202307.21
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Cass., sez. trib., 21 luglio 2023 (ord. interloc.), n. 21917 (testo)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino – Presidente –

Dott. LA ROCCA Giovanni – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso n. 6282/2021 proposto da:

Agenzia delle Dogane, nella persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12. – ricorrente –

contro

A.A., rappresentato e difeso, anche disgiuntamente tra loro, dall’Avv. Eugenio Briguglio e dall’Avv. Andreina Gastaldo, con domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. Ernesto Mocci, in Roma, via Germanico, n. 146, giusta procura speciale in calce al controricorso conferita con atto del 6 aprile 2021 a firma autenticata dal Dott. B.B., Notaio nel (Omissis), munita di apostille dell’8 aprile 2021, in duplice esemplare, n. 1335/2021 e n. 1336/2021. – controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della LOMBARDIA, n. 266/2021, depositata in data 15 gennaio 2021, non notificata;

udita la relazione della causa udita svolta nella pubblica udienza del 5 luglio 2023 dal Consigliere Lunella Caradonna;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. Giuseppe Locatelli, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

uditi, per la parte controricorrente, l’Avv. Eugenio Briguglio e l’Avv. Andreina Gastaldo, che si sono riportati alle conclusioni rassegnate nel controricorso.

Svolgimento del processo

  1. Con verbale di constatazione e sequestro del 3 ottobre 2012 era stata accertata la violazione della normativa doganale di cui al D.P.R. n. 43 del 1973, art. 282 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 70 e s.m.i. e l’Ufficio aveva proceduto al sequestro del quadro attribuito al maestro C.C. quale corpo del reato in base a quanto disposto dall’art. 354 c.p.p., il cui codice doganale era (Omissis) ed il valore imponibile accertato, come da informativa della Dogana Svizzera, era di Euro 448.443,41 e in relazione al quale A.A. aveva omesso di effettuare la dovuta dichiarazione e il pagamento dei diritti di confine. A seguito della trasmissione degli atti del procedimento penale all’Amministrazione finanziaria per l’intervenuta depenalizzazione introdotta con D.Lgs. n. 8 del 2016 del reato di contrabbando da penale ad amministrativo, e in considerazione del disposto dall’Autorità Giudiziaria, l’Ufficio delle Dogane aveva provveduto, in data 14 giungo 2016, all’emissione del verbale di constatazione e sequestro in via amministrativa e con successiva nota n. 73851 del 3 novembre 2017, aveva emesso il provvedimento con il quale era stata disposta la confisca del dipinto ai sensi degli artt. 295 bis, comma 3 e 301 T.U.L.D, notificato il 10 novembre 2017. Con ricorso notificato l’8 gennaio 2018, A.A. aveva impugnato il provvedimento di confisca.
  2. La Commissione tributaria provinciale, con sentenza n. 125/2019, depositata il 14 gennaio 2019, aveva rigettato il ricorso del contribuente, ritenendo che le violazioni in materia di Iva all’importazione comportavano la confisca obbligatoria della merce introdotta in Italia ai sensi del D.P.R. n. 43 del 1973, art. 301, richiamato dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 70 e che, anche a seguito della depenalizzazione, era prevista l’applicabilità della confisca quale sanzione accessoria alle ipotesi di contrabbando semplice.
  3. La Commissione tributaria regionale, adita dal contribuente, ha accolto l’appello, annullando il provvedimento di confisca, sulla base delle seguenti considerazioni:

-) nel caso in esame si era in presenza di una vera e propria abrogazione tacita della pena, un tempo prevista, della confisca ex art. 295 bis T.U.L.D. per l’ipotesi del contrabbando semplice, in forza del principio “ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit”, e che, pertanto, non si doveva procedere ad una interpretazione estensiva;

-) non valeva a sostenere le motivazioni espresse dal Giudice di primo grado il fatto che in sede di depenalizzazione del reato di contrabbando lieve non fosse stata esclusa la misura accessoria della confisca, dovendo coerentemente intervenire il Legislatore in sede di armonizzazione delle disposizioni in materia;

-) il legislatore con il D.Lgs. n. 8 del 2016 aveva depenalizzato il reato di contrabbando e non aveva previsto sanzioni accessorie, con una precisa scelta esternata nella relazione illustrativa al D.Lgs. n. 8 del 2016, ove si leggeva che non si era ritenuta praticabile la soluzione di comminare sanzioni accessorie per illeciti risultanti dalla clausola generale di depenalizzazione cosiddetta “cieca”, in quanto sarebbe stata necessaria una disposizione altrettanto generale di conversione delle (eventuali) originarie pene accessorie, come confermato dall’Ufficio del Massimario della Cassazione settore penale nella relazione n. III/ 01/2016 del 2 febbraio 2016, ove si ribadiva a pag. 12, che “Il Legislatore delegato non ha ritenuto di comminare sanzioni accessorie per gli illeciti risultanti dalla clausola generale di depenalizzazione cosiddetta “cieca” nella dichiarata difficoltà di formulare sia sul piano redazionale che di compatibilità con i limiti derivanti dalla delega, una disposizione altrettanto generale di conversione delle eventuali originarie pene accessorie”;

-) inoltre una estensione analogica della pena della confisca alla fattispecie del contrabbando semplice, avrebbe importato anche la violazione del principio di legalità previsto in via generale per le sanzioni amministrative, con la conseguente esclusione dell’integrazione analogica della norma sanzionatrice per estenderne l’applicazione a ipotesi ivi non contemplate.

  1. L’Agenzia delle Dogane ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a due motivi.
  2. A.A. resiste con controricorso e memoria.
  3. La Procura Generale della Corte di Cassazione ha depositato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto l’accoglimento del ricorso, la cassazione della sentenza impugnata e la decisione nel merito della causa, con il rigetto del ricorso introduttivo del contribuente.

Motivi della decisione

  1. Con il primo motivo si lamenta la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 70 e degli artt. 282, 295 bis, 301 e ss T.U.L.D., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto, anche a seguito della depenalizzazione del contrabbando semplice, il bene illecitamente introdotto poteva essere confiscato dalla Dogana. La Commissione tributaria regionale aveva riformato la sentenza di primo grado annullando il provvedimento di confisca, pur riconoscendo il contribuente colpevole della violazione in materia di Iva ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 70; la sentenza impugnata era, quindi, errata in quanto il dipinto, seppure esente da dazi doganali in base all’Accordo tra la Confederazione Elvetica e la Comunità Europea del 19 dicembre 1972, avrebbe dovuto costituire comunque oggetto dei diritti di confine, tra i quali era compresa l’Iva all’importazione, con la conseguenza che la sua omissione o evasione comportava l’applicabilità delle misure punitive previste dal T.U.L.D., stante il rinvio operato dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 70 al D.P.R. n. 43 del 1973, art. 282, come confermato da consolidata giurisprudenza di legittimità.
  2. Con il secondo motivo si lamenta la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 8 del 2016, artt. 3 e 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 Non sussisteva alcuna lacuna normativa dal momento che l’art. 301 T.U.L.D. non era stato abrogato nè espressamente, nè tacitamente. La sanzione penale e quella amministrativa erano riconducibili ad un’unica categoria di pena ed avevano la stessa finalità di prevenzione dei reati e qualora il legislatore avesse voluto abolire la misura accessoria della confisca prevista dall’art. 301 richiamato l’avrebbe fatto espressamente. Dalla natura di sanzione formalmente amministrativa, ma sostanzialmente penale della sanzione principale, discendeva la applicabilità da parte dell’autorità amministrativa della misura punitiva della confisca prevista dall’art. 301 T.U.L.D. alla sanzione prevista per la violazione della evasione dei diritti di confine, depenalizzata dal D.Lgs. n. 8 del 2016. Lo stesso D.Lgs. n. 8 del 2016 faceva salva, per le violazioni anteriori alla sua entrata in vigore, come nel caso di specie, la L. n. 689 del 1981, art. 6 che, all’art. 20, comma 5, imponeva la confisca delle cose il cui porto costituiva sanzione amministrativa, nè era ammesso ricavare da tale intervento conseguenze ulteriori da quelle previste dal legislatore in violazione del principio di legalità e di tassatività su cui si basava il sistema del diritto punitivo amministrativo di cui agli artt. 1 e ss. della L. n. 689 del 1981. Sebbene la novella legislativa nulla avesse specificato in merito, doveva ritenersi che l’art. 295 bis, comma 3, T.U.L.D. costituiva la base giuridica per i provvedimenti su citati in applicazione del principio di proporzionalità. Ed invero, laddove si aderiva alla tesi della implicita abrogazione della confisca per i casi di contrabbando depenalizzati dal D.Lgs. n. 8 del 2016, si violava il principio di proporzionalità, in quanto, come avevano affermato i giudici di primo grado, si punivano in forma più lieve fattispecie caratterizzate da maggiore gravità, giungendosi all’assurdo giuridico di consentire l’applicazione della sanzione accessoria della confisca alle ipotesi di contrabbando meno gravi (con diritti evasi fino a Euro 3.999,96), negandola paradossalmente nelle fattispecie in cui tale soglia fosse superata per effetto della depenalizzazione di cui al D.Lgs. n. 8 del 2016.
  3. Il Collegio ritiene che la questione sottesa all’esame dei motivi di ricorso merita di essere sottoposta alla valutazione delle Sezioni Unite per la sua rilevanza nomofilattica, in quanto concerne la legittimità della confisca disposta in relazione al reato di cui al D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 282, in seguito all’emanazione del decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 8, che in attuazione dell’art. 1, ha depenalizzato i reati puniti con la sola pena pecuniaria della multa e dell’ammenda e, tra questi, i reati di contrabbando c.d. “semplice”, da accordare in chiave sistematica sia con il D.P.R. n. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 70 che fa espresso richiamo, per quanto concerne le controversie e le sanzioni, alle disposizioni delle leggi doganali relative ai diritti di confine, sia con le norme di cui al D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, artt. 301 e 295 bis, nella parte in cui prevedono l’applicazione della confisca obbligatoria nelle ipotesi di contrabbando con diritti evasi fino ad Euro 3.996,96, sia con la L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 20, comma 3, cui fa espresso richiamo il legislatore della depenalizzazione con il decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 8, art. 6, che prevede la confisca facoltativa amministrativa per le evasioni di imposta comprese tra i 4.000,00 Euro ed i 49.999,99 Euro. 4. A tal fine, assume rilievo decisivo, in primo luogo, la compiuta ricostruzione del rapporto tributario, per quel che è dato ricavare dalla sentenza impugnata e dagli atti di causa:

