Cass., sez. trib., 16 marzo 2016, n. 5156 (testo)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BIELLI Stefano – Presidente –
Dott. CIRILLO Ettore – rel. Consigliere –
Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 28207-2010 proposto da:
S.G., elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’Avvocato MASSA GIANPAOLO con studio in TORINO VIA LAMARMORA 43 (avviso postale), giusta delega in calce;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 57/2009 della COMM.TRIB.REG. del PIEMONTE, depositata il 01/12/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/11/2015 dal Consigliere Dott. ETTORE CIRILLO;
udito per il resistente l’Avvocato COLELLI CARLA, che si riporta agli scritti;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ZENO Immacolata, che ha concluso per il rigetto.
Svolgimento del processo
1. S.G. ricorre per la cassazione della sentenza della commissione tributaria regionale del Piemonte del 10 novembre 2009, che ha rigettato l’appello del contribuente e confermato avviso di liquidazione con il quale, riguardo all’imposizione sul valore aggiunto, l’Agenzia delle entrate ha dichiarato la decadenza del contribuente dalle agevolazioni per l’acquisto della “prima casa”.
2. Il giudice d’appello ritiene che l’attribuzione alla moglie della proprietà della casa coniugale in adempimento di una condizione pattuita in sede di separazione consensuale, costituisce alienazione dell’immobile rilevante ai fini della decadenza dei benefici “prima casa” non rientrando tra le esenzioni previste dalla L. n. 74 del 1987, art. 19.
Di contro, il ricorrente, denunciando “difformità dell’impegnata sentenza dell’indirizzo giurisprudenza di codesta Suprema Corte e mancata motivazione sul punto”, censura la sentenza d’appello laddove trascura che la cessione in questione rappresenta solo una forma di utilizzazione dell’immobile stesso ai fini della migliore sistemazione dei rapporti fra i coniugi sia pure al venir meno della loro convivenza.
3. L’Agenzia si difende con controricorso; il contribuente replica con memoria.
Motivi della decisione
1. Come si è detto in parte narrativa, con l’unico motivo, il ricorrente denuncia “difformità dell’impugnata sentenza dall’indirizzo giurisprudenziale di codesta Suprema Corte e mancata motivazione sul punto”.
Premette che, in forza della L. n. 74 del 1987, art. 19, tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonchè ai procedimenti anche esecutivi e cautelari diretti ad ottenere la corresponsione o la revisione degli assegni di cui alla L. 1 dicembre 1970, n. 898, artt. 5 e 6, sono esenti dall’imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa.
Rileva che la Corte costituzionale, con sentenza n. 154 del 1999, ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 19 “nella parte in cui non estende l’esenzione in esso prevista a tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di separazione personale dei coniugi”.
Osserva che la Corte di cassazione, nella sentenza n.6065 del 2000, ha affermato che, qualora risulti che la cessione medesima rientri nell’ambito delle disposizioni impartite dal giudice del divorzio per riequilibrare le posizioni economiche dei coniugi dopo lo scioglimento del matrimonio o per regolare in unica soluzione l’obbligo di corrispondere l’assegno mensile opererebbe l’esenzione “dall’imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa”, contemplata dall’art. 19 (nel testo fissato dalla sentenza della Corte costituzionale), dovendosi tenere conto: a) che il riferimento alle “altre” tasse, dopo lo specifico richiamo dell’imposta di bollo e dell’imposta di registro (che non sono tasse in senso proprio), evidenzia l’uso del relativo termine in senso atecnico, per comprendere ogni “tassazione”; b) che la valenza di quell’espressione trova conferma nella ratio legis, ravvisabile nella finalità di sottrarre ad oneri tributari le pronunce che siano consequenziali alla frattura od alla risoluzione del rapporto matrimoniale e che siano inerenti all’adempimento di doveri discendenti dalla separazione o dal divorzio; c) che una diversa esegesi della norma non la sottrarrebbe a dubbi di legittimità costituzionale, per l’irragionevolezza di un trattamento fiscale diversificato a seconda che si ottemperi ai predetti doveri con la cessione di immobili ovvero di somme di denaro od altri beni mobili.
