Cass., sez. III pen., 19 marzo 2015, n. 11498 (testo)
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 11 febbraio – 19 marzo 2015, n. 11498
Presidente Fiale – Relatore Pezzella
Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza del 13.6.2014 il Tribunale di Macerata rigettava la richiesta di riesame avverso il decreto di perquisizione e sequestro probatorio delle scritture e in genere di tutta la documentazione contabile della società EFFEMME emesso l’8.5.2014 nel procedimento penale n. 1660/2014 RGNR nel quale C.G. è indagato per il reato di cui all’art. 5 D. Lgs. 74/2000.
2. Ricorre C.G. , amministratore e legale rappresentante della srl EFFEMME, a mezzo del proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
a. Genericità della descrizione dell’incolpazione – nullità della medesima e del provvedimento – violazione del diritto alla difesa – mancata indicazione dei gravi indizi di colpevolezza- mancanza del collegamento tra i beni sequestrati e l’illecito contestato – violazione di legge – violazione dell’art. 606 co. 1 lett. B) e c) cod. proc. pen..
Il ricorrente, dopo avere ricordato la giurisprudenza di questa Corte di legittimità in materia di requisiti minimi dell’incolpazione, osserva come la contestazione contenuta nel decreto di sequestro avente per oggetto la violazione dell’art. 5 D.lgs. 74/2000 “in luogo da accertare in epoca successiva al 2009” lascerebbe intendere che la società EFFEMME srl sia un evasore totale, non avendo presentato negli anni 2008 e 2010 la dichiarazione annuale ai fini delle imposte dirette ed indirette. Se così fosse, secondo il ricorrente non si comprenderebbero le ragioni di un sequestro della intera contabilità della società a decorrere dal 2010 ad oggi, stante la regolare presentazione della dichiarazione annuale da parte della stessa.
Il ricorrente si duole che il provvedimento di sequestro appaia scarno sia nella qualificazione dell’illecito commesso, sia in relazione alla motivazione in forza del quale è stata appresa la documentazione contabile della società fino al 2014 e poi resa indisponibile alla società.
Non si comprenderebbe perché la documentazione acquisita come corpo del reato e o cose pertinenti al reato sia direttamente collegabile con l’incolpazione.
In altri termini, secondo il ricorrente, di fronte ad una informativa ben precisa della Guardia di Finanza, il provvedimento del pm di sequestro della contabilità della EFFEMME Sri doveva essere preciso ed attinente alla illecita contestazione ex articolo 5 del D.lgs. 74/2000.
Secondo la tesi sostenuta in ricorso, la evidente violazione di legge sta nell’avere definito, contro l’evidenza documentale, la società EFFEMME Sri evasore totale.
Tale affermazione, secondo il ricorrente, apparirebbe banale e illegittima giustificazione per accedere alla contabilità della società negli anni dal 2008 al 2014 evitando un’apertura della verifica la cui competenza sarebbe spettata, come il presente procedimento, alla Procura della Repubblica di Roma (sede legale della società EFFEMME Srl).
Ancora peggio, secondo quanto si legge in ricorso, si potrebbe ipotizzare un’attività particolarmente aggressiva e persecutoria ai danni dell’odierno ricorrente il quale è divenuto amministratore della società solo nel mese di ottobre del 2011. Vi sarebbe stato, in tal senso, un tentativo di trasformare il provvedimento cautelare, ovvero un tipico provvedimento di ricerca della prova, in uno strumento esplorativo.
Il ricorrente deduce che la motivazione di una tale opinione e posizione difensiva si fonda su fatti specifici e su documenti che contraddicono quanto la Guardia di Finanza ha indicato nella informativa indirizzata al Pm, e quindi contraddicono il provvedimento del tribunale del riesame il quale semplicisticamente giustifica la condotta del PM in quanto la S.r.l. EFFEMME non avrebbe presentato la dichiarazione dei redditi.
Si passa poi ad evidenziare le violazioni di legge che sarebbero state commesse dal Tribunale di Macerata, contestando che la EFFEMME srl (e per essa al C.G. , attuale amministratore della stessa) negli anni 2008 e 2010, sia stata un “evasore totale” in quanto non avrebbe presentato la dichiarazione annuale dei redditi ai fini delle imposte dirette ed indirette.
La circostanza si assume essere falsa.
