Cass., sez. lav., 22 marzo 2021 (ord. interloc.), n. 8003 (testo)
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza interlocutoria 26 gennaio – 22 marzo 2021, n. 8003
Presidente Manna – Relatore Buffa
Fatto e diritto
- Con sentenza del 14.4.17, la Corte di Appello di Reggio Calabria, davanti alla quale era appellata la sentenza 27.6.14 del Tribunale di Locri, ha dichiarato la nullità del giudizio di primo grado intercorrente tra la signora A. e l’Agenzia delle Entrate, Riscossione – per omessa integrazione del contraddittorio nei confronti dell’INPS ed ha rimesso la causa davanti al primo giudice.
- In particolare, premesso che il Tribunale (adito dalla sig.ra A., che aveva allegato di aver avuto per caso notizia di iscrizione a ruolo per i crediti portati dalle cartelle asseritamente mai notificate, contro le quali proponeva opposizione) aveva dichiarato la prescrizione di parte dei crediti, mentre per il resto aveva dichiarato inefficaci le cartelle per omessa notifica, la Corte territoriale ha rilevato che il ricorso non era stato notificato all’ente impositore, benchè basato su motivi di merito, in violazione del D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24.
- Avverso tale sentenza ricorreva la signora A. con due motivi, illustrati da memoria, cui resisteva l’Agenzia con controricorso.
- Con ordinanza interlocutoria n. 13948 del 22 maggio 2019, la sesta sezione di questa Corte ha rimesso la causa a questa sezione per l’esame in pubblica udienza.
- Con il primo motivo si deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione di legge ex art. 100 c.p.c. e del D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 19, per avere la sentenza impugnata trascurato la legittimazione esclusiva di Equitalia per atti (quali la notifica della cartella) successivi alla formazione del ruolo e la prescrizione maturata successivamente alla trasmissione a ruolo.
- Con il secondo motivo si deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione dell’art. 416 c.p.c., comma 2 e art. 420 c.p.c., comma 9, per avere la sentenza impugnata trascurato la tardività della costituzione di Equitalia in primo grado e la sua decadenza dall’eccezione relativa alla violazione del contraddittorio.
- Occorre premettere il quadro normativo di riferimento in materia di opposizione alla riscossione di crediti previdenziali.
- In generale, la materia è disciplinata dal D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, recante “Riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo, a norma della L. 28 settembre 1998, n. 337, art. 1”.
- L’art. 24 del citato decreto – rubricato “Iscrizioni a ruolo dei crediti degli enti previdenziali” – dopo aver stabilito al comma 1 che “i contributi o premi dovuti agli enti pubblici previdenziali non versati dal debitore nei termini previsti da disposizioni di legge o dovuti in forza di accertamenti effettuati dagli uffici sono iscritti a ruolo”, dispone al comma 5 (nel testo modificato dal D.L. n. 209 del 2002, art. 4, comma 2-quater, conv. con L. n. 265 del 2002), che “Contro l’iscrizione a ruolo il contribuente può proporre opposizione al giudice del lavoro entro il termine di quaranta giorni dalla notifica della cartella di pagamento. Il ricorso va notificato all’ente impositore”.
- In materia previdenziale – nella quale la notifica al debitore di un avviso di accertamento non costituisce, a differenza di quanto avviene in materia tributaria, atto presupposto necessario del procedimento (v. Cass. n. 4225 del 2018; n. 3269 del 2009) e l’iscrizione a ruolo (di cui la cartella di pagamento rappresenta l’estratto formato dall’agente della riscossione) reca la formalizzazione della pretesa debitoria da parte dell’Ente – l’opposizione alla cartella esattoriale dà luogo (secondo la giurisprudenza di questa Corte: cfr. Cass. n. 5763 del 2002; n. 13982 del 2007; n. 26359 del 2013; n. 12333 del 2015; nn. 11515 e 18262 del 2017; n. 8543 del 2018) ad un giudizio ordinario di cognizione sui diritti ed obblighi inerenti al rapporto previdenziale obbligatorio, con la conseguenza che la ritenuta illegittimità del procedimento di iscrizione a ruolo non esime il giudice dall’accertamento nel merito della fondatezza dell’obbligo di pagamento di premi e/o contributi.