Osserva, ancora, che la Corte di cassazione, nella sentenza n. 2347 del 2001, ha ribadito che l’ampia dizione dell’art. 19 necessariamente comprende tutti gli atti e le convenzioni che i coniugi pongono in essere nell’intento di regolare, sotto il controllo del giudice, i loro rapporti patrimoniali, consequenziali allo scioglimento del matrimonio e che la finalità della citata norma è quella di sottrarre all’imposizione fiscale gli atti giudiziali conseguenti alle crisi matrimoniali e all’adempimento dei doveri discendenti dalla separazione e dal divorzio.
Conclude sostenendo che, un volta fissato il principio per cui un atto dispositivo di un bene a seguito di accordi della separazione tra coniugi non deve essere assoggettato a tassazione di alcun tipo, non può operare neppure la tassazione indiretta per effetto della decadenza da beneficio della prima casa.
2. Il ricorso è fondato.
Nella rubrica dell’unico motivo manca la enunciazione di una specifica violazione o falsa applicazione di norme di diritto sostanziali. Tuttavia, ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione, l’indicazione delle norme che si assumono violate non è un requisito autonomo ed imprescindibile ai fini dell’ammissibilità della censura, ma solo un elemento richiesto al fine di chiarirne il contenuto e d’identificare i limiti dell’impugnazione. Sicchè la relativa omissione può comportare l’inammissibilità della singola doglianza soltanto se gli argomenti addotti dal ricorrente non consentano di individuare le norme ed i principi di diritto trasgrediti, così precludendo la delimitazione delle questioni sollevate (Cass. n. 4233 del 2012 e n. 25044 del 2013).
Nella specie è assolutamente chiaro – dal letterale e complessivo tenore del motivo – che non è denunciato alcun errore di giustificazione della decisione di merito su fatto bensì l’errore giuridico sulla portata applicativa norma di esenzione – e quindi di diritto sostanziale – costituita dalla L. n. 74 del 1987, art. 19, nel testo fissato dalla sentenza della Corte costituzionale.
3. Sul tema in discussione si rinvengono due orientamenti di legittimità.
3.1. Il primo orientamento, sfavorevole alla tesi del contribuente, afferma che il trasferimento di un immobile in favore del coniuge per effetto degli accordi intervenuti in sede di separazione consensuale è comunque riconducibile alla volontà del cedente, e non al provvedimento giudiziale di omologazione. Sicchè, qualora, intervenga nei cinque anni successivi all’acquisto, senza che il cedente stesso abbia comprato, entro l’anno ulteriore, altro appartamento da adibire a propria abitazione principale, le agevolazioni fiscali “prima casa” di cui egli abbia beneficiato per comprare quell’immobile vanno revocate. Il che comporta il conseguente legittimo recupero delle ordinarie imposte di registro, ipotecarie e catastali da parte dell’Amministrazione finanziaria (Cass. n. 2263 del 2014). In proposito rileva come le convenzioni concluse dai coniugi in sede di separazione personale, contenenti attribuzioni immobiliari, non manchino di un corrispettivo e non siano propriamente donazioni, avendo lo scopo di sistemare dei rapporti in occasione della separazione consensuale, in funzione della complessiva sistemazione solutorio-compensativa di tutta la serie di possibili rapporti aventi significati patrimoniali maturati nel corso della convivenza matrimoniale. Ciononostante il regolamento pattizio – pur acquistando efficacia solo con l’omologazione di conformità ai superiori interessi della famiglia – trova comunque la sua fonte nell’accordo delle parti. Da ciò deriverebbe che il trasferimento dell’immobile, ancorchè attuato mediante la fattispecie complessa ex art. 711 cod. proc. civ., costituirebbe sempre un trasferimento riconducibile alla volontà del cedente e, in quanto tale, non si potrebbe sottrarre al regime decadenziale dei benefici “prima casa” che opera, in assenza di un successivo riacquisto, in tutti i casi di trasferimento oneroso o gratuito dell’immobile prima del decorso dei cinque anni dall’acquisto.
