Cass., sez. III pen., 15 giugno 2017, n. 30139 (testo)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SAVANI Piero – Presidente –
Dott. GENTILI Andrea – Consigliere –
Dott. DI STASI Antonella – Consigliere –
Dott. GAI Emanuela – rel. Consigliere –
Dott. MACRI’ Ubalda – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
F.A., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 03/11/2015 della Corte d’appello di Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Emanuela Gai;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. CUOMO Luigi, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio;
udito per l’imputato l’avv. D. Maggi sost. Avv. A. Sacco, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 3 novembre 2015, la Corte d’appello di Milano ha confermato la sentenza del Giudice dell’Udienza preliminare del Tribunale di Milano con la quale, all’esito del giudizio abbreviato, F.A. era stato condannato per il reato di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10 bis, in relazione all’omesso versamento delle ritenute risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituiti di imposta per l’ammontare di Euro 339.597,00, per il periodo di imposta 2010, alla pena di mesi otto di reclusione, pene accessorie e confisca per equivalente della somma di Euro 298.247,00.
2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso F.A., a mezzo del difensore di fiducia, e ne ha chiesto l’annullamento per i seguenti motivi enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1:
2.1. Con il primo motivo denuncia la violazione di cui all’art. 606, comma 1, lett. b), in relazione all’art. 2 c.p., e D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 13, come modificato dal D.Lgs. n. 158 del 2015. Argomenta il ricorrente di aver ottenuto la rateizzazione del debito e di aver corrisposto il pagamento della prima rata e di aver avanzato, alla prima udienza utile nel dibattimento in grado di appello, richiesta di sospensione per il pagamento del debito al fine dell’applicazione della causa di non punibilità D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, ex art. 13, come modificato dal D.Lgs. n. 158 del 2015, erroneamente respinta dalla Corte d’appello in violazione dell’art. 2 c.p., comma 4, e del principio della retroattività della lex mitior di cui all’art. 7 Cedu, come interpretato dalla Corte di Giustizia. Chiede, pertanto, che la Corte di cassazione rimetta nei termini il ricorrente ovvero annulli la sentenza con rinvio al giudice del merito per la verifica delle condizioni legittimanti l’applicazione della predetta causa di non punibilità. Il pagamento del debito erariale avrebbe anche consentito l’applicazione dell’art. 131 bis c.p., che, peraltro, potrebbe essere anche applicato in questa sede non essendovi dubbi sulla tenuità del fatto.
2.2. Con il secondo motivo denuncia la violazione di legge penale in relazione al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10 bis, e il vizio di motivazione per aver la Corte d’appello affermato la responsabilità in assenza di prova di un elemento costitutivo del reato ovvero del rilascio della certificazioni ai lavoratori. Richiama il ricorrente la giurisprudenza di questa Sezione secondo cui, per la sussistenza del fatto, non è sufficiente la mera omissione del versamento delle ritenute certificate, ma occorre anche il rilascio delle certificazioni ai sostituiti anteriormente alla scadenza del termine entro il quale il sostituto deve presentare la dichiarazione, elemento di cui non vi sarebbe prova nella sentenza impugnata che ha ritenuto sussistente la violazione sulla scorta del mero dato documentale ricavato dal modello 770.
2.3. Con il terzo motivo denuncia la violazione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione all’elemento soggettivo del reato in presenza di una crisi di liquidità della società, che non avrebbe consentito l’adempimento dell’obbligazione tributaria.
2.4. Con il quarto motivo denuncia la violazione di legge penale in relazione al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 12 bis. La Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto di poter disporre la confisca per equivalente nei confronti del F. sull’intero ammontare del debito tributario, non scomputando la somma relativa ai ratei versati; inoltre avrebbe disposto la confisca per equivalente nei confronti del responsabile della società F. in assenza di verifica della possibilità di procedere a confisca diretta del profitto del reato nei confronti della società, di cui il ricorrente è legale rappresentante e in vantaggio della quale ha commesso il reato. Evidenzia, a tal fine, il ricorrente, che la società è in bonis e non è un mero schermo fittizio sicchè, secondo le note S.U. Gubert, sarebbe possibile la confisca per equivalente nei confronti dell’ente.