Viene ricordata la vita della società EFFEMME srl, costituita il 24.11.2008 ed avente alla nascita come soci M.F. e P.G. e sede in (omissis) (pertanto – ci si duole – la contestazione di qualsivoglia illecito in quel periodo rientrerebbe nella competenza territoriale spetterebbe al Tribunale di Fermo).
In relazione all’ipotesi delittuosa contestata, ovvero l’art. 5 del D.Lgs.vo n. 74/2000, il difensore ricorrente sollecita l’attenzione sul verbale di assemblea del 24.11.2008, in cui i soci P.G. e M.F. stabilivano che l’esercizio sociale, considerata la costituzione “giovane” della società avvenuta nel novembre del 2008, si sarebbe chiuso al 31 dicembre del 2009.
Considerato, quindi, che la scadenza per la presentazione della dichiarazione dei redditi, è fissata il 31 dicembre dell’anno successivo (31.12.2010) la EFFEMME srl presentava entro la data della scadenza – secondo la tesi sostenuta in ricorso – la dichiarazione dei redditi ed il modello IVA 2010 relativo all’anno 2009. Questa notizia si assume essere facilmente accertabile e dal certificato della CCIAA che si è allegato al Tribunale del riesame unitamente ai motivi a sostegno sia dall’archivio e dal sito internet della Agenzia delle Entrate.
La G.di F. prima ed il Tribunale del riesame poi avrebbero potuto, quindi, accertare la presentazione della dichiarazione ai fini delle imposte dirette ed indirette unitamente alla dichiarazione IVA relativa all’anno 2009 (documentazione relativamente all’anno 2009).
Questi fatti, secondo il ricorrente, non sono stati presi in debita considerazione dal Tribunale del riesame che si è limitato a riferire come le copie depositate sono semplici e banalissime fotocopie che non possono dimostrare e provare l’effettivo deposito delle dichiarazioni dei redditi da parte della società attenzionata, ergo le dichiarazioni dei redditi non sono state mai depositate e quindi è legittima la contestazione dell’illecito di cui all’art. 5 del D.Lvo n. 74/2000 contestato dal PM.
La motivazione – ci si duole – appare incomprensibile ed illogica considerato che la G. di F. ha sostenuto, ed il Tribunale del Riesame di Macerata ne ha mutuato l’assunto accusatorio, l’inesistenza del deposito delle dichiarazioni dei redditi, circostanza smentita (agli atti ci sono le ricevute di deposito) con le risultanze dell’archivio dell’Agenzia delle Entrate.
Tutto ciò legittima ancor più la tesi difensiva sostenuta dalla difesa circa la illegittimità del provvedimento cautelare e sosterrebbe ancor di più l’eccezione di parte ricorrente la quale ha ritenuto che tale strumento cautelare non sia utilizzato per la “ricerca della prova” ma solo ai fini esplorativi e solo per acquisire la “notizia criminis” in ordine ad un eventuale illecito non ancora individuato nella sua qualificazione giuridica e nella sua specificità fattuale (cfr. Cass. Sez. 1, n. 2933 del 11.3.2004, De Marzo riv. 229250).
La società EFFEMME srl in data novembre 2010 cambiava poi assetto sociale, in quanto le quote venivano cedute a MO.CO. nella misura del 2% ed a L.V.L. nella misura del 98% dell’intero capitale sociale. La sede legale della società veniva trasferita in (omissis) per cui si sostiene che, anche a voler concedere che la società non abbia depositato e presentato la dichiarazione dei redditi nel periodo d’imposta 2009 (dep. nel 2010) l’illecito si sarebbe consumato presso la sede legale della medesima e quindi presso il Tribunale di Teramo.
Il ricorrente sostiene che, per legittimare il provvedimento cautelare, occorre, quindi, verificare in concreto se l’illecito contestato sia stato effettivamente commesso dall’amministratore (MO.CO. ), ovvero se la società EFFEMME srl in quel periodo abbia presentato la dichiarazione dei redditi nel periodo di imposta 2010 quindi abbia presentato il modello relativo entro il 31.12.2011. La G. di F. avrebbe potuto accertare, altrettanto facilmente, come la EFFEMME srl abbia, entro i termini previsti per legge, depositato sia la dichiarazione IVA 2011 sia la dichiarazione dei redditi relativi all’anno d’imposta 2010.
Queste notizie si ricaverebbe con facilità dalla certificazione della CCIAA che si allegava ai motivi a sostegno del riesame (documentazione relativamente all’anno 2010).