-) a seguito di un controllo effettuato in data 3 ottobre 2012 nella sala arrivi internazionali dell’Aeroporto di Milano – Linate, l’Ufficio delle Dogana aveva notificato a A.A. verbale di constatazione e sequestro con il quale veniva accertata la violazione di cui al D.P.R. n. 43 del 1973, art. 282 e di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 70 e veniva disposto il sequestro probatorio del quadro di C.C. dal titolo “(Omissis)”, ai sensi degli artt. 253 e 354 c.p.p., in quanto il A.A. aveva omesso di effettuare la dovuta dichiarazione, sottraendo il quadro alla visita doganale e, dunque, al pagamento dei diritti di confine, che, con riferimento all’IVA, ammontavano ad Euro 448.443,41;

-) l’Autorità doganale svizzera, con nota del 3 ottobre 2012, aveva fornito informazioni relative all’operazione doganale di esportazione n. 423, effettuata in data 3 ottobre 2012, presso la Dogana di (Omissis) da parte di A.A., riguardante il quadro sequestrato, la cui classificazione doganale era (Omissis), per un valore dichiarato di franchi svizzeri 5.423.923, pari ad Euro 4.484.434,06 (al tasso doganale di cambio di 1,2095 franchi svizzeri per Euro);

-) a seguito della comunicazione da parte dell’Ufficio delle Dogane, in data 8 ottobre 2012, della notizia di reato alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano, si procedeva nei confronti del A.A., con citazione diretta a giudizio per rispondere del reato di cui alla L. n. 43 del 1973, art. 282, lett. c), per essersi sottratto al pagamento dei diritti di confine, che, con sentenza n. 2804 depositata in data 29 marzo 2014, veniva prosciolto dal delitto ascrittogli perchè il fatto non sussisteva, con la restituzione dell’opera sequestrata al proprietario;

-) la sentenza n. 2804 del 29 marzo 2014, impugnata dalla Procura della Repubblica di Milano per l’insussistenza dei presupposti per pronunciare una sentenza di assoluzione predibattimentale, veniva cassata con rinvio dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 27067 del 22 aprile 2015;

-) l’Ufficio delle Dogane, con atto notificato il 28 settembre 2015, ai sensi del D.Lgs. n. 472 del 1992, art. 16, contestava a A.A. la violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 70, comma 1, determinando la sanzione nella misura minima prevista dall’art. 303, comma 3, lettera e), del T.U.L.D.;

-) A.A., in data 1 febbraio 2016, provvedeva al pagamento dell’Iva dovuta e delle sanzioni irrogate;

-) il Tribunale di Milano, in sede di rinvio, con sentenza n. 2651 depositata il 4 marzo 2016, divenuta irrevocabile il 24 marzo 2016, assolveva l’imputato, ai sensi dell’art. 129 c.p.p., perchè il fatto di cui all’imputazione non era più previsto dalla legge come reato, in seguito alla depenalizzazione del reato contestato di cui al D.P.R. n. 43 del 1973, art. 282, lett. c) intervenuta in forza del D.Lgs. n. 8 del 2016, art. 1, comma 1;

-) il Tribunale di Milano, con la stessa sentenza disponeva la trasmissione degli atti del procedimento all’Ufficio delle Dogane, per quanto eventualmente ritenuto d competenza, come previsto dal D.Lgs. n. 8 del 2016, art. 7;

-) con successiva ordinanza n. 2651 dell’1 giugno 2016 Il Tribunale di Milano ordinava il dissequestro del dipinto in parola e la sua restituzione all’avente diritto se non sottoposto ad altra misura o vincolo reale;

-) l’Ufficio delle Dogane, in data 14 giugno 2016 emetteva verbale di constatazione e sequestro in via amministrativa del quadro di C.C. (notificato in data 22 luglio 2016 al A.A. presso i suoi difensori) in relazione all’illecito di cui agli artt. 282 e 301 bis del T.U.L.D. e con successiva nota del 3 novembre 2017 emetteva il provvedimento di confisca del dipinto ai sensi del D.P.R. n. 43 del 1973, artt. 301 e 295 bis, comma 3, notificato a A.A. il 10 novembre 2017, provvedimento che veniva impugnato dal A.A. con ricorso notificato in data 8 gennaio 2018;

-) l’Ufficio delle Dogane, in data 22 luglio 2016, notificava ai difensori del A.A. un verbale con il quale contestava l’illecito di cui agli artt. 282 e 301 bis del T.U.L.D. 4.1 Tanto premesso, in punto di ricostruzione fattuale, va rilevato che il provvedimento di confisca è stato emesso, con provvedimento notificato in data 10 novembre 2017, ai sensi del D.P.R. n. 43 del 1973, artt. 301 e 295 bis, comma 3, e che l’Agenzia delle Dogane con un primo verbale, notificato in data 28 settembre 2015, aveva contestato a A.A. la violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 70, comma 1, determinando la sanzione nella misura minima prevista dall’art. 303, comma 3, lettera e), del T.U.L.D. e con un secondo verbale, (notificato in data 22 luglio 2016 al A.A. presso i suoi difensori), aveva disposto il sequestro in via amministrativa del quadro di C.C. in relazione all’illecito di cui agli artt. 282 e 301 bis del T.U.L.D., irrogando l’ulteriore sanzione amministrativa di Euro 50.000,00 prevista dal D.Lgs. n. 8 del 2016, art. 1, comma 5, lettera c).

Ancora va rilevato che A.A., in data 1 febbraio 2016, aveva provveduto al pagamento dell’Iva dovuta e delle sanzioni irrogate.

In ultimo, giova precisare che A.A., con ricorso notificato in data 8 gennaio 2018, ha impugnato il provvedimento del 10 novembre 2017, con il quale è stata disposta la confisca del quadro di C.C. ai sensi del D.P.R. n. 43 del 1973, artt. 301 e 295 bis, comma 3, in relazione al reato di cui al D.P.R. n. 43 del 1973, art. 282.

