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Cass., sez. III civ., 4 gennaio 2023 (ord.), n. 106 (testo)

Cass. civ., sez. III, ord., 4 gennaio 2023, n. 106
Presidente Sestini – Relatore Cirillo

Fatti di causa

  1. La Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense ottenne un decreto ingiuntivo nei confronti di Equitalia Sestri s.p.a., agente della riscossione per la provincia di Novara, per il pagamento della somma di Euro 7.721,01, a titolo di somme iscritte a ruolo e non riversate dal concessionario. Avverso il decreto propose opposizione la Equitalia Sestri s.p.a. e il Tribunale di Roma, in contraddittorio con la Cassa opposta, rigettò l’opposizione, compensando le spese di lite. 2. La sentenza è stata impugnata dalla Equitalia Nord s.p.a., succeduta alla Equitalia Sestri s.p.a., poi divenuta Agenzia delle entrate Riscossione, e la Corte d’appello di Roma, in riforma della decisione di primo grado, con sentenza del 6 febbraio 2019 ha accolto l’appello e ha revocato il decreto ingiuntivo, con compensazione delle spese dei due gradi di giudizio. La Corte d’appello, dopo aver affermato la giurisdizione del giudice ordinario, avendo la contribuzione in questione ad oggetto unicamente il rapporto previdenziale privatistico tra la Cassa ed i propri iscritti, ha ricostruito la complessa trama normativa interessante ai fini della decisione ed ha affermato l’applicabilità alla controversia della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, commi 527, 528 e 529, evidenziando che detta disciplina era immune dai vizi di illegittimità costituzionale prospettati dalla Cassa. 3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Roma ricorre la Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense con atto affidato a tre motivi. Resiste con controricorso l’ADER – Agenzia delle Entrate Riscossione. La parte ricorrente ha depositato memoria.

Ragioni della decisione

  1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 529, del D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509, artt. 1 e 2 nonché dell’art. 3 Cost., art. 35 Cost., comma 1, art. 36 Cost., comma 1, art. 38 Cost., art. 42 Cost., comma 3, art. 97 Cost., comma 2 e art. 117 Cost., comma 1, anche in relazione all’art. 6 della CEDU. Sostiene la ricorrente che le disposizioni di cui alla L. n. 228 del 2012 non potrebbero ritenersi applicabili alla Cassa, in quanto ente di natura privata che non gode di sovvenzioni pubbliche, in base ad una lettura costituzionalmente orientata della normativa di riferimento, dal momento che le predette disposizioni determinerebbero sostanzialmente una sorta di espropriazione dei crediti iscritti a ruolo, in danno degli enti creditori, senza alcun indennizzo (sul piano formale e sostanziale per i crediti inferiori ad Euro 2.000,00 e, quanto meno su quello sostanziale, per quelli di importo superiore). La Cassa rileva di aver fatto affidamento, nel corso degli anni, su un sistema normativo che le garantiva, qualora il concessionario alla riscossione fosse incorso nelle cause di perdita del diritto al discarico (D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112, art. 19), di rivalersi sul medesimo per i carichi a ruolo oggetto di mancato riversamento. L’applicazione, in particolare, della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 529, sancendo l’inapplicabilità del D.Lgs. n. 112 del 1999, artt. 19 e 20 aveva fortemente inciso sulla possibilità concreta, per la Cassa, di realizzare i crediti relativi ai contributi iscritti a ruolo. Segue poi l’illustrazione di una serie di ragioni per le quali l’indicata normativa sarebbe in contrasto con i parametri costituzionali suindicati. 2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4), art. 276 c.p.c., comma 2, e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., per erroneo assorbimento, da parte della Corte d’appello, delle altre questioni poste alla sua attenzione. La ricorrente rileva che la sentenza, dopo aver ritenuto applicabile la normativa di cui alla L. n. 228 del 2012, ha considerato che da quella conclusione derivasse l’assorbimento anche delle altre questioni. In particolare, la Cassa evidenzia di avere dedotto (sia in primo grado che in grado di appello) che i rapporti giuridici con l’agente della riscossione relativi ai crediti iscritti a ruolo negli anni 1998 e 1999 dovevano ritenersi ormai esauriti, con perdita per quest’ultimo