Cass., sez. III civ., 28 giugno 2019, n. 17453 (testo)
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 22 maggio – 28 giugno 2019, n. 17453
Presidente Graziosi – Relatore Iannello
Fatti di causa
- Con la sentenza in epigrafe la Corte d’Appello di Ancona ha respinto il gravame proposto dalla società S.S.C., Società Sviluppo Commerciale s.r.l., avverso la sentenza di primo grado che ne aveva rigettato la domanda di accertamento del vantato diritto alla restituzione degli importi corrisposti a Meteore Italy s.r.l., a titolo di rimborso dell’Ici e dell’Imu da questa a sua volta versati all’Erario, giusta contratto del 18/12/2003 di locazione ad uso commerciale per la durata di anni 18 di complesso immobiliare sito in (…): importi asseritamente non dovuti stante la dedotta nullità della clausola ex art. 7.2, secondo cui “Nel corso dell’intera durata del… contratto: (i) Il Conduttore si farà carico di ogni tassa, imposta e onere relativo ai Beni Locati ed al presente Contratto tenendo conseguentemente manlevato il Locatore relativamente agli stessi; (ii) il Locatore sarà tenuto al pagamento delle tasse, imposte e oneri relativi al proprio reddito”.
Tale nullità era dedotta per essere detta clausola in realtà volta “a riversare l’onere tributario relativo all’ICI e all’IMU gravanti sull’immobile locato, su un soggetto diverso da quello passivo tenuto per legge a subire il relativo sacrificio patrimoniale, e quindi in chiaro contrasto con il principio, costituzionalmente sancito, di concorso alla spesa pubblica in ragione della (e non oltre la) propria capacità contributiva”, nonché “con la L. n. 392 del 1978, art. 9, che non indica in alcun modo, tra gli oneri accessori a carico del conduttore, ivi tassativamente elencati, anche le imposte patrimoniali relative ai beni locati”. - Avverso la suindicata pronunzia la S.S.C., Società Sviluppo Commerciale, S.r.l. propone ricorso per cassazione, affidato a otto motivi illustrati da memoria, cui resiste con controricorso la Meteore Italy s.r.l., che ha presentato anche memoria.
Ragioni della decisione
- Con il primo motivo di ricorso S.S.C. S.r.l. denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, art. 118 disp. att. c.p.c., e art. 111 Cost., per essere la sentenza impugnata dotata di motivazione solo apparente e obiettivamente incomprensibile: sia nella parte in cui, (erroneamente) qualificando l’operazione commerciale inter partes come sale and lease back, ne ha immotivatamente dedotto che con l’art. 7.2(i) le parti avessero pattuito una componente del canone della locazione; sia nella parte in cui ha, incomprensibilmente, trascurato di applicare i principi di diritto richiamati nella propria premessa.
- Con il secondo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, consistente nella mancata applicazione, da parte di Meteore, fino all’insorgere della controversia, dell’IVA sugli importi “rifatturati” a SSC a titolo di rimborso di ICI e IMU.
- Con il terzo motivo la ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza per violazione del giudicato interno formatosi sulla qualificazione del contratto oggetto di causa quale mero contratto di locazione commerciale e non come parte di un’operazione di sale and lease back.
- Con il quarto motivo denuncia poi, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione degli artt. 1322, 1362 e 1363 c.c., e artt. 2359, 2462 e 2497 c.c., nonché dei principi in materia di sale and lease back e di collegamento societario, per avere la Corte d’Appello qualificato il (mero) contratto di locazione commerciale stipulato tra Meteore e SSC come inserito in un’operazione di sale and lease back.
- Con il quinto motivo deduce ancora, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione degli artt. 1322, 1362 e 1363 c.c., nonché dei principi in materia di sale and lease back, per avere la Corte d’Appello ritenuto che la sola qualificazione della presunta operazione commerciale posta in essere dalla parti come di sale and lease back sia sufficiente ad affermare che, con l’art. 7.2(i) del Contratto, le parti abbiano voluto pattuire una componente integrante il canone di locazione e non un onere accessorio a carico del conduttore o, comunque, un vantaggio diverso dal canone, a favore del locatore, omettendo quindi del tutto di applicare le disposizioni di legge in materia di ermeneutica contrattuale per indagare l’effettiva volontà dei contraenti.
