Cass., sez. trib., 17 aprile 2020, n. 7906 (testo)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –
Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –
Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –
Dott. PANDOLFI Catello – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
Sul ricorso iscritto al n. 4533 /2016 proposto da Agenzia delle Entrate rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato domiciliato in Roma Via dei Portoghesi 12;
- ricorrente-
contro
B.M.G.;
- intimata –
Avverso fa sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia-sezione di Catania n. 4200/34/2015 depositata il 07/10/2015;
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 09/07/2019 dal Consigliere Dott. Catello Pandolfi;
udito il Pubblico Ministero, in persona dei Sostituto Procuratore Generale Dott. De Augustinis Umberto che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
Svolgimento del processo
L’Agenzia delle Entrate ricorre per la cassazione della sentenza della CTR Sicilia sezione di Catania n. 4200/34/2015 depositata il 7.10.2015. La vertenza trae origine dal silenzio-rifiuto formatosi sull’istanza di rimborso del 90% delle imposte, a titolo di IRPEF, versate per gli anni 1990,1991 e 1992, da B.M.G., residente in zone della Sicilia orientale, coincidenti con le province di (OMISSIS), colpite dal sisma del 13 dicembre 90. Gli interventi legislativi in materia fiscale, determinati da tale evento, avevano dato luogo a contrasto di interpretazione della L. 289 del 2002, art. 9, comma 17, e della L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 665.
Sia la Commissione provinciale tributarie di Ragusa, innanzi alla quale la contribuente aveva impugnato il silenzio-rifiuto, sia la Commissione regionale, sezione di Catania, adita dall’Ufficio, avevano accolto la tesi favorevole alla sig.ra B..
L’Agenzia delle Entrate contesta la decisione d’appello, qui impugnata, ritenendola frutto di errore sul presupposto che la L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 17, preveda il beneficio solo per i contribuenti che ancora non avessero versato i tributi, escludendo quindi la possibilità di chiedere il rimborso di quanto già versato. Ritiene, inoltre, l’Agenzia che, laddove la L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 665, preveda il rimborso di quanto versato, attribuisce la legittimazione a richiederlo solo al sostituto d’imposta e non anche al sostituito.
Su tali premesse, per contestare la decisione della Commissione siciliana, l’Agenzia delle Entrate, ha configurato l’unico motivo di ricorso per violazione e falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 17, nonchè della L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 665, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3..
Non resiste con controricorso il contribuente.
Motivi della decisione
L’Agenzia delle Entrate ha posto alla base del ricorso la tesi che la L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 17, in materi di ritenute d’acconto sui redditi da lavoro dipendente, ammettesse alla definizione agevolata esclusivamente i sostituti d’imposta con riferimento alle ritenute operate sui redditi di lavoro dipendente. Conseguentemente, l’unico soggetto legittimato a chiedere il rimborso di quanto indebitamente versato sarebbe, appunto, il sostituto d’imposto, con esclusione del “sostituito”, non legittimato nemmeno a presentare la relativa istanza.
Tale tesi non può essere condivisa.
La giurisprudenza di questa Corte, che s’intende ribadire, ha ritenuto trovi applicazione, anche al caso di specie, il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, in base al quale sono legittimati a richiedere all’Amministrazione finanziaria il rimborso della somma non dovuta e ad impugnare l’eventuale rifiuto dinanzi al giudice tributario, sia il soggetto che ha effettuato il versamento (c.d. sostituto d’imposta), sia il percipiente delle somme assoggettate a ritenuta (c.d. sostituito).
Infatti, la L. 289 del 2002, art. 9, comma 17, che consente al contribuente di recuperare il 90% di quanto dovuto e versato per imposte, è da ritenersi, quanto ai lavorator dipendenti residenti, al momento del sisma, nella zona interessata, deroghi al principio per cui la sanatoria generalmente non comporta la possibilità di ottenere rimborsi dallo Stato, poichè risponde ad una logica del tutto particolare e diversa rispetto agli altri provvedimenti di sanatoria, mirando ad indennizzare i soggetti coinvolti in eventi calamitosi per cui la legittimazione passiva spetta al soggetto passivo d’imposta in senso sostanziale e non al sostituto d’imposta come ritenuto dall’Ufficio. (Cass.Sez.6-5, Ordinanza n. 18905/2016).
Peraltro, la legittimazione del sostituito ha trovato conferma anche nel D.L. n. 91 del 2017, art. 16-cties (conv., con modif., dalla L. n. 123 del 2017) che, incidendo sulla modalità di esecuzione del rimborso, ha incluso tra i beneficiari dello stesso i titolari di redditi di lavoro dipendente in relazione alle ritenute subite.(Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 29039 del 05/12/2017).
Inoltre, tale ius superveniens, attuato con l’apposito provvedimento direttoriale previsto dalla legge, non incide sulla questione della quale è investita la Corte con il ricorso in esame, ovvero del diritto al rimborso spettante ai soggetti colpiti dal sisma del 1990, quale è la contro ricorrente, operando i limiti delle risorse stanziate (e venendo in rilievo eventuali questioni sui consequenziali provvedimenti liquidatori emessi dall’Agenzia delle Entrate) soltanto in fase esecutiva e/o di ottemperanza (Sez. 6-5, Ordinanza n. 4291 del 22/02/2018, in motivazione).
Il ricorso è pertanto da rigettare. Nulla è da definire sulle spese in quanto la contribuente non si è costituita.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Nulla sulle spese.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 luglio 2019.
Depositato in Cancelleria il 17 aprile 2020