201505.26
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Cass., sez. III pen., 20 maggio 2015 (ord.), n. 21014 (testo)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FIALE Aldo – Presidente –

Dott. GRILLO Renato – rel. Consigliere –

Dott. SAVINO Mariapia Gaetana – Consigliere –

Dott. GAZZARA Santi – Consigliere –

Dott. ACETO Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

F.A. N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 4764/2013 CORTE APPELLO di MILANO, del 24/06/2014;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 07/05/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. RENATO GRILLO;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Pasquale Fimiani, che ha concluso per rimettersi alle sezioni unite la questione dell’applicazione dell’art. 131 bis c.p., in via subordinata si richiede il rigetto del ricorso;

Udito il difensore Avv. Berni Gaetano.


Svolgimento del processo


1.1 La Corte di Appello di Milano, con sentenza del 24 giugno 2014, confermava quella emessa in data 28 maggio 2013 dal Giudice per l’Udienza Preliminare del Tribunale di detta città nei confronti di F.A., imputato del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter, (omesso versamento IVA per l’anno di imposta 2007 – Reato commesso il 27 dicembre 2008) e condannato, per tale reato, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, alla pena di mesi quattro di reclusione, convertita nella corrispondente pena pecuniaria della multa per Euro 4.500,00, oltre alle pene accessorie di legge.

1.2 La Corte distrettuale, nel richiamare integralmente la motivazione della sentenza del Tribunale, riconfermava il principio della non scriminabilità della condotta in conseguenza di dedotte (e non provate) difficoltà economiche dell’impresa che avevano determinato, a dire dell’imputato, l’impossibilità di accantonamento e successivo versamento delle somme dovute a titolo di IVA per l’anno fiscale di riferimento. Escludeva anche che nella specie ricorresse la carenza dell’elemento psicologico del reato e, quanto al trattamento sanzionatorio, lo riteneva pienamente adeguato al fatto, sottolineando come nella specie non fosse applicabile nè la circostanza attenuante speciale di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 13, nè l’attenuante comune della riparazione del danno ex art. 62 c.p., n. 6, connessa alla successiva rateizzazione del debito tributario ed al versamento, peraltro parziale, dei ratei dovuti.

1.3 Avverso la detta sentenza ricorre il suddetto imputato a mezzo del proprio difensore di fiducia deducendo, con un primo motivo, l’inosservanza della norma penale (D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter) per avere la Corte di merito omesso di tenere conto delle documentate difficoltà economiche asseritamente dovute, oltre che alla crisi del settore, anche al mancato incasso dei crediti vantati da primarie aziende che aveva impedito l’accantonamento delle somme;

con il detto motivo veniva censurata anche la manifesta illogicità della decisione nella parte in cui la Corte territoriale aveva ritenuto sussistente il dolo. Con il secondo motivo la difesa si duole della inosservanza della norma penale e della manifesta illogicità della motivazione per avere la Corte di merito escluso l’applicabilità dell’art. 62 c.p.p., n. 6, pur in presenza della rateizzazione del debito e del versamento puntuale delle rate maturate secondo il programma approvato dall’Agenzia delle Entrate.

1.4 All’odierna udienza, in via preliminare, il difensore del ricorrente avanzava richiesta di applicazione del disposto di cui all’art. 131 bis c.p., come introdotto dal D.Lgs. 16 marzo 2015, n. 28.


Motivi della decisione


1. Ragioni di priorità logica suggeriscono di trattare per primi i motivi originari di ricorso, tenuto conto del fatto che la richiesta di emissione di sentenza di non punibilità per la particolare tenuità del fatto, sebbene avanzata dal difensore del ricorrente in via preliminare nel corso dell’odierna udienza, si ricollega anche alla verifica di una eventuale manifesta infondatezza del ricorso o altra causa di inammissibilità.

2. Orbene, premesso che al F. è stato contestato il reato p. e p. dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter, “perchè, nella qualità di legale rappresentante della SOFIR CONSORTILE s.r.l., non versava nel termine previsto per il pagamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo (termine di presentazione 27.12.2008) l’IVA dovuta per l’anno di imposta 2007 per l’ammontare complessivo di Euro 394.956,00”, con il primo motivo il ricorrente denuncia l’inosservanza della norma processuale penale (art. 192 c.p.p., comma 2) e della legge penale (D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter) in relazione all’elemento soggettivo richiesto per la integrazione della fattispecie.

3. Va subito precisato che si tratta di motivi già sottoposti all’esame della Corte territoriale che li ha valutati a fondo fornendo una risposta negativa che questo Collegio condivide:

conclusione, questa, che dovrebbe condurre ad una pronuncia di inammissibilità del ricorso per genericità dei motivi in conformità al consolidato orientamento di questa Suprema Corte secondo il quale “E’ inammissibile il ricorso per Cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, invero, dev’essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), all’inammissibilità” (in termini Sez. 4^, 29.3.2000 n. 5191; Sez. 1A 30.9.2004 n. 39598; Sez. 2^ 15.5.2008 n. 19951; Sez. 6^ 23.6.2011 n. 27068).

4. Tuttavia ritiene il Collegio che per esigenze di completezza sia utile svolgere alcune puntualizzazioni sull’argomento con riferimento ad entrambi i profili prospettati dalla difesa.

5. La premessa di fondo dalla quale muove il ricorrente è costituita dalla grave crisi economica cui è andata incontro la società, afflitta da una sostanziale mancanza di liquidità derivante dal mancato introito dei crediti vantati verso aziende di prima importanza in campo nazionale che solo in anni successivi ha soddisfatto le pretese economiche della SOFIR CONSORTILE s.r.l.

L’assenza di liquidità avrebbe determinato l’impossibilità di accantonamento delle somme necessarie per il versamento annuale dell’IVA nei termini previsti.