- Con il sesto motivo denuncia poi, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione dell’art. 1322 c.c., e dei principi in materia di sale and lease back, nonché delle norme di cui al combinato disposto dell’art. 1418 c.c., comma 3, e della L. 27 luglio 1978, n. 392, artt. 79, 41 e 9, per avere la Corte d’Appello erroneamente ritenuto che l’art. 7.2(i) del Contratto, nello stabilire l’obbligo del conduttore di rimborsare al locatore le tasse e le imposte, relative ai beni locati, previste a carico del locatore, non imponga al conduttore un “onere accessorio” e, quindi, non si ponga in contrasto con le predette disposizioni della L. n. 392 del 1978, che vietano di porre a carico del conduttore di immobili ad uso non abitativo oneri accessori diversi da quelli tassativamente elencati nell’art. 9, e, comunque, di attribuire al locatore un vantaggio in contrasto con le disposizioni della medesima legge.
- Con il settimo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., non avendo la Corte d’Appello pronunciato sull’eccezione subordinata di nullità dell’art. 7.2(i) del Contratto per violazione del combinato disposto dell’art. 1418 c.c., comma 3, L. n. 392 del 1978, artt. 79 e 32.
- Con l’ottavo motivo la ricorrente denuncia infine, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione dell’art. 1418 c.c., comma 1, con riferimento all’art. 53 Cost., in collegamento con l’art. 2 Cost., per avere la Corte d’Appello ritenuto che, nel caso in esame, l’art. 72(i) del Contratto non violerebbe il principio costituzionale di contribuzione alla spesa pubblica in ragione della (e non oltre la) propria capacità contributiva.
- È infondata la censura – dedotta con il primo motivo – di nullità della sentenza per mancanza di motivazione.
Non può infatti dubitarsi che una motivazione esista e che non sia meramente apparente, consentendo la stessa di comprendere quale sia la ragione della decisione adottata (validità della pattuizione in relazione allo scopo del contratto).
Ciò vale certamente ad escludere la dedotta violazione dei doveri di cui all’art. 132 c.p.c., denunciata dai ricorrenti, che si configura soltanto nell’ipotesi in cui sia mancata del tutto da parte del giudice – ovvero sia meramente apparente (come quando sia affidata ad espressioni del tutto generiche o tautologiche e prive di ogni specifico riferimento al caso concreto) – ogni statuizione sulla domanda o eccezione proposta in giudizio, mentre rientra nell’ambito dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e soggiace pertanto ai relativi limiti di ammissibilità, ogni altra censura che riguardi il quomodo della motivazione (v. ex multis Cass. 15/07/2016, n. 14474; 07/04/2008, n. 6858). - I motivi sesto, settimo e ottavo, congiuntamente esaminabili per la loro intima connessione e di rilievo preliminare, sono infondati.
La questione di fondo da essi posta – se sia valida la clausola di un contratto di locazione che attribuisca al conduttore di farsi carico di ogni tassa, imposta ed onere relativo ai beni locati ed al contratto, tenendone conseguentemente manlevato il locatore – risulta di recente affrontata e decisa, in senso affermativo, dalle Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza n. 6882 dell’08/03/2019, pronunciata peraltro tra le stesse parti in fattispecie del tutto analoga e alla quale qui, per essere interamente condivisa, può farsi rimando per ogni più ampio riferimento.
