Cass., sez. III pen., 20 novembre 2017, n. 52640 (testo)
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 26 settembre – 20 novembre 2017, n. 52640
Presidente Di Nicola – Relatore Socci
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza della Corte di appello di Milano, del 30 novembre 2016, è stata confermata la decisione del Tribunale di Milano del 28 ottobre 2014, che aveva condannato G.G.M. alla pena di mesi 5 di reclusione relativamente al reato di cui all’art. 10 ter, d.lgs. 74/2000 (omesso versamento IVA per Euro337.517,00); reato commesso il 27 dicembre 2010, anno di imposta 2009.
2. L’imputato ha proposto ricorso per Cassazione, tramite difensore, per i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen..
2.1. Violazione di legge, art. 13, comma 3, d.lgs. 74/2000, art. 2, cod. pen. e 3. Costituzione; vizio di motivazione sul punto della retroattività della legge più favorevole.
Secondo l’accordo di rateizzazione stabilito con l’agenzia delle entrate (in data antecedente la modifica dell’art. 13, d.lgs. 74/2000) il debito tributario sarà estinto mediante pagamento dell’ultima rata il 31 maggio 2017. La Corte di appello rigettava l’istanza di rinvio proposta ex art. 13, comma 3, d.lgs. 74/2000 ritenendo che la causa di non punibilità del pagamento riguardava solo coloro che estinguevano il debito, prima dell’apertura del dibattimento; normativa quindi non applicabile, per la Corte di appello, ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del d.lgs. 158/2015.
Il pagamento esclude la rilevanza penale della condotta, e quindi il pagamento incide sulla necessità stessa di irrogare una sanzione, non solo sul quantum della sanzione. Il pagamento elimina l’offensività. La non applicabilità della norma ai processi in corso, alla data di entrata in vigore della norma, lederebbe il principio di uguaglianza (Cass. sez. 3, 28 settembre 2016, 40314).
L’art. 13, nella sua nuova formulazione è entrato in vigore tra il giudizio di primo grado e quello di appello, quando il contribuente aveva già fatto domanda di rateizzazione, mediante l’accordo con l’agenzia delle entrate.
La legge più favorevole deve essere applicata retroattivamente.
2.2. Violazione di legge, art. 27, Costituzione e 10 ter, d.lgs. 74/2000; motivazione contraddittoria ed illogica sull’elemento soggettivo del reato.
A fronte di una obiettiva e comprovata carenza di liquidità è stato omesso il pagamento; emerge dal dibattimento che dal 2008 la ditta del ricorrente versava in una difficile situazione di dissesto economico e finanziario, anche per un rifiuto degli istituti di credito di un affidamento di circa un milione di Euro. Il ricorrente si trovò a scegliere se pagare i fornitori o adempiere il debito tributario. Si pagarono i fornitori, per consentire la sopravvivenza dell’azienda. Il versamento dell’IVA avrebbe condotto al fallimento dell’azienda. Con il rinvio degli adempimenti tributari l’azienda non è fallita.
Manca pertanto il dolo nella condotta del ricorrente.
Ha chiesto pertanto l’annullamento della decisione impugnata.
Considerato in diritto
3. Il ricorso è fondato, relativamente al primo motivo; inammissibile nel resto, per manifesta infondatezza e genericità.
In tema di reati tributari, la causa di non punibilità contemplata dall’art. 13 del D.Lgs. n. 74 del 2000, come sostituito dall’art. 11 del D.Lgs. n. 158 del 2015 – per la quale i reati di cui agli articoli 10-bis, 10-ter e 10-quater del decreto 74 del 2000 non sono punibili se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti – è applicabile ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 158 del 2015, anche qualora, alla data predetta, era già stato aperto il dibattimento. (In applicazione di questo principio la S.C. ha ritenuto ammissibile la rilevabilità della suddetta causa di non punibilità anche nel giudizio di legittimità, rinviando al giudice di merito per la valutazione circa la sussistenza in concreto delle condizioni previste dall’art. 13 del D.Lgs. n.74 del 2000). (Sez. 3, n. 15237 del 01/02/2017 – dep. 28/03/2017, Volanti, Rv. 26965301; vedi anche Sez. 3, n. 40314 del 30/03/2016 – dep. 28/09/2016, Fregolent, Rv. 26780701).
