201505.20
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Cass., sez. trib., 20 maggio 2015, n. 10319 (testo)

Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza 16 maggio 2014 – 20 maggio 2015, n. 10319
Presidente Virgilio – Relatore Greco

Svolgimento del processo

L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia che, rigettandone l’appello, ha confermato l’annullamento dell’avviso di accertamento, ai fini dell’IVA, dell’IRPEG e dell’IRAP per l’anno 1999, con il quale – per quanto ancora rileva – era stata negata alla spa S. ora spa S. la deducibilità di costi relativi al contratto di somministrazione in atto fra la spa R. – controllante, e la società contribuente, controllata, perché considerati inerenti all’attività della prima, e quindi estranei all’attività aziendale ed al contesto della S. ad eccezione dei costi inerenti al trasporto, per i quali, tuttavia non risultavano fomiti i dettagli.
Il giudice d’appello ha anzitutto premesso che R. e la S. appartenenti al medesimo gruppo, avevano messo in comune una serie di funzioni operative e di servizi di carattere generale, utilizzando a tal fine le strutture esistenti presso R., sottoscrivendo il 9 novembre 1998 un contratto di somministrazione, in forza del quale questa si obbligava ad eseguire prestazioni periodiche e continuative di servizi nei confronti della S. in cambio di un prezzo: quest’ultima si assicurava così la facoltà di accedere all’assortimento di prodotti messo a disposizione da R., compresa la fornitura costante, continuativa e periodica di merci e di servizi logistici relativi alle merci, con garanzia delle prestazioni, la convenienza e la stabilità dei prezzi di fornitura delle merci.
“È evidente – si legge nella sentenza impugnata – che la contribuente, pur disponendo di suoi magazzini, abbia la convenienza ad appoggiarsi anche ai magazzini centralizzati di cui R. si accollava l’onere della gestione logistica”.
In ordine “alla non inerenza dei costi”, perché estranei al contesto aziendale della S. questa aveva dimostrato l’esistenza dei servizi a fronte dei quali erano stati effettuati gli addebiti controversi, l’inerenza, la necessarietà dei servizi stessi, l’oggettività e la congruità dei relativi costi, l’effettiva utilità ed il reale vantaggio ottenuto”.
In ordine al contratto di somministrazione, alla non inerenza dei costi ed alla non conoscenza del loro ammontare, la Commissione regionale ha osservato che gli stessi importi che per la s costituiscono oneri deducibili, stante l’effettività e l’inerenza alla produzione dei redditi, per R. rappresentano proventi che hanno concorso alla formazione del reddito imponibile, e che di conseguenza nessuna imposta risulta evasa, elusa o risparmiata.
La spa 3 resiste con controricorso, illustrato con successiva memoria.