del c.d. diritto al discarico a causa del mancato tempestivo invio delle comunicazioni di inesigibilità, non potendo i relativi termini ritenersi prorogati ininterrottamente fino al sopraggiungere della L. n. 228 del 2012. Il termine per l’invio della comunicazione di inesigibilità era scaduto, secondo la ricorrente, al più tardi il 30 giugno 2006. L’accertamento dell’esaurimento del rapporto tra la Cassa e il concessionario per la Provincia di Novara avrebbe, secondo la ricorrente, carattere pregiudiziale rispetto all’operatività delle norme della L. n. 228 del 2012; il che viene a significare che la Corte d’appello non si sarebbe pronunciata su tale eccezione e che comunque, se anche lo avesse fatto implicitamente, la decisione dovrebbe ritenersi erronea. 3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia. Ribadita la ricostruzione delle norme di cui al secondo motivo, la parte ricorrente obietta che, se non si ritenesse di accogliere le censure di quel motivo, la sentenza impugnata dovrebbe essere cassata per il vizio di omessa pronuncia. La Corte di merito, infatti, non avrebbe considerato che nella catena delle disposizioni di proroga per la presentazione delle comunicazioni di inesigibilità si riscontrano due vuoti normativi: il primo, alla data del 1 ottobre 2004, essendo la proroga di cui al D.L. n. 282 del 2004 intervenuta solo il 29 novembre 2004; il secondo al 30 settembre 2005, perché il D.L. n. 203 del 2005 era entrato in vigore il 4 ottobre 2005. Vi sarebbe, dunque, un’omissione di pronuncia circa il consolidamento del credito in capo alla Cassa, con conseguente inapplicabilità della sopravvenuta L. n. 228 del 2012. 4. Rileva il Collegio, preliminarmente, che la causa in esame è in tutto uguale ad altre sulle quali questa Corte si è già pronunciata. Occorre quindi muovere da tale giurisprudenza alla quale l’odierna pronuncia intende dare ulteriore continuità. 4.1. La sentenza 9 maggio 2019, n. 12229, che per prima si è pronunciata sulla complessa questione, ha ricostruito le principali tappe normative nei termini che seguono. “Va innanzitutto precisato, in termini generali, che, ai sensi della L. n. 576 del 1980, art. 18 (riforma del sistema previdenziale forense), ribadito dal D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 17, comma 3, la Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense provvede alla riscossione dei contributi insoluti a mezzi di ruoli da essa compilati, resi esecutivi dall’Intendenza di Finanza e da porre in riscossione secondo le norme previste per la riscossione delle imposte dirette; nello specifico, pertanto, la Cassa compila e trasmette all’Agente della riscossione i ruoli (e cioè, come precisato dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 10 gli elenchi dei debitori della Cassa e del loro debito), i quali costituiscono il titolo esecutivo attraverso il quale effettuare la riscossione dei contributi previdenziali nei confronti degli avvocati iscritti alla gestione previdenziale che non li hanno corrisposti. Nello specifico va, poi, evidenziato che, ai sensi del D.P.R. n. 43 del 1988, art. 32, comma 3, ora abrogato, la consegna dei ruoli faceva divenire il Concessionario addetto alla riscossione debitore dell’intero ammontare delle somme iscritte nei ruoli, che dovevano essere dallo stesso Concessionario versate alla Cassa alle scadenze stabilite, ancorché non riscosse; il concessionario aveva quindi l’obbligo di anticipare alla Cassa il gettito delle procedure di riscossione (c.d. meccanismo del “non riscosso come riscosso”), con possibilità, secondo quanto previsto dal D.P.R. n. 43 del 1988, artt. 75 e 77 di recuperare il carico anticipato (facendoselo rimborsare dalla Cassa o compensandolo con gli altri importi da anticipare) solo ove avesse agito diligentemente nella procedura di riscossione senza però riuscire nell’esazione (c.d. “diritto al discarico” o “sistema del discarico”). Il detto D.P.R. n. 43 del 1988, e in particolare il meccanismo del “non riscosso come riscosso”, è stato, come detto, abrogato dal D.Lgs. n. 112 del 1999, che ha quindi fatto venire meno l’obbligo dell’Agente di versare anticipatamente alla Cassa a scadenza fissa gli importi da riscuotere, ed ha introdotto un diverso sistema, in base al quale il Concessionario, una volta ricevuti i ruoli, provvede alla riscossione dei relativi importi e, dopo averli riscossi, ha l’obbligo