202305.02
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Cass., sez. trib., 2 maggio 2023, n. 11335 (testo)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. LA ROCCA Giovanni – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

Dott. HMELJAK Tania – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 23684-2020 proposto da:

Agenzia delle Entrate, nella persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12. – ricorrente –

contro

(Omissis) Spa , in liquidazione, nella persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, anche disgiuntamente, dagli Avv.ti Alessandro Voglino e Roberto Limitone, giusta procura speciale in calce al controricorso.

  • controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del VENETO n. 1285-19, depositata in data 9 dicembre 2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22 febbraio 2023 dal Consigliere Lunella Caradonna.

Svolgimento del processo

  1. La Commissione tributaria provinciale di Treviso, con sentenza n. 336/03/17, depositata in data 11 luglio 2017, aveva accolto il ricorso proposto dalla società (Omissis) Spa , in liquidazione, avente ad oggetto l’istanza di rimborso di somme presentata in data 15 ottobre 2010, riguardante ritenute alla fonte non dovute per complessivi Euro 57.318,66, versate per errore materiale il 16 ottobre 2006.
  2. La Commissione tributaria regionale, adita dall’Agenzia delle Entrate, dopo avere rigettato l’eccezione di inammissibilità del ricorso introduttivo, sollevata dall’Ufficio in entrambi i gradi, a fronte del mutamento della causa petendi rispetto al motivo dell’originaria istanza di rimborso, ha respinto il gravame, rilevando che la società aveva documentato il pagamento della ritenuta per gli anni precedenti alla nuova normativa e che il versamento non era altro che un errore materiale; era stato documentato che il pagamento era stato effettuato senza rilevare la relativa ritenuta e che non era stato fatto uso del versamento neanche in sede di dichiarazione del sostituto d’imposta; la documentazione relativa alla sussistenza del diritto al regime derogatorio era stata dimessa dal contribuente; la domanda non rientrava nei casi previsti dalla Cassazione (Cass., n. 21400/2012); era pretestuoso chiedere che l’istanza di rimborso fosse effettuata dalla controllata Irlandese, poichè il versamento erroneo era stato fatto dalla società.
  3. L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a tre motivi.
  4. La società (Omissis) Spa , in liquidazione, resiste con controricorso e memoria.