- Nel giudizio di opposizione, ferma restando la legittimazione passiva dell’ente creditore, è invece ravvisabile una legittimazione residuale del concessionario nel caso in cui vengano in rilievo vizi formali della cartella e/o del procedimento di riscossione, che debbano farsi valere con opposizione agli atti esecutivi: lo si desume dal D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 29, comma 2, secondo il quale “Alle entrate indicate nel comma 1 (ossia, per quanto qui rileva, “quelle non tributarie”) non si applica la disposizione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 57, comma 1, come sostituito dall’art. 16 del presente Decreto e le opposizioni all’esecuzione ed agli atti esecutivi si propongono nelle forme ordinarie” (così Cass. n. 18691 del 2008 e succ. conf.).
- Ciò nonostante, non di rado un’unica opposizione introduce due diverse azioni: in tal caso, quella relativa al merito andrà notificata all’ente creditore (D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 5) e quella relativa alla regolarità formale della cartella al concessionario della riscossione, che è il soggetto cui è affidato l’esercizio dell’azione esecutiva.
- E’ poi ben possibile che, come accaduto nel caso di specie, il debitore intenda reagire alla riscossione del credito contributivo opponendosi all’iscrizione a ruolo tardivamente rispetto al termine previsto dal D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 5, ed a tal fine prospetti che – in realtà – la cartella non gli è stata notificata ovvero che a causa dell’irregolarità della notifica egli non ne abbia avuto conoscenza.
- In tali evenienze si è posto il problema dell’identificazione delle giuste parti, con esiti non omogenei tra le diverse Sezioni di questa Corte di legittimità.
- In materia tributaria, si ritiene che trovi applicazione del D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112, art. 39 (recante “Riordino del servizio nazionale della riscossione, in attuazione della delega prevista dalla L. 28 settembre 1998, n. 337”), rubricato “chiamata in causa dell’ente creditore”, secondo il quale “Il concessionario, nelle liti promosse contro di lui che non riguardano esclusivamente la regolarità o la validità degli atti esecutivi, deve chiamare in causa l’ente creditore interessato; in mancanza, risponde delle conseguenze della lite”.
- In applicazione di tale norma, Sez. U., Sentenza n. 16412 del 25/07/2007 (Rv. 598269-01) a fronte della possibilità per il contribuente di impugnare la cartella esattoriale, deducendone la nullità per omessa notifica dell’atto presupposto o contestando, in via alternativa, la stessa pretesa tributaria azionata nei suoi confronti, ha affermato che la legittimazione passiva spetta all’ente titolare del credito tributario e non già al concessionario, al quale, se è fatto destinatario dell’impugnazione, incombe – ai sensi del D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 39, l’onere di chiamare in giudizio il predetto ente, se non vuole rispondere dell’esito della lite, non essendo il giudice tenuto a disporre d’ufficio l’integrazione del contraddittorio, in quanto non è configurabile nella specie un litisconsorzio necessario.
- Il principio espresso dalle Sezioni Unite è stato poi ribadito dalla Sez. 5 della Corte, nelle sentenze n. 476 del 11/01/2008 (Rv. 601637-01), n. 15310 del 30/06/2009 (Rv. 608590-01), n. 13082 del 15/06/2011 (Rv. 617735-01) e da altre non massimate.
- La citata sentenza n. 16412/07 delle Sezioni Unite posta a fondamento di tale orientamento ha concluso che spetta al giudice tributario interpretare la domanda proposta e, inoltre, ha affermato che “(…) se l’azione del contribuente per la contestazione della pretesa tributaria a mezzo dell’impugnazione dell’avviso di mora è svolta direttamente nei confronti dell’ente creditore, il concessionario è vincolato alla decisione del giudice nella sua qualità di adiectus solutionis causa (v. Cass. n. 21222 del 2006); se la medesima azione è svolta nei confronti del concessionario, questi, se non vuole rispondere dell’esito eventualmente sfavorevole della lite, deve chiamare in causa l’ente titolare del diritto di credito. In ogni caso l’aver il contribuente individuato nell’uno o nell’altro il legittimato passivo nei cui confronti dirigere la propria impugnazione non determina l’inammissibilità della domanda, ma può comportare la chiamata in causa dell’ente creditore nell’ipotesi di azione svolta avverso il concessionario, onere che, tuttavia, grava su quest’ultimo, senza che il giudice adito debba ordinare l’integrazione del contraddittorio. La risposta non può essere diversa per il caso in cui il contribuente, a fondamento dell’impugnazione dell’atto consequenziale, abbia dedotto l’omessa notificazione dell’atto presupposto (…). Sicchè la legittimazione passiva resta in capo all’ente titolare del diritto di credito e non al concessionario il quale, se fatto destinatario dell’impugnazione, dovrà chiamare in giudizio il predetto ente, se non vuole rispondere dell’esito della lite, non trattandosi nella specie di vizi che riguardano esclusivamente la regolarità o la validità degli atti esecutivi: l’enunciato principio di responsabilità esclude (..) che il Giudice debba ordinare ex officio l’integrazione del contraddittorio, in quanto non sussiste tra ente creditore e concessionario una fattispecie di litisconsorzio necessario, anche in ragione dell’estraneità del contribuente al rapporto (di responsabilità) tra l’esattore e l’ente impositore”.