5.1 Da questo punto di vista la censura è manifestamente infondata (oltre che generica per quanto dianzi osservato) in relazione all’orientamento ormai consolidato di questa Corte Suprema (cui questo Collegio ritiene di dover aderire incondizionatamente) secondo il quale il delitto di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter, qualificabile come reato omissivo “misto” proprio istantaneo (così, da ultimo Sez. 3^ 22.1.29014 n. 12248, P.M. in proc. Faotto ed altri, Rv. 259806), consiste nella presentazione della dichiarazione IVA e nel successivo mancato versamento all’Erario delle somme dovute sulla base di quella dichiarazione che, tranne i casi di applicabilità del regime di “IVA per cassa”, è sganciato dall’effettiva riscossione dei corrispettivi relativi alle prestazioni effettuate (vds., sul punto, Sez. 3^ 21.1.2015 n. 10499, Zampiccoli, non massimata). E’ stato, altresì, evidenziato che trattasi di reato per il quale è richiesto il dolo generico costituito dalla consapevolezza di non versare nelle casse dello Stato le ritenute effettuate nel periodo di riferimento, ovviamente in connessione con la soglia di punibilità (oggi elevata, per effetto della sentenza delle Corte Costituzionale n. 80/14 ad Euro 103.291,38, rispetto all’originaria soglia di Euro 50.000,00) che rappresenta un elemento costitutivo del reato in esame (vds. S.U. 28.3.2013 n. 37424, Rv. 255758; Sez. 3^ 6.3.2013 n. 19099, Di Vora, Rv. 255327).

5.2 Sempre con riguardo alla c.d. “crisi di liquidità” invocata come scriminante sotto lo specifico profilo della “vis major”, si è anche osservato che la difficoltà (grave) economica dell’imprenditore non assume alcuna portata esimente (così come accade nel parallelo reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 bis) in quanto occorre dimostrare che da parte dell’imprenditore assoggettato all’obbligo tributario siano state adottate tutte le iniziative per provvedere alla corresponsione del tributo (in termini Sez. 3^ 6.11.2013 n. 2614, Saibene, Rv. 258595). In altri termini è necessario che l’imprenditore che versi in difficoltà dimostri non solo la non imputabilità al sostituto di imposta della crisi economica ma anche l’impossibilità per il contribuente di reperire le risorse necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche incidenti negativamente sul proprio patrimonio personale, in vista del reperimento delle somme occorrenti per l’adempimento dell’obbligo tributario e la ulteriore prova che l’esito negativo non sia dipeso dalla sua volontà (così Sez. 3^ 8.1.2014 n. 15416, idem 9.10.2013 n. 5905).

5.3 La Corte territoriale, sollecitata a dare risposta a tale doglianza l’ha fornita in piena aderenza a tali principi, evidenziando come da parte dell’imputato non fosse stata fornita – se non in termini meramente assertivi – la prova della crisi di liquidità, ma soprattutto della impossibilità di accantonamento di somme e dell’adozione di tutte le iniziative idonee a provvedere al versamento del tributo.

5.4 Anche con riferimento alla prospettata mancanza del dolo (generico) la Corte territoriale ha uniformato la propria decisione all’indirizzo consolidato di questa Corte Suprema secondo il quale è necessario, diversamente da quanto avviene per numerose altre fattispecie disciplinate dal D. Lgs. 74/00, il dolo generico (così S.U. 28.3.2013 n. 37424, cit.) in base al quale l’agente presenti, con la necessaria coscienza e volontà una dichiarazione IVA omettendo il versamento dell’imposta nei termini di legge (27 dicembre dell’anno successivo a quello di riferimento della imposta da versare) ed essendo anche consapevole del superamento della soglia di punibilità (oggi Euro 103.391,00) (v. oltre a Sez. 3^ 22.1.2014 n. 12248 cit. anche Sez. 3A 4.6.2014 n. 38687, Decataldo, Rv. 260390 in cui si fa cenno della possibilità che l’agente risponda del delitto in esame a titolo di dolo eventuale in costanza, però, di determinate condizioni).

5.5 Sollecitata a dare risposta alle censure della difesa in sede di appello, la Corte territoriale ha, anche in questo caso, offerto una motivazione completa e logica sottolineando la genericità della giustificazione offerta dall’appellante sul piano soggettivo per il mancato versamento del tributo.

6. Quanto al secondo motivo di ricorso – applicabilità o meno – della circostanza attenuante comune di cui all’art. 62 c.p., n. 6, nei reati tributari – sebbene la Corte non si sia soffermata specificamente sul tema, limitandosi ad affermare che non compete al soggetto imputato del delitto in esame l’attenuante in parola ancorchè abbia proceduto ad un versamento parziale nell’ambito di un piano di rateizzazione del debito tributario concordato con il concessionario Equitalia, vanno svolte alcune puntualizzazioni.

6.1 L’orientamento di questa Suprema Corte in ordine alla applicabilità o meno delle circostanze attenuanti comuni di cui agli artt. 62 n. 4 e n. 6 cod. pen. ai reati tributari viene generalmente esclusa sulla base del principio generale secondo il quale è la particolare oggettività giuridica del reato tributario che lede non già il patrimonio dello Stato, ma l’interesse pubblico, di rango costituzionale, all’osservanza dell’obbligo dei cittadini di concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva a rendere ostativo il riconoscimento di tale attenuante.

Quanto sopra è stato costantemente affermato, e da ultimo con sentenza di questa Sezione 16.7.2013 n. 8677, G.G.N. non massimata (ma vedi anche Sez. 3A 16.6.2004 n. 34912, Pizzimenti, Rv. 229559 in tema di delitto in materia doganale; idem 24.6.1993 n. 98098, Pieri, Rv. 195205).

6.2 Conclusioni sostanzialmente identiche si rinvengono con riferimento alla applicabilità della circostanza attenuante del risarcimento del danno, essendosi affermato da questa Sezione che il legislatore speciale ha previsto la possibilità di una mitigazione della pena in caso di condanna per reati tributari introducendo una speciale ipotesi di risarcimento del danno conseguente al pagamento del debito tributario contemplata nel D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 13, anche se la riduzione originariamente prevista fino alla metà è stata di recente circoscritta ad un terzo per effetto della L. n. 148 del 2011 (così Sez. 3^ 16.7.2013 n. 8677 cit.).