Motivi della decisione

  1. In via preliminare va disattesa l’eccezione d’inammissibilità del ricorso per cassazione, per l’inosservanza del requisito prescritto dall’art. 366, comma 1, n, 6, c.p.c., sollevata dalla difesa della società controricorrente, in relazione alla mancanza della specifica indicazione degli atti e dei documenti sui quali si fonda l’impugnazione, in quanto da un lato l’Agenzia ricorrente ha riprodotto, a pag. 5 del ricorso per cassazione, il contenuto dell’istanza di rimborso presentata il 15 ottobre 2020 dalla società (Omissis) Spa e dall’altro le censure sollevate non presuppongono l’esame di atti o documenti diversi dalla sentenza impugnata, dalla quale si evincono tutti gli elementi necessari per la loro risoluzione, specificamente alle pagine 2, 3 e 4 della sentenza impugnata (cfr. Cass., Sez. U., 27 dicembre 2019, n. 34469) 2. Il primo mezzo deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, in relazione all’art. 360, comma 1 4, c.p.c.. La sentenza impugnata era errata nella parte in cui aveva rigettato la prima eccezione di inammissibilità del ricorso introduttivo, sollevata dall’Ufficio in entrambi i gradi, a fronte del mutamento della causa petendi rispetto al motivo dell’originaria istanza di rimborso. Mentre nell’istanza di rimborso la società aveva affermato la sussistenza dei requisiti previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 26 quater (introdotto dal D.Lgs. n. 143 del 2005) per la concessione del beneficio dell’esenzione dalla ritenuta a titolo d’imposta su canoni e interessi corrisposti ad un soggetto residente in altro Stato Membro dell’Unione Europea, del tutto diverso era il contenuto del ricorso, laddove la società aveva dichiarato che non era stata operata nessuna ritenuta all’atto della corresponsione degli interessi e che il versamento all’Erario era frutto di un “mero errore materiale compiuto dall’Ufficio amministrativo” e che la mancata restituzione delle somme richieste costituiva “un arricchimento ingiustificato” a danno della (Omissis) Spa . Anche le prove allegate erano diverse da quelle prodotte in sede di istanza e intendevano dimostrare che il pagamento degli interessi era avvenuto al lordo di una qualsiasi ritenuta. Secondo un principio fondamentale del processo tributario, espressamente enunciato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19 “Ognuno degli atti autonomamente impugnabili può essere impugnato solo per vizi propri”. Nelle cd. liti da rimborso, il ricorso doveva, pertanto, riferirsi ai motivi del diniego opposto dall’Amministrazione Pubblica, che, nel caso di silenzio-rifiuto, si ricavavano a contrario dai motivi proposti dallo stesso contribuente. Il ricorso proposto si era limita a sostenere il diritto al rimborso in quanto le ritenute erano state versate all’Erario, ma non erano state trattenute all’atto del pagamento degli interessi alla società irlandese, affermandone la non debenza a prescindere dalla dimostrazione della sussistenza dei requisiti richiesti dalla legge che venivano affermati, ma non provati.
  2. Il secondo mezzo deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 La sentenza di secondo grado aveva respinto la seconda eccezione di inammissibilità riferita al ricorso introduttivo, fondata sulla violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, lett. g), in quanto il silenzio-rifiuto dell’Agenzia non si era mai formato stante l’inammissibilità dell’istanza di rimborso presentata dalla (Omissis) Spa . La società non era soggetto legittimato a presentare l’istanza di rimborso nel caso di specie e la mancanza di legittimazione attiva costituiva motivo di inammissibilità dell’istanza che la rendeva del tutto inidonea a provocare la formazione del silenzio-rifiuto da parte dell’Ufficio, con conseguente inammissibilità del ricorso per carenza dell’atto impugnabile quale necessario presupposto processuale, rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio (Cass., n. 21356/2012). La rituale e tempestiva presentazione dell’istanza di rimborso e il successivo silenzio-rifiuto dell’Amministrazione erano necessari a integrare il provvedimento negativo impugnabile innanzi al giudice tributario. L’Ufficio aveva rilevato che, data l’imposta oggetto dell’istanza di rimborso (ritenuta del 10% operata all’atto del pagamento di interessi nei confronti della consociata irlandese prevista dall’art. 10 della Convenzione contro le doppie imposizioni Italia-Irlanda) la richiesta di esenzione/rimborso avrebbe dovuto essere presentata dalla stessa consociata irlandese Alleanza Investment PLC, in quanto era il beneficiario effettivo che aveva diritto a far valere l’esenzione a dover chiedere il rimborso. In particolare, detta società avrebbe dovuto proporre l’istanza di rimborso al Centro Operativo di (Omissis) avvalendosi del modello approvato dall’Agenzia delle Entrate con provvedimento n. 2008/70077 del 15 gennaio 2008 emanato sulla base di quanto previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 26 quater, comma 7, introdotto dal decreto legislativo 30 maggio 2005, n. 143 in attuazione della direttiva 2003/49/CE. Nel caso in esame, mancava un’istanza di parte idonea a far sorgere, per l’Amministrazione, l’obbligo di provvedere al rimborso richiesto. Mancando tale requisito e non sussistendo alcun presupposto idoneo a giustificare un obbligo di provvedere d’ufficio, era innegabile l’impossibilità di configurare l’esistenza di qualsivoglia tipo di silenzio significativo, e prima ancora di un procedimento idoneo a farlo sorgere. Ne discendeva che il silenzio-rifiuto non si era mai perfezionato.
  3. Il terzo mezzo deduce la violazione e falsa violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 26 quater e la violazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. la pronuncia impugnata era errata anche nel merito, per avere infondatamente riconosciuto il diritto di rimborso delle somme richieste dalla (Omissis) Spa . La società (Omissis) Spa non aveva soddisfatto l’onere probatorio in merito ai requisiti richiesti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 26 quater, comma 4, non avendo mai prodotto la documentazione atta a dimostrare: la qualifica di beneficiario finale della società irlandese; l’effettiva tassazione applicata specificatamente ai redditi di fonte italiana, rispetto ai quali si richiedeva il rimborso della ritenuta, in quanto la società estera doveva dimostrare di non usufruire di alcun regime di esonero. Nelle azioni di rimborso l’onere della prova del pagamento di imposte che si pretendeva indebito ricadeva senz’altro sul contribuente e riguardava innanzitutto il fatto storico della duplicazione del pagamento, di cui si chiedeva la restituzione.