- Si è così formato l’orientamento, ormai consolidato, secondo il quale il contribuente che impugni una cartella esattoriale emessa dal concessionario della riscossione per motivi che attengano alla mancata notificazione, ovvero anche all’invalidità degli atti impositivi presupposti, può agire indifferentemente nei confronti tanto dell’ente impositore quanto del concessionario senza che tra i due soggetti sia configurabile un litisconsorzio necessario.
- Nello stesso senso, Cass. Sez. 6-5, Ordinanza n. 21220 del 28/11/2012 (Rv. 624480-01) e Sez. 5, Ordinanza n. 14991 del 15/07/2020 (Rv. 658358-01) hanno affermato che, nel processo tributario, il fatto che il contribuente abbia individuato nel concessionario, piuttosto che nel titolare del credito tributario, il legittimato passivo, nei cui confronti dirigere l’impugnazione, non determina l’inammissibilità della domanda, ma può comportare la chiamata in causa dell’ente creditore, onere che, tuttavia, grava sul convenuto, senza che il giudice adito debba ordinare l’integrazione del contraddittorio (conforme sul punto è anche Cass. n. 9250/19).
- Cass. Sez. 6-5, Ordinanza n. 3955 del 18/02/2020 (Rv. 657310-01) ha altresì affermato che, in caso di impugnazione dell’avviso di mora, la legittimazione passiva discende dalle contestazioni effettuate dal contribuente: essa spetta all’amministrazione, in quanto titolare del diritto di credito, e non al concessionario, in quanto mero destinatario del pagamento, quando venga contestata la stessa pretesa tributaria. In tale evenienza, tuttavia, se l’azione è rivolta nei confronti del concessionario, quest’ultimo, ai sensi del D.P.R. n. 43 del 1988, art. 40 e del D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 39, ha l’onere di chiamare in causa l’ente titolare al fine di evitare di rispondere dell’esito sfavorevole della lite, senza che l’eventuale omissione determini l’inammissibilità della domanda o imponga al giudice di ordinare l’integrazione del contraddittorio. Resta peraltro fermo, in presenza di contestazioni involgenti il merito della pretesa impositiva, l’onere per l’agente per la riscossione di chiamare in giudizio l’ente impositore, D.Lgs. n. 112 del 1999, ex art. 39, così da andare indenne dalle eventuali conseguenze negative della lite.
- In tema, e con specifica lettura del D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 39,Cass. Sez. II, Sentenza n. 14125 dell’11/7/2016, non massimata, ha però affermato che il concessionario ha una generale legittimazione passiva nelle controversie aventi ad oggetto la riscossione delle somme di cui è incaricato.
- Infatti, quando venga proposta contestualmente un’opposizione agli atti esecutivi e all’esecuzione, quest’ultima risulta correttamente indirizzata all’agente di riscossione che ha provveduto alla notificazione della cartella esattoriale: ciò la suddetta sentenza n. 14125/16 afferma in base al rilievo che l’agente di riscossione è il soggetto dal quale proviene l’atto oggetto dell’opposizione (per la valorizzazione di tale profilo nel giudizio in cui si fa questione della pretesa azionata attraverso la cartella esattoriale, cfr. Cass. 7 agosto 2003, n. 11926; Cass. 18 giugno 2002, n. 8759; Cass. 9 aprile 2001, n. 5277; nella giurisprudenza successiva la legittimazione dell’esattore è, invece, per lo più argomentata avendo riguardo all’incidenza che un’eventuale pronuncia di annullamento della cartella può avere sul rapporto esattoriale: v. Cass. 10 novembre 2004, n. 21398; Cass. 20 novembre 2007, n. 24154; Cass. 21 maggio 2013, n. 12385; Cass. 29 gennaio 2014, n. 1985).