di riversarli alla Cassa (D.Lgs. n. 37 del 1999, art. 2; D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 22); in caso di omessa riscossione, il Concessionario può ottenere il “discarico per inesigibilità” (e quindi non ha l’obbligo di versare i relativi importi alla Cassa) solo ove abbia rispettato determinati adempimenti (nello specifico quelli espressamente previsti dal D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 19, lett. a), b), c), d) ed e)), mentre perde detto diritto al discarico (con conseguente obbligo di pagamento alla Cassa dei relativi importi) ove, al termine della procedura di cui al D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 20 venga accertata una sua responsabilità in ordine alla mancata riscossione. In materia è poi intervenuta la L. n. 228 del 2012, in vigore dal 1 gennaio 2013 (legge di stabilità per il 2013), in combinato con il decreto attuativo 15 giugno 2015 del Ministro dell’economia e delle finanze, che, per tutti i ruoli antecedenti al 31 dicembre 1999, ha stabilito: 1) l’annullamento automatico dei crediti di importo sino ad Euro 2.000,00 iscritti in ruoli resi esecutivi sino al 31 dicembre 1999 (art. 1, comma 527, legge cit.); in particolare, ai sensi del detto D.M. 15 giugno 2015, art. 1 l’elenco delle quote riferite ai detti crediti è trasmesso dall’agente della riscossione all’ente creditore su supporto magnetico, ovvero in via telematica, e le dette quote sono automaticamente discaricate ed eliminate dalle scritture contabili dell’ente creditore; 2) l’obbligo dell’Agente di riscossione, per i crediti di importo superiore ad Euro 2.000,00, di dare notizia all’ente impositore dell’esaurimento dell’attività di riscossione (art. 1, comma 528, legge cit.); obbligo poi precisato (D.M. 15 giugno 2015, artt. 2 e 3 cit.) in quello di dare comunicazione, su supporto magnetico o comunque in via telematica, dell’elenco delle quote non interessate da procedure esecutive avviate o da contenzioso pendente o da accordi in corso o da insinuazioni in procedure concorsuali ancora aperte o da dilazioni in corso, con conseguente automatico discarico anche di dette quote ed eliminazione dalle scritture contabili dell’ente creditore; per i crediti superiori ad Euro 2.000,00, interessati invece dalle dette procedure o pendenze, rimasti in carico all’Agente della riscossione, obbligo di quest’ultimo di inserirli in un elenco, da trasmettere su supporto magnetico o comunque in via telematica all’ente creditore, entro due mesi dalla conclusione delle attività, con conseguente automatico discarico anche di dette quote ed eliminazione dalle scritture contabili dell’ente creditore; 3) per tutti i crediti, indipendentemente dal valore, la non applicabilità D.Lgs. n. 112 del 1999, artt. 19 e 20 (art. 1, comma 529, legge cit.)”. La sentenza ora citata ha anche precisato che la L. n. 228 del 2012 – se, da un lato, per i crediti inferiori ad Euro 2.000, ha inteso scongiurare l’antieconomicità della riscossione in ragione del presumibile rapporto negativo tra costi dell’esazione e benefici dell’eventuale riscossione – non ha inciso, per quanto riguarda i crediti degli enti superiori ad Euro 2.000 (come nel caso oggi in esame), sull’esistenza del diritto. Le modifiche introdotte dalla L. n. 228 del 2012, cioè, per i crediti superiori a quella soglia hanno inciso “solo sulla procedura di riscossione, atteso che il disposto annullamento del ruolo non coincide con l’annullamento del credito sottostante, che ben potrà essere successivamente azionato in proprio dall’ente creditore con l’ordinaria procedura”; possibilità, questa, che rende irrilevante, ai fini delle prospettate violazioni di legge, il fatto che la procedura di riscossione abbia scarse possibilità concrete di approdare ad un risultato fruttuoso. 