202207.15
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Cass., sez. trib., 15 luglio 2022 (ord.), n. 22327 (testo)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 32999/2019 R.G., proposto da:

Agenzia delle Entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore Generale pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con sede in Roma, ove per legge domiciliata;

  • ricorrente –

contro

“TARGET S.r.l.”, con sede in (OMISSIS), in persona del presidente del consiglio di amministrazione pro tempore;

  • intimata –

Avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia – Romagna il 25 giugno 2018 n. 1693/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata (mediante collegamento da remoto, ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 27, comma 1, convertito, con modificazioni, dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, in virtù della proroga disposta dal D.L. 30 dicembre 2021, n. 228, art. 16, comma 3, in corso di conversione in legge, con le modalità stabilite dal decreto reso dal Direttore Generale dei Servizi Informativi ed Automatizzati del Ministero della Giustizia il 2 novembre 2020) del 15 giugno 2022 dal Dott. Giuseppe Lo Sardo.

Svolgimento del processo
CHE:

L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia – Romagna il 25 giugno 2018 n. 1693/12/2018, che, in controversia su impugnazione di avviso di liquidazione per l’imposta di registro in relazione alla riqualificazione di una pluralità di cessioni di beni strumentali da parte della “COLORI ITALIA S.r.l.” nei termini di un’unitaria cessione di azienda in forma verbale a favore della “TARGET S.r.l.”, in quanto tale sottoposta a registrazione d’ufficio, ha rigettato l’appello proposto dalla medesima nei confronti della “TARGET S.r.l.” avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Modena il 27 ottobre 2014 n. 763/03/2014, con condanna alla rifusione delle spese giudiziali. La Commissione Tributaria Regionale ha confermato la decisione di primo grado, sul presupposto che le plurime cessioni di beni strumentali (peraltro, talune a favore di soggetti diversi) non potessero equipararsi ad un”unica cessione di azienda. Il ricorso è affidato a due motivi. La “TARGET S.r.l.” è rimasta intimata. Con conclusioni scritte, Il P.M. ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

Motivi della decisione
CHE:

  1. Con il primo motivo, si denuncia violazione/falsa applicazione del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 15, comma 1, lett. d), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver erroneamente ritenuto il giudice di appello che la cessione di azienda presupponesse la prosecuzione dell’attività produttiva e/o commerciale da parte della cessionaria nei medesimi locali della cedente.
  2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione/falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., comma 1, anche in combinato disposto con il D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 15, comma 1, lett. d), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver erroneamente ritenuto il giudice di appello che l’operazione realizzasse una liquidazione dell’azienda per fronteggiare una situazione di crisi culminata nel licenziamento o nella ricollocazione dei dipendenti presso altre società, nonostante la conservazione in capo alla cedente del magazzino composto da ingenti quantità di materie prime e prodotti semilavorati.

RITENUTO CHE:

  1. I motivi – la cui stretta ed intima connessione suggerisce l’esame congiunto, per la comune attinenza alla questione della riconducibilità quoad effectum delle plurime cessioni di beni strumentali ad un’unitaria cessione di azienda – sono fondati.

1.1 Come è noto, il D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 15, comma 1, lett. d), prevede che: “In mancanza di richiesta da parte dei soggetti indicati all’art. 10, lett. a), b) e c) la registrazione è eseguita d’ufficio, previa riscossione dell’imposta dovuta: (…) d) per i contratti verbali di cui all’art. 3, lett. b) quando, in difetto di prova diretta, la loro esistenza risulti, continuando nello stesso locale o in parte di esso la stessa attività commerciale, da cambiamenti nella ditta, nell’insegna o nella titolarità dell’esercizio ovvero da altre presunzioni gravi, precise e concordanti”.

Il D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, richiamato art. 3, comma 1, lett. b), dispone, poi, che: “Sono soggetti a registrazione i contratti verbali: (…) b) di trasferimento e di affitto di aziende esistenti nel territorio dello Stato e di costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento sulle stesse e relative cessioni, risoluzioni e proroghe anche tacite”.

1.2 Secondo la lettura datane dal giudice di appello: “Il tenore della norma (…) risulta inequivoco, per poter procedere alla registrazione d’ufficio di un presunto contratto verbale di trasferimento di azienda è necessario preventivamente che sia verificato il fatto che vi sia stata continuità aziendale negli stessi locali, e solo in questo caso e (recte: è) poi possibile verificare i cambiamenti citati dalla norma ovvero la loro presunzione attraverso altre presunzioni purchè gravi, precise e concordanti”. Per cui, la permanente ubicazione dei beni strumentali nei medesimi locali rappresenterebbe il presupposto imprescindibile per verificare (anche in via presuntiva) l’effettivo trasferimento della titolarità dell’azienda da un soggetto ad un altro.

1.3 Tuttavia, questa esegesi non può essere condivisa, confliggendo con il tenore letterale e logico della disposizione in esame.