- Dunque, secondo tale interpretazione l’esattore è da considerare, in linea generale, legittimato passivo rispetto all’azione proposta dal destinatario della cartella in base alla disciplina dei servizi di riscossione.
- L’art. 39 – prosegue Cass. n. 14125/16 cit. serve sicuramente a far sì che il concessionario, convenuto in giudizio dall’opponente, assolvendo all’onere di chiamare in causa l’ente impositore conservi verso quest’ultimo il diritto di manleva relativamente alle spese del giudizio in caso di soccombenza del concessionario medesimo, diritto di manleva che invece perde se non chiama in causa l’ente impositore: “Dovendosi escludere che la legittimazione dell’agente di riscossione dipenda dall’estensione del contraddittorio all’ente impositore, posto che una tale soluzione finirebbe per far discendere l’esistenza della suddetta legittimazione dalla partecipazione al giudizio di un determinato soggetto – il che è del tutto incongruo -, deve credersi, infatti, che la chiamata in causa ponga semplicemente l’esattore nella condizione di domandare al giudice di essere sollevato dalle conseguenze della soccombenza, e cioè di richiedere che il peso della condanna al pagamento delle spese processuali in favore dell’opponente vittorioso sia riversato sull’ente impositore”.
- Sempre muovendo dalla previsione del citato articolo e dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 16412/07, la citata sentenza n. 14125/16 rileva che l’avere il contribuente individuato nell’esattore il legittimato passivo nei cui confronti dirigere la propria opposizione non determina l’inammissibilità della domanda, gravando sullo stesso agente di riscossione l’onere di chiamare in giudizio l’ente impositore, se non vuole rispondere dell’esito della lite, “sicchè l’interessato potrà proporre l’azione indifferentemente nei confronti dell’uno o dell’altro soggetto, senza che tra costoro si realizzi una ipotesi di litisconsorzio necessario”.
- L’interpretazione indicata pare in linea con la lettera del D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 39 e con una sua interpretazione che supponga – implicitamente, ma in maniera inequivocabile – che ove si contesti anche l’esistenza stessa del credito contributivo (di cui ad esempio, come nel caso di specie, si eccepisce la prescrizione) vi sia legittimazione passiva concorrente anche del concessionario: la chiamata in causa e la responsabilità per le spese di lite previste dalla richiamata norma, infatti, presuppone comunanza di causa e legittimazione passiva del chiamante ovvero del soggetto altrimenti responsabile delle spese.
- In quest’ottica appare logico ritenere che non sussista il litisconsorzio necessario con l’ente impositore, vuoi per lo stesso tenore letterale della norma (l’integrazione del contraddittorio non è mai affidata ad una libera scelta della parte o del giudice, ma è obbligatoria e il suo difetto è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado), vuoi perchè un contraddittorio non integro determina sempre nullità del procedimento e della sentenza (che qui la norma sembra escludere proprio nel momento in cui prevede la possibile responsabilità nelle spese del concessionario convenuto, esito processuale – questo – consentito solo supponendo, appunto, una decisione nel merito a carico di una parte munita di legittimazione passiva).
- Numerose sentenze di questa Corte (Sez. 1, Sentenza n. 9016 del 05/05/2016, Rv. 639535-01, n. 5474 del 2017, Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 13929 del 22/05/2019, Rv. 654264-01, e da ultimo Sez. 1, Ordinanza n. 24589 del 02/10/2019, Rv. 655338-01) sulla legittimazione del concessionario in seno al procedimento fallimentare, hanno affermato, in tema di riscossione dei contributi previdenziali mediante iscrizione a ruolo, che nel giudizio promosso dal concessionario o instaurato nei suoi confronti deve escludersi la configurabilità di un litisconsorzio necessario con l’ente creditore, non assumendo a tal fine alcun rilievo che la domanda (proposta, nella specie, con l’opposizione allo stato passivo fallimentare) abbia ad oggetto non la regolarità o la ritualità degli atti esecutivi, ma l’esistenza stessa del credito, posto che l’eventuale difetto del potere di agire o di resistere in ordine a tale accertamento comporta l’insorgenza solo di una questione di legittimazione, la cui soluzione non impone la partecipazione al giudizio dell’ente creditore, dovendo ricondursi la chiamata in causa di quest’ultimo, prevista dal D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 39, all’art. 106 c.p.c. (parlano, invece, di mera litis denuntiatio Cass. n. 16685/19 e Cass. n. 9250/19, entrambe della Sez. V di questa Corte), chiamata in causa rimessa alla valutazione discrezionale del giudice del merito, il cui esercizio non è censurabile nè sindacabile in sede d’impugnazione.