3.2. Il secondo orientamento ritiene, invece, che l’attribuzione al coniuge della proprietà della casa coniugale in adempimento di una condizione inserita nell’atto di separazione consensuale non costituisce una forma di alienazione dell’immobile rilevante ai fini della decadenza dai benefici cosiddetta “prima casa”, bensì una modalità di utilizzazione dello stesso per la migliore sistemazione dei rapporti fra i coniugi in vista della cessazione della loro convivenza. (Cass. n.3753 del 2014; conformi: Circolari del 21.6.2012 n.27, 2.2, e del 21.2.2014 n.2, 9.2).
A detto ultimo principio di diritto, che s’inserisce in un quadro normativo e giurisprudenziale volto alla sempre più marcata valorizzazione dell’autonomia privata nell’ambito della disciplina dei rapporti familiari, si rifà altra recente decisione laddove si ribadisce che il contribuente che, in sede di separazione, trasferisca al coniuge la casa coniugale prima del decorso del quinquennio dall’acquisto per il quale aveva usufruito delle agevolazioni fiscali di cui all’art. 19, non decade dai relativi benefici atteso che l’immobile, acquistato per essere destinato a casa familiare, tale rimane (Cass. n. 23225 del 2015, ud. 7.10.2015).
Ivi si osserva che la ratio propria dell’agevolazione fiscale per la prima casa è quella di favorire l’acquisizione in proprietà dell’alloggio da destinare ad abitazione propria e quindi del proprio nucleo familiare. Ciò rende assolutamente prevalente la valutazione della causa che si connota anche per la funzione solutoria di obblighi legali di mantenimento, in forza della quale l’immobile acquistato con l’agevolazione fiscale e destinato a casa coniugale/familiare resta tale con il solo adeguamento alla sopravvenuta cessazione della convivenza tra i coniugi. Si aggiunge, inoltre, che tale conclusione è in linea sia con l’interpretazione di legittimità (Cass. n.860 del 2014) volta ad affermare la ricorrenza dei benefici in questione nel quadro degli accordi di negoziazione della crisi familiare, sia rispetto all’impostazione dei principali documenti di prassi del fisco.
4. L’orientamento favorevole alla tesi del contribuente deve essere condiviso e ad esso va data ulteriore continuità.
L’art. 1, nota 2-bis, Tariffa, Parte 1, n. 4, T.U.R., stabilisce che comporta la decadenza dai benefici per la prima casa la fattispecie infraquinquennale di “trasferimento per atto a titolo oneroso o gratuito degli immobili acquistati”.
Il trasferimento in attuazione dei patti di separazione è svincolato da qualsivoglia corrispettivo e non rappresenta un atto di donazione.
Ciò evidenza l’irragionevolezza della decadenza. Infatti, non essendo configurabile alcun intento speculativo e non avendo egli conseguito alcuna somma da reimpiegare per l’acquisto di una nuova casa, il contribuente non può essere sanzionato con la perdita dei benefici, mentre la fattispecie traslativa nell’ambito di accordi della crisi coniugale resta al di fuori perimetro dell’art. 1, nota 2- bis, Tariffa, Parte 1, n. 4, T.U.R..
La previsione della sanzione della decadenza per le vendite infraquinquennali, non seguite dal riacquisto di altro immobile, risponde all’esigenza di prevenire operazioni speculative di cessione con agevolazioni fiscali. Tali benefici sono diretti, infatti, favorire sul piano sociale l’acquisizione in proprietà della prima casa da destinare ad abitazione propria e quindi del consorzio coniugale e del nucleo familiare. Un intento speculativo, dunque, è sicuramente da escludere nel caso di cessione immobiliare senza corrispettivo ma rispondente all’esigenza di definizione dei rapporti tra coniugi in occasione della crisi definitiva del loro rapporto.
In tesi generale, gli accordi di separazione personale fra i coniugi, contenenti attribuzioni patrimoniali da parte dell’uno nei confronti dell’altro e concernenti beni mobili o immobili, non risultano collegati necessariamente alla presenza di uno specifico corrispettivo o di uno specifico riferimento ai tratti propri della donazione, e tanto più rispondono, di norma, ad un più specifico e più proprio originario spirito di sistemazione dei rapporti in occasione dell’evento di separazione consensuale (Cass. n. 5741 del 2004).