6.3 Ancora più nette le affermazioni contenute nella sentenza di questa Corte 27.3.2014 n. 39847, Barbiera, non massimata e, soprattutto, nella menzionata decisione Zampiccoli, secondo la quale l’attenuante de qua non è applicabile ai reati tributari, “”trattandosi di reati che non incidono, se non indirettamente, sul patrimonio dello Stato ma ledono il suo diritto costituzionalmente sancito alla imposizione dei tributi, alla loro riscossione ed alla loro successiva distribuzione per le esigenze della collettività” (Sez. 4^ 20.2.2002 n. 13843, P.G. in proc. Lona ed altri, Rv. 221287;

Sez. 3^ 18.1.1994 n. 3513, Rv. 197104).

6.4 Nel caso in esame va subito detto che la ragione per la quale da parte della Corte distrettuale è stato negato il riconoscimento alla invocata attenuante era costituita dal fatto che il danno erariale non era stato comunque riparato nella sua integrante, sicchè la decisione impugnata, a parte le considerazioni generali sulla natura dell’attenuante in parola e quelle svolte in ordine alla inapplicabilità anche dell’attenuante speciale di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 13, che sostanzialmente sembra sovrapporsi – a determinate condizioni – all’attenuante comune codicistica, può dirsi corretta ed in linea con l’orientamento di questa Corte Suprema.

6.5 Resta, tuttavia, da verificare se l’attenuante in parola sia consentita nella materia penal-tributaria con riferimento a quel segmento della norma codicistica dianzi citata rappresentato “dall’essersi, prima del giudizio e fuori dal caso preveduto dall’ultimo capoverso dell’articolo 56, adoperato spontaneamente ed efficacemente per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato”, contenuto nella seconda parte della norma in commento.

6.6 Se anche tale condotta virtuosa dovesse comunque trovare un ostacolo di principio in subiecta materia per quelle specifiche ragioni dianzi cennate, è evidente, ancora una volta, l’inapplicabilità dell’attenuante in discorso; ma se tale condotta dovesse considerarsi come indipendente dal risarcimento o riparazione (comunque integrale) del danno e incentrata, invece, su un comportamento attivo dell’agente che faccia leva sulla sua volontà di elidere o lenire in forma spontanea le conseguenze dannose o pericolose del reato, potrebbe pensarsi, anche in assenza di precedenti giurisprudenziali specifici, ad una applicazione della norma in chiave prevalentemente soggettiva senza limitazioni collegate alla speciale natura del reato per il quale viene invocata.

6.7 Sotto questo profilo può allora concludersi per una non manifesta infondatezza prima facie del ricorso limitatamente al secondo motivo, che ne esclude l’inammissibilità e consente così di affrontare in termini specifici la questione prospettata “in limine” dalla difesa del ricorrente volta ad ottenere una pronuncia da parte di questa Corte Suprema dell’art. 131 bis c.p., come introdotto dal D.Lgs. 16 marzo 2015, n. 28.

7. Si tratta di un tema introdotto per la prima volta in sede di legittimità, non con la proposizione di motivi aggiunti come disciplinati dall’art. 585 c.p.p., ma in forma orale e prima dell’inizio della discussione.

8. Si ritiene utile preliminarmente esporre, sia pure per sintesi, le linee direttrici di questa importante riforma del legislatore penale che rappresenta una delle colonne portanti della Legge delega n. 67 del 2014, sulle modifiche del sistema penale.

8.1 L’art. 131 bis c.p., si colloca nel titolo V Capo 1 del Cod. pen. intitolato “Della non punibilità per particolare tenuità del fatto.

Della modificazione, applicazione ed esecuzione della pena” e disciplina in termini generali secondo le indicazioni contenute nel testo l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto. In particolare questo il testo della norma in esame.

8.2 “Nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecunia ria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’articolo 133, primo comma, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale.

L’offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità, ai sensi del primo comma, quando l’autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, o ha adoperato sevizie o, ancora, ha profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all’età della stessa ovvero quando la condotta ha cagionato o da essa sono derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona.

Il comportamento è abituale nel caso in cui l’autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonchè nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate.

Ai fini della determinazione della pena detentiva prevista nel primo comma non si tiene conto delle circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale. In quest’ultimo caso ai fini dell’applicazione del primo comma non si tiene conto del giudizio di bilanciamento delle circostanze di cui all’art. 69.

La disposizione del primo comma si applica anche quando la legge prevede la particolare tenuità del danno o del pericolo come circostanza attenuante”.

8.3 Già in sede di primi commenti sono insorte non poche difficoltà interpretative legate alla introduzione di concetti nuovi – anche se non mancavano i riferimenti alla normativa prevista rispettivamente per il Tribunale dei Minori (D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, art. 27) e per il giudice di pace (D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 34) caratterizzati però da tratti specifici ben distinti dall’istituto in esame – legati soprattutto ad un nuovo modo di pensare la sanzione penale.

8.4 Non è certo questa la sede più appropriata per una esegesi complessiva della norma, mentre pare opportuno, proprio per le implicazioni pratiche che essa comporta e per la ricaduta sui processi in corso, svolgere alcune considerazioni di tipo generale in stretto riferimento alla applicabilità di tale norma ai giudizi in corso e segnatamente – per quel che rileva in questa sede – ai giudizi pendenti dinnanzi alla Corte di Cassazione.

9. Va, innanzitutto, specificato che il D.Lgs. in esame non contiene alcuna disciplina transitoria: il che potrebbe creare difficoltà interpretative in ordine ai criteri applicativi da seguire. In linea di principio occorrerà fare richiamo ai principi generali in tema di successione delle norme nel tempo per verificare, anzitutto, se, e in che termini, l’istituto possa applicarsi ai procedimenti in corso.

