Cass., sez. trib., 4 settembre 2020 (ord.), n. 18383 (testo)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –
Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –
Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –
Dott. BERNAZZANI Paolo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 28169-2014 proposto da:
D.A., elettivamente domiciliato in ROMA VIA SILVIO PELLICO 16, presso lo studio dell’avvocato GARCEA FRANCO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato PENNINO VINCENZO;
- ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;
- resistente –
con atto di costituzione – avverso la sentenza n. 676/2014 della COMM. TRIB. REG. di BOLOGNA, depositata il 07/04/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/07/2019 dal Consigliere Dott. BERNAZZANI PAOLO.
Svolgimento del processo
Che:
D.A. propone ricorso nei confronti dell’Agenzia delle entrate per la cassazione della sentenza della CTR Bologna n. 676/09/14, pronunciata il 13.3.2014 e depositata il 7.4.2014, che ha rigettato l’appello presentato dal contribuente in controversia concernente l’impugnazione di avviso di accertamento ai fini Irpef con cui venivano recuperati a tassazione, in relazione all’anno 2005, i redditi di partecipazione scaturenti dall’accertamento effettuato dalla G.d.F. nei confronti della Futura s.r.l., società a ristretta base partecipativa di cui il D. era socio con una partecipazione del 24%.
Il ricorso è affidato a tre motivi. L’A.d.e. ha depositata atto al solo fine della partecipazione all’eventuale udienza.
Motivi della decisione
Che:
- Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 12, comma 7,e L. 27 luglio 2000, n. 212 art. 41-bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per mancato rispetto del termine dilatorio di 60 giorni, decorrente dalla consegna del p.v.c. alla società Futura s.r.l., per la notificazione dell’avviso di accertamento al contribuente, nella sua qualità di socio di tale compagine.
Ha dedotto, in particolare, il ricorrente che, mentre l’avviso di accertamento era stato notificato alla predetta società assoggettata a verifica fiscale nel rispetto del predetto termine, decorrente dalla consegna del p.v.c. al liquidatore della s.r.l. in data 8.7.2009, altrettanto non era avvenuto con riferimento allo stesso D., che aveva ricevuto la notifica dell’avviso a lui dirètto il 29.7.2009 (ossia prima della società), per quanto l’accertamento si fondasse esclusivamente sulle risultanze istruttorie desunte dagli accertamenti della G.d.F. In tale prospettiva, afferma il ricorrente che la CTR sarebbe incorsa nell’evidenziata violazione di legge ove ha affermato che il rispetto del termine non era dovuto, “trattandosi di accertamento operato ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41-bis”.
- Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 del 1973, art. 32, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, artt. 2697 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la CTR ritenuto legittima la pretesa fiscale anche se: a) l’avviso di accertamento era stato notificato prima al socio e soltanto successivamente alla società; b) non era stata provata l’effettiva distribuzione degli utili al socio; c) l’odierno ricorrente non aveva mai operato sui conti della società, nè alcun elemento di prova in tal senso era stato acquisito.
- I due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in ragione della loro connessione sul piano logico-giuridico e che risultano rispettosi del principio di autosufficienza, sono infondati.
Con specifico riferimento al primo di essi ed al profilo sub a) del secondo motivo, va rilevato che, in base alla L. n. 212 del 2000, art. 12 (Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali), “Tutti gli accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali sono effettuati sulla base di esigenze effettive di indagine e controllo sul luogo (…)” (comma 1); la norma stabilisce, inoltre, al comma 7, che “nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza (…)”.
Il tenore letterale della norma e la considerazione della sua ratio consentono di riconoscere che il diritto al contraddittorio preventivo ex art. 12, commi 1 e 7 cit., non spetta indistintamente ed in via generale a tutti i contribuenti coinvolti nell’accertamento, ma soltanto allo specifico contribuente che sia stato raggiunto da accessi, ispezioni e verifiche presso i locali aziendali (e tale era, nella specie, soltanto la Futura s.r.l., non il socio in quanto tale).
