201402.07
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Cass., sez. trib., 27 gennaio 2014 (ordinanza interlocutoria), n. 1531 (testo)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. CIRILLO Ettore – rel. Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso 24161/2010 proposto da:

FALLIMENTO STAMPAGGIO LAMIERA SANMARCOEVANGELISTA SLS SRL in persona del Curatore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA CIVITAVECCHIA 7, presso lo studio dell’avvocato BAGNASCO PIERPAOLO, rappresentato e difeso dall’avvocato CIARAMELLA Giuseppe giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 475/2009 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di LATINA, depositata il 02/10/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/12/2013 dal Consigliere Dott. ETTORE CIRILLO;

udito per il ricorrente l’Avvocato CIARAMELLA che ha chiesto l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato FIDUCCIA che si riporta;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GAMBARDELLA Vincenzo, che ha concluso per l’accoglimento del 1^ motivo del ricorso, assorbiti gli altri.


Svolgimento del processo


1. Ritenuta l’omessa presentazione della dichiarazione per l’anno d’imposta 2000, il Fisco accertava induttivamente ricavi di gestione della società STAMPAGGIO LAMIERA SANMARCOEVANGELISTA e recuperava Euro 655.612,08 per Irpeg, Euro 249.817,43 per Irap ed Euro 2.846.653,78 per Iva, oltre agli interessi e ad ulteriori Euro 4.505.653,78 Euro per sanzioni.

L’atto impositivo era opposto dalla contribuente che, tra l’altro, rivendicava l’avvenuta presentazione della dichiarazione in formato cartaceo, sosteneva l’intervenuto perfezionamento del condono tombale e denunciava l’illegittimità della ricostruzione dei ricavi.

2. Il ricorso era rigettato in prime cure con sentenza confermata in appello dalla sezione di Latina della Commissione tributaria regionale del Lazio con pronunzia nella quale dichiarava di “fa(re) proprie le argomentazione esposte dall’Ufficio”.

Seguiva un testo che, anticipando qui il primo motivo di ricorso per cassazione della parte contribuente, riproduceva secondo quest’ultima pedissequamente il testo delle difese spiegate in appello dall’Agenzia.

Esso, in estrema sintesi, si articolava su vari piani:

A) La dichiarazione presentata nel 2001 per l’anno d’imposta 2000 doveva intendersi omessa perchè nulla, essendo stata (a) redatta sul modello UNICO 2000 (e non su modello UNICO 2001), (b) spedita per posta (e non inviata telematicamente o tramite intermediario), (c) firmata da soggetto diverso dal legale rappresentante della società.

B) Indi, stante l’assenza di una valida dichiarazione, anche il condono fiscale fatto dall’interessata era inefficace, perchè i versamenti erano insufficienti per non essere stati parametrati all’ipotesi dell’omessa dichiarazione, senza che, peraltro, ricorresse alcun errore scusabile.

C) Inoltre, a fronte dell’omessa dichiarazione, per due volte l’Ufficio si era inutilmente attivato con appositi questionari a richiedere notizie alla contribuente, la quale invece si era limitata a sollecitare una ingiustificata proroga dei termini.

D) Pertanto, era legittimo ricorrere all’accertamento induttivo, eseguito in concreto ricostruendo i ricavi della gestione ordinaria sulla base dei costi diretti di produzione (costo del venduto più costi del personale), di altre componenti negative forfetarie (13%) e dell’incidenza media dei costi diretti di produzione sui ricavi del 2000 desunta da dati riferiti all’anno precedente e all’anno successivo.

E) Infine, la sentenza d’appello condannava la appellante alle spese del doppio grado compensate in prime cure.

3. La Curatela della società contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a ventuno motivi (il primo per nullità assoluta della sentenza avente motivazione copiata dalle avverse difese e gli altri per censurare sotto vari profili – omessa pronuncia, violazione di legge e vizio di motivazione – il contenuto della decisione così confezionata); il Fisco resiste con controricorso.


Motivi della decisione


Premessa:

4. Con il primo motivo, la Curatela denuncia la “nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., nonchè del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4”.

La ricorrente lamenta che “l’impugnata sentenza … contiene una motivazione soltanto apparente, consistendo nell’integrale riproduzione (perfino nei refusi) delle controdeduzioni depositate dall’Ufficio dinanzi alla CTR”.

