finanziaria possa addivenire ad una riqualificazione della natura giuridica del contratto in sede di controllo sulla regolarità dell’autoliquidazione, con la conseguenza che la eventuale rideterminazione dell’imposta di registro deve essere sempre rigorosamente ancorata al contenuto dell’atto ed alla rappresentazione del negozio secondo la realtà documentale. Ne deriva che l’interpretazione dell’atto soggetto a registrazione a norma del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 20, non è consentita all’amministrazione finanziaria in sede di liquidazione dell’imposta principale “postuma”, essendo rigorosamente vincolata dal limite formale degli “elementi oggettivi, univoci e chiaramente desumibili dall’atto”.

1.15 Per cui, si può ritenere che l’imposta di registro liquidata all’esito di una complessa operazione ermeneutica del testo contrattuale debba considerarsi “complementare”, a norma del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 42, comma 1, e, per conseguenza, escluda la responsabilità solidale del notaio per il relativo pagamento, a norma del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 57, comma 2, (Cass., Sez. 5, 11 febbraio 2021, n. 3456).

  1. La precedente digressione è strettamente connessa al ruolo svolto dal notaio in sede di redazione dell’atto pubblico e di autenticazione della scrittura privata, in relazione a cui egli è obbligato a richiedere la registrazione D.P.R. 26 aprile 1986, n. 31, ex art. 10, lett. b), ed a pagare (in via solidale con le parti contraenti) l’imposta di registro D.P.R. 26 aprile 1986, n. 31, ex art. 57, comma 1.

2.1 Diversa è la situazione concernente l’imposta di registro per l’ipotesi di “enunciazione” nell’atto pubblico ricevuto o nella scrittura privata autenticata dal notaio di contratti o atti unilaterali in forma scritta o verbale che non siano stati registrati D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, ex art. 22, comma 1.

Secondo tale norma: “Se in un atto sono enunciate disposizioni contenute in atti scritti o contratti verbali non registrati e posti in essere tra le stesse parti intervenute nell’atto che contiene l’enunciazione, l’imposta si applica alle disposizioni enunciate. Se l’atto enunciato era soggetto a registrazione in termine fisso è dovuta anche la pena pecuniaria di cui all’art. 69”. Là dove, per “disposizione” deve intendersi qualunque atto o negozio giuridico produttivo di effetti a contenuto patrimoniale e per “enunciazione” l’espresso richiamo dei contraenti al negozio, contenuto in un atto scritto o in un contratto verbale, dagli stessi posto in essere.

2.2 Per completezza, il D.P.R. 26 aprile 1986, n. 31, art. 22, comma 1, deve essere messo in stretta relazione sia con il D.P.R. 26 aprile 1986, n. 31, art. 64, a tenore del quale “I pubblici ufficiali devono indicare negli atti da loro formati gli estremi della registrazione degli atti soggetti a registrazione in termine fisso menzionati negli atti stessi”, che con il D.P.R. 26 aprile 1986, n. 31, art. 65, comma 1, a tenore del quale: “I pubblici ufficiali non possono menzionare negli atti non soggetti a registrazione in termine fisso da loro formati, nè allegare agli stessi, nè ricevere in deposito, nè assumere a base dei loro provvedimenti, atti soggetti a registrazione in termine fisso non registrati”.

Difatti, imponendo di menzionare non solo gli estremi di registrazione, ma anche la mancanza di registrazione degli atti enunciati, la norma intende consentire all’amministrazione finanziaria, da un lato, di ricercare celermente gli atti menzionati mediante gli estremi di registrazione indicati nell’atto enunciante e, dall’altro lato, di conoscere la eventuale non avvenuta registrazione degli atti enunciati. In sostanza, la norma serve come incentivo ad adempiere l’obbligo di registrazione e come indiretto “strumento organizzativo” apprestato al fine di scongiurare ipotesi di doppia imposizione.