4.1 I motivi, che vanno trattati unitariamente perchè connessi sono infondati.

4.2 La società (Omissis) Spa ha presentato, in data 15 ottobre 2010, agli Uffici Territoriali di (Omissis) e di (Omissis) dell’Agenzia delle Entrate istanza con la quale ha chiesto il rimborso di ritenute versate nel corso dell’anno di imposta 2005, per un totale complessivo di Euro 57.318,66, in relazione al pagamento della consociata di diritto irlandese Alleanza Investment PLC degli interessi maturati a fronte di un finanziamento fruttifero. L’istanza, cui erano allegati alcuni documenti ritenuti utili a dimostrare la spettanza del beneficio, affermava che “all’atto del pagamento degli interessi maturati, (Omissis) Spa ha operato una ritenuta d’acconto, pari al 10% prevista dall’art. 10 della convenzione bilaterale contro le doppie imposizioni Italia-Irlanda” e “in base a quanto previsto dal D.Lgs. n. 143 del 2005, è sorto in capo a (Omissis) Spa , in qualità di sostituto d’imposta, il diritto a ripetere quanto indebitamente versato per le ragioni in diritto e in fatto appresso indicate”. L’Ufficio, quindi, in data 27 maggio 2011, trasmetteva l’istanza di rimborso al Centro Operativo di (Omissis), competente a trattare la suddetta tipologia di rimborsi in applicazione della Direttiva 2003/49/CE del 3 giugno 2003. L’Agenzia delle Entrate non aveva risposto alla suddetta istanza di rimborso, con conseguente formazione del silenzio-rifiuto.

4.3 Ciò posto, deve premettersi che il diniego, espresso o tacito, del rimborso del credito di imposta si configura quale atto autonomamente impugnabile, in quanto ricompreso nell’elenco previsto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 1, lett. g). Rileva, infatti, la precisazione contenuta nel 2 periodo del D.Lgs. n. 546 del 1992, 3 comma dell’art. 19, secondo cui “Ognuno degli atti autonomamente impugnabili può essere impugnato solo per vizi propri”.

Rientra, dunque, nella categoria degli atti suscettibili di autonoma impugnazione, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19 qualunque provvedimento idoneo ad incidere sul rapporto tributario, ivi compreso il silenzio serbato dall’Amministrazione finanziaria sull’istanza di riconoscimento di un’esenzione o agevolazione, che deve essere qualificato come silenzio rifiuto (Cass., 13 settembre 2022, n. 26907).

4.4 Questa Corte ha, pure, precisato che la struttura del giudizio tributario inerente all’impugnazione del rigetto di una domanda di rimborso è sostanzialmente diversa dall’ordinario giudizio tributario, di tipo impugnatorio. In tema di rimborsi, invero, la posizione del contribuente è sostanzialmente quella dell’attore, che deve fornire la prova della propria domanda, mentre, sempre sul piano processuale e sostanziale, l’Ufficio, che non ha, in questo caso, esplicitato una “pretesa” (impugnata dal contribuente), quale l’avviso di accertamento o di liquidazione, o la irrogazione di una sanzione, delimitando così in via assoluta l’oggetto del contendere, assume la posizione di convenuto. Movendo da tale differenza, questa Corte ha affermato, che, nel giudizio di rimborso, non si può disconoscere la facoltà, in capo all’amministrazione finanziaria, di esercitare le prerogative previste dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 23 e, dunque, prospettare delle argomentazioni giuridiche ulteriori rispetto a quelle che hanno formato la motivazione di rigetto della istanza in sede amministrativa (Cass., 2 settembre 2022, n. 25999).