A ben vedere, al di là delle fattispecie caratterizzate dalla “prova diretta” (secondo l’accezione coniata dalla dottrina processualistica, ma nei limiti consentiti dalla peculiarità del rito tributario) della cessione, la norma sembra delineare e distinguere altre due fattispecie contrassegnate dalla “prova indiretta” della medesima: l’una fondata su una “presunzione legale” (art. 2728 c.c.), che è ravvisabile nell’accertamento della continuazione della medesima attività commerciale (secondo la diversificazione consacrata dall’art. 2195 c.c.) nello stesso locale (o in parte di esso) sulla base di cambiamenti relativi alla ditta, all’insegna o alla titdlarità dell’esercizio dell’impresa; l’altra fondata su una “presunzione semplice” (art. 2729 c.c.), che è ravvisabile nella concorrenza di altre circostanze gravi, precise e concordanti ai fini del riconoscimento del trasferimento del complesso aziendale.

Pertanto, si può ritenere che la immutata collocazione dei beni strumentali all’interno dei medesimi locali non è condizione imprescindibile per la prova presuntiva della cessione di azienda, che ben può essere desunta – sulla scorta di indizi connotati dai requisiti generali di gravità, precisione e concordanza – anche dalla continuazione dell’esercizio dell’impresa da parte del cessionario con il medesimo compendio di beni strumentali in altri locali.

Altrimenti ragionando, la prova presuntiva della cessione aziendale verrebbe ad essere inderogabilmente ancorata alla stabile permanenza dei beni strumentali nei locali originari dell’impresa ed ingenererebbe un’illogica e ingiustificata preclusione all’accertamento di una fattispecie traslative nel caso di spostamento dall’originaria sede e collocazione in altra sede del complesso aziendale.

1.4 Aggiungasi, altresì, che non occorre che la cessione riguardi la totalità dei beni aziendali, essendo sufficiente che il complesso dei cespiti ceduti (a prescindere dalla successiva integrazione con altri cespiti) sia idoneo all’esercizio dell’impresa da parte del cessionario.

Invero, è pacifico che la cessione di azienda è configurabile anche nel caso in cui il complesso degli elementi trasferiti non esaurisca i beni costituenti l’azienda o il ramo ceduti, qualora gli stessi conservino un residuo di organizzazione che ne dimostri l’attitudine, sia pure con la successiva integrazione del cessionario, all’esercizio dell’impresa, dovendo comunque trattarsi di un insieme organicamente finalizzato ex ante all’esercizio dell’attività d’impresa (tra le tante: Cass., Sez. 1, 9 ottobre 2009, n. 21481; Cass., Sez. 5, 8 maggio 201.3, n. 10740; Cass., Sez. 5, 11 maggio 2016, n. 9575; Cass., Sez. 5, 6 dicembre 2016, n. 24923; Cass., Sez. 5, 28 dicembre 2017, n. 31069; Cass., Sez. 2, 25 settembre 2018, n. 22710; Cass., Sez. 5, 17 novembre 2021, n. 34858).

Si deve, quindi, verificare che si tratti di un insieme organicamente finalizzato ex ante all’esercizio dell’attività di impresa, di per sè idoneo a consentire l’inizio o la continuazione di quella determinata attività. Si può, perciò, affermare che, se non è necessaria la cessione di tutti gli elementi che normalmente costituiscono l’azienda, deve tuttavia appurarsi che nel complesso di quelli ceduti permanga un residuo di organizzazione che ne dimostri l’attitudine all’esercizio dell’impresa, sia pure mediante la successiva integrazione da parte del cessionario. In sostanza, nel complesso dei beni ceduti deve permanere un residuo di organizzazione, che dimostri l’attitudine all’esercizio dell’impresa, sia pure con la successiva integrazione del cessionario (Cass., Sez. 1, 9 ottobre 2009, n. 21481; Cass., Sez. 5, 11 maggio 2016, n. 9575).

1.5 Nella specie, il giudice di appello ha fatto malgoverno dei principi enunciati, avendo ritenuto che “(…) in questo caso non ci si trova di fronte ad una cessione d’azienda ma ad una liquidazione della stessa stante la situazione di crisi evidenziata che ha portato al licenziamento di parte dei dipendenti o (al)la loro ricollocazione presso altre società, ed anche il fatto che la Colori Italiani sia rimasta proprietaria del magazzino composto da ingenti materie prime e semilavorati, dato che le due società interessate svolgevano sostanzialmente la stessa attività è di tutta evidenza che non è stata posta in essere una cessione ma semplicemente una liquidazione che ha provocato la cessione dei cespiti aziendali a diverse società e non solo nei confronti della Target”.

In tal modo, però, il giudice di appello si è astenuto da ogni accertamento in ordine all’idoneità del complesso di cespiti ceduti – con una pluralità di atti frazionati – dalla “Colori Italiani S.r.l.” alla “TARGET S.r.l.” a consentire l’autonomo esercizio di un’attività imprenditoriale, con la conseguente soggezione dell’unitario trasferimento all’imposta di registro, essendo irrilevante a tal fine che la cedente avesse conservato in magazzino ingenti quantità di materie prime e prodotti semilavorati per la prosecuzione dell’attività imprenditoriale.

  1. Alla stregua delle suesposte argomentazioni, dunque, il ricorso può trovare accoglimento e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio della causa alla Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia – Romagna, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia – Romagna, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale effettuata da remoto, il 15 giugno 2022.

Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2022