201408.06
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Cass., sez. trib., 17 luglio 2014, n. 16331 (testo)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 18684-2008 proposto da:

ASSOCIAZIONE MARCHIGIANA ATTIVITA’ TEATRALI AMAT. in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA L. MANCINELLI 65, presso lo studio dell’avvocato MOSCATI ENRICO, che lo rappresenta e difende giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

MINISTERO ECONOMIA E FINANZE in persona del Ministro pro tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope legis;

– controricorrenti –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI ANCONA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 56/2007 della COMM. TRIB. REG. di ANCONA, depositata il 25/05/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 03/12/2013 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;

udito per il ricorrente l’Avvocato MOSCATI che si riporta agli scritti difensivi e ne chiede 1’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. APICE Umberto che ha concluso per l’accoglimento del 1^ motivo di ricorso, assorbito il secondo.


Svolgimento del processo


Con sentenza 25.5.2007 n. 56 la Commissione tributaria della regione Marche accoglieva l’appello dell’ufficio di Ancona della Agenzia delle Entrate ed in riforma della decisione di prime cure dichiarava legittimo l’avviso di rettifica emesso nei confronti dell’Associazione Marchigiana Attività Teatrali (AMAT) avente ad oggetto la maggiore IVA dovuta dalla associazione per l’anno 1998 in conseguenza della omessa fatturazione di contributi ricevuti dagli enti locali associati per lo svolgimento di attività commerciale consistente nella organizzazione e gestione di eventi teatrali.

I Giudici territoriali ritenevano che le prestazioni rese dalla associazione ai Comuni associati integrassero svolgimento di attività commerciale in quanto remunerate da un contributo in conto spese di ciascun programma erogato dai singoli enti locali-associati committenti (venendo l’Associazione a coprire la quota residua di spese ed a realizzare l’utile mediante la vendita al pubblico dei biglietti di ingresso agli spettacoli), e dunque non trattandosi di erogazioni a fondo perduto dirette genericamente alla realizzazione della attività Statutarie dell’ente (id est di conferimenti effettuati dai soci a favore della associazione) ma di corrispettivi pattuiti in adempimento delle convenzioni stipulate da ciascun Comune associato con l’Associazione, dovevano essere assoggettati ad IVA, non ricorrendo le condizioni di esenzione previste dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 4, comma 4.

Inoltre aggiungeva la CTR marchigiana l’atto impositivo non poteva ritenersi adottato in violazione della risposta fornita in data 20.3.2000 dalla Amministrazione finanziaria alla istanza di interpello della Associazione, ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 11 in quanto la istanza era stata presentata soltanto nel marzo 2000 e quindi successivamente alla omessa fatturazione contestata.

Avverso la sentenza di appello non notificata ha proposto ricorso per cassazione la Associazione deducendo due motivi ai quali resistono con controricorso la Agenzia delle Entrate ed il Ministero della Economia e delle Finanze.


Motivi della decisione


Va preliminarmente dichiarata “ex officio” l’inammissibilità del ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, per difetto di legittimazione passiva della parte resistente, non avendo assunto l’Amministrazione statale la posizione di parte processuale nel giudizio di appello svoltosi avanti la Commissione tributaria della regione Marche introdotto con impugnazione dell’Ufficio di Ancona della Agenzia delle Entrate successivamente alla data 1.1.2001 (subentro delle Agenzie fiscali a titolo di successione particolare ex lege nella gestione dei rapporti giuridici tributari pendenti in cui era parte l’Amministrazione statale: Corte cass. SS.UU. 14.2.2006 n. 3116 e 3118).

Non avendo il ricorso proposto nei confronti del Ministero della Economia e delle Finanze comportato per la parte resistente svolgimento di specifica attività difensiva, si ravvisano giusti motivi per compensare tra le parti le spese di lite.

Con il primo motivo la Associazione ricorrente deduce il vizio di violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 4 comma 4 in quanto la CTR avrebbe ritenuto che le prestazioni erogate da AMAT non fossero riconducibili agli scopi indicati nello Statuto dell’ente. All’uopo richiama il precedente di questa Corte n. 17735/2007 che sulla base dell’accertamento in fatto compiuto dal giudice tributario (in ordine alla natura di erogazioni rese dai Comuni per lo svolgimento delle finalità istituzionali dell’ente associativo) ha accertato il diritto dell’AMAT a fruire della esenzione d’imposta. In ogni caso assume la ricorrente che l’inequivoco tenore della norma esonera da IVA le prestazioni delle associazioni culturali “che non abbiano per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali o agricole” rese a favore dei propri associati qualora dette prestazioni siano effettuate “in conformità delle finalità istituzionalì.