Osserva, dopo aver trascritto in ricorso l’intero testo delle suddette controdeduzioni, che “è sufficiente la semplice lettura della sentenza impugnata per constatare che la totale condivisione delle avverse difese, recepite integralmente nella motivazione, non è sorretta dalla benchè minima autonoma valutazione”, poichè “non sono affatto esplicitate, nemmeno in estrema sintesi, le ragioni che hanno indotto la CTR a far proprie le ragioni dell’Ufficio”.

Richiama, inoltre, la giurisprudenza di legittimità secondo cui “il fatto di trascrivere la difesa di una delle parti e limitarsi a dichiarare di condividerla, senza esplicitare le ragioni di tale condivisione, non costituisce motivazione della sentenza” (Sez. L, Sentenza n. 10033 del 27/04/2007, Rv. 596633).

Benchè non necessario, conclude l’enunciazione del mezzo con il seguente quesito di diritto:

“Dica l’Ecc.ma Corte adita se debba considerarsi nulla la sentenza delle CTR la cui motivazione costituisce integrale trascrizione delle controdeduzioni depositate dall’Ufficio, senza che siano adeguatamente esplicitate le ragioni dell’adesione alle tesi dell’Agenzia delle entrate”.

5. Il Collegio – premessa la prospettata ed evidente sovrapponibilità dei due testi salvo isolate sostituzioni lessicali (es. “Ufficio” in luogo di “scrivente”) – ritiene che la questione, sollevata dalla ricorrente col primo motivo, possa avere una duplice chiave di lettura e che di essa, data la sua massima importanza, vadano investite le sezioni unite di questa Corte per l’enunciazione di un principio regolativo vincolante per le sezioni semplici ai sensidell’art. 374 cod. proc. civ., comma 3.

La prima chiave di lettura.

6. Un primo ordine d’idee, di tipo valoriale, si rifà al principio di autonomia valutativa e argomentativa della sentenza che, propugnato dalla tradizionale dottrina costituzionalistica e processuaicivilistica, trova taluni riscontri giurisprudenziali anche sul versante penalistico e disciplinare.

Esso parte dal presupposto che “la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto”, di cui parla l’art. 132 cod. proc. civ. e “la succinta esposizione dei motivi in fatto e diritto”, di cui parla il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, sostanziano – in piena consonanza – il requisito della motivazione della sentenza del giudice civile e di quello tributano, resa necessaria dall’art. 111 Cost..

Se da un punto di vista puramente formale, la motivazione assolve la funzione di giustificare la statuizione giudiziale, essa, da un punto di vista funzionale, costituisce la “…rappresentazione dell’iter logico seguito dal giudice per arrivare alla decisione”, comprese “le ragioni per le quali non sono state accolte le tesi e le eccezioni della parte soccombente”.

Ne deriva che non risponde a tale funzione la motivazione ogniqualvolta “si limita ad aderire acriticamente alla tesi prospettata da una delle parti” Sez. 5, Sentenza n. 12542 del 15/10/2001, Rv. 549627, o manifesta “generica … adesione agli assunti prospettati dell’amministrazione finanziaria nell’atto impositivo” Sez. 5, Sentenza n. 15318 del 29/11/2000, Rv. 542280, ovvero conferma adesivamente la decisione di primo grado senza analizzare le ragioni di gravame Sez. 5, Sentenza n. 7347 del 11/05/2012, Rv. 622892; conf. Sez. 3, Sentenza n. 15483 del 11/06/2008, Rv. 603367.

7. Sul tema specifico della motivazione copiata dalle difese di parte si è detto:

“Certamente il fatto di trascrivere la difesa di una delle parti e limitarsi a dichiarare di condividerla, senza esplicitare le ragioni di tale condivisione, non costituisce motivazione della sentenza; ma è sufficiente che nel recepire gli argomenti della parte il giudice fornisca, anche sinteticamente, le ragioni per le quali la tesi condivisa è preferibile alla tesi avversaria, affinchè si eviti la nullità della sentenza per mancanza di motivazione” (Sez. L, Sentenza n. 10033 del 27/04/2007, Rv. 596633).

Sicchè, non vale parlare di ragionevole economia di scrittura, così come fa la giurisprudenza riguardo alla motivazione degli atti fiscali Sez. 5, Sentenza n. 2780 del 26/02/2001, Rv. 544197; conf.

sull’atto amministrativo Cons. Stato, Sez. 6, Sentenza n. 4151 del 05/08/2005, perchè la motivazione della sentenza risponde ad esigenze di carattere costituzionale per le quali “il giudice è tenuto ad esplicitare l’iter logico giuridico attraverso il quale è giunto alla propria decisione”, non solo “per consentire l’esercizio del diritto di difesa delle parti”, ma soprattutto per consentire la “verifica dell’indipendenza dello stesso giudice e la sua soggezione solo alla legge”.