9.1 Come è noto il testo contenuto nell’art. 2 c.p., comma 4, prevede in caso di successione di leggi diverse nel tempo l’applicabilità di quelle le cui disposizioni risultano più favorevoli per il reo, salva l’ipotesi della intervenuta pronuncia di sentenza irrevocabile.

9.2 E’ fuor di dubbio che tra le disposizioni più favorevoli rientrino, indipendentemente da quelle concernenti in senso stretto la misura della pena, anche quelle che, attenendo ad ulteriori e diversi profili (in ipotesi, la configurabilità di una causa di punibilità), afferiscono al trattamento del reo considerato nel suo complesso.

9.3 Il principio della applicabilità della legge più favorevole va di pari passo con il principio, per la verità non costituzionalizzato ma sostanzialmente visto come proiezione del principio di eguaglianza ex art. 3 Cost., comma 1, della retroattività della legge più favorevole (in contrapposizione alla regola della irretroattività della norma peggiorativa) che trova importanti antecedenti in numerose pronunce della Corte Costituzionale (vds. sentenze n. 393/2006 e 236/2011) e della Corte di Giustizia Europea (v. sent. 11.3.2008 C-420/06 Jagger e ancor più recentemente sent. 28.4.2011, C61-1 El Dridi).

9.4 Orbene, a giustificare l’applicabilità dell’istituto ai fatti pregressi tuttora sub judice non è soltanto l’esigenza deflattiva che informa l’istituto medesimo, ma anche il bisogno, avvertito dal legislatore in ossequio al concetto di proporzionalità dell’azione penale rispetto a reati di modestissimo rilievo, di evitare l’applicazione della sanzione penale per fatti di scarsissima incidenza offensiva (i c.d. “fatti bagatellari”).

9.5 In aggiunta a ciò va poi considerato che la disposizione in esame va ritenuta di natura sostanziale sia per ragioni di ordine sistematico (la norma è inserita nel titolo V del codice penale che si occupa in generale della pena nei suoi vari aspetti applicativi e della sua esecuzione), sia per ragioni di carattere “formale” non disgiunte da altre di politica giudiziaria (non a caso il legislatore parla di “non punibilità” dell’autore del reato, laddove, se si fosse trattato di istituto di stampo processual-penalistico, sarebbe stato più logico parlare di “non procedibilità” nei confronti dell’autore del fatto-reato). Soccorre quale ulteriore ragione giustificatrice anche la circostanza che il D.Lgs. è attuativo dell’art. 1, della legge-delega n. 67 del 28 aprile 2014 intitolato “Delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie”.

9.6 Ma non è tutto: militano in favore della soluzione di cui sopra, in riferimento al tema specifico concernente i giudizi ancora sub judice in sede di legittimità, anche motivi più squisitamente processuali connessi al testodell’art. 609 c.p.p., comma 2, che prevede un intervento decisorio della Corte Suprema su questioni (oltre che rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del processo) “che non sarebbe stato possibile dedurre in grado di appello”.

10. Appare però necessario interrogarsi sugli eventuali modi e tempi di applicazione del nuovo istituto ai processi in corso nel giudizio di legittimità.

10.1 Mentre è fuor di dubbio la possibilità di investire la Corte Suprema della questione insorta per effetto di jus superveniens nelle more del giudizio di legittimità, mediante la proposizione di motivi aggiunti, è lecito domandarsi se possa essere consentito invocare per la prima volta l’applicazione dell’istituto con memoria difensiva ex art. 121 c.p.p., e se debba essere necessario il rispetto del termine previsto dall’art. 611 stesso codice, comma 1, o se possa essere consentito di depositare memorie anche in tempi successivi, ma prima dell’inizio del dibattimento; correlato a tale ultimo profilo occorrerà verificare la possibilità per il difensore di sollevare per la prima volta la questione anche in extremis in forma orale dopo le formalità di apertura del dibattimento ed in ogni caso prima della requisitoria del Procuratore Generale, anche per consentire alle altre parti presenti di interloquire sulla legittimità e tempestività della richiesta.

10.2 Proseguendo nella disamina dei problemi legati al quomodo ed al quando si possa prospettare la questione dinnanzi alla Corte Suprema, non è irragionevole pensare persino ad un intervento di ufficio del giudice di legittimità che, posto di fronte a casi di effettiva irrilevanza del fatto anche sulla base di quanto emerga dal testo della sentenza impugnata, dopo aver verificato l’astratta applicabilità della norma di favore in relazione ai vari presupposti e/o condizioni richieste dalla norma medesima, decida di darvi attuazione attraverso una pronuncia di annullamento con rinvio (v.

postea).

10.3 Si tratta, come è agevole notare, di una serie di interrogativi che trovano radice proprio nel fatto che il D.Lgs. in esame non contiene norme transitorie, non senza tralasciare il fatto dei limiti connaturati alla natura del giudizio di legittimità che rendono più problematica la soluzione (o le soluzioni alternative) da adottare.

10.4 Non va, in proposito, dimenticato che l’applicabilità dell’istituto nei giudizi di legittimità implica comunque delle valutazioni di merito, non disgiunte dalla necessità che ai vari soggetti interessati sia offerta la possibilità di interloquire. Si tratta allora di vedere in che modo ed in che limiti sia possibile operare una verifica in ordine alla sussistenza, in astratto, delle condizioni di applicabilità del nuovo istituto.

10.5 L’unico precedente in termini si rinviene nella recentissima pronuncia di questa Sezione secondo la quale, in caso di valutazione positiva, la Suprema Corte può pronunciare l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio al giudice del merito affinchè valuti se dichiarare il fatto non punibile ovvero, in determinate condizioni, ad un annullamento senza rinvio (Sez. 3^ 8.4.2015 n. 15449, Mazzarotto, non massimata).

10.6 La delicatezza dell’argomento impone però una serie di riflessioni circa gli eventuali limiti di natura sostanziale e processuale che la Corte di Cassazione può incontrare laddove venga sollecitata per la prima volta ad intervenire sull’applicabilità dell’istituto, ovvero se sia possibile un intervento ex officio.