10.1. Hanno in tale occasione le Sezioni Unite anzitutto osservato che:
- atteso il tenore della riportata clausola contrattuale (“(i) Il Conduttore si farà carico di ogni tassa, imposta e onere relativo ai Beni Locati ed al presente Contratto… (ii) il Locatore sarà tenuto al pagamento delle tasse, imposte e oneri relativi al proprio reddito”), nella specie, diversamente da quanto ha costituito oggetto dei casi esaminati nei precedenti di Cass. n. 5 del 1985 e n. 6445 del 1985, oggetto della clausola in argomento sono non già le imposte dirette gravanti sulla locatrice bensì meramente quelle gravanti sull’immobile e inerenti allo stipulato contratto;
- inoltre, trattandosi di contratto stipulato nel novembre del 2003, non viene in rilievo l’INVIM, istituita con D.P.R. n. 643 del 1972, (in particolare quella decennale D.P.R. n. 643 del 1972, ex art. 3, comma 1), il cui art. 27 prevedeva la nullità di “qualsiasi patto diretto a trasferire ad altri l’onere dell’imposta”;
- è viceversa applicabile l’I.C.I., introdotta a decorrere dal 1993 (D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 1), poi sostituita a decorrere dall’aprile 2012 dall’I.M.U. (D.Lgs. n. 23 del 2011), le cui relative discipline non contemplano invero norma analoga a quella di cui al sopra richiamato D.P.R. n. 643 del 1972, art. 27;
- la questione del patto traslativo d’imposta non espressamente vietato da specifiche norme di legge rimane altresì estranea alla normativa comunitaria, attenendo alla mera disciplina interna (come risulta confermato in particolare da Corte Giust. 16/1/2014, n. 226 (C – 226/12) e da Corte Giust. 6/11/2011, n. 398 (C – 398/09), ove tale patto si è ritenuto di per sé non in contrasto con la normativa comunitaria, potendo assumere viceversa rilievo in caso di violazione di altri principi o norme, come ad esempio nell’ipotesi in cui esso determini un abusivo squilibrio nei contratti dei consumatori o integri l’abuso del diritto (in ordine al quale v. Corte Giust., 21/2/2006, C 255/02)).
10.2. La sentenza ha quindi passato in rassegna i richiamati precedenti di Cass. 05/01/1985, n. 5 (attribuito alle Sezioni Unite ma in realtà pronunciato dalla Prima Sezione) e Cass. Sez. U. 18/12/1985, n. 6445, evidenziando che: - il primo, nel considerare inammissibile il patto traslativo d’imposta, in quanto idoneo a consentire al soggetto tenutovi per legge di giovarsi “dei vantaggi e dei benefici della vita associata” sottraendo “la propria ricchezza alle limitazioni sociali di solidarietà e di perequazione”, ha ritenuto in termini generali “vietato e nullo (ai sensi dell’art. 1418 c.c., comma 1, e per contrasto con l’art. 53 Cost.)” qualunque patto “con il quale un soggetto, ancorché senza effetti nei confronti dell’erario, riversi su altro soggetto, pur se diverso dal sostituto, dal responsabile d’imposta e dal cosiddetto contribuente di fatto il peso della propria imposta, sia che si tratti d’imposta diretta che di imposta indiretta”;
- il secondo ha diversamente affermato che il patto traslativo d’imposta “è nullo per illiceità della causa, contraria all’ordine pubblico, solo quando esso comporti che effettivamente l’imposta non venga corrisposta al fisco dal percettore del reddito”; ciò che si verifica “nelle ipotesi di rivalsa facoltativa, quando il sostituto viene a perdere la qualità tipica di mero anticipatore del tributo, non corrisposto al fisco, né recuperato dal sostituto medesimo, sicché effettivamente il dovere tributario non viene adempiuto, pur verificandosi un aumento di ricchezza del contribuente”,on anche, nell’ipotesi in cui “l’imposta è stata regolarmente e puntualmente pagata dal contribuente al fisco, allorquando cioè l’obbligazione di cui si stipula l’accollo non ha per oggetto direttamente il tributo, né mira a stabilire che esso debba essere pagato da soggetto diverso dal contribuente”, ma “riguarda… una somma di importo pari al tributo dovuto ed ha la funzione di integrare il “prezzo” della prestazione negoziale”.