Seguendo l’ordine d’idee in esame, la regola costituzionale dell’art. 111, non si limita affatto a ribadire una mera funzione endoprocedimentale, che è comune anche alla motivazione dell’atto amministrativo secondo regole di buona amministrazione.

La motivazione giudiziale costituisce, invece, lo strumento col quale si realizza il controllo generalizzato sull’attività del giudice, in quanto svolta in nome del Popolo (art. 101 Cost.).

Dunque la motivazione della sentenza è lo strumento col quale il giudice risponde del proprio agire “alla fonte della propria investitura”, consentendo ai consociati di esercitare un diffuso controllo democratico sulla sua attività.

8. In generale, l’obbligo di motivazione rappresenta la prima garanzia del giusto processo di cui alla novella dell’art. 111 Cost., in ossequio a principio, che se pur non contemplato dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, è stato desunto dalla Corte di Strasburgo proprio dal riferimento convenzionale al proces equitable (CEDU, 7 aprile 2005, Dimitrellos c/ Grecia, par. 16; 21 gennaio 1999, Garcia Ruiz c/ Spagna, par. 26; 19 febbraio 1998, Higgins c/ Francia, par. 42).

Il che, quale parametro interposto v. in generale Corte Cost. n. 348 e n. 349 del 2007, si collega, per la dottrina, con la funzione di garanzia consacrata nel “dovere del giudice di prendere adeguatamente in considerazione le istanze e le allegazioni in cui l’esercizio del diritto di difendersi si è in concreto manifestato”.

Ciò spiega perchè un atto processuale ideologicamente scorretto, perchè si auto-attribuisce la paternità di un testo riferibile invece a una delle difese, non risponda al modello legale e costituzionale di motivazione, quando la condotta del giudice estensore si risolva nel copiare la memoria di una parte.

E ciò accade in quanto, seguendo la parallela giurisprudenza penale di legittimità, “appare venir meno il carattere di terzietà proprio di un atto giudiziario” (da Cass. pen. Sez. 4, Sentenza n. 25540 del 30/02/2012, par. 3.1). Infatti, “la tecnica di copiatura, verosimilmente a mezzo di supporto informatico, … fornisce la dimostrazione … della acritica adesione del giudice ad un testo preconfezionato” (ult. cit. par. 3.3).

Con altre parole, si è detto: “…occorre che una motivazione vi sia, vale a dire che sia riconoscibile un adeguato percorso argomentativo che permetta di rilevare che quel giudice ha compiuto un effettivo vaglio degli elementi di fatto allegati, spiegando quale valenza dimostrativa essi posseggano e, perciò, quale sia la loro rilevanza… Ciò è conforme al consolidato orientamento di questa Corte che ha negato che di presenza di una motivazione del giudice si possa parlare, non solamente nelle ipotesi in cui la motivazione sia mancante in senso grafico, ma anche quando il giudice, operando un rinvio al contenuto di un altro atto del procedimento ovvero recependone integralmente il contenuto (…) si sia limitato a mere clausole di stile o all’uso di frasi apodittiche, senza dare contezza alcuna delle ragioni in per cui abbia fatto proprio il contenuto dell’atto richiamato ovvero lo abbia considerato coerente rispetto alle sue decisioni” (da Cass. pen. Sez. 6, Sentenza n. 22327 del 24/05-08/06/2012, pag. 3; cfr. l’ampia giurisprudenza penale ivi citata).

9. Tale ordine di considerazioni trova risalto anche nella giurisprudenza disciplinare consiliare, ove si afferma che “una decisione che si appropri, anche nella forma espositiva, della prospettazione di una delle parti, senza alcun autonomo passaggio valutativo tale da far evincere un autonomo iter motivazionale, fa perdere non solo nell’apparenza, ma anche nella sostanza, la posizione di terzietà e prima ancora di alterità del giudice rispetto alle parti, che è il fondamento della giurisdizione” (CSM, sez. disciplinare, Sentenza n. 38 de 2008 – RGN 96/2007; conf. n. 21 del 2013 – RGN 96/2012 e n. 20 del 2010 – RGN 22/2008).

La seconda chiave di lettura.

10. Un diverso ordine d’idee, che il Collegio ritiene di dover prospettare, può rifarsi, invece, a recenti ma oramai consolidati approdi del diritto vivente in tema di conservazione degli atti, ragionevole durata dei giudizi ed economia processuale, nonchè alle ultime linee di tendenza del legislatore.