2.5. Con il quinto motivo denuncia la violazione di legge penale e il vizio di motivazione in relazione trattamento sanzionatorio ritenuto eccessivo. La Corte d’appello avrebbe, nell’esercizio del potere discrezionale di determinazione della pena ai sensi dell’art. 133 c.p., valorizzato oltre misure la gravità del fatto laddove, al contrario, il fatto non appare connotato di gravità. L’incensuratezza dell’imputato avrebbe dovuto comportare un più mite trattamento sanzionatorio.
3. Il Procuratore Generale ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
Motivi della decisione
4. Il ricorso è fondato con riguardo al secondo motivo con il quale il ricorrente denuncia la violazione dei legge di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10 bis, sotto il profilo dell’erronea applicazione della legge penale e il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta prova dell’elemento costitutivo del reato.
La Corte d’appello ha ritenuto provato il reato contestato sulla base del solo modello 770, ritenuto avente natura confessoria e come tale “idoneo a dimostrare il fatto oggetto della debenza della somma e del rilascio delle dichiarazioni ai sostituiti” (pag. 3) e ciò in contrasto con la più recente giurisprudenza di legittimità secondo cui la prova dell’elemento costitutivo del reato non può essere costituita dal solo contenuto della dichiarazione mod 770, essendo necessario dimostrare l’avvenuto rilascio ai sostituiti delle certificazioni attestanti le ritenute operate dal datore di lavoro quale sostituto di imposta (cfr. da ultimo Sez. 3, n.10509 del 16/12/2016, Pisu, Rv. 269141; Sez. 3, n. 10104 del 7/1/2016, Grazzini, Rv. 266301; Sez. 3, n. 11355 del 15/10/2014, Pareto, Rv. 262855).
5. E’ bene ripercorrere una breve ricostruzione della normativa interessata. Al F. è contestata la violazione di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10 bis, introdotta a seguito della entrata in vigore della L. n. 311 del 2004,art. 1, comma 441, che prevedeva che costituisce illecito penale la condotta di “chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore, a Euro 150.000,00 per ciascun anno di imposta”. Tale norma è stata modificata ad opera del D.Lgs. n. 158 del 2015, art. 7, comma 1, lett. b), che, ora, punisce l’omesso versamento “entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione o risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti”.
6. Nella vigenza del testo dell’art. 10 bis cit., anteriore alle modifiche attuate per effetto del D.Lgs. n. 158 del 2015, si erano formati, nella giurisprudenza di legittimità due orientamenti in relazione alla prova dell’elemento costitutivo del reato di cui all’art. 10 bis cit., rappresentato dall’avvenuto rilascio della certificazione delle ritenute operate. Secondo un primo orientamento, si era ritenuto che la prova del rilascio delle certificazioni attestanti le ritenute operate dal datore di lavoro, quale sostituto d’imposta, sulle retribuzioni effettivamente corrisposte ai sostituiti, potesse essere fornita dal pubblico ministero anche soltanto mediante prove documentali, testimoniali o indiziarie e, in particolare, mediante la dichiarazione fiscale acquisita agli atti ovvero il mod. 770, la testimonianza del funzionario erariale sul contenuto della dichiarazione stessa (Sez. 3, n. 20778 del 06/03/2014, Leucci, Rv. 259182; Sez. 3, n. 33187 del 12/06/2013, Buzi, Rv. 256429; Sez. 3, n. 1443 del 15/11/2012, Salmistrano, Rv. 254152). Secondo un altro indirizzo, poichè la condotta punita non è quella dell’omesso versamento ma il mancato versamento delle ritenute certificate nel maggiore termine stabilito per la presentazione della dichiarazione annuale relativa al periodo di imposta dell’anno precedente, si è affermato essere necessaria la prova che il sostituto abbia rilasciato ai sostituiti la certificazione (o le certificazioni) da cui risultino le ritenute il cui versamento è stato poi omesso. Dunque, secondo questo secondo orientamento, il reato è ravvisabile solo in seguito al materiale rilascio della certificazione di