L’art. 11 del d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158, sostituendo il previgente art. 13 d.lgs. 74 del 2000, ha attribuito all’integrale pagamento dei debiti tributari, nel caso dei reati di cui agli artt. 10 bis, 10 ter e 10 quater, comma 1, d.lgs. 74 del 2000, efficacia estintiva, e non più soltanto attenuante. Pur indicando nella dichiarazione di apertura del dibattimento il limite di rilevanza della causa estintiva, nel senso che, per aversi estinzione dei reati, l’integrale pagamento degli importi dovuti deve avvenire prima dell’inizio del giudizio penale, va rilevato però che la diversa natura giuridica e l’efficacia estintiva del reato implica, nei procedimenti in corso al momento dell’entrata in vigore del d.lgs. 158/2015, la necessità di una parificazione degli effetti della causa di non punibilità, anche nei casi in cui sia stata superata la preclusione della dichiarazione di apertura del dibattimento. La trasformazione della fattispecie attenuante in fattispecie estintiva implica che l’integrale pagamento del debito tributario non assuma più rilevanza normativa in termini di minore gravità del reato o di indice della capacità a delinquere del soggetto; il riconoscimento di una efficacia estintiva del reato, infatti, va inquadrata nel diverso fenomeno della degradazione dell’illecito penale in ragione di condotte susseguenti al reato, nel caso di specie di carattere restitutorio, che rispondono alla differente logica incentivante e premiale; il nuovo istituto, ancorché espressione evidente di esigenze di deflazione del processo penale, costituisce il frutto di una valutazione legislativa sull’opportunità di punire l’autore di un fatto antigiuridico colpevole a fronte di una condotta reintegrativa ex post del bene giuridico leso. In una analisi costituzionale, la condotta restitutoria (l’integrale pagamento di debito, interessi e sanzioni) assume rilievo nell’esclusione della finalità rieducativa (o risocializzante) assegnata alla sanzione penale dalla Costituzione (art. 27, comma 3, Cost.). La pena astrattamente prevista non ha più ragione di essere applicata allorquando la condotta restitutoria susseguente implichi il venir meno della funzione rieducativa ad essa assegnata. La diversa natura assegnata al pagamento del debito tributario, quale comportamento che non riguarda più soltanto l’attenuazione del trattamento sanzionatorio, ma la stessa punibilità, comporta che nei procedimenti in corso, anche se sia stato oltrepassato il limite temporale di rilevanza previsto dalla norma, l’imputato debba essere considerato nelle medesime condizioni fondanti l’efficacia della causa estintiva; il principio di uguaglianza, che vieta trattamenti differenti per situazioni uguali, impone, infatti, di ritenere che, sotto il profilo sostanziale, il pagamento del debito tributario assuma la medesima efficacia estintiva, sia che avvenga prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, sia, nei procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del d.lgs. 158 del 2015, che avvenga dopo tale limite, purché prima del giudicato. La preclusione assegnata, in maniera non irragionevole, ad un momento della scansione processuale, non può operare allorquando, in applicazione del principio del favor rei, la più favorevole disciplina – introdotta in pendenza del procedimento, ed allorquando la scansione era stata già superata – debba essere applicata agli imputati che hanno provveduto al pagamento integrale del debito tributario. Né potrebbe obiettarsi che la preclusione era prevista anche in relazione alla precedente fattispecie attenuante, in quanto l’efficacia estintiva ora attribuita al pagamento integrale del debito tributario è diversa e più ampia dell’efficacia attenuante, da essa dipendendo la stessa punibilità, e non solo la misura della pena.
L’interesse a provvedere al pagamento dell’intero debito tributario è necessariamente diverso, e più intenso, ove sia collegato ad una efficacia estintiva del reato, anziché ad una efficacia soltanto attenuante; quindi, nei soli procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del d.lgs. 158/2015, deve ritenersi che l’imputato sia nella medesima situazione giuridica che fonda, allorquando non vi sia ancora stata l’apertura del dibattimento, l’efficacia estintiva prevista dalla nuova causa di non punibilità; viceversa, si registrerebbe una disparità di trattamento in relazione a situazioni uguali in ordine alla quale sarebbe prospettabile una questione di illegittimità costituzionale. Del resto trattandosi di causa di non punibilità deve trovare piena applicazione l’art. 2, cod. pen. e l’art. 7 della CEDU (retroattività della legge più favorevole).
