201402.05
0

Cass., sez. III pen., 5 febbraio 2014, n. 5681 (testo)

Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 27-11-2013) 05-02-2014, n. 5681

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TERESI Alfredo – Presidente –

Dott. MARINI Luigi – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. SCARCELLA Alessio – Consigliere –

Dott. ANDRONIO Alessandro Mar – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.A. N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 3397/2012 CORTE APPELLO di PALERMO, del 20/03/2013;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 27/11/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. GRAZIOSI CHIARA;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. MAZZOTTA Gabriele, che ha concluso per l’inammissibilità;

Udito il difensore Avv. TAORMINA Calogero di Palermo (nuova nomina).


Svolgimento del processo


1. Con sentenza del 20 marzo 2013 la Corte d’appello di Palermo ha rigettato l’appello proposto da C.A. avverso sentenza dell’8 maggio 2012 con cui il Tribunale di Palermo lo aveva condannato alla pena di mesi due e giorni 20 di reclusione per il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter, perchè, in qualità di legale rappresentante di Motorgas S.r.l., ometteva di versare l’Iva dovuta in base alla dichiarazione annuale del 2006 entro il termine previsto per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo.

2. Ha presentato ricorso il difensore adducendo tre motivi.

Il primo denuncia violazione di legge per applicazione retroattiva del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter.

Il secondo denuncia violazione ancora del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter, nonchè dell’art. 192 c.p.p., comma 2, perchè i giudici di merito non avrebbero considerato quanto dedotto dalla difesa sulla crisi dell’azienda, che sarebbe provata proprio dalla rateizzazione del versamento Iva, ed eliderebbe l’elemento psicologico.

Il terzo motivo denuncia violazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 13, essendo stata negata l’attenuante perchè il debito tributario non era estinto, laddove il debito era stato rateizzato proprio per poterlo pagare.


Motivi della decisione


3. Il ricorso è infondato.

Il primo motivo, sotto forma di violazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter, nonchè degli artt. 3 e 25 Cost., sostiene che l’applicazione della fattispecie criminosa di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter, per il periodo di imposta 2005 integra illegittima retroattività della norma, come si desume, per l’analogo D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 bis, da un arresto di questa Suprema Corte (Cass. sez. 3^, 8 febbraio 2012 n. 18757, riguardante l’applicazione dell’art. 10 bis al periodo d’imposta 2004). La questione, quando è stato proposto il ricorso (in data 11 aprile 2013), essendo stata effettivamente oggetto di un contrasto giurisprudenziale, era stata appena risolta da S.U. 28 marzo 2013, n. 37424, Romano (la cui motivazione è stata depositata il 12 settembre 2013, quindi ben oltre il deposito del ricorso), che ha affermato che “il reato di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto (D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter), entrato in vigore il 4 luglio 2006, che punisce il mancato adempimento dell’obbligazione tributaria entro la scadenza del termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta dell’anno successivo, è applicabile anche alle omissioni dei versamenti relativi all’anno 2005, senza che ciò comporti violazione del principio di irretroattività della norma penale”.

Avendo la suddetta pronuncia delle Sezioni Unite – cui occorre quindi richiamarsi, e cui si affianca, per il D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 bis, S.U. 28 marzo 2013, n. 37425, Favellato – considerato integralmente il problema interpretativo, e quindi escluso anche ogni profilo di illegittimità costituzionale della interpretazione nel senso della applicabilità della norma in questione anche al periodo di imposta 2005, con una motivazione assai ampia e analitica, il primo motivo non può che ritenersi, ormai, infondato.

Il secondo motivo adduce, come violazione di legge in rapporto alla norma incriminatrice e all’art. 192 c.p.p., comma 2, che non sarebbero stati considerati “i rilievi sollevati in relazione alla crisi d’impresa” che avrebbe colpito la società di cui l’imputato è legale rappresentante, e che avrebbe dovuto portare, in considerazione di certa giurisprudenza di merito, a escludere il dolo. Il motivo è palesemente generico, oltre a collocarsi, con evidenza, su un piano direttamente fattuale (non a caso non è invocato neppure il vizio motivazionale), in questa sede inammissibile.

Il terzo motivo lamenta il mancato riconoscimento dell’attenuante di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 13, che prevede la diminuzione fino alla metà della pena principale e la non applicazione delle pene accessorie di cui alD.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12 “se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari relativi ai fatti costitutivi dei delitti” previsti, appunto, dal D.Lgs. n. 74 del 2000, “sono stati estinti mediante pagamento, anche a seguito delle speciali procedure conciliative o di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie”.

Il ricorrente ammette di non avere ancora estinto integralmente il debito tributario, ma adduce che “la ratio della rateizzazione è proprio quella di pagare il debito, iscritto a ruolo e richiesto per mezzo della cartella di pagamento, attraverso rate mensili”: tale rateizzazione, quindi, dimostrerebbe “la volontà di provvedere al pagamento integrale del debito tributario”. Il motivo è manifestamente infondato: una cosa è la volontà di provvedere al pagamento del debito tributario, un’altra – e solo questa è il presupposto della concessione dell’attenuante de qua – è l’avere effettivamente estinto l’intero debito tributario prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 27 novembre 2013.

Depositato in Cancelleria il 5 febbraio 2014