Anche in tal caso l’affermazione, e quindi l’accusa rivolta alla EFFEMME srl, di essere evasore totale sarebbe falsa, palesemente smentita dalla documentazione prodotta.
Successivamente, nell’ottobre del 2011 (anno tuttavia non interessato dall’accertamento, rectius, dalla contestazione contenuta nel decreto di sequestro che viene limitata agli anni 2008 e 2010) la compagine sociale è nuovamente cambiata, in quanto è subentrato l’odierno ricorrente C.G. , che ne è divenuto amministratore acquistando il 98% del capitale sociale. E la sede legale è stata spostata a (…). Quindi a voler concedere ogni eventuale competenza resterebbe radicata presso il Tribunale di Roma, argomento questo che il ricorrente lamenta non essere stato preso in considerazione dal tribunale.
Il ricorrente evidenzia che nel periodo in cui la società viene amministrata dal C.G. gode di ottima salute, tutte le dichiarazione vengono depositate a decorrere dal primo anno di gestione, quindi negli anni di imposta 2011 e 2012 (tutte notizie sono facilmente attingibili dall’archivio della G. di F.).
Ci si duole che, in relazione alla sede legale, il Tribunale del riesame di Macerata, sbagli nella valutazione e nell’esame della documentazione prodotta a sostegno della misura cautelare ignorando le motivazioni della difesa.
Si lamenta che con il provvedimento cautelare si siano apprese le scritture contabili depositate presso la sede legale della società EFFEMME srl ovvero presso la sede di ROMA e quando il Tribunale afferma che “… di per se sarebbe smentita dal fatto che le scritture risultano detenute in tutt’altra parte d’Italia” contraddice in modo con comprensibile le risultanze del provvedimento cautelare, il quale è stato eseguito presso la sede legale della società in Roma con l’apprensione, già riferita, delle scritture contabili obbligatorie della società.
Da tale circostanza maggiormente incomprensibile risulterebbe lo scopo del provvedimento cautelare, che più si avvicinerebbe ad un atto esplorativo volto ad acquisire la “notizia criminis” e non le prove della stessa. Ma non solo, perché il Tribunale del riesame illogicamente, affermando circostanze non vere, commetterebbe una grave violazione di legge che si chiede a questa Corte di emendare.
Con tale motivazione distorcerebbe, infatti, nella interezza le argomentazioni dedotte a sostegno del riesame confermando un provvedimento cautelare ab origine illegittimo.
La difesa si duole che la contestazione contenuta nel provvedimento – e quindi la denunciata omessa presentazione delle dichiarazione dei redditi dal 2008 al 2010 (art. 5 del D.Lgs.vo n. 74/2000) – sia stata la giustificazione per eseguire un sequestro ad ampio raggio ovvero per apprendere l’intera contabilità, quindi sia stato utilizzato un provvedimento avente scopi esplorativi; uno strumento utilizzato per la individuazione di un eventuale ed incerto illecito di cui non si sa bene quali siano i contorni e, come detto, le” specificità fattuali”.
b. Violazione dell’art. 253 cod. proc. pen. – nullità del provvedimento -mancanza di motivazione del provvedimento di sequestro – mancata relazione diretta fra l’illecito e la cosa sequestrata – illegittimità del provvedimento cautelare – dall’art. 42 Cost. e dall’art. 1 del primo Protocollo addizionale alla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo – violazione dell’art. 606 comma 1 lettera B) e C) cod. proc. pen..
Il ricorrente ricorda che, nel caso in cui venga in toto a mancare la motivazione di cose qualificate come “corpo del reato”, in ordine alla necessaria sussistenza della concreta finalità probatoria perseguita in funzione dell’accertamento dei fatti, il Tribunale del riesame deve pronunciare sentenza di annullamento del decreto di sequestro.
Si evidenzia che il provvedimento di sequestro probatorio ai sensi dell’art. 253 cod. proc. pen. non è un atto basato su modulistiche standardizzate. Difatti, è stata abbandonata, in quanto non più condivisibile, la prassi di limitare la stesura di tale verbale a poche righe su moduli standard che non consentivano, a causa dello spazio assai ridotto, di motivare in modo chiaro l’esecuzione del sequestro. Sul punto viene ricordata la sentenza n. 180 del 10.1.2012 di questa Corte, ove si è chiarito come nell’ipotesi di sequestro probatorio “…deve essere specificata, a pena di nullità, la finalità probatoria che si intende perseguire” (sez. 3n. 180 del 10.1.2012).