4.5 Il rimborso di imposta, dunque, dà origine ad un rapporto giuridico nel quale – con una netta inversione dei ruoli rispetto allo schema paradigmatico del rapporto tributario – è il contribuente a rivestire il ruolo attivo, assumendo nei confronti dell’Erario la posizione di creditore di una determinata somma di denaro, per il fatto di avergliela in precedenza versata. Se ne deve necessariamente inferire che, al pari del cd. silenzio rifiuto, il provvedimento espresso reiettivo dell’istanza di rimborso del contribuente (accomunato, come già detto, in sede di disciplina degli atti impugnabili in giudizio dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 1, lett. g), non può in alcun modo rivestire la valenza, sia sul piano formale che su quello sostanziale, di un provvedimento impositivo.

In concreto, dunque, nel giudizio di rimborso è il contribuente che ha l’onere di allegare e provare i fatti ai quali la legge ricollega il trattamento impositivo rivendicato nell’istanza di rimborso. In particolare, è stato affermato che, in tema di contenzioso tributario, il contribuente quando impugna il silenzio rifiuto su di un’istanza di rimborso d’imposta, deve dimostrare, in punto di fatto, che non sussiste alcuna delle ipotesi che legittimano il rifiuto mentre l’amministrazione finanziaria può, da parte sua, difendersi a tutto campo, senza doversi ritenere vincolata ad una specifica motivazione di rigetto, così che le eventuali incongruenze del ricorso introduttivo possono legittimamente essere eccepite dall’ufficio anche in grado di appello, a prescindere dalla preclusione posta dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, trattandosi comunque di rilievi pur sempre attinenti all’originario tema del decidere e cioè la sussistenza o meno di presupposti idonei a legittimare il rifiuto del chiesto rimborso (Cass., 10 settembre 2020, n. 18830; Cass., 21 novembre 2016, n. 23587) Cass., 18 maggio 2016, n. 10195; Cass., 20 aprile 2012, n. 6246).

4.6 Questa Corte ha anche affermato che “Le domande di rimborso, prive delle indicazioni inerenti gli estremi di versamento e gli importi relativi all’ammontare delle ritenute Irpef, nonchè della indicazione degli importi chiesti in restituzione, non possono considerarsi giuridicamente valide e non sono, dunque, idonee alla formazione del silenzio-rifiuto impugnabile, in quanto non consentono di valutare la fondatezza o meno della richiesta; nè tale vizio è sanabile con il successivo deposito di documenti, atti a colmare le lacune predette, deposito che è comunque tardivo, in quanto intervenuto nel corso di un procedimento che non avrebbe dovuto neppure essere iniziato” (cfr. Cass., 10 ottobre 2022, n. 29489; Cass., 22 febbraio 2021, n. 4716; Cass., 30 settembre 2020, n. 20719; Cass., 13 dicembre 2018, n. 32263; Cass., 30 novembre 2012, n. 21400, richiamata anche dai giudici di secondo grado; Cass., 20 marzo 2000, n. 3250).

Poichè oggetto di impugnazione è il silenzio rigetto, il meccanismo presuntivo del silenzio rigetto scatta quando sia stata formulata un’istanza completa e non generica, che metta la P.A. in condizione di provvedere e, soprattutto, che consenta al giudice tributario di valutare le presuntive ragioni del diniego, operazioni che non possono essere svolte in assenza di una domanda precisa (Cass., 13 dicembre 2018, n. 32263, citata; Cass., 21 febbraio 2020, n. 4565; Cass., 20 marzo 2000, n. 3250, citata).

4.7 In sostanza, nelle pronunce sopra richiamate, diversamente dalla vicenda in esame, siamo al cospetto di pretese del tutto generiche, prive dei requisiti minimi propri di una richiesta di rimborso, come tali non idonee a provocare la formazione del silenzio rifiuto da parte del fisco, quale presupposto processuale (la cui carenza è dunque rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, in quanto incidente sull’ammissibilità della domanda giudiziale e sulla ritualità della costituzione del relativo rapporto processuale) dell’impugnativa giudiziaria del medesimo atto di diniego.