  1. Parimenti rilevante, in secondo luogo, sotto il profilo normativo, è l’esame delle disposizioni di cui agli artt. 301 e 295 bis del D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43; al D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 282; al D.P.R. n. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 70 e al decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 8, per le norme di interesse che rilevano in questa sede.
  2. Il D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 301, rubricato “Delle misure di sicurezza patrimoniali. Confisca”, recita: “1. Nei casi di contrabbando è sempre ordinata la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono l’oggetto ovvero il prodotto o il profitto. Quando non è possibile procedere alla confisca delle cose di cui al periodo precedente, è ordinata la confisca di somme di danaro, beni e altre utilità per un valore equivalente, di cui il condannato ha la disponibilità, anche per interposta persona. 2. Sono in ogni caso soggetti a confisca i mezzi di trasporto a chiunque appartenenti che risultino adattati allo stivaggio fraudolento di merci ovvero contengano accorgimenti idonei a maggiorarne la capacità di carico o l’autonomia in difformità delle caratteristiche costruttive omologate o che siano impiegati in violazioni alle norme concernenti la circolazione o la navigazione e la sicurezza in mare. 3. Si applicano le disposizioni dell’art. 240 del codice penale se si tratta di mezzo di trasporto appartenente a persona estranea al reato qualora questa dimostri di non averne potuto prevedere l’illecito impiego anche occasionale e di non essere incorsa in un difetto di vigilanza.
  3. Nel caso di vendita all’asta di mezzi di trasporto confiscati per il delitto di contrabbando, qualora l’aggiudicazione non abbia luogo al primo incanto, l’asta non può essere ripetuta e i mezzi esecutati vengono acquisiti al patrimonio dello Stato.
  4. Le disposizioni del presente articolo si osservano anche nel caso di applicazione della pena su richiesta a norma del titolo II del libro VI del codice di procedura penale. 5 bis. Nei casi di condanna o di applicazione della pena su richiesta a norma dell’art. 444 del codice di procedura penale, per taluno dei delitti previsti dall’art. 295, comma 2, si applica l’art. 240 bis del codice penale”. 6.1 Il D.P.R. n. 43 del 1973, art. 295 bis, rubricato “Sanzioni amministrative per le violazioni di lieve entità” dispone: “1.Nei casi previsti dagli artt. 282, 283, 284, 285, 286, 287, 288, 289, 290, 291, 292 e 294, se l’ammontare dei diritti di confine dovuti non supera Euro 3.999,96 (lire sette milioni settecentoquarantacinquemila), e non ricorrono le circostanze indicate dall’art. 295, comma 2, si applica, in luogo della pena stabilita dai medesimi articoli, la sanzione amministrativa pecuniaria non minore di due e non maggiore di dieci volte i diritti di confine dovuti. Nei casi previsti dall’art. 294, la sanzione non può essere comunque inferiore a Euro 516 (lire un milione). 2. La sanzione può essere aumentata fino alla metà se ricorre la circostanza indicata dall’art. 295, comma 1. 3. Le disposizioni degli artt. 301, 301 bis e 333 si osservano anche con riguardo alle violazioni previste dal presente articolo. I provvedimenti per i quali, in base alle medesime disposizioni, è competente l’autorità giudiziaria sono adottati dal capo della dogana nella cui circoscrizione la violazione è stata accertata. 4. Nei casi in cui le violazioni previste dagli articoli indicati nel comma 1 conservano rilevanza penale sebbene l’ammontare dei diritti di confine dovuti non superi Euro 3.999,96 (lire sette milioni settecentoquarantacinquemila), per la presenza delle circostanze aggravanti indicate all’art. 295, comma 2, queste ultime restano soggette al giudizio di equivalenza o di prevalenza con eventuali circostanze attenuanti a norma dell’art. 69 del codice penale. 5. Le disposizioni del presente articolo non si applicano ai fatti di contrabbando relativi a tabacchi lavorati esteri”.

6.2 Nel contesto normativo riportato, è utile precisare che, sulla premessa che i dazi doganali costituiscono un’entrata propria dell’Unione Europea, a cui, infatti, è stata attribuita una competenza esclusiva in materia doganale riguardante la determinazione di dazi e delle misure di politica commerciale, nonchè della tariffa doganale comune e dei regimi doganali, la tutela degli interessi finanziari dell’Unione Europea trova la sua attuale codificazione nell’art. 325 del T.F.U.E. e viene perseguita contrastando le frodi e le attività illegali mediante misure dissuasive e tali da garantire una protezione efficace tanto negli Stati membri, quanto nelle istituzioni, organi ed organismi dell’Unione. Le misure adottate dagli Stati membri per contrastare le frodi che ledono gli interessi finanziari dell’Unione devono garantire un livello di protezione assimilabile a quello volto a contrastare le frodi che ledono i loro interessi finanziari e devono assicurare che le violazioni del diritto dell’Unione siano sanzionate, sotto il profilo sostanziale e procedurale, in modo analogo a quello previsto per le violazioni del diritto interno simili per natura ed importanza e tali, in ogni caso, da conferire alla sanzione stessa un carattere di effettività, di proporzionalità e di capacità dissuasiva.

6.3 Tutto ciò rileva perchè in Italia il recepimento interno di tali principi si è avuto con la modifica dell’art. 295 del T.U.L.D. e con l’introduzione dell’art. 295 bis nel T.U.L.D. che ha rimodulato il quadro sanzionatorio doganale depenalizzando i casi di contrabbando per importi inferiori a 4.000,00 Euro e prevedendo la pena della reclusione sino a 3 anni, oltre alla multa, per il contrabbando di importi superiori a 50.000,00 Euro. Il D.P.R. n. 43 del 1973, art. 301, poi, ha disciplinato la confisca penale doganale, che, è importante sottolineare, a differenza della confisca regolata dall’art. 240 c.p. – che prevede la facoltatività di sottoporre a sequestro le cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prodotto od il profitto (con conseguente accertamento in concreto della pericolosità della cosa) e l’obbligatorietà della confisca delle cose che costituirono il prezzo del reato e delle cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione costituisce reato, anche se non è stata pronunciata condanna – contempla l’obbligatorietà della confisca anche delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono l’oggetto ovvero il prodotto ed il profitto.

6.4 La confisca penale doganale, dunque, come sostiene una autorevole dottrina, è una misura di sicurezza patrimoniale più ampia della confisca ordinaria regolata dall’art. 240 c.p. e particolarmente afflittiva, poichè, in ragione della necessità di una più rigorosa repressione delle violazioni delle leggi tributarie in ragione dei beni giuridici tutelati di rilevanza anche unionale, estende la presunzione di pericolosità sottostante alla misura di sicurezza reale anche nei confronti delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono l’oggetto ovvero il prodotto ed il profitto. In tale direzione va anche la previsione, nel diritto penale doganale, di una “speciale” forma di confisca di beni appartenenti a terzi, prevista, per l’appunto, dal D.P.R. n. 43 del 1973, art. 301, comma 2, ovvero della confisca dei mezzi di trasporto a chiunque appartenenti che risultino adattati allo stivaggio fraudolento di merci.

6.5 Nell’ambito normativo delineato esigenze di completezza inducono a rilevare che la legislazione penale doganale disciplina già una speciale causa di estinzione del delitto di contrabbando punito con la sola multa, consentita a chi provvede al pagamento, oltre che del tributo dovuto, di una somma non inferiore al doppio e non superiore al decuplo del tributo stesso. Questa causa di estinzione del reato è prevista dal v, art. 334, rubricato “Estinzione dei delitti di contrabbando punibili con la sola multa” che dispone che il pagamento della somma anzidetta e del tributo estingue il reato e che l’estinzione del reato non impedisce l’applicazione della confisca, la quale è applicata con provvedimento dell’amministrazione doganale.

6.6 Si tratta di una norma, dunque, che prevede la confisca per i reati estinti, dovendosi, tuttavia, evidenziare che, nella fattispecie in esame, non si è verificata alcuna estinzione del reato contestato, in quanto il contribuente è stato assolto, con sentenza del Tribunale di Milano n. 2651/16 del 4 marzo 2016, divenuta irrevocabile il 24 marzo, ai sensi dell’art. 129 c.p.c. perchè “il fatto non costituisce più reato”. Nella sostanza, nel caso in esame, non viene in rilievo una causa di estinzione del reato, che incide sulla materialità del fatto, ma una sentenza di assoluzione perchè il fatto non costituisce reato, ovvero il fatto è avvenuto ed è stato commesso dall’imputato, ma è assente uno degli elementi tipici della fattispecie incriminatrice.

6.7 Sotto, poi, lo specifico profilo della “ritenuta” abrogazione tacita della confisca prevista dall’art. 295 bis TULD per l’ipotesi del contrabbando semplice, in ragione della clausola generale di depenalizzazione cosiddetta “cieca”, deve rilevarsi che detta tesi (peraltro in linea con una parte della dottrina) riconduce la “confisca” alle sanzioni accessorie, alle quali (soltanto) si riferisce specificamente la relazione dell’Ufficio del Massimario n. III/01/2016, del 2 febbraio 2016, sui decreti legislativi nn. 7 e 8 del 15 gennaio 2016, dove a pag. 12 si legge “Nel silenzio della delega, il legislatore delegato ha ritenuto di non comminare sanzioni accessorie per gli illeciti risultanti dalla clausola generale di depenalizzazione c.d. “cieca”, nella dichiarata difficoltà di formulare, sia sul piano redazionale che di compatibilità con i limiti derivanti dalla delega, una disposizione altrettanto generale di conversione delle (eventuali) originarie pene accessorie”. Ed invero, altra parte della dottrina, ha affermato che per l’individuazione delle sanzioni accessorie amministrative è necessario ricorrere alle disposizioni generali cui la specifica disciplina amministrativa fa riferimento (ovvero il decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472) e che le sanzioni accessorie per violazioni a norme tributarie (che consistono nell’interdizione dalle cariche societarie, dalla partecipazione a gare pubbliche e dall’esercizio di licenze, concessioni o autorizzazioni amministrative nonchè nella sospensione dall’esercizio di attività di lavoro autonomo o di impresa) non sono applicabili nel caso dei delitti di contrabbando depenalizzati, poichè possono essere comminate solo nei casi espressamente previsti.