Il recentissimo arresto di Cass. Sez. U. n. 6882 del 2019 ha quindi evidenziato che, già nel 1985, con la pronunzia da ultimo ricordata, le Sezioni Unite, se, da un lato, hanno mantenuto “fermo il discorso di fondo sulla portata dell’art. 53 Cost., e sulla sua attitudine a porsi come norma imperativa preclusiva di atti negoziali che ne comportino l’elusione”, dall’altro, hanno nell’occasione evidenziato come sia la rivalsa a rendere invero “neutrale” la tassazione in testa al sostituto, “presentandosi come un credito del… medesimo verso il contribuente pari alla somma di cui egli è debitore verso il fisco (e che ha già corrisposto)”, concludendo quindi che (solo) “una pattuizione di esonero dalla rivalsa, se consentita, comporterebbe l’effetto di alterare immediatamente e direttamente il carico tributario perché il patrimonio del contribuente non verrebbe inciso, non verificandosi da parte sua quell’esborso verso il fisco che realizza il doveroso carico tributario e non presentandosi qui con effetto compensativo l’incremento tassabile che ne consegue, poiché tale ulteriore tassazione non vale a ripristinare il vuoto contributivo da cui è conseguito l’aumento di reddito, non essendo omologhe le situazioni in raffronto”.
Cass. Sez. U. n. 6445 del 1985, con specifico riferimento alla vicenda al suo esame, osservò quindi che “con il contratto di locazione… le parti, sia pure con due distinte clausole contrattuali, hanno voluto determinare il canone locativo in due diverse componenti, rappresentate l’una dalla parte espressamente qualificata come tale ed oggetto della pattuizione contenuta nell’art. 4, e l’altra come componente integrante tale misura, costituita dalla pattuizione specificamente oggetto della domanda di nullità qui azionata (art. 7.2.(i))”.
10.3. Cass. Sez. U. n. 6882 del 2019 ha quindi rimarcato che il principio delineato da Cass. Sez. U. n. 6445 del 1985, condiviso dalla dottrina maggioritaria, è successivamente rimasto sostanzialmente incontrastato nella giurisprudenza di legittimità (v. Cass. 03/06/1991, n. 6232, con riferimento al contratto di mutuo; Cass. 25/03/1995, n. 3577, relativamente all’imposta sulla pubblicità; Cass. 27/11/1999, n. 13261, in tema di intestazione fiduciaria di azioni; Cass. 29/11/2004, n. 22369, in ordine a contratto di locazione di immobile ad uso diverso da abitazione contemplante canone comprensivo anche degli oneri accessori; Cass. 18/11/2009, n. 24307, in tema di imposta sulla pubblicità; Cass. 25/2/2015, n. 3770, relativamente a contratto di mutuo; Cass. 08/02/2016, n. 2412, in ordine a rapporto concessorio inerente alla gestione dei parchimetri di Roma), essendosi solo affermata, in qualche pronunzia, in tema di imposte dirette, la nullità dell’accollo delle imposte dovute sul reddito.
10.3. Alla luce delle esposte premesse, Cass. Sez. U. n. 6882 del 2019 ha quindi ritenuto – quanto alla vicenda al suo esame (ripetesi, del tutto analoga a quella ad oggetto del presente giudizio) -infondate le doglianze mosse dalla ricorrente e inidonee a revocare in dubbio la correttezza della soluzione raggiunta nel 1985 alla quale ha piuttosto ritenuto doversi dare ulteriore conferma.