Nel caso sub judice non esisterebbe,secondo il ricorrente,alcuna indicazione della “finalità probatoria” che il PM ha addotto a sostegno del sequestro della contabilità della società EFFEMME srl, poiché affermare che il C. possa detenere sulla sua persona o nei luoghi indicati “tracce o cose pertinenti al reato di cui si procede (art. 5 del D.Lgs.vo n. 74/2000 negli anni 2008 e 2010 ove lo stesso non era amministratore) non soddisfa quel requisito che corrisponde espressamente alle “finalità” della ricerca della prova.
Ad oggi ci sarebbe, dunque, un provvedimento di sequestro probatorio eseguito per giustificare la “totale evasione” della EFFEMME srl, con l’apprensione della documentazione contabile dal 2008 (data di costituzione) al 2014 (oggi) senza conoscere tuttavia le finalità probatorie del provvedimento.
L’ulteriore affermazione contenuta nell’inciso “… ed in particolare al fine di rinvenire la documentazione contabile/amministrativa/finanziaria relativa alla società EFFEMME srl nonché di ogni altro documento, appunti, agende, memorie di massa, etc. afferenti alle attività della citata impresa ed utili ai fini delle indagini” non soddisfa certamente per il ricorrente le “esigenze probatorie” dell’atto, poiché essa indica tutt’al più l’oggetto ed i beni sui quali il provvedimento di sequestro debba cadere, ma non le finalità dello stesso che è comunque sempre “al fine di accertare i fatti…. ed ai fini delle indagini“.
L’affermazione, inoltre utilizzata e generica “… utile ai fini delle indagini” e “per l’accertamento dei fatti” sarebbe una locuzione vuota, priva di significato e di contenuto, in quanto sarebbe pleonastico che il provvedimento di sequestro ex art. 253 cod. proc. pen. sia finalizzato all’accertamento dei fatti, ma non soddisferebbe la “finalità probatoria” del sequestro eseguito.
D’altra parte, che l’apprensione del corpo di reato non sia sempre necessaria per “l’accertamento dei fatti”, oltre che dalla comune esperienza dettata dalla varietà delle vicende processuali, emergerebbe inequivoca mente dalla lettura coordinata della norma del primo comma dell’art. 253 cod. proc. pen. con quella del primo comma dell’art. 262 cod. proc. pen., la quale, senza operare alcuna differenziazione tra corpo di reato e cose pertinenti al reato, prevede la restituzione delle “cose sequestrate” a chi ne abbia diritto, anche prima della sentenza, “quando non è necessario mantenere il sequestro a fini di prova”.
Si riconosce così, per evidenti ragioni di economia processuale, che, perché trovi legittima giustificazione l’esercizio del potere coercitivo anche in sede di controllo da parte del giudice del riesame, tali fini, almeno inizialmente, devono in ogni caso sussistere ed essere esplicitati nella motivazione del provvedimento con cui il potere si manifesta, ben potendo le esigenze attinenti al thema probandum essere altrimenti soddisfatte senza creare un vincolo superfluo di indisponibilità sul bene.
A sostegno di tale interpretazione viene richiamato anche il disposto del secondo comma dell’art. 354 cod. proc. pen. che, pur non replicando i presupposti indicati dall’art. 253 co.l cod. proc. pen., sembra, con l’inciso “se del caso“, facoltizzare, senza renderlo obbligatorio, il sequestro probatorio d’urgenza ad opera della polizia giudiziaria sia del corpo di reato che delle cose a questo pertinenti, postulando perciò ancora una volta la necessaria motivazione circa la rilevanza funzionale dell’atto sul terreno dell'”accertamento dei fatti”.
In definitiva, non può condividersi, secondo il ricorrente, l’assunto di base (sentenza Caretta), secondo cui il corpo del reato implica, “per definizione”, un’idoneità dimostrativa immediata del collegamento della cosa con l’illecito, con conseguente efficacia probatoria diretta, in re ipsa, in ordine all’avvenuta commissione di un reato ed alla sua attribuibilità ad un soggetto (SS.UU., sentenza 13.02.2004 n. 5876).
La motivazione addotta del Tribunale non farebbe altro che confermare le argomentazioni difensive del C.G. e la violazione commessa che deve condurre all’annullamento del provvedimento ricorso.