- In contrasto con tale orientamento, la Sezione Lavoro di questa Corte, con la sentenza n. 12450 del 16/06/2016 (Rv. 640372-01), ha affermato che, nell’opposizione allo stato passivo fallimentare promossa dal concessionario dei servizi di riscossione di contributi previdenziali del D.Lgs. n. 46 del 1999, ex art. 24, qualora il debitore deduca fatti o circostanze che incidono sul merito della pretesa creditoria, o eccepisca in compensazione un proprio controcredito, sussiste il litisconsorzio necessario con l’ente impositore, unico reale legittimato a stare in giudizio, essendo quella del concessionario una legittimazione meramente processuale.
- Anche secondo Sez. L, Sentenza n. 594 del 15/01/2016 (Rv. 638246-01), nell’opposizione a cartella esattoriale relativa a contributi previdenziali proposta ai sensi dell’art. 615 c.p.c., sussiste la legittimazione passiva necessaria del concessionario allorchè si deduca un vizio di notifica degli atti (nella specie, l’omessa tempestiva notifica della cartella determinante la prescrizione del credito) che, in caso di accoglimento dell’opposizione, potrebbe incidere sul rapporto con l’ente impositore, titolare della potestà sanzionatoria sottesa al conseguente inserimento nei ruoli trasmessi.
- Più recentemente, tuttavia, questa Sezione Lavoro ha diversamente valutato la questione (Sez. L, Ordinanza n. 5625 del 26/02/2019, Rv. 652893-01), affermando che l’agente per la riscossione non è litisconsorte necessario nella controversia avente ad oggetto esclusivamente il diritto di credito contributivo (nella specie, decadenza per tardiva iscrizione a ruolo, sussistenza del credito e sua estinzione per avvenuto pagamento), perchè l’eventuale annullamento della cartella per vizi sostanziali produce comunque effetti “ultra partes” verso l’esattore, senza necessità che questi abbia partecipato al processo. Secondo quest’ultima pronuncia, in effetti, l’ordine di integrazione del contraddittorio da parte del giudice di primo grado non si giustifica ove l’oggetto del contendere riguardi questioni attinenti al solo creditore procedente, atteso che “la sentenza è utiliter data anche senza la partecipazione al processo dell’agente della riscossione (Cass. 16 gennaio 2009, n. 933; Cass. 12 maggio 2008, n. 11687); infatti l’eventuale annullamento della cartella e del ruolo, per vizi sostanziali del ruolo stesso, produce comunque effetti ultra partes verso l’esattore; la situazione giuridica di quest’ultimo, quale mero titolare del diritto all’attuazione in concreto della sola tutela esecutiva, è infatti priva di autonomia rispetto al diritto a procedere ad esecuzione forzata per effetto del ruolo, che è in capo all’ente creditore e che lo esercita attraverso il c.d. esattore, mentre quest’ultimo non ha alcun interesse giuridicamente tutelato, a che il ruolo sia confermato nella sua legittimità sostanziale. Pertanto la pronuncia caducatoria del ruolo per ragioni attinenti alla legittimità sostanziale di esso, fa automaticamente venire meno il potere di riscossione in capo all’esattore, senza necessità che, proprio per l’assenza di un suo interesse giuridicamente tutelato, egli partecipi al processo”.
- A quest’ultimo orientamento fa riferimento poi Cass. Sez. L, Sentenza n. 16425 del 19/06/2019 (Rv. 654476-01), che lo ritiene rispondente sia ai principi generali in materia di opposizione all’esecuzione sia alle peculiarità della riscossione dei crediti contributivi, crediti il cui eventuale accertamento negativo non può che comportare un pieno giudizio sul rapporto contributivo (che non è omogeneo rispetto al giudizio sull’impugnazione degli atti tipici della procedura tributaria o a quello di opposizione all’ordinanza-ingiunzione, alla base dei precedenti su richiamati).
- Tale pronuncia ha preso le mosse dalla considerazione che, “in tema di riscossione di contributi previdenziali, l’opposizione contro l’avviso di mora (ora intimazione ad adempiere) con cui si faccia valere l’omessa notifica della cartella esattoriale e si deducano fatti estintivi del credito ha la funzione di recuperare l’impugnazione non potuta esercitare contro la cartella non notificata, che costituisce presupposto indefettibile dell’avviso, sicchè l’opposizione va qualificata come all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. e non agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. (cfr. Cass. n. 28583 del 2018; Cass. n. 594 del 2016; Cass. n. 24215 del 2009; Cass. n. 6119 del 2004) (…) ed altro non è che un tipo di azione di accertamento negativo del credito (cfr., ad es., Cass. n. 12239 del 2007)”.