6.8 A ciò si aggiunga che la pena accessoria, così come espressamente dispone l’art. 20 c.p. consegue di diritto alla condanna, come effetto penale di essa e, secondo la costante e consolidata giurisprudenza della Corte di cassazione, per l’applicazione di essa non occorre una statuizione espressa contenuta nella sentenza di condanna (Cass. pen., 1 agosto 2016, n. 33541), tranne, s’intende, nei casi in cui le modalità di esecuzione della pena accessoria richiedano l’esplicazione di una attività discrezionale da parte del giudice (cfr. Cass. pen., 16 dicembre 2021, n. 46089) e che la stessa non può essere mantenuta in caso di proscioglimento dell’imputato, anche se pronunciato a seguito di estinzione del reato per prescrizione (Cass. pen., 16 aprile 2018, n. 16841; Cass., 5 febbraio 2015 n. 18256).

  1. Il D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 282, rubricato “Contrabbando nel movimento delle merci attraverso i confini di terra e gli spazi doganali”, stabilisce: “E’ punito con la multa non minore di due e non maggiore di dieci volte i diritti di confine dovuti chiunque: a) introduce merci estere attraverso il confine di terra in violazione delle prescrizioni, divieti e limitazioni stabiliti a norma dell”art. 16; b) scarica o deposita merci estere nello spazio intermedio tra la frontiera e la più vicina dogana; c) è sorpreso con merci estere nascoste sulla persona o nei bagagli o nei colli o nelle suppellettili o fra merci di altro genere od in qualunque mezzo di trasporto, per sottrarle alla visita doganale; d) asporta merci dagli spazi doganali senza aver pagato i diritti dovuti o senza averne garantito il pagamento, salvo quanto previsto nell’art. 90; e) porta fuori del territorio doganale, nelle condizioni prevedute nelle lettere precedenti, merci nazionali o nazionalizzate soggette a diritti di confine; f) detiene merci estere, quando ricorrano le circostanze prevedute nel comma 2 dell’art. 25 per il delitto di contrabbando”.

7.1 La disciplina dei reati doganali, principalmente, trova la sua regolamentazione nel D.P.R. n. 43 del 1973, artt. 282 e ss., che contemplano le ipotesi base dei diversi delitti di contrabbando puniti con la pena pecuniaria e poi, nel D.P.R. n. 43 del 1973, art. 295, che, nella versione vigente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 8 del 2016, prevede una serie di circostanze aggravanti, che determinano l’applicazione di una pena detentiva. In particolare, in base all’art. 295 citato, alla multa è aggiunta la reclusione da tre a cinque anni: “a) quando nel commettere il reato, o immediatamente dopo nella zona di vigilanza, il colpevole sia sorpreso a mano armata; b) quando nel commettere il reato, o immediatamente dopo nella zona di vigilanza, tre o più persone colpevoli di contrabbando siano sorprese insieme riunite e in condizioni tali da frapporre ostacolo agli organi di polizia; c) quando il fatto sia connesso con altro delitto contro la fede pubblica o contro la Pubblica amministrazione; d) quando il colpevole sia un associato per commettere delitti di contrabbando e il delitto commesso sia tra quelli per cui l’associazione è stata costituita”.

7.2 Il reato di contrabbando nel movimento delle merci attraverso i confini di terra e gli spazi doganali di cui al D.P.R. n. 43 del 1973, art. 282, salvo come già detto il ricorrere di circostanze aggravanti, è punito con la sola pena pecuniaria, il cui importo viene determinato in percentuale rispetto ai diritti doganali evasi dal responsabile del reato, ovvero, come dice autorevole dottrina, la multa è parametrata sul danno all’Erario che l’autore del reato ha determinato o sul valore economico degli interessi dell’Erario che sono stati posti in pericolo dal comportamento criminale.

  1. Il D.P.R. n. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 70, rubricato “Applicazione dell’imposta”, prevede, al comma 1, che l’Iva “relativa alle importazioni è accertata, liquidata e riscossa per ciascuna operazione” e che “si applicano per quanto concerne le controversie e le sanzioni, le disposizioni delle leggi doganali relative ai diritti di confine”.

8.1 Sulla natura dell’Iva all’importazione e sulle conseguenze derivanti dalla sua evasione, deve convenirsi, concordemente ad autorevole dottrina, che numerose sono state le decisioni che hanno affrontato la questione, qualificando l’imposta sia come “diritto doganale” (cfr. Cass. pen., 15 novembre 2016, n. 18839; Cass. civ., 28 settembre 2016, n. 19100; Cass. pen., 23 giugno 2016, n. 42462;

Cass. pen., 28 maggio 2015, n. 28251; Cass. pen., 25 giugno 2014, n 45468; Cass. pen, 12 luglio 2012, n. 34256), sia come “diritto di confine” (cfr. Cass. pen., 9 febbraio 2018, n. 7750; Cass. pen., 29 novembre 2016, n. 50507; Cass. pen., 22 giugno 2015, n. 26202; Cass. pen., 23 aprile 2014, n. 44916; Cass. pen., 27 febbraio 2013, n 24525), con diverse conclusioni in merito alle sanzioni amministrative pecuniarie e penali irrogabili in caso di violazioni.

8.2 E tuttavia, più di recente, questa Corte, con un orientamento che può dirsi oramai consolidato, ha affermato che l’IVA all’importazione non è un diritto di confine ed “è estranea all’obbligazione doganale, pur condividendo con i dazi la caratteristica di trarre origine dall’importazione di beni nell’Unione Europea e dalla loro conseguente introduzione nel circuito economico degli Stati membri” (Cass., 29 luglio 2021, n. 21659; Cass., 21 marzo 2019, n. 7951; Cass., 13 luglio 2018, n. 18652; Cass., 6 aprile 2018, n. 8473).

8.3 Questa Corte ha, altresì, precisato che ciò non esclude che, in ragione del richiamo contenuto nel D.P.R. n. 633 del 1972, art. 70, l’IVA all’importazione e i diritti di confine (che sono di natura doganale) presentino, quanto a meccanismi applicativi, disciplina comune e, pur configurando tributi distinti e separatamente liquidati, siano resi oggetto di unico prelievo effettuato sulla bolletta doganale quale condizione per il rilascio della merce (cfr. Cass., 3 febbraio 2012, nn. 1574, 1575, 1576, 1577, 1578, 1579, 1580 e 1581, in motivazione) e che “l’Iva all’importazione condivide con i dazi la caratteristica di trarre origine dal fatto dell’importazione nell’Unione e della susseguente introduzione nel circuito economico degli Stati membri (CGUE 11 luglio 2013, in causa C-272/12, Harry Winston SA, punto 41)” (cfr. Cass., 6 aprile 2018, n. 8473, citata), con il conseguente corollario che, poichè il fatto generatore e l’esigibilità dell’IVA all’importazione sono collegati a quelli dei dazi, la prima non può che seguire le procedure singolari che caratterizzano i diritti di confine (Cass., 16 dicembre 2009, n. 26311 e, più di recente, Cass., 29 luglio 2021, n. 21659).

8.4 In particolare, la Corte, nella sentenza n. 7951 del 21 marzo 2019, ha precisato che la stessa Corte di giustizia ha dato atto espressamente che “i dazi all’importazione non includono l’iva da riscuotere per l’importazione di beni” (Corte giust. 29 luglio 2010, causa C-248/09, Pakora Pluss SIA, punto 47; conf., 2 giugno 2016, causa C-266 e 228/14, Eurogate Distribution Gmbh, punto 81, relativa ad un’ipotesi in cui, pur essendo insorta l’obbligazione doganale, non era configurabile quella di pagare l’iva all’importazione); che, ai fini dell’importazione definitiva, occorre adempiere non soltanto i dazi, ma anche gli altri diritti di confine, tra i quali si annovera l’Iva all’importazione (D.P.R. n. 43 del 1973, art. 34); che l’Iva all’importazione condivide, peraltro, con i dazi la caratteristica di trarre origine dal fatto dell’importazione nell’Unione e della susseguente introduzione nel circuito economico degli Stati membri (Corte giust. 11 luglio 2013, in causa C-272/12, Harry Winston SA, punto 41), con la conseguenza che fatto generatore ed esigibilità dell’Iva all’importazione sono collegati a quelli dei dazi, pur rimanendo da questi distinti.