Ha invero rilevato, tra l’altro, che: - la clausola contrattuale di cui all’art. 7.2 in argomento è stata nell’impugnata sentenza intesa come prevedente un’ulteriore voce o componente (la somma corrispondente a quella degli assolti oneri tributari) costituente integrazione del canone locativo, concorrendo a determinarne l’ammontare complessivo a tale titolo dovuto dalla conduttrice;
- tale clausola risulta correttamente interpretata dalla Corte di merito, alla stregua dei principi posti a fondamento del suindicato consolidato orientamento, in particolare là dove tale giudice ha riguardato la clausola de qua alla stregua del complessivo tenore del contratto, sottolineando che tale pattuizione in realtà trae origine dalle “negoziazioni intercorse tra le parti, sfociate nell’operazione di sale and lease back (in cui si inserisce il rapporto di locazione per cui è causa)”.
Le Sezioni Unite hanno infine rimarcato che, “trattandosi di canone di locazione ab origine realmente pattuito, risulta nel caso… non integrata la violazione del divieto posto all’art. 79 legge locaz., (anche) alla stregua dell’interpretazione offertane dalla recente pronunzia di queste Sezioni Unite ove si è affermato essere insanabilmente nullo il patto con il quale le parti di un contratto di locazione di immobili ad uso non abitativo concordino occultamente un canone superiore a quello dichiarato, a prescindere dall’avvenuta registrazione (v. Cass. Sez. U. 9/10/2017, n. 23601)”.
- Tutto ciò premesso reputa questo collegio che, nella pressoché totale identità (oltre che delle parti) degli elementi fattuali considerati (quanto in particolare alle clausole contrattuali di cui si contesta la validità), e non ravvisandosi negli argomenti svolti a fondamento del ricorso ragioni che possano indurre (ex art. 374 c.p.c., comma 3) a sollecitare un ripensamento della soluzione adottata dalle Sezioni Unite, tra l’altro come visto a sua volta richiamandosi ad un lontano precedente delle stesse Sezioni Unite del 1985, questa debba condurre al rigetto del ricorso, con la integrale conferma della sentenza impugnata.
Anche questa, invero, salve diverse ma marginali sfumature argomentative, ha in sostanza posto a base della propria decisione una operazione di ermeneusi contrattuale in virtù della quale è giunta alla conclusione che “l’intera operazione commerciale” – “dove il conduttore prima di assumere tale veste ha venduto il proprio immobile a chi ne sarebbe divenuto locatore”, per mezzo di un successivo contratto la cui stipula era indicata come condizione essenziale per l’efficacia della vendita – “rientra nello schema del sale and lease back (e) ha lo scopo di finanziare il cedente conduttore e dove il canone di locazione non ha solo lo scopo di retribuire il godimento del bene… ma anche quello di “retribuire” il finanziamento ottenuto”, con la conseguenza che “la scelta di porre le tasse ed imposte gravanti sugli immobili a carico del conduttore è una delle componenti adottate per stabilire il canone con le funzioni di cui si è detto”, di modo che la previsione in questione “non ha la finalità di liberare l’acquirente-locatore dai carichi erariali a suo carico, ma quella di determinare la retribuzione complessiva del finanziamento”. - Le censure che in ricorso sono dedotte contro detta interpretazione del contratto – motivi secondo, terzo, quarto e quinto – si appalesano poi in parte infondate, in parte inammissibili.
12.1. È infondato il terzo motivo, di rilievo preliminare.
Pur prescindendo dall’evidente inosservanza dell’onere, imposto dall’art. 366 c.p.c., n. 6, di specifica indicazione dell’atto su cui esso si fonda (non essendo riportate in ricorso le affermazioni contenute nella decisione di primo grado che si vorrebbero preclusive della qualificazione poi accolta dal giudice d’appello), è dirimente il rilievo che il giudicato non si determina sul fatto ma su una statuizione minima della sentenza, costituita dalla sequenza fatto, norma ed effetto, suscettibile di acquisire autonoma efficacia decisoria nell’ambito della controversia, sicché l’appello motivato con riguardo ad uno soltanto degli elementi di quella statuizione riapre la cognizione sull’intera questione che essa identifica, così espandendo nuovamente il potere del giudice di riconsiderarla e riqualificarla anche relativamente agli aspetti che, sebbene ad essa coessenziali, non siano stati singolarmente coinvolti, neppure in via implicita, dal motivo di gravame (Cass. 16/05/2017, n. 12202).