- Sulla base di tale presupposto, la sentenza ha da un lato ritenuto non configurabile un’ipotesi di litisconsorzio necessario tra l’ente creditore e il concessionario del servizio di riscossione: “l’agente per la riscossione non è litisconsorte necessario nella controversia avente ad oggetto esclusivamente l’accertamento nel merito della pretesa contributiva dell’INPS, giacchè un eventuale annullamento della cartella per vizi sostanziali produce comunque effetti ultra partes nei confronti dell’esattore, senza necessità che questi abbia partecipato al processo. Si tratta di una delle ipotesi di cd. efficacia riflessa del giudicato quando vi sia un nesso di pregiudizialità-dipendenza giuridica, che però si ha solo allorquando un rapporto giuridico, pregiudiziale o condizionante, rientri nella fattispecie di altro rapporto giuridico, dipendente o condizionato (cfr. Cass., Sez. U. n. 6523 del 2008). Del pari non sussiste litisconsorzio necessario sostanziale quando il giudizio sia stato promosso dal concessionario o, come avvenuto nel caso di specie, lo sia stato nei suoi confronti”.
- Dall’altro lato, la sentenza ha considerato che il concessionario che sia stato convenuto può difendersi anche solo negando la propria legittimazione passiva o negando di essere titolare del rapporto oggetto di lite (nominatio auctoris o laudatio auctoris): “A riguardo non importa che la domanda abbia ad oggetto la (in)esistenza del credito, anzichè la regolarità o la validità degli atti esecutivi, dal momento che l’eventuale difetto del potere di agire o resistere in ordine all’accertamento del credito non determina la necessità di procedere all’integrazione del contraddittorio nei confronti del soggetto che ne risulti effettivamente titolare, ma determina solo una questione di legittimazione, per la cui risoluzione è opportuna, ma non indispensabile (v. giurisprudenza sugli artt. 106 e 107 c.p.c., sopra citata), la partecipazione al giudizio dell’ente creditore”.
- La sentenza, in conclusione, ha confermato la decisione di merito che aveva rigettato la domanda per difetto di legittimazione passiva, senza ravvisare la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti dell’ente creditore (fattispecie relativa ad una ipotesi in cui il debitore, ottenuto il rilascio dell’estratto di ruolo dall’agente della riscossione, aveva evocato in giudizio solo quest’ultimo e aveva chiesto dichiararsi l’avvenuta prescrizione della pretesa contributiva dell’ente previdenziale, senza lamentare l’invalidità di alcun atto esecutivo).
- Per altro verso, la sentenza da ultimo richiamata ha negato l’applicazione del D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 39, invocato nel caso dal ricorrente, e ciò per due ordini di ragioni: da un lato in quanto si tratta di “norma eccezionale che, in deroga ai principi generali e con disposizione di favore per il privato, pone a carico del concessionario convenuto l’onere di chiamare in causa l’ente impositore, altrimenti il concessionario medesimo è responsabile delle conseguenze della lite pur non essendo egli – a rigor di logica – il legittimato passivo per le questioni inerenti al merito della pretesa creditoria”; dall’altro lato in quanto l’onere di chiamata in causa dell’ente creditore sussiste solo quando si discuta di vizi formali degli atti esecutivi e, al contempo, anche del merito della pretesa creditoria dell’ente impositore, mentre in quel caso l’opponente non aveva prospettato alcun vizio formale degli atti esecutivi se non quello, proposto in via incidentale, relativo alla notifica della cartella al fine di impedire la pronuncia di decadenza, con accertamento negativo del diritto di credito oggetto della riscossione.
- Come già evidenziato nelle richiamate pronunce, nel giudizio promosso contro il concessionario e avente ad oggetto l’inesistenza del credito (e non anche la validità degli atti esecutivi), l’eventuale difetto del potere di resistere determinerebbe solo una questione di legittimazione passiva; dall’altro lato, la legittimazione passiva in tali giudizi è solo dell’ente creditore, sicchè la domanda nei confronti del solo concessionario sarebbe inammissibile per difetto di legittimazione passiva, non potendo essere attribuita la qualità di parte all’agente della riscossione, mero destinatario di pagamento e non contitolare del diritto di credito (in tal senso, anche Cass. Sez. VI-L, ordinanza n. 5886 del 12.3.18).