8.5 E tuttavia, prosegue la Corte, sempre nella sentenza n. 7951 del 21 marzo 2019, il sistema dell’Iva alle importazioni è per sua natura incardinato in quello generale dell’Iva e l’Iva all’importazione non colpisce esclusivamente il prodotto importato in quanto tale, ma s’inserisce nel sistema fiscale uniforme dell’Iva, che colpisce, sistematicamente e secondo criteri obiettivi, sia le operazioni degli Stati membri, sia quelle all’importazione (Corte giust. 17 luglio 2014, causa C-272/13, Equoland; 25 febbraio 1988, causa C-299/86, Rainer Drexl, punto 9; 5 maggio 1982, causa C15/81, Schul, punto 21), con la conseguenza che l’Iva all’importazione e l’Iva intracomunitaria costituiscono la medesima imposta, soltanto che l’Iva all’importazione è segnata da specificità procedimentali e sanzionatorie, correlate al meccanismo dell’importazione: sul piano procedimentale l’Iva alle importazioni va versata per effetto ed in occasione di ciascuna importazione (giusta il D.P.R. n. 633-72, art. 70), al momento dell’accettazione della dichiarazione in dogana ed il relativo obbligo incombe sul dichiarante, oltre che, in caso di rappresentanza indiretta, sulla persona per conto della quale è presentata la dichiarazione in dogana (art. 201 del reg. n. 2913/92); l’Iva “intracomunitaria” relativa alle merci introdotte nel deposito fiscale va assolta al momento dell’estrazione mediante il meccanismo dell’inversione contabile ed a cura del cessionario o committente; sul piano sanzionatorio, l’applicabilità, in caso di violazioni concernenti l’Iva all’importazione, delle sanzioni contemplate dalle leggi doganali relative ai diritti di confine (art. 70, comma 1, secondo nucleo normativo) è giustificata dalla diversità degli elementi costitutivi dell’infrazione (l’Iva è riscossa all’atto dell’ingresso fisico del bene nel territorio dello Stato membro interessato, indipendentemente dallo scambio), che determina maggiore difficoltà a scoprirla (Corte giust. in causa C299/86, punto 22).

8.6 Deve, dunque, concludersi, quanto al profilo della confisca, che il richiamo dell’art. 70 alle sanzioni relative ai diritti di confine, comporta (in presenza di reato non depenalizzato) l’applicabilità obbligatoria anche della confisca prevista dal D.P.R. n. 43 del 1973, art. 301, ciò conformemente al dato normativo di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 70, in combinato disposto con il D.P.R. n. 43 del 1973, art. 292, che prevede, infatti, che si applicano, per quanto concerne le controversie e le sanzioni, le disposizioni delle leggi doganali relative ai diritti di confine e che il reato di evasione dell’Iva all’importazione è sanzionato quoad poenam secondo le diposizioni delle leggi doganali relative ai diritti di confine. Ed invero, l’esclusione dell’Iva riscossa all’importazione dal novero dei diritti di confine riverbera gli effetti sul piano delle sanzioni irrogabili in caso di violazioni, in quanto le norme Iva disciplinano l’aspetto sanzionatorio attraverso un rinvio alla legislazione doganale e tale rinvio deve essere riferito al titolo VII del D.P.R. n. 43 del 1973. Pertanto, il rinvio operato dal sistema dell’iva alle sanzioni previste dalle “leggi doganali relative ai diritti di confine” deve intendersi effettuato u”quoad poenam”, ovvero al fine di determinare le sanzioni irrogabili in caso di violazioni e ciò sia nel caso in cui siano applicabili le sanzioni amministrative pecuniarie, sia nel caso in cui siano applicabili le sanzioni penali.

  1. Con specifico riferimento alle merci provenienti dalla Svizzera, questa Corte, confermando un orientamento univoco, ha statuito che configura il reato di evasione dell’imposta di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 70 il mancato pagamento dell’Iva all’importazione di merci comprate in Svizzera e di fatto utilizzate in Italia, con l’unico limite del divieto di doppia imposizione, la quale non si verifica dal momento che la normativa elvetica, uniformata alla sesta Direttiva, riconosce la neutralità dell’imposta e prevede l’esenzione per una serie di operazioni classificabili come cessione all’esportazione e il diritto alla detrazione per le forniture di beni successivamente esportati (Cass. Pen., 4 maggio 2010, n. 16860 e prima, Cass. pen., 3 ottobre 2007, n. 36198; Cass. pen., 22 febbraio 2006, n. 6741; Cass. pen., 9 maggio 2005, n. 17432; Cass. pen., 13 maggio 2005, n. 17835; Cass. pen., 30 aprile 2002, n. 22555).

9.1 In proposito occorre ricordare che la Confederazione elvetica e la Comunità Europea in data 19 dicembre 1972 hanno stipulato un Accordo, recepito in un regolamento comunitario, il quale prevede che i dazi doganali all’importazione negli scambi tra la Svizzera e la Comunità sono gradualmente soppressi, che “nessun nuovo dazio doganale all’importazione viene introdotto” (art. 3) e che “nessuna nuova tassa di effetto equivalente a dei dazi doganali all’importazione è introdotta” (art. 6); l’art. 4, poi, afferma, fissando il principio della “neutralità commerciale” dell’imposta, che le disposizioni relative alla graduale soppressione dei dazi doganali all’importazione sono applicabili anche ai dazi doganali a carattere fiscale e che le parti contraenti possono sostituire con tassa interna un dazio doganale a carattere fiscale o l’elemento fiscale di un dazio doganale.

9.2 La Corte di Cassazione, con riferimento al citato art. 4 dell’Accordo, ha stabilito, come già rilevato sopra, che lo stesso lascia impregiudicata la facoltà di riscossione dell’Iva all’atto di ingresso delle merci nel territorio degli Stati aderenti alla Comunità, trattandosi di imposta il cui presupposto finanziario è diverso da quello dei dazi doganali e che non costituisce una duplicazione di questi, pur essendo accomunata agli stessi dal sistema di riscossione e dal regime sanzionatorio e che il reato di evasione dell’Iva all’importazione non è escluso dal predetto Accordo in quanto tale imposta costituisce un tributo interno che, secondo i principi del Trattato CE, è dovuto allo Stato al momento dell’ingresso delle merci, a meno che non si provi che il tributo sia già stato assolto anteriormente (sia pure al momento dell’esportazione dallo Stato di provenienza); la doppia imposizione, infatti, introducendo un trattamento discriminatorio tra merci nazionali e merci importate, violerebbe il principio di neutralità commerciale dell’imposta voluto dall’art. 4 dell’Accordo.

9.3 Questa Corte ha, dunque, affermato che quando una merce che risulti provenire dalla Svizzera faccia ingresso nel territorio doganale comunitario (nel caso di specie, italiano), si è in presenza di una importazione della merce ai sensi del Regolamento CEE 2840/72, con la conseguenza che la stessa merce, per effetto dell’accordo di libero scambio, non è gravata da dazio doganale o altra tassa di effetto equivalente, ma è comunque assoggettata al pagamento dell’IVA (salvo che non sia stato assolto in precedenza) al pari di qualsiasi altra merce ceduta nei territori degli Stati membri e che le violazioni in materia di IVA all’importazione comportano la confisca obbligatoria della merce introdotta in Italia ai sensi del D.P.R. n. 43 del 1973, art. 301, anch’esso richiamato dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 70, il quale dispone per l’evasione dell’IVA l’applicazione di tutte le sanzioni – da intendersi in senso ampio, comprensive, cioè, di misure di sicurezza patrimoniale come la confisca – i cui effetti ablativi si risolvono in una sanzione pecuniaria”. (Cass. pen., 7 ottobre 2016, n. 42462, in motivazione).

  1. Il decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 8, che ha dettato le disposizioni in materia di depenalizzazione, a norma della L. 28 aprile 2014, n. 67, art. 1, comma 1, rubricato “Depenalizzazione di reati puniti con la sola pena pecuniaria ed esclusioni” dispone: “1. Non costituiscono reato e sono soggette alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro tutte le violazioni per le quali è prevista la sola pena della multa o dell’ammenda. 2. La disposizione del comma 1 si applica anche ai reati in esso previsti che, nelle ipotesi aggravate, sono puniti con la pena detentiva, sola, alternativa o congiunta a quella pecuniaria. In tal caso, le ipotesi aggravate sono da ritenersi fattispecie autonome di reato. 3. La disposizione del comma 1 non si applica ai reati previsti dal codice penale, fatto salvo quanto previsto dall’art. 2, comma 6, e a quelli compresi nell’elenco allegato al presente decreto. 4. La disposizione del comma 1 non si applica ai reati di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, nonchè ai reati di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, quando l’ammontare dei diritti di confine dovuti è superiore a Euro diecimila. 5. La sanzione amministrativa pecuniaria, di cui al comma 1, è così determinata: a) da Euro 5.000 a Euro 10.000 per i reati puniti con la multa o l’ammenda non superiore nel massimo a Euro 5.000; b) da Euro 5.000 a Euro 30.000 per i reati puniti con la multa o l’ammenda non superiore nel massimo a Euro 20.000; c) da Euro 10.000 a Euro 50.000 per i reati puniti con la multa o l’ammenda superiore nel massimo a Euro 20.000. 6. Se per le violazioni previste dal comma 1 è prevista una pena pecuniaria proporzionale, anche senza la determinazione dei limiti minimi o massimi, la somma dovuta è pari all’ammontare della multa o dell’ammenda, ma non può, in ogni caso, essere inferiore a Euro 5.000 nè superiore a Euro 50.000.