3.1. La norma prevede, quindi, una causa sopravvenuta di non punibilità, ovvero con un comportamento successivo alla commissione del reato (nel caso il pagamento integrale), che elimina l’offesa al bene giuridico tutelato dalla norma, il soggetto può beneficiare della non punibilità. Le cause di punibilità sopravvenute implicano un termine entro il quale deve essere tenuto il comportamento del reo; è il legislatore che individua il termine relativamente alla fattispecie concreta regolata. La ratio delle cause sopravvenute di non punibilità consiste nell’interesse (concreto) che ha l’ordinamento ad incentivare comportamenti antagonisti al fatto criminoso; il ricorso a tali cause di non punibilità è possibile quando lo stato di sofferenza del bene giuridico è materialmente eliminabile, e quando il legislatore giudichi particolarmente efficace l’intervento antagonistico da parte del’autore del fatto (il pagamento, pertanto, è per l’ordinamento un motivo valido – in assoluto – per la causa di non punibilità). Esempi di cause sopravvenute di non punibilità sono la desistenza volontaria (art. 56, comma 3, cod. pen.: “Se il colpevole volontariamente desiste dall’azione, soggiace soltanto alla pena per gli atti compiuti, qualora questi costituiscano per sé un reato diverso”; il termine qui è dato dalla non consumazione del reato, non realizzazione dell’evento) e la ritrattazione (art. 376, cod. proc. pen.: “Nei casi previsti… il colpevole non è punibile se, nel procedimento penale in cui ha prestato il suo ufficio o reso le sue dichiarazioni, ritratta il falso e manifesta il vero non oltre la chiusura del dibattimento.
Qualora la falsità sia intervenuta in una causa civile, il colpevole non è punibile se ritratta il falso e manifesta il vero prima che sulla domanda giudiziale sia pronunciata sentenza definitiva, anche se non irrevocabile”; il termine qui è dato in relazione agli sviluppi del processo penale e del processo civile). Altra causa sopravvenuta di non punibilità è quella dell’art. 2, comma 1 bis, d. l. 12 settembre 1983, n. 463, il pagamento delle ritenute previdenziali entro tre mesi dalla contestazione o dall’avvenuto accertamento della violazione.
Il termine che il legislatore individua può essere riferito, quindi, ad una fase processuale – se necessario, e pratico -, o ad altre evenienze extraprocessuali. Il termine entro il quale deve essere tenuto il comportamento del reo, per l’applicazione della causa sopravvenuta di non punibilità è, però, sempre un termine “sostanziale”, anche se per praticità inserito all’interno della scansione temporale del processo. Il termine è connaturale alla causa sopravvenuta di non punibilità, non è una evenienza accessoria, ma strutturale (essendo causa sopravvenuta alla commissione del reato, e il termine è inoltre incentivante per il reo al comportamento riparatore antagonista). Tutti i termini previsti dalla legge nelle ipotesi di cause sopravvenute di non punibilità ricevono in questo modo una “parità di trattamento”, per l’applicazione dell’art. 2, cod. pen. e 7, CEDU. Distinguere a tal fine i termini delle cause sopravvenute di non punibilità in processuali (se inseriti nella dinamica degli atti del processo) e sostanziali (se relativi a scadenze non collegate con il processo), sarebbe sicuramente incostituzionale, e contrario alla ragionevolezza, costituirebbe inoltre un’interpretazione non restrittiva della norma penale, a scapito del favor rei – vedi C.edu G.C. Grigoriades V/ Grecia, 25 novembre 1997, § 38 – (per la considerazione del termine come processuale, vedi Sez. 3, n. 30139 del 12/04/2017 – dep. 15/06/2017, Fregolent, Rv. 27046401: “Nel caso di specie, il requisito normativo secondo cui tale possibilità deve essere esperita prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado ha evidentemente natura processuale e non sostanziale. Pertanto, in assenza di disciplina transitoria, opera una preclusione processuale, prevista dalla legge che non contrasta con il principio della retroattività della lex mitior sostanziale. L’art. 13 ha una doppia previsione, una di natura sostanziale – il pagamento del debito che estingue il fatto-reato commesso prima della sua entrata in vigore- e una processuale – il pagamento prima dell’apertura del dibattimento -“).