Infatti il Tribunale, per legittimare il sequestro della contabilità, muoverebbe sempre dalla mancata presentazione delle dichiarazioni dei redditi della società EFFEMME srl ritenendo, per condivisione, che la società sia un evasore totale, per cui la mancata presentazione della dichiarazione consentirebbe di apprendere,la documentazione contabile per “stabilire il superamento della soglia di punibilità…ed accertare quale sia stato l’ammontare delle imposte evase e non dichiarate e non par dubbio che a tali fini occorra la disponibilità dell’intera documentazione contabile“.
In realtà, proprio ab origine sarebbe rinvenibile, secondo il ricorrente, il vizio di motivazione commesso dal Tribunale di Macerata, che legittimerebbe il vincolo di indisponibilità dell’intera documentazione contabile della società; per la mancata presentazione della dichiarazione dei redditi e comunque contraddicendo le varie decisioni di legittimità ritiene necessario sottoporre a vincolo ” obbligatorio” la documentazione contabile per un accertamento che può essere eseguito senza il vincolo suddetto.
Quindi si potrebbe argomentare che qualora le dichiarazioni dei redditi fossero effettivamente presentate non vi sarebbe motivo di procedere con il mezzo processuale contestato dalla difesa e ritenuto illegittimo.
Se questo fosse l’accertamento da eseguire – ci si duole in ricorso – l’illegittimità del provvedimento cautelare e la doglianza proposta con il riesame troverebbe fondamento.
Il difensore ricorrente dichiara di voler smentire la pretesa coessenzialità dell’esigenza probatoria con il corpo del reato e sollecita la restituzione di quanto appreso, evidenziando come, non essendo stata esplicitata alcuna valenza investigativa dell’atto coercitivo, il temporaneo vincolo d’indisponibilità sulla cosa – pur rientrante nella suddetta categoria – non sia in realtà necessario, in concreto, per l’accertamento dei fatti.
Il ricorrente, ritiene, infine che la suesposta soluzione interpretativa (per la quale “il decreto di sequestro a fini di prova del corpo di reato deve essere necessariamente sorretto da idonea motivazione in ordine al presupposto della finalità perseguita, in concreto, per l’accertamento dei fatti“) sia l’unica compatibile con i limiti dettati all’intervento penale sul terreno delle libertà fondamentali e dei diritti costituzionalmente garantiti dell’individuo, qual è certamente il diritto alla “protezione della proprietà” riconosciuto dall’art. 42 Cost. e dall’art. 1 del primo Protocollo addizionale alla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo. Infatti – si prosegue – se si fosse voluto comunque accertare il “superamento della soglia di punibilità e, successivamente, anche l’ammontare delle imposte non dichiarate” sarebbe stato possibile verificare le scritture contabili della società presso la sua sede legale e quindi non porre su di esse un vincolo di indisponibilità come il sequestro probatorio, che ha comportato la materiale e fisica apprensione di tutta la contabilità bloccando in definitiva l’attività della società e di quelle collaterali.
c. Violazione di legge – violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. – omessa motivazione sul punto – violazione dell’art. 606 comma 1 lettere b) c) ed e) cod. proc. pen..
Viene evidenziato che la EFFEMME srl nel corso degli anni ha acquisito, come da documentazione allegata, varie attività che gestisce direttamente.
Si ricorda che la G. di F. ha indicato nella propria informativa varie società, ma sul punto il Tribunale del riesame nulla avrebbe argomentato.
Vengono elencate in ricorso le attività regolari gestite direttamente dalla EFFEMME srl, specificando che gli affitti sono documentati dagli atti pubblici che vengono allegati.
Ci si duole che non si comprenderebbero le ragioni e quali possano essere le “finalità probatorie” atte a giustificare il sequestro della contabilità delle suddette attività commerciali che potrebbero essere visionate durante il normale esercizio e quindi non essere sottoposte a vincolo di indisponibilità.
Chiede pertanto che questa Corte annulli l’ordinanza impugnata, con tutte le conseguenze di legge.
Considerato in diritto
1. I motivi sopra illustrati sono infondati e, pertanto, il proposto ricorso va rigettato.
2. Va ricordato che, secondo il combinato disposto degli artt. 324, 325 e 355, terzo comma, cod. proc. pen., il ricorso per Cassazione avverso l’ordinanza di riesame di provvedimenti in materia di sequestro preventivo e probatorio è proponibile solo per violazione di legge, non anche per difetto o illogicità della motivazione, sicché le censure attinenti alla motivazione del provvedimento impugnato, proposte dal ricorrente, devono ritenersi inammissibili.