- In tale contesto giurisprudenziale non univoco, il Collegio dubita in primo luogo dell’applicabilità del D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 39, alla materia previdenziale, essendo questa regolata con autonomo specifico provvedimento normativo (il D.Lgs. n. 46 del 1999 e succ. mod.).
- Le stesse Sezioni Unite di questa Corte, nella sentenza n. 23397 del 25/10/2016, occupandosi del problema della conversione del termine di prescrizione breve dei contributi previdenziali in quello ordinario ai sensi dell’art. 2953 c.c., a seguito della scadenza del termine per proporre opposizione a cartella di pagamento di cui al D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 5, hanno evidenziato (par. 19.2) che “dalla complessiva lettura del D.Lgs. n. 112 del 1999 e dai minimi riferimenti espressi in esso contenuti alla riscossione dei contributi effettuata dagli Enti previdenziali (vedi dello stesso D.Lgs. n. 112 cit., art. 22, comma 1 e art. 61), si trae conferma del fatto che si tratta di un decreto principalmente rivolto alla riscossione dei tributi”.
- Inoltre, nel sistema di disciplina della riscossione dei contributi previdenziali a mezzo ruolo esattoriale, l’art. 24, su richiamato prevede l’onere della parte di notificare il ricorso (in opposizione) al solo ente impositore, una legittimazione del concessionario residuando solo in caso di opposizione agli atti esecutivi, ipotesi che – secondo Cass. n. 16425/19, cit. – non ricorre allorchè eventuali vizi di notifica della cartella vengano fatti valere solo in funzione recuperatoria dell’opposizione all’esecuzione.
- In tale contesto, ritenere l’applicabilità del D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 39, anche alla specifica materia previdenziale sembra distonico rispetto alla modifica apportata al D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 5, D.L. n. 209 del 2002, art. 4, comma 2-quater (conv. con L. n. 265 del 2002), che ha soppresso la necessità di notificare al concessionario il ricorso in opposizione alla cartella esattoriale, rendendolo sostanzialmente terzo estraneo al relativo processo, che ha come parte necessaria il solo ente previdenziale.
- Anche a voler limitare l’applicazione del cit. art. 39, in ambito di riscossione dei contributi previdenziali, alla sola ipotesi in cui l’opponente, pur convenendo in giudizio il solo concessionario, proponga contestualmente un’opposizione all’esecuzione e un’opposizione agli atti esecutivi, ad ogni modo si determinerebbe l’aporia di un giudizio sul merito della pretesa contributiva che contrariamente a quanto disposto dal vigente testo del D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 5, che è stato modificato in epoca successiva all’entrata in vigore dell’art. 39 cit. – si potrebbe svolgere in assenza dell’ente previdenziale.
- Si può, peraltro, dubitare anche delle conseguenze di carattere processuale che le Sezioni Unite di questa Corte, nella citata sentenza n. 16412/07, e ancor più la Sezione seconda di questa Corte, con la sentenza n. 14125/16, hanno ritenuto di ricavare dalla previsione del D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 39.
- La disposizione in esame, infatti, si inserisce in un contesto normativo che – parafrasando quanto asserito da Cass. S.U. n. 23397/16, cit., sia pure riguardo ai precedenti artt. 19 e 20 – non ha alcuna attinenza ai rapporti tra contribuente ed ente impositore, concernendo piuttosto i rapporti tra ente impositore ed agente della riscossione, come risulta evidente ove si consideri che il Capo H del D.Lgs. n. 112 cit., contiene i “Principi generali dei diritti e degli obblighi del concessionario”.
- Più in particolare, dubita il Collegio che da una previsione che fa obbligo al concessionario di chiamare in causa l’ente creditore “nelle liti promosse contro di lui che non riguardano esclusivamente la regolarità o la validità degli atti esecutivi” possa derivarsi, come invece ritenuto da Cass. S.U. n. 16412/07, che “l’aver il contribuente individuato nell’uno o nell’altro il legittimato passivo nei cui confronti dirigere la propria impugnazione non determina l’inammissibilità della domanda, ma può comportare la chiamata in causa dell’ente creditore nell’ipotesi di azione svolta avverso il concessionario, onere che, tuttavia, grava su quest’ultimo, senza che il giudice adito debba ordinare l’integrazione del contraddittorio”, ovvero – come argomentato da Cass. n. 14125/16 – comporta una generale legittimazione passiva del concessionario nelle controversie aventi ad oggetto la riscossione delle somme di cui è incaricato.