11. Nella recentissima relazione redatta dall’Ufficio del Massimario di questa Corte Suprema n. 111/02/15 del 23 aprile 2015, costituente un utile punto di riferimento e di riflessione, si è, ad esempio, ritenuta possibile tale eventualità “specie se si ritenga l’art. 129 c.p.p., regola di condotta e non fonte di situazioni potestative” in forza dell’art. 620 c.p.p., comma 1, lett. l), che prevede la possibilità di pronunciare una sentenza di annullamento senza rinvio “In ogni altro caso in cui la Corte ritiene superfluo il rinvio” (in tal senso v. S.U. 30.10.2003, n. 45276, Andreotti, Rv. 226100, in cui si sono positivamente valutate esigenze di economia processuale; v.

anche S.U., 21.5.2003 n. 22327, Carnevale, Rv. 224181, con la quale è stato affermato il potere di annullare senza rinvio la sentenza impugnata per insussistenza del fatto, per addivenire a pronuncia di annullamento senza rinvio perchè il fatto non sussiste).

11.1 Così come è stato sottolineato in tale relazione che, indipendentemente dal richiamo all’art. 129 c.p.p., si deve ritenere ammissibile un annullamento della sentenza impugnata per essere l’imputato “non punibile”, come affermato da Sez. 6^ 26.4.2012 n. 17065, Cirillo Rv. 252506 in riferimento alla sopravvenuta causa di non punibilità del favoreggiamento personale ex art. 478 c.p., per effetto della ritrattazione di cui all’art. 376 c.p.: la Corte, infatti, dopo aver preso atto della sussistenza dei presupposti fattuali per la dichiarazione dell’esistenza della causa di non punibilità come desumibili dal testo della sentenza impugnata, ha osservato che: “Poichè la novità normativa è certo più favorevole per l’imputato, la stessa va applicata ai sensi dell’art. 2 c.p., comma 4, e art. 609 c.p.p., comma 2”.

11.2 Ma la novità e peculiarità dell’istituto in esame suggeriscono di analizzare più approfonditamente quali limiti possa incontrare il Giudice di legittimità laddove chiamato a pronunciarsi su questa (atipica) causa di non punibilità nei giudizi in corso in cui non sia stato possibile per le ragioni temporali dianzi indicate sollevare per tempo la questione con il ricorso.

11.3 Che si tratti causa di non punibilità “atipica” lo si evince dal fatto che nella bipartizione tra cause di non punibilità in senso lato ed in senso stretto la collocazione preferibile sembrerebbe all’interno del primo gruppo: non va dimenticato, infatti, che tale causa, per gli effetti negativi che produce per l’imputato (anzitutto la possibile rilevanza nei giudizi civili ed amministrativi ed, ancora, l’iscrizione del provvedimento nel casellario giudiziale), esige il contraddittorio anzitutto con l’imputato, ma anche con la persona offesa che, per effetto di quanto previsto nei casi di archiviazione e di proscioglimento predibattimentale conseguenti all’applicazione dell’istituto, ha diritto ad una interlocuzione, anche se di portata limitata non essendo previsto – per ragioni di politica giudiziaria – il diritto di veto della persona offesa.

11.4 Vero è che anche nel giudizio di cassazione trova adeguato ingresso il principio del contraddittorio, sia pure “virtuale” in quanto filtrato attraverso il difensore e che è sempre consentita, in tale fase processuale, la possibilità per le parti di presentare memorie, anche personalmente, ex art. 121 c.p.p.; e tanto vale anche con riferimento alla posizione della persona offesa non costituita parte civile che a norma dell’art. 90 c.p.p., ha facoltà di presentare memorie nel giudizio di cassazione, che abbiano per oggetto questioni (processuali o di merito) rilevanti ai fini della decisione, ferma restando il divieto di formulare richieste finalizzate a sollecitare acquisizioni istruttorie. Da quanto fin qui considerato parrebbe quindi praticabile la strada dell’intervento della Suprema Corte nei giudizi di legittimità, sia pure a determinate condizioni che si esamineranno di qui a breve.

11.5 Ma va anche doverosamente fatto cenno di soluzioni negative adottate dalla giurisprudenza di legittimità, ancorchè riferite al processo penale dinnanzi al giudice di pace penale: è stata così esclusa l’applicabilità della disposizione transitoria di cui all’art. 63 comma 1 D. Lgs. 274/2000 in riferimento allo “jus superveniens” relativo ai reati di competenza del giudice di pace laddove debba essere pronunciata la procedibilità nei casi di particolare tenuità del fatto (art. 34, D.Lgs. cit.) e di estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie (art. 35, D.Lgs. cit.), affermandosi che “La norma transitoria di cui al D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, art. 63, comma 1, in materia di competenza penale del giudice di pace (che prevede l’applicabilità, anche nei giudizi davanti a un giudice diverso, delle disposizioni circa l’esclusione della procedibilità nei casi di particolare tenuità del fatto, e della non punibilità in caso di risarcimento) non trova applicazione in Cassazione, atteso che il presupposto processuale della norma in argomento, l’intervento personale degli interessati, non è attuabile nel giudizio di legittimità” (Sez. 5^ 23.5.2002 n. 25063, Rufolo ed altri, Rv. 222063).

11.6 Tale precedente però non si ritiene pregiudizialmente ostativo alla soluzione positiva di cui si è fatto cenno tenuto conto delle differenze non certo trascurabili intercorrenti tra la non punibilità per la particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131 bis c.p., e la similare figura della non punibilità per lieve tenuità del fatto e della non procedibilità per avvenuto risarcimento di cui al D.Lgs. n. 274 del 2000, artt. 34 e 35: mentre la prima è costruita quale norma di diritto sostanziale, le altre figure sono, per espressa volontà legislativa, disegnate come condizioni di improcedibilità ed esigono comunque, una volta che sia stata esercitata l’azione penale, la non opposizione di imputato e persona offesa così come previsto dal D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 34, comma 3.