cui deve essere data prova, non sussistendo alcun illecito penale nel caso in cui il soggetto che ha effettuato le ritenute non le abbia poi versate al fisco e non abbia rilasciato ai sostituiti la relativa certificazione, ovvero l’abbia rilasciata in ritardo. Secondo questo indirizzo, la presentazione del mod. 770 può assumere la valenza di un mero indizio dell’avvenuto versamento delle retribuzioni e dell’effettuazione delle ritenute, in quanto con tale modello il datore di lavoro dichiara di averle appunto effettuate, ma non può costituire elemento di prova dell’avvenuto rilascio delle certificazioni ai sostituiti prima del termine previsto per presentare la dichiarazione, “dal momento che tale modello non contiene anche la dichiarazione di avere tempestivamente emesso le certificazioni” (Sez. 3, n. 11335 del 15/10/2014, Pareto, Rv. 262855). Di qui, l’affermazione del principio, affermato nella vigenza della norma anteriormente alla modifica ad opera del d.lgs. n. 158 del 2015, secondo cui la prova dell’elemento costitutivo rappresentato dal rilascio ai sostituiti delle certificazioni attestanti le ritenute effettivamente operate, il cui onere incombe all’accusa, non può appunto essere costituita dal solo contenuto della dichiarazione modello 770 proveniente dal datore di lavoro o dalle dichiarazioni testimoniali aventi ad oggetto tale circostanza (tra le altre, Sez. 3, n. 6203 del 29/10/2014, Rispoli, Rv. 262365; Sez. 3, n. 11335 del 15/10/2014, Pareto, Rv. 262855; Sez. 3, n. 40526 del 08/04/2014, Gagliardi, Rv. 260090).
7. Tale indirizzo ermeneutico è stato ribadito, dalla giurisprudenza di questa Corte, all’indomani della modifica normativa del 2015 secondo cui si configura il reato di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10 bis, laddove non si versino “entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione o risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti”. Ha evidenziato, questa Corte, che se il legislatore ha inserito la dichiarazione annuale di sostituto accanto alla certificazione rilasciata ai sostituiti, ed ha inteso estendere la tipicità del reato anche alle ipotesi di omesso versamento di ritenute dovute sulla base della dichiarazione mod. 770 (per i fatti successivi alla sua entrata in vigore), ciò comporta che la precedente formulazione racchiudesse nel proprio perimetro di tipicità soltanto l’omesso versamento di ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, e che richiedesse anche, sotto il profilo probatorio, la necessità di una prova del rilascio della certificazione ai sostituiti. Il criterio logico dell’argumentum a contrario, desunto dalla novella che ha esteso la rilevanza normativa all’omesso versamento di ritenute dovute sulla base anche della dichiarazione, infatti, impone di escludere dalla portata applicativa della norma quanto non vi era espressamente compreso in precedenza (tra le altre, sulla scia di Sez. 3, n. 10104 del 07/01/2016, Grazzini, Rv. 266301, Sez. 3, n. 41468 del 30/03/2016, Pappalardo, non massimata; Sez. 3, n. 48302 del 20/09/2016, Donetti, non massimata; Sez. 7, n. 53249 del 23/09/2016, D’Ambrosi, non massimata; Sez. 3, n. 51417 del 29/11/2016, Fontanella, non massimata).
8. Ciò posto, la corte milanese ha espressamente aderito all’opposto orientamento che, alla luce delle su esposte considerazioni, non appare condivisibile per le ragioni sopra esposte. In particolare non è condivisibile l’affermazione della sufficienza del mod. 770 a dimostrare il rilascio della certificazione ai sostituiti, non avendo alcuna efficacia confessoria (Sez. 3, n. 11335 del 15/10/2014, Pareto, Rv. 262855). La motivazione può ritenersi adeguata limitatamente alla sola prova della erogazione degli emolumenti e del mancato versamento delle ritenute, e quindi della fondatezza della pretesa creditoria della Agenzia delle Entrate (la cui violazione è presidiata dalla sanzione amministrativa), ma nulla dimostra in ordine all’avvenuto rilascio ai sostituiti delle certificazioni e quindi l’integrazione del delitto contestato alla ricorrente.