2.3 Affinchè si verifichi il presupposto per la tassazione dell’atto enunciato non basta la sua mera enunciazione.

Anzitutto, vi è un presupposto implicito (tanto ovvio da non essere nemmeno considerato dal legislatore), vale a dire che si deve trattare dell’enunciazione contenuta in un atto soggetto a registrazione; quindi, l’enunciazione contenuta in un atto per il quale non vi è obbligo di registrazione resta completamente irrilevante per l’applicazione dell’imposta di registro.

Inoltre, la norma pone, quale condizione applicativa della normativa sull’enunciazione, il fatto che l’atto enunciato sia posto in essere “fra le stesse parti intervenute nell’atto che contiene la enunciazione”. La ragione della norma risiede nella considerazione che, in tanto si può far luogo a tassazione, in quanto essa sia conseguenza diretta del comportamento del soggetto che la subisce. Invero, la ratio della legge, in tema di enunciazione, è assai chiara ed evidente: la disciplina della enunciazione è, come detto, finalizzata a essere una misura di contrasto all’elusione in quanto, altrimenti, sarebbe facile ai contraenti stipulare un contratto, non registrarlo e poi acclararne l’esistenza in un contratto successivo, pretendendo la salvezza da tassazione del contratto enunciato (Cass., Sez. 5, 24 giugno 2021, n. 18113).

A tal fine, se il concetto di “parti” appare compatibile – secondo un orientamento costante – con il contratto di finanziamento soci, ove le stesse sono rappresentate dai soci finanziatori da un lato e dalla società finanziata dall’altro (così, implicitamente: Cass., Sez. 5, 30 giugno 2010, n. 15585; Cass., Sez. 5, 30 ottobre 2015, n. 22243; Cass., Sez. 6-5, 12 dicembre 2019, n. 32516; esplicitamente: Cass., Sez. 65, 25 settembre 2020, n. 20305; Cass., Sez. 5, 20 novembre 2020, n. 26446; Cass., Sez. 5, 16 giugno 2021, n. 17023; Cass., Sez. 5, 29 luglio 2021, n. 21699), la stessa nozione risulta più difficilmente adattabile al verbale assembleare, che per propria natura, costituendo – secondo autorevole dottrina – un semplice resoconto degli accadimenti assembleari, è un atto “auto-riferito” e, dunque, senza parti. D’altro canto, in favore di tale interpretazione dovrebbe soccorrere la stessa ratio sottesa alla norma in oggetto, di natura antielusiva, che è quella di evitare che le parti coinvolte dapprima stipulino un contratto secondo modalità che non ne richiedano la registrazione ed in un secondo momento ne riconoscano in un atto distinto, ex post, l’esistenza.

Oltre al descritto necessario presupposto soggettivo, per farsi luogo alla tassazione dell’enunciazione, essa deve ovviamente avere una consistenza tale da consentire un esatto riferimento all’oggetto dell’atto enunciato nonchè alla sua base imponibile; cioè, deve essere tale da contenere i presupposti per l’esplicazione della potestà impositiva da parte dell’amministrazione finanziaria. In altre parole, occorre che le circostanze enunciate siano idonee di per sè stesse (e, quindi, senza che vi sia la necessità di ricorrere a elementi non contenuti nell’atto enunciante) ad identificare il rapporto giuridico enunciato. Non è, quindi, sufficiente che l’atto enunciante contenga una mera “menzione” e, cioè, che le parti si riferiscano a circostanze dalle quali possa solo dedursi che esista tra di esse il rapporto giuridico non registrato, ma occorre che le circostanze enunciate siano idonee di per sè stesse (e, pertanto, senza necessità di ricorrere ad elementi non contenuti nell’atto enunciante) a dare certezza circa l’effettiva esistenza del rapporto giuridico enunciato; è necessario, in sostanza, che nell’atto enunciante siano contenuti elementi tali da consentire di identificare con precisione la convenzione enunciata sia in ordine ai soggetti che al suo contenuto oggettivo e alla sua reale portata in modo da fornire non solo la prova della sua esistenza ma da costituirne il titolo (Cass., Sez. 6-5, 13 novembre 2020, n. 25706).