Il precedente giurisprudenziale richiamato a sostegno del motivo non vincola il Collegio, essendosi limitata la Corte in quella causa a rilevare la insindacabilità della ricostruzione della fattispecie concreta compiuta dal Giudice di merito in base alle risultanze probatorie ed a verificare la correttezza della operazione di sussunzione della fattispecie concreta, così come rilevata, nello schema normativo astratto della esenzione d’imposta: in assenza di una specifica indicazione degli elementi fattuali considerati dal Giudice di merito in quella causa non è dato ravvisare, pertanto, la ipotizzata identità tra le situazioni concrete pervenute all’esame dei Giudici di merito nelle due cause e che hanno dato luogo a giudizi diametralmente opposti.

Per quanto concerne la presente causa, occorre considerare che dalla sentenza della CTR della Marche emerge che ciascun Comune associato aveva stipulato una convenzione con TAMAT, nella quale era dedotta in obbligazione l’assunzione da parte dell’ente associativo “della gestione e realizzazione di attività teatrali” dietro versamento da parte dei Comuni di “un contributo di quote di partecipazione alle spese”, e tale rapporto obbligatorio è stato qualificato dai Giudici di merito come prestazione di servizi dietro corrispettivo, inquadrabile nell’esercizio di impresa commerciale (come definita al DPR n. 633 del 1972, art. 4, comma 1), e dunque come operazione assoggettabile ad IVA. In relazione a tale accertamento in fatto alcun errore interpretativo o di sussunzione è imputabile alla CTR, tenuto conto che gli elementi considerati dal Giudice di merito sono ricompresi nello schema giuridico astratto di cui al DPR n. 633 del 1972, art. 4, comma 2, n. 2) e comma 3 che contemplano la ipotesi di associazioni “che abbiano per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali o agricole”, ed assoggettano ad IVA anche le prestazioni di servizi fatte dalle associazioni ai propri associati considerandole “in ogni caso effettuate nell’esercito di imprese”, risultando pertanto conforme a diritto la pronuncia impugnata ove fondata sul presupposto indicato (esercizio di attività commerciale come oggetto esclusivo o principale).

Ne segue che la critica mossa dalla Associazione ricorrente alla sentenza di appello, in quanto riferita alla errata applicazione alla fattispecie della diversa norma di cui all’art. 4, comma 4 del medesimo Decreto Presidenziale, implica come presupposto indefettibile che tra gli elementi della fattispecie concreta rilevata dal Giudice di merito sia rinvenibile l’elemento essenziale dello svolgimento non esclusivo, nè principale, di attività commerciale da parte della Associazione: il DPR n. 633 del 1972, art. 4, comma 4 infatti, con riferimento agli enti associativi “che non abbiano per oggetto esclusivo e principale l’esercizio di attività commerciali …”, dispone che “si considerano fatte nell’esercìzio di attività commerciali anche le cessioni di beni e le prestazioni di servizi ai soci, associati, o partecipanti verso pagamento di corrispettivi specifici, o di contributi supplementari determinati in funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali danno diritto, ad esclusione di quelle effettuate in conformità alle finalità istituzionali da associazioni … culturali … anche se rese nei confronti … dei rispettivi soci, associati o partecipanti, …”.

Ne segue che la critica avente ad oggetto l’errore di sussunzione contestato alla sentenza di appello, con riferimento alla predetta norma di esenzione, era subordinata necessariamente alla incontestata rilevazione da parte dei Giudici di appello dell’elemento fattuale indicato; diversamente la critica avrebbe dovuto essere rivolta all’omesso od inesatto accertamento di fatto compiuto dalla CTR delle effettive condizioni formali e sostanziali dell’attività svolta dall’AMAT (da far valere in relazione al diverso parametro di legittimità di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Non avendo la Associazione ricorrente ottemperato alla dimostrazione del presupposto concernente che l’attività commerciale di organizzazione e gestione degli eventi teatrali non era svolta in modo esclusivo o principale, e non avendo peraltro impugnato la sentenza di appello in relazione a vizio motivazionale sulla rilevazione e valutazione di tale elemento in fatto, il primo motivo di ricorso deve, pertanto, essere rigettato.

Con il secondo motivo l’AMAT censura per violazione della L. n. 212 del 2000, art. 11, comma 2 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la statuizione della sentenza di appello che ha rigettato il motivo di gravame volto a far valere la nullità dell’avviso di accertamento, in quanto emesso in contrasto con la precedente risposta fornita dalla Amministrazione finanziaria all’interpello presentato dalla Associazione. Sostiene la ricorrente che la condizione della presentazione preventiva dell’interpello, alla quale la CTR ha condizionato l’effetto vincolante della risposta della Amministrazione, non trova alcun fondamento normativo.

Il motivo è infondato.