10.1 Il D.Lgs. n. 8 del 2916, art. 8, rubricato “Applicabilità delle sanzioni amministrative alle violazioni anteriormente commesse” al comma 1 prevede che “Le disposizioni del presente decreto che sostituiscono sanzioni penali con sanzioni amministrative si applicano anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto stesso, sempre che il procedimento penale non sia stato definito con sentenza o con decreto divenuti irrevocabili” e l’art. 9 dello stesso decreto legislativo, rubricato “Trasmissione degli atti all’autorità amministrativa”, al comma 1 che “Nei casi previsti dall’art. 8, comma 1, l’autorità giudiziaria, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, dispone la trasmissione all’autorità amministrativa competente degli atti dei procedimenti penali relativi ai reati trasformati in illeciti amministrativi, salvo che il reato risulti prescritto o estinto per altra causa alla medesima data” e al comma 3, che “Se l’azione penale è stata esercitata, il giudice pronuncia, ai sensi dell’art. 129 del codice di procedura penale, sentenza inappellabile perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato, disponendo la trasmissione degli atti a norma del comma 1”, al comma 4 che “L’autorità amministrativa notifica gli estremi della violazione agli interessati residenti nel territorio della Repubblica entro il termine di novanta giorni e a quelli residenti all’estero entro il termine di trecentosettanta giorni dalla ricezione degli atti”, al comma 5 che “Entro sessanta giorni dalla notificazione degli estremi della violazione l’interessato è ammesso al pagamento in misura ridotta, pari alla metà della sanzione, oltre alle spese del procedimento. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui alla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 16” e al comma 6 che “Il pagamento determina l’estinzione del procedimento”.

10.2 In sintesi, sulla base di quanto previsto dal D.Lgs. n. 8 del 2016 deve ritenersi, concordemente ad autorevole dottrina, che per quanto riguarda i procedimenti penali pendenti (come nella vicenda in esame) instaurati prima della riforma ed aventi ad oggetto illeciti doganali depenalizzati è previsto che l’autorità giudiziaria (giudice o Pubblico ministero, a seconda che sia stata o meno esercitata l’azione penale) comunichi agli organi amministrativi quanto accertato in sede penale circa il mancato pagamento dei diritti di confine, salvo che il reato risulti prescritto o estinto per altra causa alla medesima data e che, in particolare, se l’azione penale è stata esercitata, il giudice pronuncia, ai sensi dell’art. 129 c.p.c., sentenza inappellabile perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato, disponendo la trasmissione degli atti all’autorità amministrativa; quando, invece, è stata pronunciata sentenza di condanna, il giudice dell’impugnazione, nel dichiarare che il fatto non è previsto dalla legge come reato, decide sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili. Se, invece, i procedimenti penali per i reati depenalizzati sono stati definiti, prima della entrata in vigore del D.Lgs. n. 8 del 2016, con sentenza di condanna o decreto irrevocabili, il giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 667, comma 4, c.p.p., revoca la sentenza o il decreto, dichiarando che il fatto non è previsto dalla legge come reato e adotta i provvedimenti conseguenti, senza disporre la trasmissione degli atti all’autorità amministrativa.

10.3 Al riguardo, anche questa Corte ha affermato che ” Il D.Lgs. n. 15 gennaio 2016 n. 8, art. 1 ha depenalizzato, trasformandole in illeciti amministrativi, tutte le violazioni sanzionate con pena pecuniaria (comma 1), fatte salve quelle punite con la pena detentiva nelle ipotesi aggravate, considerando queste ultime come reati autonomi (comma 2), nonchè quelle espressamente eccettuate (comma 3)” (Cass. pen., 22 luglio 2021, n. 28701).

10.4 Ciò posto, particolare rilievo deve attribuirsi al D.Lgs. n. 8 del 2016, art. 6 rubricato “Disposizioni applicabili”, che, al comma 1, dispone che “Nel procedimento per l’applicazione delle sanzioni amministrative previste dal presente decreto si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni delle sezioni I (Principi Generali. Artt. 1 – 12) e II (Applicazioni. Artt. 13-31) del capo I (Sanzioni amministrative) della L. 24 novembre 1981, n. 689”, e, dunque, anche alla L. n. 689 del 1981, art. 20, che, rubricato “Sanzioni amministrative accessorie” dispone, al comma 3, che “Le autorità stesse possono disporre la confisca amministrativa delle cose che servirono o furono destinate a commettere la violazione e debbono disporre la confisca delle cose che ne sono il prodotto, sempre che le cose suddette appartengano a una delle persone cui è ingiunto il pagamento”.

10.5 E tuttavia, la clausola di compatibilità espressamente prevista dal D.Lgs. n. 8 del 2016, art. 6 rende necessario verificare se nel nostro ordinamento esiste una disciplina specifica in tema di applicazione delle sanzioni amministrative tributarie e la sua applicabilità alla vicenda oggetto di contenzioso.

10.6 Al riguardo rileva il decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, art. 1, rubricato “Oggetto”, che prevede: “Il presente decreto stabilisce le disposizioni generali sulle sanzioni amministrative in materia tributaria”; l’art. 2, rubricato “Sanzioni amministrative”: “Le sanzioni amministrative previste per la violazione di norme tributarie sono la sanzione pecuniaria, consistente nel pagamento di una somma di denaro, e le sanzioni accessorie, indicate nell’art. 21, che possono essere irrogate solo nei casi espressamente previsti”; l’art. 21, rubricato “Sanzioni accessorie”:”1. Costituiscono sanzioni amministrative accessorie: a) l’interdizione, per una durata massima di sei mesi, dalle cariche di amministratore, sindaco o revisore di società di capitali e di enti con personalità giuridica, pubblici o privati; b) l’interdizione dalla partecipazione a gare per l’affidamento di pubblici appalti e forniture, per la durata massima di sei mesi; c) l’interdizione dal conseguimento di licenze, concessioni o autorizzazioni amministrative per l’esercizio di imprese o di attività di lavoro autonomo e la loro sospensione, per la durata massima di sei mesi; d) la sospensione, per la durata massima di sei mesi, dall’esercizio di attività di lavoro autonomo o di impresa diverse da quelle indicate nella lettera c). 2. Le singole leggi d’imposta, nel prevedere i casi di applicazione delle sanzioni accessorie, ne stabiliscono i limiti temporali in relazione alla gravità dell’infrazione e ai limiti minimi e massimi della sanzione principale”.

10.7 Si tratta specificamente di una disciplina che, come rilevato sopra, detta le disposizioni generali sulle sanzioni amministrative in materia tributaria e individua le sanzioni amministrative previste per la violazione di norme tributarie nella sanzione pecuniaria, consistente nel pagamento di una somma di denaro, e nelle sanzioni accessorie, espressamente indicate nel D.Lgs. n. 472 del 1997, art 21.

10.8 Mette conto rilevare, inoltre, in ragione dei rilievi difensivi del contribuente, che questa Corte ha specificato che “Nel caso in cui la confisca è obbligatoria (ipotesi che ricorre quando si tratta di cose la fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione e l’alienazione delle quali costituisce violazione amministrativa) il provvedimento ablatorio deve sempre aver luogo, anche se non venga emessa l’ordinanza ingiunzione, mentre, nel caso in cui non è obbligatoria (e ciò avviene quando si tratta di cose intrinsecamente non pericolose, che sono oggetto di una attività che costituisce illecito se compiuta in assenza di autorizzazione amministrativa), si fa luogo alla confisca soltanto se contestualmente si procede alla irrogazione della sanzione pecuniaria” (Cass., 14 aprile 2011, n. 8517; Cass., 10 agosto 1992, n. 9437; Cass., Sez. U., 12 novembre 1988, n. 6123).

Inoltre, la Corte in una fattispecie che riguardava la condotta di contrabbando di bottiglie di vino di notevole valore commerciale, con irrogazione della sanzione pecuniaria e confisca della merce, ha affermato che non era stato violato la L. n. 689 del 1981, art. 20, comma 3, secondo il cui disposto le autorità possono disporre la confisca amministrativa delle cose che servirono o furono destinate a commettere la violazione e debbono disporre la confisca delle cose che ne sono il prodotto, sempre che le cose suddette appartengano a una delle persone cui è ingiunto il pagamento (Cass., 22 dicembre 2017, n. 30845).