11.7 Del tutto diverse le condizioni previste per l’applicazione dell’istituto di cui all’art. 131 bis c.p., in quanto nell’ipotesi di pronuncia di sentenza pre-dibattimentale, per effetto dell’art. 469, comma 1 bis, cod. proc. come innovato dal D.Lgs. n. 28 del 2015, la persona offesa deve essere semplicemente sentita “se compare”; così come, in caso di sentenza emessa all’esito di dibattimento o di giudizio abbreviato, non solo non è prevista la non opposizione dell’indagato e della persona offesa, ma non è nemmeno previsto il compimento di specifici adempimenti procedimentali.

11.8 E’ fin troppo ovvio che laddove dovesse optarsi per la soluzione negativa non si porrebbero problemi di sorta nel giudizio di cassazione.

11.9 Se, invece, dovesse ritenersi percorribile la strada opposta, intimamente connessi a tale tema sarebbero sia la verifica del tipo di strumenti processuali cui ricorrere per rilevare tale specifica ipotesi sia la verifica dei relativi poteri di accertamento attribuibili al giudice di legittimità.

12. Quanto ai limiti che la Corte di Cassazione può incontrare nell’operazione (che pare ineludibile) di verifica della sussistenza dei presupposti per l’applicazione delle nuove disposizioni entrate in vigore nelle more del giudizio di legittimità è lecito domandarsi se la Corte debba limitarsi ad una verifica sulla base delle emergenze rilevabili dalla sentenza impugnata ovvero se possa – o debba – adottare una pronuncia di annullamento (con rinvio).

12.1 Trattasi di una questione nuova strettamente collegata alla particolare natura dell’istituto, ricordando che il richiamo alla decisione Giordano ed altri (S.U. 26.3.2003 n. 25887, Giordano ed altri, Rv. 224606) con la quale si è ammessa, nel caso di jus superveniens intervenuto nelle more del giudizio di cassazione, la necessità per il giudice di legittimità di fare riferimento alla decisione impugnata, provvedendo, in caso di esito positivo della verifica circa i presupposti applicativi, a definire il giudizio e, in caso di esito negativo, ad annullare senza rinvio la decisione medesima ex art. 129 c.p.p., non sembra decisivo.

12.2 Infatti la peculiare natura della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto fa sì che debba essere la parte che vi abbia interesse a dovere dimostrare la sussistenza dei relativi presupposti mediante l’indicazione di elementi specifici (vds. Sez. 6^, 25 novembre 2014, n. 1401, Vigneri, Rv. 262054).

12.3 Alla possibilità di un annullamento con rinvio nel caso di positiva verifica della sussistenza delle condizioni legittimanti l’applicabilità dell’istituto fa esplicito riferimento la più volte ricordata Sez. 3^ 15449/15 nella quale si è evidenziato che “l’applicabilità dell’art. 131 bis c.p. presuppone…… valutazioni di merito, oltre che la necessaria interlocuzione dei soggetti interessati. Da ciò consegue che, nel giudizio di legittimità, dovrà preventivamente verificarsi la sussistenza, in astratto, delle condizioni di applicabilità del nuovo istituto, procedendo poi, in caso di valutazione positiva, all’annullamento della sentenza impugnata con rinvio al giudice del merito affinchè valuti se dichiarare il fatto non punibile………Nel l’effettua re tale apprezzamento, il giudice di legittimità non potrà che basarsi su quanto emerso nel corso del giudizio di merito tenendo conto, in modo particolare, della eventuale presenza, nella motivazione del provvedimento impugnato, di giudizi già espressi che abbiano pacificamente escluso la particolare tenuità del fatto, riguardando, la non punibilità, soltanto quei comportamenti (non abituali) che, sebbene non inoffensivi, in presenza dei presupposti normativamente indicati risultino di così modesto rilievo da non ritenersi meritevoli di ulteriore considerazione in sede penale”.

12.4 In concreto la decisione in esame ha ritenuto inapplicabile l’istituto sulla base di una verifica con esiti negativi in ordine alla configurabilità dei presupposti per l’applicazione dell’istituto in questione.

12.5 Ma sul punto non possono che insorgere difficoltà interpretative in quanto la soluzione adottata con tale decisione implicherebbe non solo – come pare ovvio – una valutazione da parte della Corte di legittimità sulla concreta applicabilità dell’istituto ma soprattutto, aprirebbe la strada a decisioni tranchant di rigetto (ovvero di annullamento senza rinvio) da parte di un giudice di legittimità che non avrebbe il potere di assumere decisioni comportanti una pregiudiziale analisi di questioni di merito.

12.6 Sembrerebbe, allora, più corretto procedere attraverso un percorso che includa, anzitutto, una valutazione in termini meramente astratti e con indicazione di linee guida di tipo interpretativo da valere per il giudice di merito, circa l’applicabilità dell’istituto e l’esame della meritevolezza della causa di non punibilità e, di seguito, una pronuncia di annullamento sempre e solo con rinvio, lasciando poi al giudice di merito il compito di valutare in concreto la praticabilità della soluzione invocata dalla parte che vi ha interesse.

12.7 In coerenza con tali postulati, laddove fosse possibile intravedere epiloghi favorevoli per il ricorrente sulla base delle prospettazioni contenute nel ricorso ovvero ancora quando da parte del ricorrente tali condizioni vengano prospettate con apposita memoria ex art. 121 c.p.p., o persino in sede di discussione orale, attraverso l’indicazione o allegazione di circostanze che non potute provare prima per ragioni di ordine temporale legate ai tempi di entrata in vigore della nuova disposizione, ove accertate potrebbero risultare idonee a giustificare l’operatività del nuovo istituto, potrebbe essere possibile una restituzione in termini delle parti dinanzi ai giudici di merito per l’articolazione di attività istruttorie, (vds. su tale specifico punto la relazione 111/02/15 del Massimario, cit.).