9. La sentenza va pertanto annullata con rinvio per un nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte d’appello di Milano.
Nel nuovo giudizio la Corte dovrà attenersi al principio di diritto sopra richiamato secondo cui, nel reato di omesso versamento di ritenute certificate di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10 bis, nella precedente formulazione applicata al caso in esame ratione temporis, spetta all’accusa fornire la prova dell’elemento costitutivo rappresentato dal rilascio ai sostituiti delle certificazioni attestanti le ritenute effettivamente operate e tale prova non può essere costituita dal solo contenuto della dichiarazione modello 770 proveniente dal datore di lavoro.
10. Stante il carattere pregiudiziale del nuovo giudizio sul punto per cui vi è annullamento della sentenza, restano assorbiti gli altri motivi di ricorso ed in particolare, il primo motivo con cui il ricorrente chiedeva l’applicazione del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 13, rispetto al quale si rende opportuno fornire al giudice del rinvio indicazioni ermeneutiche da seguire nel giudizio di rinvio all’esito del nuovo esame devoluto secondo quando indicato al par. 9.
All’udienza dibattimentale in grado di appello il 3 novembre 2015, il ricorrente aveva chiesto un rinvio dell’udienza per consentire all’imputato l’estinzione del debito tributario per beneficiare della causa di non punibilità di cui alD.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 13, come modificato ad opera della L. n. 158 del 2015, secondo cui: “i reati di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, artt. 10 bis, 10 ter e 10 quater, non sono punibili se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese le sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche se a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previsto dalle norme tributarie, nonchè del ravvedimento operoso”. Tale disposizione, introdotta dal D.Lgs. n. 158 del 2015, art. 11, non ha dettato alcuna disciplina transitoria, sicchè il ricorrente, anche invocando il principio della retroattività della lex mitior di cui all’art. 7 Cedu, come interpretato dalla Corte di Giustizia, chiede che la Corte di cassazione rimetta nei termini il ricorrente, ovvero annulli la sentenza con rinvio al giudice del merito per la verifica delle condizioni legittimanti l’applicazione della predetta causa di non punibilità. Di qui la indicazione ermeneutica per il giudice del rinvio.
10.1. Come è noto, la Corte Costituzionale con la sentenza n. 240 del 2015, “la Corte Europea dei diritti dell’uomo, ritenendo che il principio di retroattività della legge penale più favorevole sia un corollario di quello di legalità, consacrato dall’art. 7 della CEDU, ha fissato dei limiti al suo ambito di applicazione, desumendoli dalla stessa norma convenzionale. Il principio di retroattività della lex mitior, come in generale le norme in materia di retroattività contenute nell’art. 7 della Convenzione, concerne, secondo la Corte, le sole disposizioni che definiscono i reati e le pene che li reprimono (decisione 27 aprile 2010, Morabito contro Italia; nello stesso senso, sentenza 17 settembre 2009, Scoppola contro Italia). Perciò è da ritenere che il principio di retroattività della lex mitior riconosciuto dalla Corte di Strasburgo riguardi esclusivamente la fattispecie incriminatrice e la pena, mentre sono estranee all’ambito di operatività di tale principio, così delineato, le ipotesi in cui non si verifica un mutamento, favorevole al reo, nella valutazione sociale del fatto, che porti a ritenerlo penalmente lecito o comunque di minore gravità” (Corte Costituzionale n. 236 del 2011). E in tale contesto non v’è dubbio che la causa di non punibilità che, diversamente dalle cause di giustificazione e dalle cause di esclusione della colpevolezza, lascia intatta l’illiceità del fatto e non fa venir meno il reato, ma ne esclude la punibilità per ragioni di opportunità politico criminale operate dal legislatore, non sia ricompresa nel perimetro dell’art. 7 Cedu quanto alla retroattività della lex mitior.