La chiave di lettura, opposta rispetto a quella riassunta nei paragrafi precedenti, parte da una posizione di neutralità assiologia e valorizza, della motivazione della sentenza, più che altro l’aspetto della giustificazione formale della statuizione adottata.

In primo luogo, considera che la Corte europea dei diritti dell’uomo propende per la non applicabilità dei principi del giusto processo di cui all’art. 6 della Convenzione al processo tributario, in quanto ritiene che la materia fiscale faccia parte del nucleo duro delle prerogative della potestà statuale, per la predominanza della natura pubblica del rapporto tra il contribuente e la collettività (CEDU, 12 luglio 2001, Ferrazzini c/ Italia; v. però, in senso parzialmente difforme, 23 novembre 2006, Jussilla c/ Finlandia, par. 36 e seg.).

Il che giustifica, per esigenze giuspubblicistiche di rapida definizione dei rapporti fiscali e di certezza del gettito delle risorse erariali, una soglia di strumenti di tutela più circoscritta sia rispetto l’ordinario processo civile cfr., sul divieto di prova testimoniale, Corte cost. n. 18 del 2000, sia – e soprattutto – rispetto al processo penale, verso il quale si appuntano più penetranti esigenze di salvaguardia di diritti fondamentali e non disponibili della persona.

In secondo luogo, considera che l’ottemperanza all’obbligo di motivazione, pur sancito dall’art. 111 Cost., non s’invera in forme e modi specificamente indicati; essi, invece, vanno contestualizzati in relazione alle concrete esigenze dei singoli assetti processuali con diversi livelli di ampiezza e tipologia argomentativa (es. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 21800 del 24/09/2013, Rv. 627783).

Ciò s’inserisce nella linea di tendenza che muove verso il progressivo discostarsi da interpretazioni ispirate a un formalismo, funzionale non già alla tutela dell’interesse delle parti in giudizio e alla salvaguardia di principi di economia processuale, ma piuttosto a frustrare lo scopo stesso del processo, che è quello di consentire che si pervenga ad una decisione di merito, in tempi di ragionevole durata, valore quest’ultimo pure di valenza costituzionale e convenzionale (Sez. L, Sentenza n. 18410 del 01/08/2013, Rv. 627724; conf. Sez. 3, Sentenza n. 3362 del 11/02/2009, Rv. 606561; v. Sez. L, Sentenza n. 5139 del 03/03/2011, Rv. 616450).

11. In siffatta prospettiva e sul piano delle sole forme, la motivazione della sentenza tributaria – pur ripresa testualmente da un atto processuale di parte e prescindendo dai profili di deontologia giudiziaria che non rilevano sulla validità degli atti processuali – può rispondere proprio a quelle stesse esigenze di economia di scrittura che, già valorizzate dalla giurisprudenza di legittimità quanto alla motivazione dell’atto impositivo, richiamano l’interprete al rispetto del vincolante principio costituzionale di “buon andamento”, comune sia all’amministrazione attiva sia all’amministrazione della giustizia (Corte Cost., Sentenza n. 18 del 1989).

Del resto, sempre secondo l’ordine d’idee in esame, anche le più recenti linee di tendenza del legislatore si muovono verso obiettivi di depotenziamento dell’apparato motivazionale della sentenza, quali quelli perseguiti dall’art. 118 att. cod. proc. civ., nuovo comma 1, nella parte in cui stabilisce che la motivazione della sentenza di cui all’art. 132 cod. proc. civ., comma 2, n. 4), può avvenire “anche con riferimento a precedenti conformi”, nonchè dagli ultimi disegni di legge sulla cosiddetta motivazione a richiesta e dalla breve esperienza dell’art. 16, comma 5, del passato processo societario “La sentenza può essere sempre motivata in forma abbreviata, mediante il rinvio agli elementi di fatto riportati in uno o più atti di causa e la concisa esposizione delle ragioni di diritto, anche in riferimento a precedenti conformi”.

Persino alcuni recenti arresti europei sono stati intesi da taluna dottrina come il segnale che “ciò che realmente appare ineludibile, non è tanto la presenza di una parte motivatoria nel testo della sentenza, quanto l’effettività, nel caso concreto, della tutela delle garanzie fondamentali di cui essa è presidio”.

La Corte europea dei diritti dell’uomo ha affermato, ad esempio, che addirittura il verdetto, per sua natura privo di motivazione, non realizza per ciò solo la violazione del principio del giusto processo, se siano previste adeguate garanzie che consentano agli interessati di comprendere le ragioni della decisione (v. CEDU, 16 novembre 2010, Taxquet c/ Belgio, sui processi che prevedono una giuria popolare).