La giurisprudenza di questa Suprema Corte, anche a Sezioni Unite, ha tuttavia più volte ribadito come nella nozione di violazione di legge debbano ricomprendersi sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo“, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza, e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (vedasi Sez. U, n. 25932 del 29.5.2008, Ivanov, rv. 239692; conf. Sez. 5, n. 43068 del 13.10.2009, Bosi, rv. 245093).
Ancora più di recente è stato precisato che è ammissibile il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro (in quel caso si trattava di sequestro preventivo) pur consentito solo per violazione di legge, quando la motivazione del provvedimento impugnato sia del tutto assente o meramente apparente, perché sprovvista dei requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e l'”iter” logico seguito dal giudice nel provvedimento impugnato, (così sez. 6, n. 6589 del 10.1.2013, Gabriele, rv. 254893).
Di fronte all’assenza, formale o sostanziale, di una motivazione, atteso l’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, viene dunque a mancare un elemento essenziale dell’atto.
Va anche aggiunto che per giurisprudenza costante di questa Suprema Corte spetta al tribunale, in sede di riesame di un sequestro probatorio, l’operazione logica di controllo dell’esattezza della qualificazione della cosa come “corpus delicti“.
In altri termini, occorre che il giudice del gravame della cautela riscontrare la sussistenza, o meno, della necessaria relazione di immediatezza, nei termini in cui meglio si specificherà in seguito, tra quell’oggetto e l’illecito penale per il quale si procede.
3. Orbene, nel caso in esame ritiene il Collegio che non si sia di fronte ad un deficit motivazionale di portata tale da integrare la lamentata violazione di legge.
In proposito, va ricordato che in tema di sequestro probatorio il sindacato del giudice del riesame non può investire la concreta fondatezza dell’accusa, ma deve essere limitato alla verifica dell’astratta possibilità di sussumere il fatto attribuito ad un soggetto in una determinata ipotesi di reato e al controllo dell’esatta qualificazione dell’oggetto del provvedimento come “corpus delicti“.
Deve essere accertata, cioè, per giurisprudenza costante di questa Corte Suprema, l’esistenza della relazione di immediatezza, descritta nel secondo comma dell’art. 253 cod. proc. pen., tra la cosa stessa e l’illecito penale (sez. 5, n. 9528 del 13.1.2009, Zhang, rv. 242998; conf. sent. 1810/1997 rv. 207194, 4724/1997 rv. 208417, n. 34625/2005, rv. 232503).
Va ulteriormente precisato che il sequestro probatorio, in quanto mezzo di ricerca della prova dei fatti costituenti reato, non può per ciò stesso essere fondato sulla prova del carattere di pertinenza ovvero di corpo di reato delle cose oggetto del vincolo patrimoniale, ma solo sul “fumus” di esso, cioè sulla mera possibilità del rapporto di esse con il reato.
In altri termini, ai fini della legittimità del vincolo, è sufficiente la semplice possibilità, purché non astratta ed avulsa dalle caratteristiche del caso concreto, della configurabilità di un rapporto di queste con il reato, (così sez. 6, n. 33229 del 2.4.2014, Visca, rv. 260339, fattispecie in cui la Corte ha annullato il sequestro di una somma di denaro per carenza di motivazione in ordine alla sua provenienza quale compenso per traffico di influenze o alla sua destinazione quale provvista per corrompere pubblici funzionar, conf. sez. 6, Sentenza n. 1683 del 27/11/2013, dep. 2014, Cisse, rv. 258416).
Naturalmente – va anche chiarito-tale “possibilità” non può essere intesa nel senso di una compatibilità del tutto astratta, ed avulsa dalle caratteristiche del caso concreto, quasi che il sequestro possa considerarsi legittimo tutte le volte in cui non ricorrano elementi idonei a dimostrare, in termini perentori, che la cosa non è pertinente al reato o non ne rappresenta il corpo od il frutto.
