201701.27
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Cass., sez. trib., 27 gennaio 2017, n. 2071 (testo)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. ACETO Aldo – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26475/2010 proposto da:

C.G., elettivamente domiciliata in ROMA VIALE ANICIO GALLO 3 SC. B, presso lo studio dell’avvocato FEDERICA CAVALIERI, rappresentata e difesa dall’avvocato ANTONIO ESPOSITO giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 138/2009 della COMM.TRIB.REG. di ROMA, depositata il 30/09/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/11/2016 dal Consigliere Dott. FABRIZIA GARRI;

udito per la ricorrente l’Avvocato CAVALIERI per delega dell’Avvocato ESPOSITO che ha chiesto l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SORRENTINO Federico, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La Commissione tributaria regionale di Roma ha rigettato l’appello proposto da C.G. ed ha confermato la sentenza che aveva a sua volta rigettato l’impugnazione proposta avverso la cartella con la quale, a seguito di controllo D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis, era chiesto il pagamento della somma di Euro 45.615,54 in relazione a acconti e saldi non versati per Irpef dell’anno 1995.

Il giudice di appello ha evidenziato che in relazione alla dichiarazione dei redditi dell’anno 1996 i termini per il controllo formale erano scaduti il 31.12.2000 e che a norma della L. n. 448 del 1998, art. 9, entro tale data dovevano essere resi esecutivi i relativi ruoli. Rammenta poi che a norma della L. 27 ligio 2000, n. 212, art. 3, comma 3, i termini di decadenza e di prescrizione per gli accertamenti d’imposta non sono suscettibili di proroga.

Sottolinea ancora che a norma del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, la liquidazione automatizzata deve essere effettuata entro il 31 dicembre dell’anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione e nella specie il 31.12.1997.

Tanto premesso, pur dando atto del fatto che alla data di notifica della cartella (il 6.4.2004) i termini per la liquidazione ex art. 36 bis, in relazione alla dichiarazione del 1995 fossero da tempo scaduti, ha poi ritenuto che, trattandosi di dichiarazione congiunta ed essendo stata già notificata al marito la cartella di pagamento, legittimamente l’Agenzia si era rivolta alla moglie per la riscossione.

Per la cassazione della sentenza ricorre C.G. con quattro motivi mentre l’Agenzia delle Entrate si è costituita al solo fine di partecipare alla udienza di discussione alla quale poi, però, non è intervenuta.

Con il primo motivo di ricorso è denunciata la nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, per avere il giudice di appello omesso di pronunciare sulle censure che andavano oltre l’eccezione di prescrizione e di decadenza ed investivano sotto il profilo della omessa, carente e contraddittoria motivazione – la sentenza di primo grado che aveva ritenuto che la contribuente avrebbe potuto dimostrare agevolmente l’illegittimità della pretesa dell’Ufficio depositando la copia dei versamenti, senza tenere conto del fatto che in realtà era stato contestato l’ammontare della richiesta disconoscendo il reddito indicato nella cartella, evidenziando che era scaduto altresì il termine di conservazione dei documenti e che la cartella non indicava che il controllo era stato eseguito ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis. Inoltre si era sottolineato che il contributo sanitario nazionale era stato duplicato posto che era stato chiesto anche in un’altra cartella esattoriale.

La medesima censura viene poi reiterata nel secondo motivo di ricorso sotto il diverso profilo del vizio di motivazione in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5.

Con il terzo motivo la ricorrente denuncia l’illegittimità della sentenza per vizio di motivazione ed inadeguata valutazione delle prove e delle allegazioni delle parti (artt. 116 e 132 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Sottolinea la ricorrente che era stato denunciato che la cartella di pagamento non conteneva alcun cenno alla riscossione di quanto già richiesto al coniuge e che tale censura era stata completamente ignorata dal giudice di appello che non aveva acquisito dall’Amministrazione le necessarie informazioni ex art. 213 c.p.c., erroneamente ritenendo, al contrario, che la ricorrente avrebbe dovuto offrire la prova del pagamento sebbene fosse chiara la contestazione delle somme azionate.