In ogni caso, disponendo che “se l’atto enunciato era soggetto a registrazione in termine fisso è dovuta anche la pena pecuniaria (…)”, il D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 22, comma 1, ha inteso includere fra gli atti assoggettati ad imposta anche quelli soggetti a registrazione in caso d’uso. Infatti, poichè la mera enunciazione degli atti soggetti a registrazione in caso d’uso, ai sensi del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, precedente art. 6, non configura, di per sè, un “uso”, deve ritenersi che tali atti siano assoggettati all’imposta a prescindere dall'”uso” dei medesimi, e quindi sulla base della sola enunciazione (Cass., Sez. 5, 14 marzo 2007, n. 5946; Cass., Sez. 5, 30 ottobre 2015, n. 22243; Cass., Sez. 6-5, 29 marzo 2021, n. 8669).

2.4 Invero, a ben vedere, si tratta di fattispecie che prescindono da qualsiasi intervento del notaio al momento della formazione o della stipulazione e vengono in rilievo ai fini fiscali soltanto in occasione della redazione di un atto pubblico o dell’autenticazione di una scrittura privata. Difatti, se gli atti enunciati rivestissero le forme dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata sarebbero soggette a registrazione da parte del notaio rogante o autenticante a norma del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 31, art. 10, lett. b). Per cui, il D.P.R. 26 aprile 1986, n. 31, art. 22, è destinato a trovare applicazione soltanto per i contratti o gli atti unilaterali che abbiano forma verbale ovvero forma scritta (seppure nella variante della scrittura privata semplice, cioè non autenticata).

  1. Ciò posto, movendo dalla duplice premessa che il notaio è obbligato per il solo pagamento dell’imposta principale e che l’imposta principale è applicata al momento della registrazione (anche d’ufficio), un recente arresto di questa Sezione ha ritenuto che “l’imposta applicata alle disposizioni enunciate, in quanto da applicare in sede di registrazione del contratto enunciante, deve parimenti ritenersi “imposta principale”, essendo tenuto il notaio, quale responsabile di imposta, a corrispondere all’Erario quanto dovuto a fronte della registrazione dell’atto effettuato per il suo tramite, considerando che l’imposta è la medesima che sarebbe stata dovuta in sede di registrazione dell’atto enunciato da parte del contribuente” (in termini: Cass., Sez. 5, 24 giugno 2021, n. 18113).

In definitiva, sulla scorta di tale sillogismo, si è così affermato che il notaio è responsabile d’imposta D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, ex art. 57, comma 1, con valenza onnicomprensiva, sia in relazione all’atto enunciante che in relazione all’atto enunciato.

  1. Pur prendendo atto della embrionale formazione di siffatto orientamento in seno a questa Sezione, il collegio non può trascurare nè sottovalutare le argomentazioni sostenute dalla diversa esegesi che si è prevalentemente consolidata nella dottrina (oltre che nella giurisprudenza di merito) in ordine alla posizione “neutrale”del notaio rispetto alla tassazione degli atti enunciati.

In una diversa prospettiva, adoperando una formulazione rigorosamente restrittiva, il D.P.R. 26 aprile 1986, n. 31, art. 10, lett. b), e art. 57, comma 1, limitano l’obbligazione gravante a carico dei notai, rispettivamente, per la registrazione e per il pagamento dell’imposta di registro agli “atti da essi redatti, ricevuti o autenticati”, rispetto ai quali soltanto la funzione di responsabile (oltre che di percettore) d’imposta può trovare giustificazione nel ruolo istituzionale di pubblico ufficiale rogante o autenticante.

Invero, estendendo l’obbligazione al pagamento dell’imposta di registro per gli atti enunciati si travalica il confine segnato dalle norme richiamate, ponendo a carico del notaio una responsabilità fiscale per contratti o negozi unilaterali rispetto ai quali egli non ha svolto alcuna funzione (per volontà delle stesse parti).