12.8 Così come ove il ricorrente invocasse la causa di non punibilità sulla base degli elementi già emergenti dalla decisione censurata, sarebbe percorribile la strada dell’annullamento con rinvio, ferma restando la necessità da parte del giudice di legittimità di indicare i criteri informatori per il giudice di rinvio utili per decidere l’applicabilità, o meno, dell’istituto.

12.9 E’ solo attraverso tale strada che sarà poi possibile valutare la correttezza e completezza del ragionamento del giudice di rinvio e procedere secondo i consueti canoni previsti per il ricorso in sede di legittimità laddove tali criteri ermeneutici non venissero rispettati. Sembrerebbe cosi da escludere, in linea di principio, l’ipotesi di un annullamento senza rinvio.

13. Ma, quale che sia la soluzione adottabile, quel che appare certa è la necessità di un riferimento in concreto al contenuto della motivazione del provvedimento impugnato: allo stato degli atti le due soluzioni estreme tra loro contrapposte di verifica negativa circa la sussistenza dei presupposti legittimanti l’applicabilità dell’istituto (che dovrebbe preludere ad un rigetto della istanza e del ricorso ovvero alla inammissibilità) e, in alternativa, di verifica positiva (che dovrebbe preludere ad un annullamento senza rinvio) sembrerebbero non praticabili non solo per i ricordati limiti di valutazione che caratterizzano l’operato del giudice di legittimità, ma anche per quell’esigenza di rispetto del contraddittorio che esige una interlocuzione della persona offesa che non appare essere adeguatamente assicurata nel giudizio di legittimità, anche perchè essa presupporrebbe comunque una valutazione di merito inibita nel giudizio di cassazione.

13.1 La strada dell’annullamento con rinvio sembrerebbe la più agevole e coerente con le regole fin qui enunciate, anche per quelle ipotesi in cui dall’esame della sentenza oggetto di ricorso, tutte le condizioni di applicabilità dell’istituto siano rilevabili in astratto, essendo comunque opportuno quell’intervento del giudice di merito volto ad approfondire la verifica secondo una previsione in termini di ragionevolezza, eventualmente anche alla luce delle prospettazioni delle parti.

14. Questione strettamente connessa è quella relativa all’analisi dei parametri cui la Corte di Cassazione dovrebbe rifarsi – a fronte della ritenuta ammissibilità del ricorso – al fine di valutare la meritevolezza necessaria per l’applicabilità dell’istituto.

Soccorre, in tal senso, il riferimento al testo dell’art. 131 bis c.p..

14.1 La prima valutazione da compiere è legata alla tipologia del reato in relazione alla pena detentiva edittale massima prevista che non deve superare, sola o congiunta a quella pecuniaria, il limite dei cinque anni. E non appare superfluo sottolineare che i criteri da seguire per la determinazione della pena come operazione di valutazione “prioritaria” sono contenuti nell’art. 131 bis c.p., comma 4, il quale precisa che “non si tiene conto delle circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale” aggiungendo che in quest’ultimo caso “ai fini dell’applicazione del primo comma, non si tiene conto del giudizio di bilanciamento delle circostanze di cui all’art. 69”, mentre il successivo comma specifica che la non punibilità si applica anche quando la legge prevede la particolare tenuità del danno o del pericolo come circostanza attenuante.

14.2 Altro dato che entra in modo pressochè esclusivo nel processo di valutazione è quello legato: a) alle modalità della condotta; b) all’esiguità del danno o del pericolo. Si tratta di quelli che la relazione allegata allo schema di decreto attuativo indica come “indici-requisiti” da valutarsi alla stregua dei criteri indicati dall’art. 133 c.p., (natura, specie, mezzi, oggetto, tempo, luogo ed ogni altra modalità dell’azione, gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato intensità del dolo o grado della colpa). A tali “indici-requisiti” si affiancano quelli che la stessa relazione definisce “indici-criteri” costituiti da: 1) la particolare tenuità dell’offesa; 2) la non abitualità del comportamento (per un riferimento agli indici v. oltre a Sez. 3^ 15449/15 cit., anche il testo della relazione al decreto delegato).

14.3 In estrema sintesi, il giudice è chiamato ad effettuare una specifica valutazione di meritevolezza verificando se sulla base dei due “indici-requisiti” (modalità della condotta ed esiguità del danno e del pericolo, valutati congiuntamente secondo i criteri direttivi di cui all’art. 133 c.p., comma 1), sussistano i due indici- criterio (particolare tenuità dell’offesa e non abitualità del comportamento). L’esito positivo di tale operazione consentirà al giudice di considerare il fatto di particolare tenuità ed escluderne, conseguentemente, la punibilità.

14.4 La apparente semplicità di tali operazioni si scontra, però, con un testo che oltre a profilarsi non particolarmente specifico, induce può indurre alcune perplessità.

15. Anzitutto è da rilevare che si tratta, proprio perchè entrano in gioco numerosi dati che debbono tra loro incrociarsi, di un giudizio complesso in cui muovendo dalla premessa che a dover essere analizzato è non tanto e non solo il reato, quanto il comportamento del reo (e dunque la condotta), deve anche tenersi presente la differenza che intercorre tra irrilevanza del fatto ed inoffensività del fatto: in quest’ultimo caso, in realtà ci si trova di fronte ad un non reato (art. 49 c.p., comma 2), mentre l’aspetto della irrilevanza attiene più propriamente ad un giudizio di valore che presuppone l’esistenza di un fatto-reato ed il livello di offensività misurato in rapporto alla abitualità del comportamento ed alle modalità della condotta.

15.1 Sul versante dell’irrilevanza del fatto non vi sono preclusioni di principio posto che nessuna distinzione viene fatta tra reato di evento e di danno e reati di pericolo (nella duplice forma di pericolo astratto o pericolo concreto).