4.1. La fattispecie in esame – sfuggendo alle connotazioni classiche sia dell’atto di donazione vero e proprio (estraneo al contesto della separazione personale per la dissoluzione delle ragioni dell’affettività), sia dell’atto di vendita (stante la mancanza di un prezzo corrisposto) – rivela una caratterizzazione sua propria che può variamente colorarsi in ragione dell’eventuale ricorrenza o meno dei connotati di una sistemazione solutorio-compensativa più ampia e complessiva di tutta quella vasta serie di possibili rapporti, anche del tutto frammentati, aventi significati – o eventualmente solo riflessi – patrimoniali maturati nel corso della quotidiana convivenza matrimoniale (ult. cit.; conf. Cass. n. 5473 del 2006).
Ne discende la peculiare funzione economico-sociale – e la meritevolezza di tutela – di atti e convenzioni che i coniugi, nel momento della crisi matrimoniale, pongono in essere nell’intento di regolare sotto il controllo del giudice i loro rapporti patrimoniali conseguenti alla separazione o al divorzio, ivi compresi gli accordi che contengono il riconoscimento o il trasferimento della proprietà esclusiva di beni immobili all’uno o all’altro coniuge. Ne deriva la conseguenza fiscale che le agevolazioni di cui all’art. 19 si estendono ad ogni tipo di tassazione, indipendentemente dalla natura di imposta o di tassa in senso proprio del tributo concretamente in discussione (Cass. n. 7493 del 2002 e n. 16171 del 2003). Vale, infatti, la ratio di agevolare l’accesso alla tutela giurisdizionale, che motiva e giustifica l’esenzione fiscale dell’art. 19 con riguardo agli atti dei giudizi di separazione e divorzio in considerazione dell’esigenza di favorire e promuovere, nel più breve tempo, una soluzione idonea a garantire l’adempimento delle obbligazioni che gravano sui coniugi (C. cost. n.202 del 2003).
4.2. Si tratta di beneficio pacificamente applicabile sia che l’atto traslativo si compia davanti al giudice sia che sia compia invece al di fuori del contesto giudiziario in adempimento di un impegno a trasferire, anche verso i figli, specificamente assunto nella fase dinanzi al giudice (Cass. n.9117 del 1999; Circ. 21.6.2012, n. 27).
Dunque, l’art. 1, nota 2-bis, Tariffa, Parte 1, n. 4, T.U.R., laddove stabilisce la decadenza dai benefici per la prima casa in caso di cessione infraquinquennale non può trovare applicazione atteso che gli accordi traslativi raggiunti in sede di separazione – la cui utilità sociale deriva della natura stessa dei conflitti, personali prima ancora che patrimoniali, che detti atti sono funzionalmente destinati a dirimere” esulano dalle ordinarie cessioni commutative e permutative sanzionate dalla Tariffa, assolvendo quegli scopi di agevolazione e tutela definiti dalla giurisprudenza costituzionale a fondamento del peculiare regime fiscale di atti “non speculativi” ma correlati a giudizi di separazione e divorzio.
Diversamente opinando la decadenza del beneficio sarebbe immotivatamente penalizzante nei confronti del coniuge cedente, il quale, privatosi dell’abitazione, sarebbe esposto al pagamento delle maggiori imposte ordinarie e delle relative sanzioni ove, senza aver percepito alcunchè, non sia in grado di riacquistare un altro alloggio entro il termine legale di un anno, “il tutto con l’irragionevole conseguenza di ostacolare, piuttosto che favorire, la composizione dei rapporti familiari in crisi” (così in dottrina), con rilevanti ricadute di scarsa tenuta costituzionale.
5. Il ricorso va dunque accolto con immediata pronunzia di accoglimento nel merito della domanda introduttiva, non essendovi necessità di ulteriori accertamenti di fatto.
L’evolversi contrastante del dibattito giurisprudenziale giustifica la compensazione del spese processuali.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza d’appello e, decidendo nel merito, accoglie la domanda introduttiva; dichiara interamente compensate tra le parti le spese processuali.
Così deciso in Roma, il 9 novembre 2015.
Depositato in Cancelleria il 16 marzo 2016