202010.23
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Cass., sez. trib., 23 ottobre 2020 (ord.), n. 23253 (testo)

Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

G.A. ha impugnato, davanti alla Commissione tributaria di primo grado di Bolzano, l’ipoteca iscritta su alcuni beni di sua proprietà dal concessionario per la riscossione a garanzia del credito portato da varie cartelle di pagamento, pari ad Euro 57.529,78, oltre sanzioni ed interessi, rappresentandone l’illegittimità in quanto posta in essere su immobili ricompresi nel fondo patrimoniale da lui costituito con la propria moglie.

La Commissione tributaria di primo grado di Bolzano, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 14/01/2016, ha respinto il ricorso.

G.A. ha proposto appello contro la menzionata sentenza che la Commissione tributaria di secondo grado di Bolzano, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 119/02/17, ha respinto.

G.A. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.

Controparte si è difesa con controricorso.

Il solo ricorrente ha depositato memorie.

Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE

  1. Preliminarmente deve essere esaminata l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata da parte controricorrente.

Questa è inammissibile, in quanto prospettata per la prima volta in sede di cassazione, considerato che il giudicato interno sulla giurisdizione si forma tutte le volte in cui il giudice di primo grado abbia pronunciato nel merito, affermando anche implicitamente la propria giurisdizione, e le parti abbiano prestato acquiescenza a tale statuizione, non impugnando, come nella specie, la sentenza sotto questo profilo (Cass., Sez. 5, n. 13750 del 22 maggio 2019).

  1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 169 e 170 c.c., in materia di fondo patrimoniale poichè il giudice di appello avrebbe errato nel non considerare che i debiti tributari sono per loro natura estranei ai bisogni della famiglia, non avendo con essi una relazione diretta e immediata. In particolare, nel caso di specie, non vi era alcun legame fra il credito azionato e le necessità familiari, poichè l’agente per la riscossione agiva per recuperare imposte non versate relative alle più svariate sanzioni.

Secondo G.A., la Commissione tributaria di secondo grado non aveva valutato che il soddisfacimento degli interessi familiari dipendeva direttamente non già dalla sua attività professionale, ma dal denaro da lui investito per l’acquisto di un appartamento da inserire nel fondo patrimoniale per garantire un’esistenza tranquilla al figlio M..

Soprattutto, doveva essere tenuto in conto che solo formalmente il ricorrente era il proprietario, in comunione con la moglie, del bene in esame, in quanto il denaro per il suo acquisto apparteneva al figlio incapace, il quale ne era il beneficiario.

In ogni caso, era illegittima l’iscrizione di ipoteca su immobili conferiti in un fondo patrimoniale in mancanza di prova, che avrebbe dovuto essere data dall’agente della riscossione, che le imposte de quibus concernevano redditi prodotti da beni conferiti nel detto fondo patrimoniale.

Era stata omessa, altresì, l’indicazione, nell’atto impugnato, del valore degli immobili in base alla rendita.

La doglianza è priva di pregio.

La giurisprudenza di legittimità ha ormai chiarito che, in tema di riscossione coattiva, l’iscrizione ipotecaria di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 77, è ammissibile anche sui beni facenti parte di un fondo patrimoniale alle condizioni indicate dall’art. 170 c.c., sicchè è legittima solo se l’obbligazione tributaria sia strumentale ai bisogni della famiglia o se il titolare del credito non ne conosceva l’estraneità a tali bisogni, gravando in capo al debitore opponente l’onere della prova non solo della regolare costituzione del fondo patrimoniale, e della sua opponibilità al creditore procedente, ma anche della circostanza che il debito sia stato contratto per scopi estranei alle necessità familiari, avuto riguardo al fatto generatore dell’obbligazione e a prescindere dalla natura della stessa (Cass., Sez. 3, n. 20998 del 23 agosto 2018, in un caso nel quale venivano in rilievo sanzioni amministrative per violazione del C.d.S. e per omesso pagamento di tributi), e che il detto creditore fosse a conoscenza di tale circostanza (Cass., Sez. 3, n. 1652 del 29 gennaio 2016).