- Il dubbio del Collegio deriva dal fatto che per effetto del cit. D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 39, dovrebbe logicamente attribuirsi al concessionario la qualità di sostituto processuale ex art. 81 c.p.c., dell’ente creditore ogni qual volta contro il concessionario medesimo siano stati denunciati in lite vizi non attinenti esclusivamente alla regolarità o alla validità degli atti esecutivi; per l’effetto, pur in mancanza di chiamata in causa ex art. 106 c.p.c. (o di notifica a fini di mera litis denuntiatio), al sostituito – ossia all’ente creditore – sarebbe opponibile qualunque decisione circa il merito della pretesa.
- E’ pur vero che – come sopra notato – la possibile soccombenza nelle spese, evocata dal cit. art. 39, del concessionario convenuto implica che quest’ultimo sia legittimato ad causam, così come implica tale legittimazione il rilievo che, sempre ex art. 39 cit., il concessionario possa chiamare in causa l’ente creditore, atteso che la chiamata ex art. 106 c.p.c., proviene dal soggetto correttamente convenuto che pretenda di essere garantito da un terzo o che ritenga che la causa gli sia comune; sostanzialmente non dissimile è l’implicazione anche qualificando quella dell’art. 39 cit. come mera litis denuntiatio.
- Nondimeno il Collegio dubita che la sopra ipotizzata sostituzione processuale del concessionario nei confronti dell’ente creditore (predicabile ove il futuro giudicato si ritenga, coerentemente, opponibile anche all’ente creditore che non abbia partecipato al giudizio) sia stata sia pure implicitamente – prevista in una norma inserita nell’ambito di una disciplina, di carattere eminentemente sostanziale, dei rapporti tra concessionario ed ente creditore, per di più ove si consideri che il tenore testuale dell’art. 39, prevede che sia il concessionario (e non già l’ente creditore) a dover “rispondere” delle conseguenze della lite: sembra piuttosto di poter sostenere che la norma in esame valga a porre a carico del concessionario uno specifico obbligo (sostanziale) di chiamare in causa l’ente creditore per potergli successivamente riversare non solo gli oneri (processuali) dell’essersi difeso nel processo, ma soprattutto per potersi avvalere di quella che Cass. S.U. n. 23397/16, cit., ha individuato come l’implicazione “più qualificante del riordino della riscossione fiscale effettuato dal D.Lgs. n. 112 cit., sulla premessa dell’avvenuta eliminazione (…) del preesistente obbligo del non riscosso come riscosso, in base al quale a carico dell’esattore prima e del concessionario poi gravava l’onere di versare alle prescritte scadenze all’ente impositore l’ammontare pro rata dei crediti iscritti a ruolo, anche se non pagati dal debitore”.
- Come chiarito dalle Sezioni Unite, nella sentenza ult. cit., “l’abolizione di tale obbligo, infatti, ha portato ad un incisivo mutamento dei rapporti tra l’ente impositore e l’agente della riscossione, nel senso che a decorrere dal 1999 quest’ultimo non è dunque più tenuto a riversare all’ente impositore le somme eventualmente corrispondenti ai ruoli trasmessi, ma deve versare soltanto ciò che effettivamente riesce a riscuotere, tempo per tempo”.
- Pertanto, sembra più ragionevole supporre che l’art. 39 cit., ove lo si ritenga applicabile pure in tema di riscossione di contributi previdenziali, anzichè prevedere (anche) un’ipotesi particolare di sostituzione processuale del concessionario rispetto all’ente creditore, si limiti a dettare (solo) una (ulteriore) norma per favorire il controllo dell’ente creditore sull’operato dell’agente della riscossione nel recupero delle somme iscritte a ruolo, al fine di valutare la legittimità di un’eventuale successiva richiesta di discarico per inesigibilità.
- Poichè l’iter ricostruttivo che precede evidenzia orientamenti non univoci nella giurisprudenza delle diverse sezioni e segnala una questione di massima di particolare importanza quanto ai profili sistematici e alle ricadute di indubbio impatto economico che derivano dalle opzioni interpretative sopra delineate, il Collegio ritiene di rimettere il ricorso al Primo Presidente affinchè valuti l’opportunità di assegnarlo alle Sezioni Unite.
P.Q.M.
La Corte trasmette il fascicolo al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.