Cass., sez. III pen., 6 novembre 2015, n. 44644 (testo)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNINO Saverio F. – Presidente –
Dott. MULLIRI Guicla – Consigliere –
Dott. DI NICOLA Vito – Consigliere –
Dott. ANDREAZZA Gastone – rel. Consigliere –
Dott. MENGONI Enrico – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli;
nel procedimento nei confronti di:
D.L., n. a (OMISSIS);
avverso la ordinanza del Tribunale di Napoli in data 04/03/2015;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Gastone Andreazza;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. CARDINO A., che ha concluso per il rigetto del primo motivo relativo al primo sequestro e per l’annullamento senza rinvio per il secondo motivo in relazione al secondo sequestro;
udite le conclusioni del Difensore di fiducia Avv. Stile A., che ha concluso per l’inammissibilità od il rigetto.
Svolgimento del processo
1. Il Tribunale di Napoli, con ordinanza del 4.3.2015, ha accolto le riunite istanze di riesame proposte da D.L., annullando i decreti di sequestro preventivo per equivalente disposti dal G.i.p. del Tribunale di Napoli del 29.9.2014 e del 20.10.2014 per i reati di dichiarazione infedele a seguito dell’indicazione di elementi passivi fittizi relativamente agli anni di imposta 2008 (capo a) e 2010 (capo b della provvisoria incolpazione).
2. Ricorre il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, deducendo vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) per inosservanza ed erronea interpretazione delle norme penali e quelle dalle stesse richiamate (processuali e non).
Il Tribunale avrebbe attribuito, in relazione al delitto di cui al capo a), rilevanza decisiva alla sentenza della Commissione tributaria rispetto alle autonome valutazioni del giudice, contraddicendo la necessaria valenza delle stesse. Non vi sarebbe alcuna prova dell’irrevocabilità della decisione, neppure dedotta dalla parte; tale circostanza risulterebbe pregiudiziale rispetto ad una valutazione necessitata. In ogni caso la decisione avrebbe dovuto essere analizzata rispetto alla specifica motivazione, non potendo essere recepita passivamente nel suo contenuto. Detta decisione riguarderebbe esclusivamente la valutazione della sussistenza o meno del requisito dell’inerenza dei costi di cui al recupero per Euro 998.000,00 e non la loro fittizietà o meno, avendo ritenuto il giudice tributario che tale fittizietà non fosse stata contestata e vertendo il giudizio unicamente sulla inerenza degli stessi alla gestione societaria. Detta valutazione non rileverebbe nella fattispecie in esame, in quanto la contestazione sarebbe relativa, esclusivamente, alla fittizieta dei costi indicati, secondo gli elementi necessari ad integrare il fumus commissi delicti.
Rileva il ricorrente gli elementi dai quali si desumerebbe la fittizietà del contratto di service tra la branch office svizzera dei Fratelli D’Amato International SA e la società verificata, fondanti la deduzione fiscale ai fini Ires per Euro 998.928 (anno 2008) e per il successivo anno 2010: assenza di prova e documentazione delle prestazioni, presenza di altro contratto similare sottoscritto con altra società controllata del Regno, attività precedentemente svolta da persone impiegate presso la società verificata, poi assunte dalla società Fratelli D’Amato, modalità di attuazione del contratto indicate genericamente come realizzate via mail, senza documentazione comprovante l’effettività del servizio, assenza di documenti inerenti trattative o indagini di mercato, costo superiore a quelli precedenti, mancanza di criteri per la formazione del prezzo, presenza di abilità professionali in house, adeguate allo scopo, assenza di data certa, irrilevanza di offerta di contratto prodotta relativa ad altra società.
Il giudice del riesame, invece avrebbe omesso qualsiasi valutazione sull’evidenza che l’attività fosse soltanto cartolare, limitandosi a valutare solo la questione dell’inerenza.