Premesso che la risposta comunicata in data 20.3.2000 dalla Amministrazione finanziaria è anteriore alla entrata in vigore della norma di cui è denunciata la violazione (la L. 27 luglio 2000, n. 212 è entrata in vigore, ai sensi dell’art. 21, comma 1, il giorno 1.8.2000) osserva il Collegio che il Decreto del 26 aprile 2001 n. 209 – Min. Finanze (recante “Regolamento concernente la determinazione degli organi, delle procedure e delle modalità di esercizio dell’interpello e dell’obbligo di risposta da parte dell’Amministrazione finanziaria, di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 11, comma 5”) autorizzato dalla L. n. 212 del 2000, art. 11, comma 5, dispone espressamente: all’art. 1, comma 2 che “il contribuente dovrà presentare l’istanza di cui al comma 1, prima di porre in essere il comportamento o di dare attuazione alla norma oggetto di interpello”; all’art. 3, comma 3 – prescrivendo i requisiti di ammissibilità della istanza di interpello – che “L’istanza deve, altresì, contenere l’esposizione, in modo chiaro ed univoco, del comportamento e della soluzione interpretativa sul piano giuridico che si intendono adottare”; ed all’art. 5, comma 1 che “La risposta dell’ufficio finanziario ha efficacia esclusivamente nei confronti del contribuente istante, limitatamente al caso concreto e personale prospettato nell’istanza di interpello. Tale efficacia si estende anche ai comportamenti successivi del contribuente riconducibili alla fattispecie oggetto di interpello, salvo rettifica della soluzione interpretativa da parte dell’amministrazione finanziaria” prevedendo al comma 4 che l’Ufficio, in caso di risposta negativa, recupera l’imposta e gli interessi senza irrogazione di sanzioni pecuniarie “in riferimento al comportamento già’ posto in essere dal contribuente, qualora la risposta dell’ufficio su istanze ammissibili ma prive delle indicazioni di cui all’art. 3, comma 3, non pervenga nel termine di cui all’art. 4, comma 1” (id est entro gg. 120 dalla data di consegna o ricezione della istanza), disciplinando quindi una particolare ipotesi determinatasi in conseguenza del ritardo nella risposta fornita dalla Amministrazione al contribuente (peraltro in presenza di istanza incompleta).

Dall’esame delle norme emerge chiaramente che il carattere preventivo dell’interpello è connaturale alla stessa “ratio legis” della L. n. 212 del 2000, art. 11 in quanto mezzo attuativo dei principi di chiarezza, imparzialità, affidamento e cooperazione che informano lo Statuto del contribuente e che convergono verso lo scopo di fornire a quest’ultimo le informazioni indispensabili a conformare la propria attività alla corretta interpretazione delle norme fiscali, nonchè di prevenire la insorgenza di controversie tributarie. Ne segue, logicamente, che l’acquisizione delle informazioni richieste alla Amministrazione finanziaria deve necessariamente precedere la condotta tenuta dal contribuente nell’esercizio della propria attività economica (come peraltro è dato evincere anche dalla locuzione “interpretazione o comportamento prospettato dal richiedente” – art. 11, comma 2 della Legge – e dalla esenzione da sanzione pecuniaria del comportamento attuato dal contribuente successivamente alla scadenza del termine stabilito per ricevere la risposta, quando questa sia poi risultata negativa), solo in tal caso potendo giustificarsi una efficacia vincolante, per entrambe le parti del rapporto tributario, della interpretazione fornita dalla Amministrazione finanziaria delle norme applicabili alla specifica fattispecie concreta. Diversamente opinando l’istituto dell’interpello verrebbe a risolversi in una mera richiesta di “consulenza giuridica” avente ad oggetto un rapporto tributario già insorto, che se da un lato non potrebbe raggiungere gli scopi voluti dalla norma, dall’altro non potrebbe precludere il potere di accertamento impositivo della PA atteso che la verifica della corretta applicazione del norma che regola lo specifico tributo deve attuarsi in base allo strumento tipico predisposto dall’ordinamento tributario fondato sull’attività di controllo (ex post) demandata agli Uffici finanziari competenti.

Diversa questione, che esula dall’ambito del motivo in esame, è quella della coerenza logica tra l’accertamento contenuto nell’avviso di rettifica e la precedente risposta comunicata dall’Ufficio finanziario, che avrebbe dovuto essere fatta valere dall’AMAT con il ricorso introduttivo evidenziando gli eventuali aspetti di incompatibilità logica tra i due atti dell’Amministrazione finanziaria.

In conclusione il ricorso deve essere rigettato con condanna della parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio liquidate in dispositivo.


P.Q.M.


LA CORTE – dichiara inammissibile il ricorso proposto nei confronti del Ministero della Economia e delle Finanze, e dichiara compensate le spese tra le parti;

– rigetta il ricorso proposto nei confronti della Agenzia delle Entrate e condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio liquidate in Euro 5.000,00 per compensi oltre le spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 dicembre 2013.

Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2014