Motivi della. decisione

Con il primo motivo, denunciando violazione o falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., l’amministrazione ricorrente assume che, in presenza di un contratto che le stesse parti qualificano espressamente corre di somministrazione, non sarebbe consentito al giudice di ritenere che esso stabilisca obblighi della parte alienante di prestare servizi e, quindi, obblighi della parte acquirente di versare il corrispettivo, definito “prezzo”, per attività quali: l’assicurazione dei depositi di proprietà della parte alienante e delle merci ivi collocate; gli ammortamenti tecnici e immobiliari relativi a detti depositi o i canoni di quelli assunti in locazione dall’alienante; il costo del lavoro di alcune persone addette a tali depositi (capo deposito, carrellista, personale amministrativo); il costo per la vigilanza, la pulizia la manutenzione dei depositi medesimi e dei nastri ivi utilizzati; i noleggi, i viaggi, i soggiorni ed il costo di trasporto e movimento merci, senza che alcuna clausola contrattuale lo preveda e in presenza della sola previsione secondo la quale spetti al somministrante un compenso, determinato sulla base dei costi effettivamente sostenuti, per l’attività di ricevimento, stoccaggio e per il trasporto dei prodotti in colli agli esercizi gestiti direttamente dalla somministrata.
Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia vizio di insufficiente motivazione per non avere il giudice d’appello indicato le fonti da cui avrebbe tratto gli elementi di giudizio che hanno consentito ad esso di ritenere che l’intento pratico del contratto fosse quello di stabilire che dovessero far carico alla somministrataria una serie di costi, e nell’avere omesso di esaminare il dato contrattuale dal quale sarebbe emerso inequivocabilmente che i detti costi non dovessero far carico alla contribuente, somministrata.
Con il terzo motivo denuncia la violazione dell’art. 75, quinto comma (ora 109, camma 5), del d.P.R. n. 917 del 1986, sostenendo che la norma dovrebbe essere interpretata “nel senso di imporre al giudice, chiamato a pronunciarsi sulla inerenza di costi dedotti da una società in esecuzione di un contratto stipulato con la controllante, una verifica oggettiva circa la necessità, o quantomeno circa la opportunità (sia pure secondo una valutazione condotta con riguardo all’epoca della stipula del contratto) di tali costi rispetto all’oggetto dell’attività, non potendo egli limitarsi a riscontrare che i costi abbiano effettivamente origine nel contratto”.
I motivi di ricorso, che in quanto parzialmente legati vanno esaminati congiuntamente, sono infondati.
II giudice d’appello va anzitutto assolto dall’addebito di aver violato o falsamente applicato, con riguardo al contratto del novembre 1998 che regolava i rapporti fra R. e la spa S. i canoni ermeneutici fissati dagli artt. 1362 e 1363 cod. civ. per aver ritenuto, secondo la prospettazione della ricorrente, che nella attività – svolta dalla prima contro compenso, “determinato sulla base dei costi effettivamente sostenuti”, corrisposto dalla seconda – “di ricevimento, stoccaggio e trasporto dei prodotti in colli agli esercizi gestiti direttamente dalla somministrataria” (di cui al punto 9 del contratto) non fossero comprese le prestazioni, e più in generale i costi, analiticamente indicati nel motivo (e trascritti sopra), afferenti alla gestione in senso ampio dei prodotti acquistati da R. per la S., sino alla loro consegna ai punti vendita di quest’ultima.
La ricostruzione del rapporto operata nella sentenza, infatti, per un verso coglie “la comune intenzione delle parti” (art. 1362, cod. civ.), manifestata nel contratto denominato “di somministrazione”, della capogruppo R. da una parte, e dalla S. srl poi S. nonché dalle “altre società del gruppo”, dall’altra, intenzione costituita dal mettere in comune “una serie di funzioni operative e di servizi di carattere generale e di utilizzare a questo fine le strutture esistenti presso R.”, la quale “era obbligata ad eseguire prestazioni periodiche e continuative di servizi nei confronti della s in cambio di un prezzo”.
Per altro verso, le clausole dell’accordo sono interpretate le une per mezzo delle altre, “attribuendosi a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell’atto” (art. 1363 cod. civ.): “è evidente – osserva in giudice d’appello – che la ricorrente, pur disponendo di suoi magazzini, abbia la convenienza ad appoggiarsi anche ai magazzini centralizzati di cui R. si accollava l’onere della gestione logistica”.
In forza del contratto, “la S. si assicurava così – rileva ancora la Commissione regionale – la facoltà di accedere all’assortimento di prodotti messo a disposizione da R. compresa la fornitura costante continuativa e periodica di merci e di servizi logistici relativi alle merci, con garanzia di regolarità delle prestazioni, la convenienza e la stabilità dei prezzi di fornitura delle merci stesse”.
Il Collegio, una volta ricordato di passaggio che quando l’attività di fare è strumentale rispetto alla prestazione di cose, come avviene nella specie, si resta nell’ambito della somministrazione, mentre se è prevalente il lavoro prestato, si ha appalto (Cass. n. 12546 del 2003), ritiene che il giudice d’appello ha correttamente inteso che i servizi logistici relativi alle merci fossero appunto quelli, e tutti quelli, funzionali alla fornitura costante continuativa e periodica delle merci destinate alla R. , dall’acquisto alla consegna ad opera de R.
Le ragioni della scelta delle parti, dichiarate in apertura del contratto (integralmente riprodotto nel ricorso dell’amministrazione), risiedono d’altronde nel carattere dei soggetti componenti il gruppo di società e nel conseguente assetto dato ai relativi rapporti commerciali. La società madre, che dispone di vasta e completa conoscenza della distribuzione nazionale e che per sfruttare il potenziale del mercato opera con differenti tipologie “sotto appositi e diversi marchi e segni distintivi propri, fra cui il marchio S. dispone, “in virtù della diffusione nazionale della propria rete di vendita, di servizi centralizzati per un ordinato e tempestivo rifornimento delle merci in assortimento e per la loro rotazione., e di centri di distribuzione delle merci, dotati di propria organizzazione ed utilizzati per il ricevimento, lo stoccaggio ed il trasporto dei prodotti fino agli esercizi commerciali gestiti direttamente dagli affiliati” (così le premesse nel contratto).
Con particolare riguardo al terzo motivo, è appena il caso di ricordare che “in tema di imposte sui redditi, affinché un costo sostenuto dall’imprenditore sia fiscalmente deducibile dal reddito d’ impresa non è necessario che esso sia stato sostenuto per ottenere una ben precisa e determinata componente attiva di quel reddito, ma è sufficiente che esso sia correlato in senso ampio all’impresa in quanto tale, e cioè sia stato sostenuto al fine di svolgere una attività potenzialmente idonea a produrre utili” (Cass. n. 16826 del 2007), e che “il concetto di inerenza è, invero, nozione di origine economica, legata all’idea del reddito cane entità calcolata al netto dei costi sostenuti per la sua produzione, che, nel campo fiscale, si traduce in un risparmio di imposta e in relazione alla cui sussistenza, ove si abbia riguardo a spese intrinsecamente necessarie alla produzione del reddito dell’impresa, non incombe alcun onere della prova in capo al contribuente” (Cass. n. 6548 del 2012).
Ciò posto, se “rientra nei poteri dell’Amministrazione finanziaria la valutazione di congruità dei costi e dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni e la rettifica di queste ultime, anche se non ricorrano irregolarità nella tenuta delle scritture contabili o vizi degli atti giuridici compiuti nell’esercizio d’impresa, con negazione della deducibilità di parte di un costo non proporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa” (tra le altre, Cass. n. 8072 del 2010, n. 9036 del 2013), un siffatto sindacato non sembra possa spingersi, come postulato dall’amministrazione ricorrente, sino alla “verifica oggettiva circa la necessità, o quantomeno circa la opportunità (sia pure secondo una valutazione condotta con riguardo all’epoca della stipula del contratto) di tali costi rispetto all’oggetto dell’attività”. E tanto perché il controllo attingerebbe altrimenti a valutazioni di strategia commerciale riservate all’imprenditore.
Nella specie ciò comporterebbe infatti un sindacato in ordine all’assetto organizzativo ed economico inverato, con il contratto più volte menzionato, dalla contribuente, società figlia nell’ambito del gruppo, assetto dato – per utilizzare la definizione offerta in una difesa della stessa S. “dall’accentramento ne R. della intera funzione logistica di gestione dei depositi in varie aree del Paese, nel perseguimento di intuibili economie di scala”.
In conclusione il ricorso deve essere rigettato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in euro 40.000 per compensi di avvocato oltre a spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.