Qualora quindi dal complesso delle prime indagini tale “fumus” emerga, il sequestro si appalesa non solo legittimo ma opportuno, in quanto volto a stabilire, di per sé o attraverso le successive indagini che da esso scaturiscono, se esiste il collegamento pertinenziale tra “res” e illecito, (così sez. 2, n. 3273 del 21.6.1999, Lechiancole, rv. 214660, fattispecie in tema di sequestro probatorio, disposto nell’ambito di indagini preliminari concernenti il delitto di usura, di documentazione varia di cui il ricorrente sosteneva il difetto di capacità rappresentativa e quindi l’impossibilità di considerarla “cosa pertinente al reato, conf. sez. 3, n. 2727 del 10.7.2000, Blasi, rv. 217009; sez. 3, n. 2691 del 6.7.2000, Sinigaglia, rv. 217059; sez. 3, n. 3514 del 25.10.2002 dep. 24.1.2003, Frezza e altri, rv. 223130; sez. 3, n. 37168 del 4.10.2002, PM in Proc. Minardi e altri, rv. 222887; sez. 3, n. 13641 del 12/02/2002, Pedron, rv. 221275; sez. 2, n. 31950 del 03/07/2013, Fazzari, rv. 255556; sez. 6, n. 1683 del 27/11/2013, dep. 2014, Cisse, Rv. 258416).
È stato anche precisato che in tema di sequestro probatorio, il rapporto di pertinenzialità fra le cose sequestrate e l’ipotesi di reato per cui si procede non può essere considerato in termini esclusivi di relazione immediata, ben potendo acquisire rilievo ed essere oggetto di ricerca ed apprensione ogni elemento utile a ricostruire i fatti che anche in forma indiretta possono contribuire al giudizio sul merito della contestazione, (sez. 3, n. 13641 del 12.2.2002, Pedron., rv. 221275, pronuncia in cui, nell’affermare tale principio, questa Suprema Corte ha rilevato che in materia di reati tributari ben può assumere rilevanza probatoria, ed essere quindi oggetto di ricerca e sequestro, anche la documentazione commerciale e fiscale relativa ad anni d’imposta diversi da quelli oggetto d’indagine, a condizione che si sia in presenza di documentazione che appare in grado di fornire un quadro significativo dell’evoluzione aziendale e dei metodi di tenuta della contabilità).
4. Già in passato, inoltre, le Sezioni Unite di questa Corte hanno precisato, che la legittimità del sequestro del corpo del reato può essere delibata, sia pure in linea astratta, solamente in correlazione ai fatti posti a fondamento del provvedimento, non potendosi prescindere dal riferimento alla situazione risultante dagli elementi fattuali che l’accusa ha reputato giustificativi della misura, ferma restando la possibilità per il giudice del riesame di mutarne la qualificazione giuridica e adottare un differente “nomen juris“, enucleando un’ipotesi di reato diversa da quella delineata nel provvedimento (Sez. Unite n. 20 dell’11.11.1994, PM in proc. Ceolin, rv. 199172; conf. Sez. Unite n. 23 del 20.11.1996 dep. 29.1.1997, Bassi e altri, rv. 206657).
È più recentemente, sempre le Sezioni Unite, hanno precisato che, qualora il pubblico ministero non abbia indicato, nel decreto di sequestro a fini di prova, le ragioni che, in funzione dell’accertamento dei fatti storici enunciati, siano idonee a giustificare in concreto l’applicazione della misura e abbia persistito nell’inerzia pure nel contraddittorio del procedimento di riesame, il giudice di quest’ultimo non è legittimato a disegnare, di propria iniziativa, il perimetro delle specifiche finalità del sequestro, così integrando il titolo cautelare mediante un’arbitraria opera di supplenza delle scelte discrezionali che, pur doverose da parte dell’organo dell’accusa, siano state da questo radicalmente e illegittimamente pretermesse (così Sez. Un. n. 5876 del 28.1.2004, Bevilacqua rv. 226712).
La successiva giurisprudenza di questa Corte di legittimità ha poi precisato che la motivazione dell’ordinanza confermativa del decreto di sequestro probatorio è meramente apparente – quindi censurabile con il ricorso per cassazione per violazione di legge – quando le argomentazioni in ordine al “fumus” del carattere di pertinenza ovvero di corpo del reato dei beni sottoposti a vincolo non risultino ancorate alle peculiarità del caso concreto.
Nel caso che ci occupa il Tribunale di Macerata offre una motivazione congrua e pertanto immune dai vizi di legittimità oggi riproposti.
Viene ricordato che le indagini svolte dalla Guardia di Finanza di Civitanova Marche avevano consentito di appurare che la EFFEMME s.r.l. non aveva presentato le dichiarazioni annuali dei redditi per gli anni 2008-2010, pur avendo presentato le comunicazioni a fini IVA che la società, avente sede legale in (…), manteneva in realtà la sede effettiva in (OMISSIS) , benché il C. , amministratore unico della società, avesse dichiarato che la contabilità fosse detenuta nella sede di XXXX.