Per cui, una diversa esegesi dell’ordito legislativo – oltre a porsi in dissonanza con la rivisitata ricostruzione dell’imposta di registro in termini di “imposta d’atto”, secondo la visione della Corte Costituzionale (Corte Cost” 21 luglio 2020, n. 158; Corte Cost., 16 marzo 2021, n. 39), a cui si è conformata anche questa Corte (tra le tante: Cass., Sez. 5, 18 febbraio 2021, nn. 4315 e 4319; Cass., Sez. 5, 1 aprile 2021, n. 9065; Cass., Sez. 6-5, 25 maggio 2021, nn. 14318 e 14342; Cass., Sez. 5, 21 settembre 2021, n. 25601; Cass., Sez. 6-5, 22 ottobre 2021, nn. 29620 e 29623; Cass., Sez. 5, 18 novembre 2021, n. 35220; Cass., Sez. 6-5, 2 dicembre 2021, nn. 38003 e 38005; Cass., Sez. 6-5, 11 gennaio 2022, n. 590; Cass., Sez. 6-5, 12 gennaio 2022, n. 715) – verrebbe a dilatare la responsabilità fiscale del notaio in relazione a fattispecie formate da o tra soggetti privati, rispetto alle quali egli non era obbligato ab origine alla registrazione nè al pagamento dell’imposta di registro, essendo rimasto assolutamente estraneo alla loro formazione.

Onde, rispetto all’atto enunciato, sembrerebbe prima facie più coerente e convincente affermare che l’obbligo della registrazione e l’obbligo del pagamento dell’imposta di registro debbano gravare in via esclusiva sulle sole parti contraenti.

Peraltro, pur in carenza di una specifica norma di raccordo tra la funzione attribuita in sede di autoliquidazione e la solidarietà gravante per il pagamento dell’imposta di registro, è 22 significativo che la L. 27 dicembre 2013, n. 147, art. 1, comma 63, lett. a), nel testo recentemente novellato dalla L. 4 agosto 2017, n. 124, art. 1, comma 142, ha stabilito che il notaio sia tenuto a versare su un apposito “conto corrente dedicato”, tra l’altro, “tutte le somme dovute a titolo di tributi per i quali il medesimo sia sostituto o responsabile d’imposta, e comunque le spese anticipate di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 15, comma 1, n. 3), e successive modificazioni, in relazione agli atti a repertorio dallo stesso ricevuti o autenticati e soggetti a pubblicità immobiliare o commerciale”.

Il che vale a dire che, se egli fosse tenuto al pagamento in via principale anche dell’imposta dovuta “per attrazione” sull’atto enunciato avrebbe il diritto (e l’obbligo) di ottenere, prima della stipulazione dell’atto medesimo, quanto dovuto all’Erario in relazione all’atto enunciante di cui si deve richiedere la registrazione.

  1. Alla luce delle segnalate critiche, che contribuiscono ad alimentare perplessità sulla solidità ermeneutica dell’approccio iniziale alla soluzione della questione di massima (cioè, se il notaio che abbia ricevuto un atto pubblico o abbia autenticato una scrittura privata sia responsabile D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, ex art. 57, comma 1, anche per il pagamento dell’imposta di registro sugli atti enunciati D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, ex art. 22, comma 1), di cui non può non evidenziarsi la particolare importanza, in relazione ai riflessi pregiudizievoli di carattere patrimoniale ed alle ricadute nocive di ordine sanzionatorio a discapito dei risvolti pubblicistici della funzione notarile, il collegio ritiene di dover rimettere la causa al Primo Presidente della Corte Suprema di Cassazione affinchè valuti la sua eventuale assegnazione alle Sezioni Unite Civili, ai sensi dell’art. 374 c.p.c., comma 2, u.p..

P.Q.M.

La Corte rimette la causa al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite Civili in ordine alla questione di massima di particolare importanza di cui in motivazione.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale effettuata da remoto, il 16 marzo 2022.

Depositato in Cancelleria il 6 aprile 2022