10.2. Retroattività della lex mitior significa applicabilità della legge più favorevole anche ai fatti che si sono verificati prima della sua entrata in vigore e, dunque, nel caso di cui ci si occupa, comporta che la causa di non punibilità del pagamento del debito può essere applicata retroattivamente anche al fatto-reato commesso prima della sua entrata in vigore, ma la retroattività non si estende agli strumenti processuali che ne consentono l’operatività.
Nel caso di specie, il requisito normativo secondo cui tale possibilità deve essere esperita prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado ha evidentemente natura processuale e non sostanziale. Pertanto, in assenza di disciplina transitoria, opera una preclusione processuale, prevista dalla legge che non contrasta con il principio della retroattività della lex mitior sostanziale. L’art. 13 ha una doppia previsione, una di natura sostanziale (il pagamento del debito che estingue il fatto-reato commesso prima della sua entrata in vigore) e una processuale (il pagamento prima dell’apertura del dibattimento).
In altri termini, la preclusione processuale è conseguenza del normale regime temporale della norma processuale e non si pone in contrasto con il riferimento all’art. 7 della CEDU, sotto il profilo della mancanza della retroattività della norma penale di favore secondo l’interpretazione fornita dalla Corte Edu.
Il principio potrebbe essere derogato da una diversa disciplina transitoria, ma la mancanza di questa non è certo censurabile in forza dell’art. 7 della CEDU. Peraltro, onde evitare una prospettabile violazione dell’art. 3 Cost., per irragionevole disparità di trattamento, limite che la Corte costituzionale con la sentenza citata ha ravvisato dopo aver affermato che la lex mitior non necessariamente deve trovare applicazione ai fatti pregressi, ritiene la Corte che il limite temporale normativamente previsto (prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado) debba essere interpretato, con conseguente applicazione della causa di non punibilità, laddove il pagamento integrale del debito tributario sia già avvenuto prima della prima data utile per chiedere l’applicazione della causa di non punibilità a seguito dell’introduzione della stessa ad opera della legge del 2015; non potendosi, viceversa, ritenere l’applicazione retroattiva ai fatti di reato per i quali il pagamento integrale del debito tributario non sia avvenuto entro tale termine, interpretazione che varrebbe ad una generalizzata rimessione in termini con ulteriori problematiche, in assenza di disciplina transitoria, prima tra tutte la prescrizione del reato che potrebbe venire a maturare nelle more del pagamento qualora si accogliesse la tesi della applicazione della causa di non punibilità anche per coloro che non hanno compiuto l’integrale pagamento del debito tributario.
Non ignora, il Collegio, che un diverso orientamento è stato espresso da questa Corte con la sentenza Sez. 3, n. 40314 del 30/03/2016, F. Rv. 267807, che ritiene di rivisitare alla luce della argomentazioni su esposte. Segnala, al riguardo, che con una successiva sentenza Sez. 3, n. 15237 del 01/02/2017, Volanti, non ancora massimata, questa Corte ha già mostrato di ripensare all’indirizzo sopra esposto aderendo alla diversa interpretazione ermeneutica qui sostenuta, avendo annullato una sentenza con rinvio al giudice del merito onde verificare la completezza del pagamento già avvenuto e documentato al momento della decisione. Situazione all’evidenza diversa dal caso in scrutinio, nel quale il ricorrente chiede un rinvio per l’adempimento del debito tributario.
11. Pertanto, deve affermarsi il principio di diritto secondo cui nei reati tributari la causa di non punibilità D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, ex art. 13, come modificato ad opera della legge n. 158 del 2015, trova applicazione ai fatti commessi precedentemente alla sua entrata in vigore e ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 158 del 2015, anche qualora, alla data predetta, era già stato aperto il dibattimento di primo grado, se i debiti tributari, comprese le sanzioni amministrative e interessi, risultano essere stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche se a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previsto dalle norme tributarie.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per un nuovo esame ad altra Sezione della Corte d’appello di Milano.
Così deciso in Roma, il 12 aprile 2017.
Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2017