10.9 Va precisato, inoltre, che il meccanismo di rinvio alla L. n. 689 del 1981, art. 20, è stato già adottato dal legislatore con riferimento ad altre depenalizzazioni. E così è stato affermato che “Nel prosciogliere l’imputato da una delle ipotesi di reato depenalizzate in base alla L. 28 dicembre 1993, n. 561 (nel caso di specie quello di detenzione per la vendita di apparecchi di accensione sprovvisti del prescritto contrassegno di Stato ai sensi del D.L. n. 20 aprile 1971, n. 163, art. 8) il giudice non può ordinare la restituzione delle cose in sequestro, ma, in applicazione delle disposizioni transitorie di cui alla L. 561-93, art. 4, deve trasmettere gli atti all’ufficio amministrativo competente perchè provveda all’applicazione della sanzione e della confisca amministrativa” (Cass. pen., 6 maggio 1996, n. 1537) e che “Ai sensi della l. 24 novembre 1981, n. 689, art. 4, le cui disposizioni sono applicabili anche nei procedimenti aventi ad oggetto i “reati minori” elencati nella legge di depenalizzazione 28 dicembre 1993, n. 561, il giudice dispone la trasmissione degli atti “all’autorità competente” al fine di rendere possibile a questa l’avvio della procedura per l’eventuale irrogazione delle sanzioni, tra le quali rientra quella della confisca prevista dai commi 3 e 4 dell’art. 20 cit.l. n. 689 del 1981, che espressamente deroga all’effetto normale dell’estinzione del reato o alla sua depenalizzazione in ordine alle misure di sicurezza. Pertanto, sostituendosi l’autorità amministrativa al giudice penale nella valutazione dell’illiceità del comportamento, nell’applicazione della sanzione, nel giudizio di connessione tra le cose sequestrate e la violazione e nell’ipotetico ordine di apprensione delle stesse, deve conseguirne che non possa il giudice, salvo che non si ritenga la assoluta estraneità delle cose all’ipotesi trasformata in illecito amministrativo, far cessare la misura cautelare, dovendo invece far seguire le cose agli atti dei quali con il suo provvedimento dispone la trasmissione, e ciò al fine di non vanificare un eventuale ordine di loro confisca” (Cass. pen., 6 febbraio 1995, n. 3133).

10.10 La stessa Agenzia delle Dogane, in proposito, con la nota del 24 maggio 2006, n. 55383/RU, ha precisato che:

“le condotte che rientrano nelle fattispecie depenalizzate restano illecite ma sono sanzionabili in via esclusivamente amministrativa; per tale ragione i funzionari di questa Agenzia hanno l’obbligo di inoltrare il relativo rapporto solo alle autorità amministrative, ex art. 7 del Decreto. Tali autorità, ai sensi del comma 1 della citata norma, sono quelle “competenti ad irrogare le altre sanzioni amministrative già previste dalle leggi che contemplano le violazioni stesse”;

-) l’art. 6 del Decreto stabilisce che il procedimento per l’applicazione delle sanzioni è quello previsto dalle sezioni I e II del Capo I della L. n. 689 del 1981, “in quanto applicabili”, operando quindi un rinvio, subordinato all’applicabilità, alla norma generale in tema di sanzioni amministrative. La verifica dell’applicabilità della L. n. 689 del 1981 deve, ad avviso della scrivente, confrontarsi con l’esistenza nel nostro ordinamento di altra norma che disciplina, con significativi tratti differenziali rispetto alla normativa generale in tema di sanzioni, dettata appunto dalla L. n. 689 del 1981, l’applicazione delle sanzioni amministrative tributaria;

-) il contrabbando è, infatti, un fenomeno esclusivamente tributario (cfr. Cass., pen. 39196/2015, secondo cui esso “consiste nella sottrazione delle merci ai diritti di confine”) sicchè può affermarsi che, per quanto riguarda il contrabbando recentemente depenalizzato, trattandosi di irrogare sanzioni tributarie, debba applicarsi il procedimento di cui al D.Lgs n. 472 del 1997, le cui compiute previsioni, essendo di carattere speciale, possono ritenersi prevalenti sulla L. n. 689 del 1981;

-) in linea generale, dunque, di fronte a un caso di contrabbando depenalizzato saranno applicabili, per i profili procedimentali, le norme di cui al D.Lgs. n. 472/1997 e, solo in caso di lacune, le disposizioni di cui alla L. n. 689 del 1981;

-) ad esempio, poichè il sequestro cautelare non è disciplinato procedimentalmente dal D.Lgs. n. 472/1997, si applicheranno, in via sussidiaria, le norme di cui alla L. n. 689 del 1981, artt. 13 e ss”.

  1. Tutto ciò premesso, deve ritenersi che, in virtù del rinvio operato dal sistema dell’Iva alle sanzioni previste dalle “leggi doganali relative ai diritti di confine”, la depenalizzazione sia applicabile anche alle violazioni concernenti l’evasione dell’Iva all’importazione e ciò tenuto conto anche del fatto che il legislatore delegante non ha manifestato la volontà di escludere siffatto effetto estensivo, che, come afferma autorevole dottrina, contribuiva al conseguimento delle finalità generali di deflazione della legge delega. E’ stata anche esclusa, in linea con la giurisprudenza sopra richiamata, l’esigenza di cumulare i diritti di confine e l’Iva, ciò coerentemente al fatto che l’Iva non rientra nel novero dei diritti di confine e l’applicabilità delle leggi doganali avviene esclusivamente per determinare l’ammontare della sanzione. Ne deriva che il rinvio quoad poenam può determinare la rilevanza penale dell’evasione dell’Iva all’importazione solo quando ha natura penale la violazione della legge doganale e, precisamente, in presenza di un ammontare d’imposta superiore alla “soglia di depenalizzazione” oppure, per importi inferiori, quando sono integrate specifiche circostanze come violazioni riguardanti tabacchi lavorati esteri o al ricorrere di circostanze aggravanti speciali del contrabbando, mentre il contrabbando semplice e l’evasione dell’Iva all’importazione sanzionata quoad poenam con la sola multa secondo le norme relative ai diritti di confine non hanno più rilevanza penale e vengono sanzionate con l’irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria. 11.1 Va evidenziato, inoltre, che, il legislatore ha espressamente previsto che la depenalizzazione attuata con il D.Lgs. n. 8 del 2016 opera anche con riferimento ai reati che, nelle ipotesi aggravate, sono puniti con la pena detentiva, sola, alternativa o congiunta a quella pecuniaria e, tuttavia, le ipotesi aggravate devono ritenersi fattispecie autonome di reato (D.Lgs. n. 8 del 2016, art. 1, comma 2). Ne consegue che le circostanze aggravanti speciali del contrabbando previste dall’art. 295, comma 2, lettere a), b), c) e d) del T.U.L.D. e le fattispecie in cui l’ammontare dei diritti di confine è superiore a Euro 49.993,03 devono ritenersi trasformate in fattispecie autonome di reato.