In relazione all’imputazione di cui al capo b), il collegio avrebbe ritenuto necessaria, per l’accertamento dell’eventuale profitto, la verifica del comportamento del contribuente per gli anni d’imposta successivi, per verificare l’effettività del beneficio fiscale, conseguente alle fittizie poste passive indicate per l’anno 2010.
Il ricorrente ritiene, invece, che l’avvenuta sottrazione all’imposizione di elementi attivi per complessivi Euro 4.039.103,00 e l’evasione Ires per complessivi 1.110.753,00 comporterebbe un credito d’imposta per l’anno successivo rilevandosi un profitto immediatamente riconducibile al reato, in quanto risparmio di spesa “per il futuro”. Il fatto che tale risparmio di spesa debba essere stato effettivamente conseguito, non rileverebbe ai fini del sequestro del profitto, atteso che tale evenienza comporterebbe, molto probabilmente, la sussistenza di altro autonomo reato e dovendo l’esistenza del profitto individuarsi istantaneamente, per gli effetti dell’infedele dichiarazione rispetto alla pretesa fiscale.
Chiede, pertanto, l’annullamento dell’ordinanza impugnata, applicando la misura cautelare del sequestro preventivo in ordine ai reati rubricati.
2. Ha presentato memoria la difesa dell’indagato chiedendo l’inammissibilità od il rigetto del ricorso.
Motivi della decisione
3. Il ricorso è fondato limitatamente all’addebito relativo al periodo di imposta 2008 per il quale è intervenuto il sequestro del 20/10/2014.
Il Tribunale ha sostanzialmente motivato la mancanza di fumus relativo all’addebito contestato al capo a) di cui all’art. 4 del D.Lgs., e rappresentato dall’indicazione di elementi passivi fittizi in dichiarazione consistiti in costi sostenuti per un contratto di fornitura di servizi stipulato con la società controllante Fratelli D’Amato International S.A., sulla base dell’adesione al contenuto di sentenza di Commissione Tributaria Provinciale che ha annullato avviso di accertamento relativamente al medesimo punto in contestazione, precisando di condividere, senza migliore specificazione, le conclusioni di tale sentenza.
Tale motivazione, tuttavia, non appare superare i confini di una mera apparenza, di per sè idonea, allora, a consentire il sindacato da parte di questa Corte del provvedimento, impugnabile unicamente per violazione di legge secondo i principi più volte affermati (da ultimo, Sez. n. 6589 del 10/1/2013, Gabriele, Rv. 254893), per violazione dell’art. 125 c.p.p..
Infatti, se pure è vero che, per come riportato dalla stessa ordinanza impugnata, secondo tale sentenza la Agenzia delle Entrate non avrebbe “indicato in maniera chiara ed univoca le ragioni per cui tali costi sono ritenuti fittizi”, il Tribunale avrebbe dovuto evidentemente spiegare le ragioni della condivisione della decisione tenuto conto, da un lato, della sottrazione del giudizio penale rispetto a qualunque vincolo derivante dalla valutazione del giudice tributario (pena, diversamente, la surrettizia reintroduzione della abolita “pregiudiziale tributaria”), e, dall’altro, dello specifico ambito cautelare di per sè non richiedente, quanto al fumus commissi delicti, un grado di “univocità” degli elementi, ma unicamente, pur dovendo tenersi conto delle deduzioni e allegazioni difensive, la plausibile sostenibilità dell’impostazione accusatoria e di un giudizio prognostico negativo per l’indagato (cfr., Sez. 5, n. 49596 del 16/09/2014, Armento, Rv. 261677).
4. A diversa conclusione deve invece giungersi con riguardo all’addebito di cui al capo b) relativo all’anno di imposta 2010 per il quale è intervenuto il sequestro del 29/09/2014.