4.8 Si tratta di una ipotesi, come già detto, nella fattispecie oggetto di causa, del tutto insussistente, venendo in rilievo comunque una domanda completa dei requisiti minimi propri di una richiesta di rimborso, con la conseguente legittimità, sul punto specifico, della decisione del giudice tributario di merito; non può essere condivisa, dunque, la prospettazione erariale secondo cui, poichè l’istanza era stata presentata da un soggetto societario che non era legittimato, mancava un’istanza di parte idonea a far sorgere in capo all’Amministrazione finanziaria l’obbligo di provvedere sul rimborso richiesto. Con l’ulteriore corollario che, poichè il silenzio rifiuto dell’Amministrazione finanziaria si era formato sull’istanza di rimborso presentata dalla società (Omissis) Spa e la medesima società aveva impugnato il silenzio rifiuto che si era formato su quella determinata istanza, sulla società ricorrente in primo grado, in quanto attore sostanziale, incombeva l’onere di provare tutti i fatti costitutivi posti a fondamento dell’istanza di rimborso.

4.9 Al riguardo, come correttamente rilevato dai giudici di secondo grado la richiesta di rimborso delle somme indebitamente versate era legittima, in quanto la società (Omissis) Spa aveva erroneamente versato delle ritenute d’imposta nel corso del 2006 (sugli interessi corrisposti alla propria consociata di diritto irlandese Alleanza Investments PLC a fronte di un finanziamento fruttifero erogato sotto forma di polizza commerciale) e che si trattava di ritenute non dovute, pur essendo state effettivamente versate e ciò in ragione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 26 quater (che si ricorda è stato introdotto con il decreto legislativo 30 maggio 2005, n. 143, che ha recepito la Direttiva comunitaria n. 2003/49/CE del 3 giugno 2003, con la quale sono state abolite le imposte, sia quelle riscosse in via principale, tramite ritenuta alla fonte, sia quelle riscosse in via successiva, tramite accertamento fiscale, sui pagamenti di interessi e di canoni (o royalties) effettuati tra società consociate tra Stati membri diversi, nonchè tra stabili organizzazioni); in questo contesto, è doveroso precisare, che, contrariamente a quanto rilevato dall’Agenzia ricorrente, non rileva un profilo di novità della domanda per la diversa “causa petendi” posta a fondamento dell’istanza di rimborso, rispetto alla “causa petendi” del ricorso tributario, avendo la società ricorrente comunque chiesto il rimborso delle ritenute d’acconto pari al 10% previste dall’art. 10 della convenzione bilaterale contro le doppie imposizioni Italia – Irlanda, somme non dovute (anche se effettivamente versate), in ragione di quanto stabilito con il D.Lgs. n. 143 del 2005; la Commissione tributaria regionale ha, poi, verificato, tenuto conto dell’onere della prova spettante alla società (Omissis) Spa dei fatti costitutivi posti a fondamento del ricorso con riferimento al silenzio rifiuto formatosi sull’istanza di rimborso presentata in data 15 ottobre 2010, e specificamente della documentazione prodotta nel giudizio, che la società istante aveva dato la prova di avere effettivamente versato le ritenute a titolo d’imposta, le quali non erano state oggetto di uso in sede di dichiarazione del sostituto d’imposta, nè erano state trattenute nei confronti della società irlandese; i giudici di secondo grado hanno, dunque, fatto corretta applicazione dei principi sopra richiamati, concludendo che poichè il versamento era stato fatto dalla società Finanen Spa era quest’ultima società che doveva presentare l’istanza di rimborso (e non già la società controllata irlandese);

  1. Per le ragioni di cui sopra, il ricorso va rigettato e l’Agenzia ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali, sostenute dalla società controricorrente e liquidate come in dispositivo, nonchè al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo.

5.1 Non vi è luogo a pronuncia sul raddoppio del contributo unificato, perchè il provvedimento con cui il giudice dell’impugnazione, nel respingere integralmente la stessa (ovvero nel dichiararla inammissibile o improcedibile), disponga, a carico della parte che l’abbia proposta, l’obbligo di versare, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto ai sensi del comma 1 bis del medesimo art. 13, non può aver luogo nei confronti delle Amministrazioni dello Stato, istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito (Cass., Sez. U., 25 novembre 2013, n. 26280; Cass., 14 marzo 2014, n. 5955).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna l’Agenzia ricorrente al pagamento, in favore della società controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 22 febbraio 2023.

Depositato in Cancelleria il 2 maggio 2023