Tale conclusione appare, del resto, del tutto coerente con il carattere di intrinseca autonomia della posizione del socio rispetto a quella della società, che non risulta scalfito dall’ovvio rilievo che l’esistenza di un accertamento a carico della società in ordine a ricavi non contabilizzati costituisce il presupposto per l’accertamento nei confronti dei soci, sulla base della presunzione di distribuzione di utili extracontabili; sicchè, una volta assodata l’esistenza di un accertamento nei confronti della società, costituente atto presupposto, non integra alcun vizio incidente sulla legittimità dell’accertamento la mera priorità temporale della notifica del relativo avviso al socio, dovuta all’evidente esigenza di rispettare il termine dilatorio di 60 giorni previsto per la società sottoposta a verifica.
- Un’applicazione di tali principi, sia pure in diverso ambito ma con una ratio che ne giustifica pienamente l’estensione anche al caso di specie, è stata effettuata da questa Corte (Sez. 5, n. 386 del 13/01/2016, Rv. 638251 – 01), allorchè si è affermato che, attesa la legittimità della presunzione di attribuzione pro quota ai soci, nel corso dello stesso esercizio annuale, degli utili extra bilancio prodotti da società di capitali a ristretta base azionaria, la quale – fondata sul disposto del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), – induce un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, detta presunzione non viene meno neppure in ipotesi di presentazione di domanda di condono da parte della società – e, quindi, di “preclusione” dell’attività accertativa rispetto ad essa -, essendo questa ed il socio titolari di posizioni fiscali distinte e indipendenti (cfr., nello stesso senso, anche Sez. 5, n. 20851 del 26/10/2005 Rv. 584575 – 01). Si è, in tale prospettiva, osservato che “non sussiste dunque alcun rapporto di pregiudizialità necessaria tra accertamento a carico del socio ed a carico della società, ben potendo dunque notificarsi avviso di accertamento del maggior reddito da partecipazione nei confronti del socio di società di capitali a ristretta base, anche in caso di condono tombale della società, i cui effetti “preclusivi” non si estendono ai soci, stante la distinta soggettività e posizione fiscale di questi ultimi. Le risultanze della verifica nei confronti della società potranno dunque ben essere poste a fondamento dell’accertamento nei confronti dei soci, in relazione alla rideterminazione del relativo reddito da partecipazione. Pure in tal caso opererà dunque la presunzione di distribuzione di utili e l’eventuale maggior reddito accertato a carico dell’ente collettivo, ripercuotendosi sul reddito da partecipazione del socio, comporterà per costui l’onere di contestare non solo la presunzione, ma pure le risultanze della verifica e la rideterminazione del reddito della società effettuato dall’Ufficio”.
- Se, dunque, in base all’orientamento richiamato, non occorre neppure la previa emissione, alle condizioni date, di un avviso di accertamento nei confronti della compagine sociale per potersi procedere ad accertamento anche nei confronti del socio, a maggior ragione non occorre che la notifica dell’atto di accertamento sociale, ove compiutamente effettuato, preceda quella dell’atto diretto ai singoli soci, particolarmente laddove tale “sfasatura” temporale derivi dalla necessità di rispettare, quanto alla società, il termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, citato.
Facendo applicazione di tali principi al caso di specie, risulta che il termine de quo è stato rispettato in relazione alla società e che il ricorrente, in qualità di socio, non può avanzare alcuna doglianza in merito alla pretesa inosservanza del descritto termine in ordine alla notifica dell’avviso allo stesso diretto. La sentenza impugnata, va, pertanto, confermata sia pure per ragioni giuridiche diverse da quelle fatte proprie dalla CTR. 6. Non dissimili conclusioni valgono quanto agli ulteriori profili che caratterizzano il secondo motivo, parimenti infondati, in quanto scaturenti da una erronea impostazione della questione controversa.
L’accertamento “a monte” nei confronti della società di cui il ricorrente era socio si è legittimamente fondato sulle risultanze delle movimentazioni dei conti correnti intestati alla stessa società Futura s.r.l., mentre il successivo accertamento nei confronti del socio, qui impugnato, è imperniato sulla presunzione di distribuzione ai soci dei maggiori utili accertati alla società a ristretta base partecipativa e non postula affatto – come, invece, mostra di ritenere il ricorrente la diretta riferibilità al socio delle operazioni e delle movimentazioni effettuate dalla società, sulla base dell’ipotetico presupposto che questa sarebbe stata uno “schermo” interposto di carattere fittizio.