Non può ritenersi una causa sopravvenuta di non punibilità parzialmente processuale (relativamente al termine entro il quale deve essere tenuto il comportamento del reo), in quanto il termine – come visto – è connaturale e strutturale alla stessa causa di non punibilità, a volte riferito al processo e altre volte a termini extraprocessuali.
4. Nel nostro caso il ricorrente aveva chiesto alla Corte di appello l’applicazione del comma 3, dell’art. 13, d. Igs. 74/2000, ovvero il rinvio in relazione alla rateizzazione in corso, ai fini dell’integrale pagamento e dell’applicazione della causa di estinzione del reato. Il rinvio è stato negato dalla Corte di appello: “In primo luogo non può trovare positiva valutazione la richiesta di rinvio per beneficiare della non punibilità riservata al contribuente che abbia provveduto al versamento di tutte le somme dovute. Nessuna delle facilitazioni previste dall’art. 13, d.lgs. 74/2000 contempla infatti la possibilità per l’imputato – che nemmeno può derivargli da un’interpretazione estensiva, inibita dal dato letterale della norma e dall’eccezionalità del rimedio – di giovarsi di un meccanismo che può trovare ingresso unicamente alle soglie del dibattimento di primo grado”. La Corte di appello non si pone proprio il problema della applicabilità della norma ai processi in corso (art. 2, cod. pen.). Invece, come sopra visto, la norma deve applicarsi ai processi in corso al momento della modifica dell’art. 13, d.lgs. 74/2000, ad opera del d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158 (in G.U. 7 ottobre 2015, n. 233, S.O.).
L’articolo 13, comma 3, d.lgs. 74/2000, prevede del resto un rinvio dovuto (“è dato”) nelle ipotesi di rateizzazione in corso, come nel caso in giudizio: “Qualora, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il debito tributario sia in fase di estinzione mediante rateizzazione, anche ai fini dell’applicabilità dell’art. 13 bis, è dato un termine di tre mesi per il pagamento del debito residuo. In tal caso la prescrizione è sospesa. Il giudice ha facoltà di prorogare tale termine solo una volta per non oltre tre mesi, qualora lo ritenga necessario… “. Solo il secondo termine è facoltativo, se ritenuto necessario dal giudice, non il primo.
Può quindi affermarsi il seguente principio di diritto: “In tema di reati tributari, la causa sopravvenuta di non punibilità contemplata dall’art. 13 del d.lgs. n. 74 del 2000, come sostituito dall’art. 11 del D.Lgs. n. 158 del 2015 – per la quale i reati di cui agli articoli 10-bis, 10-ter e 10-quater del decreto 74 del 2000 non sono punibili se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti – è applicabile ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 158 del 2015, anche qualora, alla data predetta, era già stato aperto il dibattimento, e quindi deve concedersi il termine di tre mesi nelle ipotesi di rateizzazione in corso del debito tributario, per il pagamento del debito residuo; termine obbligatorio e non facoltativo come il secondo termine di tre mesi”.
5. Implicando una questione di fatto, la sentenza impugnata va dunque annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Milano, affinché valuti se sussiste l’integrale pagamento dei debiti tributari, comprensivo altresì delle sanzioni amministrative e degli interessi, in applicazione dell’art. 13, d.lgs. 74/2000.
6. Il motivo ulteriore è manifestamente infondato. È pacifico, nella giurisprudenza di questa Corte, che nel reato di omesso versamento di Iva (art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000) ai fini dell’esclusione della colpevolezza è irrilevante la crisi di liquidità del debitore alla scadenza del termine fissato per il pagamento, a meno che non venga dimostrato che siano state adottate tutte le iniziative per provvedere alla corresponsione del tributo. (Sez. 3, n. 2614 del 06/11/2013, dep. 2014, Saibene, Rv. 258595; ex multis, Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, dep. 2015, Schirosi, Rv. 263128). Il ricorso, quindi, nel resto deve dichiararsi inammissibile.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente all’applicabilità dell’art. 13, d.lgs. n. 74 del 2000 e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Milano.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.