Il ricorrente, però, non ha assolto al proprio onere probatorio, non avendo neanche elencato quali sarebbero stati i fatti generatori delle obbligazioni tributarie, non riconducibili ai bisogni della famiglia, nella specie rilevanti.

Va respinta, in particolare, l’affermazione di G.A., contenuta nella memoria ex art. 380 bis c.p.c., secondo il quale andrebbe presunta, in capo all’Agente della riscossione, la conoscenza dell’estraneità del credito agli interessi della famiglia, non assumendo rilievo, nella specie, ai fini del riparto dell’onere della prova, la natura dell’obbligazione.

Neppure ha dedotto o dimostrato che l’Amministrazione creditrice fosse a conoscenza di questa estraneità.

Occorre sottolineare, comunque, che non è condivisibile l’affermazione del ricorrente che la natura tributaria del credito escluderebbe la possibilità di iscrivere ipoteca sui beni oggetto del fondo patrimoniale.

Allo stesso modo, si osserva che nessuna norma subordina l’esecuzione sui beni rientranti nel fondo patrimoniale alla circostanza che i crediti tributari azionati concernano redditi prodotti dai beni conferiti nel detto fondo patrimoniale.

Priva di valenza è la considerazione che il soddisfacimento degli interessi familiari dipendeva direttamente non già dall’attività professionale del contribuente, ma dal denaro da lui investito per l’acquisto di un appartamento da inserire nel fondo patrimoniale per garantire un’esistenza tranquilla al figlio M., non avendo il ricorrente dimostrato l’origine dei debiti tributari.

Estremamente generica è, poi, la questione dell’indicazione del valore degli immobili in base alla rendita che, peraltro, non comporta di per sè l’illegittimità dell’atto impugnato.

Infine, non è di alcun rilievo il fatto che G.A. fosse il proprietario non sostanziale, ma formale, in comunione con la moglie, dell’immobile in esame, in quanto il denaro per il suo acquisto apparteneva al figlio incapace, il quale ne era il beneficiario.

  1. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 169 e 170 c.c., in riferimento ai principi costituzionali ed internazionali in materia di famiglia, i quali imponevano di escludere ogni collegamento fra i suoi debiti tributari e i bisogni del figlio M., proprietario del denaro utilizzato per acquistare il bene oggetto di causa.

La doglianza è infondata, atteso che la legittimità dell’esecuzione discende dalla proprietà dell’immobile in capo al contribuente e dalle obbligazioni gravanti sul medesimo, la cui estraneità ai bisogni della famiglia non è stata dimostrata dall’interessato.

  1. Con il terzo motivo G.A. contesta la violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, poichè le cartelle di pagamento in contestazione erano state notificate dal concessionario della riscossione, nonostante la legge non gli avesse attribuito tale potere.

In primo luogo, si rileva che la questione era stata tardivamente sollevata in primo grado, come osservato dalla CTR.

Inoltre, si osserva che, in tema di riscossione delle imposte, la notifica della cartella di pagamento può essere eseguita anche mediante invio diretto, da parte del concessionario, di raccomandata con avviso di ricevimento, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, seconda parte, fermo restando che il contribuente che assuma, in concreto, la mancanza di conoscenza effettiva dell’atto per causa a sè non imputabile può chiedere, come affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 175 del 2018, la rimessione in termini ex art. 153 c.p.c., (Cass., Sez. 6-5, n. 29710 del 19 novembre 2018).

La doglianza è, quindi, anche infondata.

  1. Il ricorso è, pertanto, respinto.

Le spese seguono la soccombenza ex art. 91 c.p.c., e sono liquidate come in dispositivo.

Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dell’obbligo, per il ricorrente, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata, trattandosi di ricorso per cassazione la cui notifica si è perfezionata dopo la data del 30 gennaio 2013 (Cass., Sez. 6-3, n. 14515 del 10 luglio 2015).

P.Q.M.

La corte:

  • rigetta il ricorso;
  • condanna il ricorrente a rifondere le spese in favore della parte controricorrente, che liquida in complessivi Euro 5.000,00, oltre spese prenotate a debito;
  • ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 5 Sezione Civile, tenuta mediante collegamento da remoto, il 2 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2020