Sul punto (cfr. Sez. 5, n. 24534 del 2017, Rv. 645914 – 01; Sez. V, n. 15824 del 2016), è assolutamente consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo il quale, in materia di imposte sui redditi, nell’ipotesi di società di capitali a ristretta base sociale è legittima la presunzione di distribuzione pro quota ai soci di utili extracontabili accertati nei confronti della società: ciò non si pone in contrasto con il divieto di presunzione di secondo grado, in quanto il fatto noto non è dato dalla sussistenza dei maggiori redditi della società, bensì dalla ristrettezza dell’assetto societario, la quale implica, normalmente, un vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci nella gestione sociale, nonchè un elevato grado, da parte loro, di compartecipazione e di conoscenza degli affari sociali; resta salva, peraltro, la facoltà del socio di fornire la prova del fatto che i maggiori ricavi non sono stati distribuiti, ma accantonati dalla società o da essa reinvestiti (tra molte, Cass. nn. 6780 del 2003, 18640 del 2008, 5076 del 2011, 18032 del 2013, 24572 del 2014), così come è fatta salva, nel particolare caso in cui il socio abbia impugnato l’accertamento a lui notificato senza aver preso parte al processo instaurato dalla società, anche la facoltà di contestare la validità dell’accertamento a carico della società in ordine a ricavi non contabilizzati (Sez. 6 – 5, n. 19013 del 27/09/2016 Rv. 641108 – 01).
- Ne consegue che non può ritenersi rilevante, già in astratto, al fine di escludere la correttezza dell’azione dell’Ufficio impositore e della correlata decisione giudiziale che ne abbia confermato la legittimità, il fatto che non siano stati sottoposti ad accertamento anche i conti correnti del ricorrente, così come non conferenti sono le circostanze – sopra indicate sub c) – dal medesimo allegate, ossia che l’Ufficio non aveva dimostrato che quest’ultimo fosse stato delegato ad operare, o avesse operato in via di fatto, sui conti sociali, ovvero ancora che il medesimo detenesse la gestione dell’attività della società, formalmente spettante al liquidatore (per quanto la sentenza della CTR contenga riferimenti ad accertamenti della G.d.F. in ordine ad operazioni che sarebbero state riconducibili al contribuente e dallo stesso non giustificate).
Nel quadro interpretativo delineato dal costante orientamento di questa Corte, invero, l’Ufficio non doveva fornire alcuna prova ulteriore rispetto a quella offerta; spettava, invece, al contribuente articolare la prova contraria, deducendo e dimostrando che i maggiori ricavi non erano stati a lui distribuiti, ma accantonati o reinvestiti dalla società, ovvero dalla stessa diversamente destinati (cfr. Sez. 5, n. 27778 del 22/11/2017 Rv. 646282 – 01). Prova contraria che la CTR, facendo, da un lato, corretta applicazione delle regole in tema di riparto dell’onere probatorio e, dall’altro, formulando una valutazione di merito insindacabile in sede di legittimità, ha espressamente affermato non essere stata fornita dal socio della Futura s.r.l.
- Con il terzo motivo, infine, viene dedotta la nullità della sentenza impugnata ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per violazione dell’art. 112 c.p.c., in quanto il giudice di appello avrebbe omesso di pronunciarsi sulla illegittimità della distribuzione degli utili societari in mancanza di un avviso di accertamento notificato alla società prima di quello notificato al socio.
La doglianza, che prospetta sostanzialmente la medesima questione sostanziale trattata nell’esaminare il primo motivo e, in parte qua, il secondo, è infondata, in quanto la CTR, ritenuta la sussistenza di un valido accertamento a carico della società in ordine ai ricavi non contabilizzati, ha esaminato la già descritta questione relativa alla priorità cronologica della notificazione al socio dell’avviso di accertamento – affermando, fra l’altro: “si ritiene inoltre che non è necessario notificare prima l’accertamento alla s.r.l. e poi al socio (…)”; “E’ quindi valido, nella fattispecie considerata, l’avviso di accertamento “anticipato” (…)” -, così correttamente escludendo la sussistenza dei vizi prospettati nell’atto di impugnazione.
- Il ricorso deve essere, in conclusione, rigettato. Non v’è luogo a pronuncia sulle spese, atteso che l’Agenzia è rimasta intimata.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, il Collegio dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 10 luglio 2019.
Depositato in Cancelleria il 4 settembre 2020