4.2. Alla luce di siffatta ricostruzione vengono a cadere tutti i dubbi di legittimità costituzionale sollevati dalla Cassa oggi ricorrente. Va innanzitutto rilevata la correttezza della sentenza impugnata là dove ha evidenziato che ogni (del tutto ipotetico) dubbio di legittimità costituzionale relativo all’annullamento dei crediti inferiori ad Euro 2.000 è privo di rilevanza, posto che nel giudizio odierno si discute di un credito di entità superiore. Ciò detto, il Collegio evidenzia come vadano richiamate, a questo proposito, le decisioni successive di questa Corte che hanno dato continuità alla citata sentenza n. 12229 del 2019. In particolare, l’ordinanza 1 marzo 2022, n. 6767, dopo aver ribadito che per i crediti di valore superiore ad Euro 2.000 non c’e’ alcuna estinzione del credito, bensì soltanto il venir meno del titolo esecutivo costituito dal ruolo, ha osservato che risulta “manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale delle norme in esame, sollevata dalla ricorrente sia in relazione alla previsione di un’espropriazione senza indennizzo dei crediti da essa vantati nei confronti dei propri iscritti e dell’idoneità di tale intervento a incidere sull’equilibrio finanziario dell’ente, sia in relazione alla disparità di trattamento introdotta tra i crediti delle casse previdenziali e quelli dell’Unione Europea, per i quali resta confermata l’operatività del sistema di riscossione a mezzo ruolo, anche se risalenti”. Detta pronuncia ha anche dichiarato che “deve ritenersi altresì infondata la censura di violazione dell’art. 117 Cost., sollevata in riferimento all’art. 6 della CEDU, sotto il profilo dell’irragionevole incidenza delle disposizioni in esame sulla posizione di parità delle parti nei giudizi in corso, non configurandosi le stesse come un intervento isolato ed inaspettato rispetto ad un quadro normativo idoneo ad ingenerare nelle parti un ragionevole affidamento in ordine alla sua immutabilità, ma come uno stadio ulteriore di un percorso normativo avviato fin dal 1999 con la riforma del sistema di riscossione a mezzo ruolo, e proseguito con la sostituzione dell’organizzazione di carattere pubblicistico degli agenti della riscossione ai rapporti di concessione precedentemente intrattenuti dagli enti creditori con società private”. Anche il principio dell’affidamento, quindi, pure invocato dall’odierna ricorrente, non è stato leso dalla normativa qui in esame. 4.3. Residuano, a questo punto, le censure dei motivi secondo e terzo, che in sostanza coincidono, posto che la Cassa pone in essi la stessa questione, prima come contestazione di indebito assorbimento e poi di omessa pronuncia. 4.4. Anche tali questioni sono state affrontate da precedenti pronunce di questa Corte che giova a questo punto richiamare. In particolare, la sentenza 19 giugno 2020, n. 11972, ha chiarito che in tema di riscossione delle imposte mediante ruoli e di procedura di discarico dei crediti inesigibili, solo per l’agente della riscossione pubblico (e quindi anche per i ruoli trasferiti ai soggetti del gruppo pubblico Equitalia – e, poi, ad Agenzia delle Entrate-Riscossione – in conseguenza della cessazione dell’affidamento in concessione del servizio di riscossione) è stata prevista una proroga, ininterrottamente reiterata fino alla L. n. 228 del 2012, del termine di decadenza per l’invio della comunicazione di inesigibilità di cui al D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 19; ne consegue l’inapplicabilità della disciplina di cui all’art. 59, comma 4-quater, del citato decreto in quanto dettata esclusivamente per gli ex-concessionari privati e per le società private “scorporate”, resesi cessionarie del relativo ramo di azienda, in relazione ai quali soltanto viene in rilievo la questione della soluzione di continuità nelle proroghe dei detti termini (determinatasi tra la scadenza del termine del 1 ottobre 2004 e la successiva proroga disposta con il D.L. n. 282 del 2004). Questa sentenza ha chiarito che la tesi della Cassa oggi ricorrente secondo cui vi sarebbero “interruzioni nella sequenza cronologica delle proroghe del temine per l’invio delle “comunicazioni di inesigibilità” e rivolta a contestare l’applicabilità ai soggetti pubblici della riscossione (Riscossione s.p.a. e società da essa partecipate) delle proroghe disposte dal D.L. n. 203 del 2005, art. 3, comma 12, è da ritenere errata, in quanto non tiene conto delle distinte discipline normative delle proroghe dei termini dettate in concomitanza con il riordino del settore e la trasformazione del sistema organizzativo della riscossione a mezzo ruoli”. Richiamando la sentenza n. 51 del 2019 della Corte costituzionale, la sentenza n. 11972 del 2020 ha evidenziato “la netta distinzione tra le “proroghe cd. generiche” (cui si riferiscono le norme richiamate da Cassa Forense) che si applicano ai “vecchi concessionari nazionali o, per traslato, ai soggetti che da essi siano eventualmente scaturiti (come le società cosiddette scorporate, cioè le