15.2 Quanto alla valutazione della esiguità del danno o del pericolo appare evidente la necessità di un giudizio esprimibile sulla base di dati oggettivi e non sulla base di elementi di tipo soggettivo, ferma restando l’esigenza che si tratti di un giudizio globale che porti alla conclusione di un fatto estremamente modesto sia in oggettiva mente che soggettivamente (v. Sez. 5^ 2.12.2004 n. 7573, Subramanian, Rv. 230811; conformi Sez. 4^ 15.2.2005 n. 15374, Orengo, Rv. 231549; idem, 7.7.2004 n. 40203, P.G. in proc. Misantoni, Rv.

229574, tutte in tema di giudizi espressi su fatti-reato di competenza del giudice di pace).

15.3 Il legislatore ha rinunciato a scelte di tipo pregiudiziale – tranne le ipotesi espressamente disciplinate nel comma 2 – ostative alla ammissibilità dell’istituto, ponendo comunque l’accento su quello – tra i vari indici – dell’abitualità (o non abitualità secondo l’angolo visuale di osservazione) del comportamento.

15.4 Ma è proprio questo profilo a presentare alcuni problemi interpretativi in tema di valutazione della non abitualità del comportamento che, a differenza della “non occasionalità” utilizzata nel D.Lgs. n. 274 del 2000, (ma anche nel D.P.R. n. 448 del 1988), dovrebbe essere riguardata in stretta correlazione con l’art. 131 bis, comma 3, che parrebbe riferirsi alla definizione del comportamento abituale. In altri termini, per potersi ragionevolmente parlare di comportamento non abituale come ipotesi positivamente apprezzabile al fine dell’applicazione dell’istituto, non si deve trattare di una delle condotte incluse nel menzionato comma 3, anche se rimane da vedere se le classificazioni indicate nel testo siano da considerarsi tassative o soltanto enunciative.

15.5 A titolo meramente orientativo andranno valutati anche i precedenti “giudiziari” e non solo quelli sfociati in pronunce irrevocabili, mentre andrà valutata caso per caso l’incidenza di un precedente non della stessa indole (che in sè non dovrebbe assumere portata decisiva in termini negativi, così come i precedenti giudiziari per fatti non della stessa indole). Per converso, sembrerebbero costituire un serio ostacolo all’applicabilità dell’istituto i reati c.d. “permanenti” (si pensi ai reati ambientali, paesaggistici o urbanistici) o “abituali” (si pensi al delitto di maltrattamenti in famiglia) e quelli unificati sotto il vincolo della continuazione in cui entrano in gioco condotte ripetute o plurime che, per esplicita voluntas legis impediscono di beneficiare dell’istituto (per tali rilievi vds. gli interessanti spunti orientativi contenuti nelle linee guida diramate dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lanciano con propria circolare del 3 aprile 2015 e in quelli contenuti in altra similare circolare diramata dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trento).

15.6 Problemi specifici possono insorgere in merito a particolari reati quali quelli ambientali o edilizi; ovvero per quelli – come il reato oggetto del presente ricorso – che prevedono una determinata soglia di punibilità.

15.7 Per quanto qui rileva, una indicazione di tipo meramente orientativo parrebbe includere anche i reati tributari nella categoria dei reati ammissibili, tenuto conto che laddove la soglia di punibilità non venga superata ci si troverà di fronte ad un “non reato”, mentre laddove il limite venga superato, si tratterebbe di valutare l’entità della offesa rispetto al livello di superamento della soglia: si pensi a titolo meramente esemplificativo, ad un superamento della soglia per poche migliaia di Euro, non apparendo plausibile il mancato accesso all’istituto in relazione alla necessità di dover valutare nella sua interezza l’entità complessiva dell’evasione o del mancato versamento del tributo.

16. In conclusione, e con riferimento al profilo concernente la fase processuale del giudizio di legittimità, la complessità della valutazione (che esige un giudizio globale collegato anche al tipo di reati da prendere di volta in volta in considerazione nella loro struttura intrinseca) importerebbe sempre un giudizio di merito, impossibile da esprimere da parte della Corte di Cassazione che deve, invece, – quanto meno allo stato attuale – indicare criteri di massima al giudice di merito cui informare una futura decisione sulla meritevolezza ai fini dell’applicabilità della causa di non punibilità, sulla base delle allegazioni dell’imputato e nel rispetto del contraddittorio con gli altri protagonisti processuali.

16.1 Tutte le questioni nuove dianzi enunciate, per l’importanza che assumono nell’economia generale del processo – in stretto riferimento alle questioni di diritto intertemporale – esigono un intervento risolutore della Suprema Corte nella sua espressione più autorevole al fine di indicare anzitutto se in sede di legittimità possa essere dedotta per la prima volta e con quali modalità – se cioè attraverso la formulazione di motivi aggiunti exart. 585 c.p.p., o di memorie ex art. 121 c.p.p., ovvero ancora oralmente in fase di discussione orale – la questione dell’applicabilità dell’art. 131 bis c.p., introdotto dal D.Lgs. 16 marzo 2015, n. 28, art. 1, comma 2, successivamente alla proposizione del ricorso; ancora se risulti possibile, in relazione a ricorso che appaia non manifestamente infondato, che possa essere la stessa Corte di Cassazione ad intervenire ex officio per valutare l’ammissibilità del nuovo istituto come sopra indicato; inoltre, laddove ritenuta ammissibile la proposizione della questione per la prima volta nel giudizio di legittimità, ovvero un intervento ex officio, se rientri nei poteri della Corte di Cassazione la valutazione di meritevolezza ai fini dell’applicabilità dell’istituto e se tale giudizio debba in ogni caso essere espresso attraverso un annullamento con rinvio della sentenza impugnata ovvero possa farsi luogo ad un annullamento senza rinvio; in ultimo, se sia possibile l’applicabilità dell’istituto per i reati tributali per i quali è prevista la soglia di punibilità.


P.Q.M.


Dispone la rimessione del ricorso di cui in premessa alle Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione.

Così deciso in Roma, il 7 maggio 2015.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2015