12. Nell’esperienza di diritto interno, superate le restrizioni dell’art. 361 cod. proc. civ. 1865 “i motivi si reputano omessi quando la sentenza siasi puramente riferita a quelli di un’altra sentenza”, il dato funzionale della comprensione della decisione ritorna nell’esegesi dell’art. 132 cod. proc. civ., che è compiuta dalla giurisprudenza nazionale sulla cosiddetta motivazione fatta per relationem ad altra pronunzia (Sez. 5, Sentenza n. 7347 del 11/05/2012, Rv. 622892 o alla sentenza di primo grado Sez. 3, Sentenza n. 15483 del 11/06/2008, Rv. 603367).

Questa modalità di confezionamento, infatti, è ritenuta legittima purchè avvenga “in modo che il percorso argomentativo desumibile attraverso la parte motiva delle due sentenze risulti appagante e corretto” (ult. cit.).

E proprio l’intelligibilità del percorso argomentativo costituisce, da oltre un ventennio, il fulcro anche della giurisprudenza di legittimità sulla motivazione mancante o apparente, secondo cui l’inosservanza del giudice civile all’obbligo della motivazione integra violazione della legge regolatrice del processo (come tale denunciabiie in cassazione), quando si traduca in mancanza della motivazione stessa (con conseguente nullità della pronuncia per difetto di un requisito di forma indispensabile), la quale si verifica nei casi di radicale carenza di essa, ovvero del suo estrinsecarsi in argomentazioni non idonee a rivelare la ratio decidendi (cosiddetta motivazione apparente), o fra di loro logicamente inconciliabili, o comunque perplesse od obiettivamente incomprensibili (Sez. U, Sentenza n. 5888 del 16/05/1992, Rv. 477253).

13. Nel testo mutuato per intero da un atto processuale di parte, ivi pedissequamente riportato, sempre seguendo l’ordine d’idee che qui si prospetta, non ricorre il caso della radicale carenza di motivazione, poichè essa graficamente esiste e, dunque, non può esservi nullità della pronuncia per puro vizio di forma.

Nè può esservi neppure vizio di forma per motivazione apparente – o logicamente astrusa – ogniqualvolta l’atto esterno inglobato nel testo della sentenza – e perciò stesso fatto proprio dall’organo decidente – contenga un percorso argomentativo astrattamente idoneo a rivelare la ratio decidendi.

L’originaria diversa paternità del testo, se può avere eventuali ricadute sul piano disciplinare, non inficia la validità della decisione, e ciò in base ai principi generali della conservazione degli atti, di economia processuale e di ragionevole durata dei giudizi, ogniqualvolta sia concretamente raggiunto lo scopo dell’atto medesimo e cioè, riguardo alla motivazione della sentenza, allorquando il suo testo consenta agli interessati di comprendere le giustificazioni della decisione, ancorchè totalmente sovrapponigli a quelle esposte dalla parte vincitrice.

L’anomalia del confezionamento dell’apparato motivazionale non è, secondo l’ordine d’idee in esame, ragione di nullità radicale della sentenza, da cassare con rinvio ex art. 360 cod. proc. civ., n. 4, restando la decisione soggetta – invece – a censure per specifici punti di criticità del percorso argomentativo pur singolarmente costruito, cioè: errori di giustificazione della decisione sul merito del fatto (n. 5), oppure violazioni di norme di diritto sostanziali (n. 3), ovvero residuali violazioni di norme processuali determinanti singole invalidità (n. 4), profili tutti che nella specie sono oggetto degli altri motivi di ricorso.

Conclusioni.

14. Tirando le fila sparse del discorso sin qui condotto, il Collegio – considerata la duplice chiave di lettura che può avere la questione sollevata con il primo motivo e tenuto conto della particolare rilevanza dei principi, anche costituzionali, sottesi alla soluzione, con possibili ricadute per eadem ratio pure al di fuori del processo tributario, nei processi civili e penali (nonchè nei giudizi disciplinari su comportamenti similari) – ritiene opportuno rimettere gli atti al Primo Presidente per le sue determinazioni in ordine alla eventuale assegnazione del ricorso alle sezioni unite.


P.Q.M.


LA CORTE applicato l’art. 374 cod. proc. civ., rimette gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione del ricorso alle sezioni unite.

Così deciso in Roma, il 9 dicembre 2013.

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2014