Con il quarto motivo di ricorso, infine, è denunciata la violazione e falsa applicazione della L. n. 448 del 1998, art. 9, della L. 27 luglio 2000, art. 3, comma 3, e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36, che se correttamente applicati avrebbero dovuto convincere della intervenuta prescrizione del credito azionato. Infatti l’Agenzia avrebbe dovuto provare, e non lo aveva fatto, di aver notificato altra cartella al coniuge codichiarante.

Tanto premesso rileva il Collegio che le censure mosse alla sentenza non colgono il punto centrale della motivazione che sorregge la decisione della Commissione Tributaria qui impugnata.

Questa ha accertato che, pur superati i termini di prescrizione e decadenza nei confronti della C., tuttavia la cartella era stata tempestivamente notificata al coniuge, coobbligato, con il quale era stata presentata la dichiarazione nella forma congiunta e dunque, correttamente, l’Agenzia si era rivolta alla co-obbligata per la riscossione.

Come è noto “nel caso di dichiarazione congiunta dei redditi da parte dei coniugi L. n. 114 del 1977, ex art. 17, e per effetto della solidarietà voluta dal legislatore, la tempestiva notifica al marito dell’avviso di accertamento, come della cartella di pagamento, impedisce qualsiasi decadenza dell’Amministrazione finanziaria anche nei confronti della moglie co-dichiarante” (cfr. Cass. 27 gennaio 2016 n. 1463). Certamente la moglie codichiarante è legittimata ad impugnare autonomamente l’avviso di accertamento notificato al marito, ancorchè divenuto definitivo nei confronti di quest’ultimo, o, comunque, a contestare la pretesa tributaria su di esso fondata, proponendo ricorso avverso la cartella di pagamento o l’avviso di mora a lei diretti, atteso che, pur non essendo necessario, affinchè insorga la sua responsabilità solidale, che le sia notificato l’avviso di accertamento, il suo diritto di difesa non può essere pregiudicato (cfr. Cass. 18 novembre 2015 n. 23553).

Tuttavia con la libera scelta di presentare la dichiarazione congiunta, i coniugi dichiaranti accettano anche i rischi inerenti alla disciplina propria dell’istituto e, specificamente, sia quelli inerenti alla previsione della notifica degli atti impositivi al solo marito sia quelli concernenti le conseguenze (sostanziali e processuali) proprie delle obbligazioni solidali. E’ fatta salva la possibilità per la moglie di contestare, nel merito, l’obbligazione del marito, entro i termini decorrenti dalla notifica dell’atto con il quale venga per la prima volta a conoscenza della pretesa tributaria nei confronti del coniuge, cui non è attribuita la legittimazione ad agire anche per il coniuge (cfr., (cfr. C. cost., ord. n. 215 del 2004 e Cass. ord., n. 17160 del 2014, n.20857 del 2010, n. 20709 del 2007, n. 19896 del 2006).

Ne consegue che la responsabilità solidale dei coniugi, che abbiano presentato “dichiarazione congiunta” ai sensi della L. n. 114 del 1977, art. 17, opera anche nel caso in cui il coniuge co-dichiarante sia estraneo alla produzione dei redditi accertati nei confronti del dichiarante (cfr. Cass. n. 9209 del 2011) e che e per effetto della solidarietà in proposito sancita dal legislatore la tempestiva notifica al marito dell’avviso di accertamento (come della cartella di pagamento), non solo impedisce qualsiasi decadenza dell’Amministrazione finanziaria anche nei confronti della moglie co-dichiarante, ma comporta altresì, a seguito dell’instaurazione del giudizio tra l’Amministrazione finanziaria ed il marito, l’interruzione con effetti permanenti del decorso della prescrizione anche nei confronti moglie co-dichiarante.

Su tali principi si fonda la decisione qui impugnata e nel ricorso nessuna specifica censura viene mossa a questa ratio decidendi.

In conclusione il ricorso deve essere rigettato.

Non occorre provvedere sulle spese del giudizio di legittimità atteso che l’Agenzia delle Entrate ha depositato una costituzione finalizzata alla possibilità di partecipare all’udienza di discussione alla quale, invece, non ha presenziato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 4 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2017