E’ incontestato, anche dallo stesso ricorrente, che, a fronte di costi ritenuti non deducibili, in conseguenza della natura fittizia degli stessi, per un ammontare di complessivi Euro 4.039.103, la società dell’indagato abbia dichiarato, per il medesimo anno di imposta, una perdita complessiva di Euro 7.464.946,00 Euro, sicchè l’infedeltà contestata comporterebbe al più la rettifica di una minor perdita di Euro 3.425.843,00.
Ciò posto, il Tribunale, pur ponendo in rilievo che, per effetto della minore perdita di Euro 3.425.843,00, la società si sarebbe comunque assicurata “il beneficio di pagare meno del dovuto negli anni successivi, potendo dedurre dal proprio reddito le perdite fiscali appostate nella dichiarazione relativa al 2010”, ha tuttavia ritenuto mancante un profitto certo e non solo ipotetico stante la mancanza di ogni dato relativo al reddito dichiarato negli anni di imposta successivi a quello di riferimento.
Ora, non vi è dubbio che, pur essendo del tutto esatto l’assunto del P.M. ricorrente secondo cui ben può il profitto del reato oggetto del sequestro preventivo consistere in un risparmio di imposta, come ripetutamente affermato da questa Corte, anche, da ultimo, nella composizione a sezioni unite (cfr. Sez. U., n. 18374 del 31/01/2013, Adami, Rv. 255036), lo stesso debba tuttavia essere “effettivo” e non meramente virtuale (ovvero “futuro” come definito dallo stesso ricorrente) come finirebbe per essere, invece, una perdita minore rispetto a quella dichiarata in mancanza, appunto, di elementi che consentano di “tradurre” la stessa in un risparmio di imposta per gli anni successivi. In ogni caso, anche ad accettare l’impostazione del P.M. ricorrente, non più del reato contestato di dichiarazione infedele dovrebbe discorrersi, ma, semmai, di indebita compensazione di crediti di imposta non spettanti o inesistenti D.Lgs. n. 74 del 2000, ex art. 10 quater.
E tutto ciò, si badi, anche al di là della necessità di una evasione di imposta come elemento necessariamente caratterizzante il reato di dichiarazione infedele ed oggettivamente non rinvenibile in ipotesi, come nella specie, di dichiarazione che, pur tenendo conto dei costi fittizi, pur sempre in dichiarazione di una perdita effettiva verrebbe a risolversi: una indiretta conferma di ciò, del resto, appare provenire dalla integrazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 1, comma 1, lett. f) operata dal D.Lgs. n. 158 del 2015, art. 1, di revisione del sistema sanzionatorio, allo stato in corso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, laddove si è chiarito, con valenza evidentemente non innovativa ma meramente ricognitiva di un concetto già implicito nella definizione normativa sin dalla sua originaria formulazione, che “non si considera imposta evasa quella teorica e non effettivamente dovuta collegata ad una rettifica in diminuzione di perdite dell’esercizio o di perdite pregresse spettanti e utilizzabili”.
Corretta appare, pertanto, l’affermazione del Tribunale secondo cui, mancando la conoscenza delle dichiarazioni relative agli anni successivi (conoscenza non offerta dal P.M. gravato della relativa prova), non potrebbe stabilirsi se effettivamente sia stato nella specie realizzato un effettivo beneficio fiscale mediante l’esposizione dei suddetti costi fittizi e, dunque, un profitto, peraltro, come appena detto, relativo a fattispecie di reato diversa da quella contestata, suscettibile di essere sequestrato per equivalente. Di qui, in definitiva, la infondatezza del motivo di ricorso in parte qua.
5. L’ordinanza impugnata va dunque annullata, limitatamente al periodo di imposta del 2008, con rinvio al Tribunale di Napoli che si atterrà, nel rivalutare la richiesta di riesame, a quanto indicato sopra sub p. 3.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente all’anno di imposta 2008 e rinvia al Tribunale di Napoli; rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 29 settembre 2015.
Depositato in Cancelleria il 6 novembre 2015