società private cessionarie del ramo di azienda relativo alle attività concernenti i tributi locali e altre entrate di enti locali, ceduto dai concessionari nazionali ai sensi del D.L. n. 203 del 2005, art. 3, comma 24, primo periodo, come convertito nella L. n. 248 del 2005)”, ed invece le “proroghe cd. specifiche” che si applicano esclusivamente a “Riscossione S.p.a. e alle società dalla stessa partecipate (…)” (che) sono complessivamente denominate agenti della riscossione” (cui è in seguito succeduta Agenzia delle Entrate-Riscossione subentrata, a titolo universale, nei rapporti giuridici attivi e passivi, anche processuali, delle società del Gruppo Equitalia sciolte a decorrere dal 10 luglio 2017). Le proroghe c.d. generiche “hanno operato esclusivamente attraverso l’originaria modifica del D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112, art. 59 disposta dal D.Lgs. 27 aprile 2001, n. 193, art. 3, comma 1, lett. l, con l’introduzione dei commi 4-bis e 4-ter, che hanno stabilito al 1 ottobre 2004 il termine per la presentazione delle comunicazioni di inesigibilità da parte dei Concessionari nazionali della Riscossione”. Le proroghe specifiche, invece, “hanno interessato i termini di presentazione delle comunicazioni di inesigibilità riguardanti i ruoli trasferiti dai vecchi concessionari nazionali alle società partecipate da Riscossione s.p.a. (poi Gruppo Equitalia e, quindi, Agenzia delle Entrate-Riscossione), che a quelli sono subentrate ex lege in mancanza di una diversa determinazione degli enti creditori o della prosecuzione dell’attività di riscossione da parte di un’altra società cessionaria del ramo d’azienda “relativo alle attività svolte in regime di concessione per conto degli enti locali” (D.L. n. 203 del 2005, art. 3, commi 24 e 25), e la proroga è proseguita ininterrottamente attraverso le continue modifiche del D.L. n. 203 del 2005, art. 3, comma 12, convertito nella L. n. 248 del 2005″. La sentenza n. 11972 del 2020, dunque, ha chiarito in modo definitivo e pienamente condivisibile che la norma del D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 59, comma 4-quater, invocata dalla Cassa ricorrente, è stata dettata solo per gli ex concessionari privati e per le società private “scorporate” resesi cessionarie del relativo ramo di azienda; per cui il problema della soluzione di continuità tra le proroghe non trova applicazione per l’Agenzia delle entrate-Riscossione che è controricorrente nel presente giudizio. I principi affermati dalla sentenza ora citata sono stati ulteriormente ribaditi dalle sentenze 20 novembre 2020, n. 26531, e 31 maggio 2021, n. 15094; tali decisioni, oltre ad escludere l’esistenza di una soluzione di continuità per le c.d. “proroghe specifiche”, relative ai rapporti interessanti i ruoli trasferiti ai soggetti del gruppo pubblico Equitalia – e, successivamente, all’Agenzia delle Entrate-Riscossione – in conseguenza della cessazione dell’affidamento in concessione del servizio di riscossione, hanno anche ulteriormente specificato le ragioni per le quali la normativa in esame non dà luogo a dubbi di legittimità costituzionale. 4.5. Dalla complessa ricostruzione qui sommariamente tratteggiata discende l’evidente infondatezza anche dei motivi secondo e terzo dell’odierno ricorso. 4.6. Nella memoria della parte ricorrente è stata richiamata, a supporto delle proprie tesi, la recente sentenza 18 marzo 2022, n. 8948, delle Sezioni Unite di questa Corte. Tale richiamo, però, non giova alla Cassa ricorrente. Pur trattandosi, infatti, per quanto è dato comprendere, di un caso in tutto simile a quello odierno, il Collegio rileva che la sentenza ora citata si è limitata ad esaminare il primo motivo del ricorso principale in quella sede proposto dall’Agenzia delle entrate, avente ad oggetto il presunto difetto in radice del potere giurisdizionale in capo al giudice ordinario adito. Esclusa la fondatezza di quel motivo, le Sezioni Unite hanno rimesso la causa alla Prima Sezione Civile per l’esame degli ulteriori motivi, il che esclude si possa ipotizzare un mutamento dell’ormai consolidata giurisprudenza in argomento. 5. Il ricorso, pertanto, è rigettato. A tale esito segue la condanna della ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55. Sussistono inoltre le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 1.600, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.