Il tribunale marchigiano precisa, in risposta alle doglianze propostegli dall’odierno ricorrente, che il sequestro non appare correlato all’intero complesso dell’attività di indagine emersa dalla notizia di reato, secondo cui c’era la possibilità anche di emissione di fatture per operazioni inesistenti, ma solo al fatto storico percepito come reale e oggettivo dell’ipotizzata mancanza della dichiarazione dei redditi.
Come si legge a pag. 2 del provvedimento impugnato “l’unico contesto realmente importante ai fini della misura cautelare è quello relativo alla riscontrata assenza di dichiarazioni dei redditi per il triennio 2008-2010, quindi all’ipotesi di reato di cui all’art. 5 del D.lvo 74/2000”.
A proposito della contestata mancanza di fumus il Tribunale evidenzia che le dichiarazioni prodotte non sono altro che moduli a stampa compilati, ma privi di firme e, soprattutto, di ogni elemento atto a dimostrarne l’avvenuto deposito e rileva come nemmeno elementi utili a tal fine possono derivare dal fatto che i bilanci sono stati depositati. E di fronte a tale dato di fatto non si rilevano spazi, nei precisati limiti di cui al sindacato di questa Corte di legittimità in materia di misure cautelari reali, per poter desumere il contrario.
5. Congrua appare la risposta motivazionale fornita dal Tribunale di Macerata quanto alla questione oggi riproposta dell’incompetenza territoriale, laddove nel provvedimento impugnato si è ritenuto di dover valorizzare l’esito degli accertamenti obiettivi della Guardia di Finanza, che collocano la reale sede della società proprio a (omissis) , non avendo rilievo il dato formale della sede legale a (…), che sarebbe di per sé smentita dal fatto che le scritture risultano detenute in tutt’altra parte d’Italia
Quanto al rilievo che comunque il decreto sarebbe privo di motivazione sia nell’individuazione degli elementi documentali, sia nell’indicazione delle necessità probatorie che giustificano il vincolo reale, tenendo conto dell’ipotesi astratta di reato che si profila nella vicenda, il tribunale marchigiano fa buon governo della giurisprudenza di questa Corte di legittimità nel ricordare che, se non può sostituire con la propria motivazione quella totalmente carente del provvedimento, non così e a dirsi nel caso di mere lacune, certamente integrabili dal giudice del riesame.
Ebbene, condivisibile appare l’affermazione secondo cui nel caso in esame il provvedimento impugnato mirava ad acquisire tutta la contabilità della EFFEMME, ovunque detenuta, in quanto suscettibile di accertamenti ulteriori, che non si vede in qual modo dovrebbero essere esclusi anche in presenza di una violazione puramente formale qual è, appunto, l’omessa presentazione delle dichiarazioni dei redditi. Ed invero, si rileva in motivazione che, in effetti, sebbene potesse sembrare probatoriamente sufficiente il mero riscontro documentale dell’omissione, l’acquisizione della documentazione viene ritenuta rilevante al fine di stabilire il superamento delle soglie di punibilità e accertare quale sia stato l’ammontare delle imposte non dichiarate, fine in funzione del quale occorre, evidentemente, la disponibilità dell’intera documentazione contabile;
Infine, il Tribunale di Macerata appare avere già risposto anche alla doglianza, oggi riproposta, circa il fatto che nell’informativa di reato si faccia menzione di acquisizioni di società da parte della EFFEMME, che sarebbero in realtà semplici affitti d’azienda, evidenziando che, sul punto, però, nessun richiamo a tali profili viene operato nel decreto di sequestro, che fa riferimento esplicito solo alla contabilità della EFFEMME, in quanto finalizzata alla ricostruzione del reato per il quale effettivamente si procede.
Già il Tribunale di Macerata, dunque, aveva rilevato che, laddove in sede di esecuzione del sequestro fossero stati acquisiti documenti a ciò non pertinenti (da intendersi come contabilità di altre società, ma sul punto neanche nel presente ricorso vi è alcuna specificazione) non per questo ne sarebbe intaccata la legittimità del provvedimento di sequestro ed eventuali restituzioni andrebbero disposte dal P.M. procedente.
6. Al rigetto del ricorso consegue, ex lege, la condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.