Varrà inoltre rammentare che, secondo indirizzo consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, non incorre in ultrapetizione il giudice d’appello che attribuisca al rapporto in contestazione una qualificazione giuridica diversa da quella emergente dalla sentenza di primo grado o prospettata dalle parti, avendo egli il potere-dovere di inquadrare nell’esatta disciplina giuridica gli atti e i fatti che formano oggetto della controversia, anche in mancanza di una specifica impugnazione e indipendentemente dalle argomentazioni delle parti, purché nell’ambito delle questioni riproposte col gravame e con il limite di lasciare inalterati il petitum e la causa petendi e di non introdurre nel tema controverso nuovi elementi di fatto (cfr. ex plurimis Cass. 31/07/2015, n. 16213; 03/04/2009, n. 8142; 23/02/2006, n. 4008; 11/09/2007, n. 19090).
12.2. Gli altri suindicati motivi si risolvono poi nella mera sollecitazione di una nuova valutazione di merito non consentita in questa sede.
Mette conto al riguardo ricordare che, secondo principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità, l’interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata costituisce un’attività riservata al giudice di merito, ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione (nei limiti, peraltro, in cui l’allegazione è oggi consentita dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).
Pertanto, onde far valere in cassazione tali vizi della sentenza impugnata, non è sufficiente che il ricorrente per cassazione faccia puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma è altresì necessario che egli precisi in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato ovvero ne abbia dato applicazione sulla base di argomentazioni censurabili per omesso esame di fatto controverso e decisivo (v. Cass. 20/08/2015, n. 17049; 09/10/2012, n. 17168; 31/05/2010, n. 13242; 20/11/2009, n. 24539); con l’ulteriore conseguenza dell’inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche o sul vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (Cass. 26/10/2007, n. 22536).
Sul punto va altresì ribadito il principio secondo cui, per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che l’interpretazione data alla dichiarazione negoziale dal giudice del merito sia l’unica interpretazione possibile o la migliore in astratto, ma è sufficiente che sia una delle possibili e plausibili interpretazioni.
Nella specie, non si ricava dalla motivazione della sentenza alcuna affermazione che si ponga in contrasto con i criteri legali di ermeneutica negoziale.
La Corte d’appello non trascura affatto il criterio letterale, né gli altri criteri, ma ben diversamente, in virtù della loro applicazione, giunge, motivatamente, ad un esito diverso da quello auspicato dalla ricorrente.
Piuttosto le censure mosse col ricorso si risolvono, come detto, nella prospettazione di questioni di merito, comunque eccedenti dai limiti in cui al riguardo ne è consentita la deduzione.
In particolare, la circostanza della quale la ricorrente lamenta a tal fine omesso esame – ossia la mancata applicazione dell’Iva sulle fatture emessa da Meteore per gli importi richiesti per rimborso Imu (secondo motivo) – non appare decisiva, risultando fondata la valutazione della Corte su elementi che prescindono da essa e considerato altresì il significato non univoco di tale condotta.
È poi inammissibile la doglianza di cui al quarto motivo, nella parte in cui è argomentata sulla base di un asserito errore di fatto percettivo (la provenienza dell’immobile locato non già da cessione della stessa SSC, bensì da altra società, GS S.p.A.) diversa da quella contenuta in sentenza e come tale suscettibile – come ammette la stessa ricorrente – solo di ricorso per revocazione. - In ragione delle considerazioni che precedono il ricorso, in definitiva, deve essere rigettato.
Avuto riguardo alla complessità delle questioni trattate, che so di recente hanno trovato soluzione nella menzionata decisione delle Sezioni Unite di questa Corte, si ravvisano i presupposti per l’integrale compensazione delle spese.
Ricorrono le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per l’applicazione del raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Compensa integralmente le spese processuali.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.