11.2 Di conseguenza, nel caso in esame, rileva la fattispecie di evasione dell’Iva all’importazione punibile soltanto con la multa, poichè la somma non versata a titolo di Iva in relazione al quadro di C.C. è pari ad Euro 448.443,41; ricorre, dunque, la previsione generale di depenalizzazione di cui al D.Lgs. n. 8 del 2016, art. 1, comma 1, non essendosi in presenza di un importo superiore ad Euro 50.000,00, che comporterebbe l’applicazione, oltre alla pena della multa, della pena della reclusione (cfr. Cass. pen., 29 febbraio 2019, n. 19233, dove si osserva che il richiamo effettuato dallo stesso art. 70 citato, comma 1, quanto alle sanzioni, alle “disposizioni delle leggi doganali relative ai diritti di confine” deve essere inteso anche al D.P.R. n. 43 del 1973, art. 295, per come modificato dal D.Lgs. n. 75 del 14 luglio 2020, che prevede che alla pena della multa si aggiunga anche quella della reclusione quando l’ammontare dei diritti di confine sia maggiore di Euro 50.000,00 Euro). 11.3 Ciò posto, con il D.Lgs. n. 8 del 2016, come si legge nella relazione governativa di accompagnamento allo schema del decreto, il Governo ha proseguito la direttrice già intrapresa con il decreto legislativo 30 dicembre 1999 n. 507 e, prima ancora, con la L. 24 novembre 1981 n. 689, con lo scopo di deflazionare il sistema penale, sostanziale e procedurale, in ossequio ai principi di frammentarietà, offensività e sussidiarietà della sanzione penale. Importante è sottolineare che il Governo, nella evasione della delega, ha adottato, la tecnica legislativa della depenalizzazione generale cosiddetta “cieca” (art. 1 della legge delega 28 aprile 2014, n. 67) per tutte le violazioni per le quali è prevista la sola pena della multa e dell’ammenda (con esclusione dei reati del codice penale) e la tecnica della depenalizzazione cosiddetta “nominativa” di talune fattispecie di reato espressamente previste (L. 28 aprile 2014, n. 67, art. 2). Tra i delitti che prevedono la sola sanzione della multa, per l’appunto, vi sono i reati di contrabbando c.d. “semplice” di cui al D.P.R. n 43 del 1973. Secondo il sistema sanzionatorio previgente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 8 del 2016, le evasioni più lievi alla normativa doganale, al di sotto dei 4.000,00 Euro di imposta di confine evasa, sono sanzionate amministrativamente, mentre al di sopra di tale soglia costituiscono delitti sanzionati con una multa proporzionata da due a dieci volte l’imposta evasa. Sono, poi, circostanze aggravanti l’evasione superiore ai 50.000,00 Euro, che prevede l’arresto sino a tre anni, ovvero dalla commissione, anche disgiunta, dei fatti a mano armata, da tre o più persone con ostacolo alle attività di accertamento, con connessione a reati contro la fede pubblica o contro la pubblica amministrazione ovvero nell’ambito di un’associazione a delinquere, che prevedono la reclusione da tre a cinque anni. Con il D.Lgs. n. 8 del 2016, come già detto, l’ipotesi aggravata, prevista dal D.P.R. n. 43 del 1973, art. 295 viene qualificata fattispecie autonoma di reato e la multa la cui misura era proporzionata ad un importo compreso tra due e dieci volte l’imposta di confine evasa, è stata ora sostituita con una sanzione pecuniaria amministrativa da 5.000,00 Euro a 50.000,00 Euro. Il legislatore, dunque, come affermato da autorevole dottrina, avendo previsto, diversamente dalla depenalizzazione di cui alla L. n. 507 del 1999, una sanzione pecuniaria amministrativa a compasso edittale e non più una sanzione pecuniaria amministrativa proporzionale con la determinazione della somma da pagare attraverso un meccanismo automatico collegato al danno obiettivo cagionato all’erario, ha introdotto un trattamento più favorevole soprattutto con riferimento alla fascia più alta delle violazioni amministrative.

11.4 Un profilo di coerenza sistematica dell’attuale sistema repressivo delle violazioni doganali, emerge anche con specifico riguardo alle misure di sicurezza di natura reale, che più specificamente rilevano in questa sede, dato che la confisca penale doganale è stata sostituita con la confisca amministrativa di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 20, comma 3, che ha carattere facoltativo ed è applicabile solo per le evasioni di imposta comprese tra i 4.000,00 Euro ed i 49.999,99 Euro, mentre il legislatore che ha depenalizzato il contrabbando di lieve entità al di sotto dei 4.000,00 Euro ha espressamente mantenuto la confisca obbligatoria delle cose indicate nell’art. 301 del T.U.L.D., il cui provvedimento è adottato non dall’autorità giudiziaria, ma dal capo della dogana nella cui circoscrizione la violazione è stata accertata, con il conseguente “corollario” che mentre per le ipotesi già depenalizzate di reato di contrabbando al di sotto dei 4.000,00 rimane applicabile la confisca di cui all’art. 301 del T.U.L.D., per le ipotesi di contrabbando, pure depenalizzate, comprese tra i 4.000,00 Euro e i 49.999,99 Euro, si applica (per l’espresso richiamo previsto nel D.Lgs. n. 8 del 2016, art. 6) la confisca amministrativa di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 20, comma 3.

11.5 Sul punto, la Procura generale ha evidenziato che l’art. 295 bis T.U.L.D., che già dispone la depenalizzazione dei reati di contrabbando non aggravato di importo non superiore ad Euro 4.000,00, stabilisce espressamente, nel comma 3, che alle fattispecie depenalizzate è applicabile l’art. 301 che prevede la confisca obbligatoria delle cose oggetto del reato ed ora della violazione amministrativa e che, analogamente il reato di omesso versamento dell’Iva alla importazione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 70 è depenalizzato per le fattispecie alle quali si applica la corrispondente sanzione della multa o ammenda prevista dalle richiamate leggi doganali sui diritti di confine (nella specie art. 282 del T.U.L.D. non aggravato ex D.P.R. n. 43 del 1973, art. 295, ultimo comma, ossia per omesso versamento di Iva all’importazione non superiore ad Euro 50.000,00). Aggiunge, poi, che non vi è alcuna ragione logico-giuridica per ritenere che la sanzione della confisca amministrativa certamente mantenuta per i reati di contrabbando depenalizzato, sia stata invece abrogata per la fattispecie depenalizzata di omesso versamento dell’Iva all’importazione per un importo non superiore ad Euro 50.000,00 e che ostano a tale interpretazione: 1) l’intrinseca irragionevolezza della tesi per cui la confisca si applica all’illecito amministrativo meno grave di evasione dei diritti di confine per importi non superiore ad Euro 4.000,00, mentre non si applica all’illecito depenalizzato di omesso versamento dell’Iva, relativo ad importi sino ad Euro 50.000,00; 2) il dato letterale desumibile dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 70, comma 1, che dispone il rinvio alle sanzioni previste dalle leggi doganali sui diritti di confine, include anche il richiamo alla sanzione accessoria della confisca prevista dall’art. 301 T.U.L.P..

11.6 Ed invero non può non rilevarsi, come già evidenziato, che la confisca penale doganale è una misura di sicurezza assai afflittiva, ancora più ampia di quella ordinaria regolata dall’art. 240 del codice penale. Ed infatti, la confisca ex art. 240 c.p. contempla una forma facoltativa di sequestro delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prodotto od il profitto, con accertamento in concreto, in queste ipotesi, della pericolosità della cosa, operato dal giudice in rapporto alla persona che la possiede e una forma obbligatoria nei confronti delle cose che costituirono il prezzo del reato e delle cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione costituisce reato. La confisca doganale, regolata dal D.P.R. n. 43 del 1973, art. 301, per converso, è obbligatoria anche per le cose oggetto del reato o che comunque servirono o furono destinate a commetterlo, estendendo, dunque, la presunzione di pericolosità sottostante alla misura di sicurezza reale anche nei confronti delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono l’oggetto ovvero il prodotto ed il profitto. La confisca amministrativa regolata dalla L. n. 689 del 1981, art. 20, comma 3, è, invece, facoltativa ed è applicabile, per quanto diffusamente rilevato sopra in relazione al dato letterale desumibile dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 70, comma 1, che dispone il rinvio alle sanzioni previste dalle leggi doganali sui diritti di confine, solo per le evasioni di imposta comprese tra i 4.000,00 ed i 49.999,99 Euro, ciò che sembrerebbe contrastare con i principi cardine del sistema sanzionatorio amministrativo e penale.

11.7 Mette conto rilevare che con il termine “confisca”, al di là del mero aspetto nominalistico, si identificano misure ablative di diversa natura, a seconda del contesto normativo in cui lo stesso termine viene utilizzato e la dottrina ha evidenziato come sia difficile il compito di ricondurre l’istituto della confisca nel rigido schema della “misura di sicurezza patrimoniale” o ancora in quello di “misura sanzionatoria” o ancora in quello “ibrido” sospeso tra funzione specialpreventiva e vero e proprio intento punitivo; rileva anche, in tal senso, la circostanza se la confisca consegue alla pericolosità del condannato, ovvero esclusivamente alla sua condanna e/o alla pericolosità del condannato o alla pericolosità della cosa.

11.8 In tale contesto il D.P.R. n. 43 del 1973, art. 301 prevede (a differenza della L. n. 689 del 1981, art. 20, comma 3) una ipotesi di confisca obbligatoria per il reato di contrabbando, ha ad oggetto le cose che sono legate al reato da un vincolo di pertinenzialità e consegue alla pericolosità della cosa (e non alla pericolosità del condannato), quando essa è prezzo, prodotto o profitto del reato o è servita o fu destinata a commettere il reato. Questa Corte, in proposito, ha affermato che la confisca obbligatoria in questione non ha natura sanzionatoria, ma costituisce, piuttosto, misura di sicurezza tendente ad evitare l’ulteriore impiego o circolazione di beni segnati da illiceità, e, quindi, trova la propria ragion d’essere in una valutazione del legislatore non incentrata sulla necessità di sanzionare l’autore del reato (Cass. pen., 7 luglio 2021, n. 25765).

  1. Per tutto quanto sopra esposto, il Collegio ritiene opportuno, in considerazione della particolare importanza delle questioni di diritto sottoposte, rimettere gli atti al Primo Presidente di questa Corte, ai sensi dell’art. 374, comma 2, c.p.c., ai fini dell’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite.

P.Q.M.

La Corte rimette gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite.

Così deciso in Roma, il 5 luglio 2023.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2023