Cass., sez. III civ., 20 novembre 2020, n. 26531 (testo)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –
Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –
Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 9405-2018 proposto da:
CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA E ASSISTENZA FORENSE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI VILLA SEVERINI, 54, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE TINELLI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MASSIMO RIDOLFI;
- ricorrenti –
nonchè contro
AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE (OMISSIS);
- intimati –
Nonchè da:
AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende;
- ricorrenti incidentali –
contro
CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA E ASSISTENZA FORENSE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI VILLA SEVERINI 54, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE TINELLI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MASSIMO RIDOLFI;
- controricorrenti all’incidentale –
avverso la sentenza n. 5927/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 22/09/2017;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/10/2020 dal Consigliere Dott. OLIVIERI STEFANO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BATTISTA NARDECCHIA GIOVANNI;
uditi gli avvocati.
Svolgimento del processo
Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 6088/2013, ha revocato il decreto emesso a favore di Cassa Forense Nazionale Previdenza ed Assistenza Forense (da ora Cassa Forense),con il quale era stato ingiunto ad Equitalia Sud s.p.a., quale agente della riscossione, il pagamento dell’importo di Euro 25.487,20 relativo ai contributi previdenziali – iscritti a ruolo “suppletivo” 1998 e ruolo “ordinario” 1999 e non incassati dall’Agente della riscossione – rilevando che Equitalia Sud s.p.a. era tenuta soltanto al versamento del minore importo di Euro 11.731,98 relativo al ruolo “suppletivo”, trovando applicazione per il 1998 la regola del “non riscosso per riscosso” di cui al D.P.R. n. 43 del 1988, art. 32, comma 3, (norma abrogata dal D.Lgs. n. 37 del 1999, art. 2, soltanto a far data 26.2.1999); mentre nulla era dovuto da Equitalia Sud s.p.a. per gli importi iscritti nel ruolo “ordinario”, in quanto la disciplina della responsabilità dell’Agente per la riscossione regolata dal D.Lgs. n. 112 del 1999, artt. 19 e 20, – che prevedevano modalità e tempi per la richiesta di “discarico delle quote iscritte a ruolo per inesigibilità” -, era stata espressamente derogata dalla norma sopravvenuta di cui alla L. n. 228 del 2012, art. 1, commi 527 e 529 e l’obbligo del “non riscosso per riscosso” era venuto meno a seguito della norma abrogativa del D.Lgs. n. 37 del 1999, art. 2.
La Corte d’appello di Roma, con sentenza 22.9.2017 n. 5927, ha rigettato la eccezione di difetto di giurisdizione dell’AGO a favore di quella contabile, proposta da Equitalia Sud s.p.a., ritenendola infondata sulla scorta dei precedenti di questa Corte e dei precedenti del Giudice amministrativo che distinguevano tra il rapporto di gestione del servizio riscossione contributi rivestente natura privatistica e devoluto all’AGO – ed il rapporto di previdenza obbligatoria intrattenuto con gli iscritti all’albo professionale – avente invece rilievo pubblicistico -, non ostando a tale conclusione l’inserimento del documento di bilancio dell'”ente previdenziale privatizzato” nel “conto economico consolidato” della Pubblica Amministrazione, disposto ai sensi della L. n. 311 del 2004 e della L. n. 196 del 2009, assolvendo le norme di tali leggi esclusivamente ad esigenze di natura contabile imposte dalla normativa comunitaria e rilevanti, pertanto, solo in quell’ambito.
Nel merito, il Giudice di appello ha rigettato la impugnazione della Cassa Forense, rilevando che il D.Lgs. 22 febbraio 1999, n. 37, art. 2, aveva abrogato, a far data dal 26.2.1999, l’obbligo, posto a carico dei Concessionari, del versamento anticipato delle somme iscritte a ruolo e non riscosse (principio del “non riscosso per riscosso” previsto dal D.P.R. n. 43 del 1988, art. 32), prevedendo che i Concessionari non erano più costituiti “automaticamente” in debito per i ruoli ad essi consegnati prima dell’entrata in vigore del decreto legislativo abrogativo e per i quali, alla data di entrata in vigore del medesimo decreto, non erano ancora scaduti i termini per effettuare i versamenti. Trovava, infatti, applicazione la disciplina del “discarico per inesigibilità” degli importi iscritti a ruoli e non potuti riscuotere, di cui al D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112, artt. 19 e 20, recante “Riordino del servizio nazionale della riscossione, in attuazione della delega prevista dalla L. 28 settembre 1998, n. 337”, disciplina che prevedeva, a pena della perdita del diritto al discarico, l’onere per l’Agente della riscossione: 1) di comunicare periodicamente all’ente creditore lo stato delle procedure relative alle quote comprese nei ruoli; 2) di inviare, entro il triennio dalla data di consegna dei ruoli, la “comunicazione di inesigibilità”. Osservava inoltre il Giudice di appello che tale disciplina era stata, successivamente, innovata dalla L. n. 228 del 2012 (legge di stabilità per l’anno 2013), che, all’art. 1, commi 527 e 529, aveva previsto, con riferimento ai ruoli resi esecutivi fino al 31.12.1999, l'”annullamento automatico” di quelli portanti la iscrizione di crediti di importo inferiore ad Euro 2.000,00 ed invece, per quelli di importo superiore, la inapplicabilità della disciplina sul “discarico per inesigibilità” di cui al D.Lgs. n. 112 del 1999, artt. 19 e 20, disponendo inoltre che non si dava luogo a giudizio di responsabilità amministrativa e contabile nei confronti dell’Agente della riscossione, salvo il caso di dolo.
Ne seguiva secondo il Giudice di appello che:
- La disciplina dettata dalla legge stabilità dell’anno 2013, in quanto relativo ad intervento organico concernente la riforma del servizio di riscossione a mezzo ruolo di cui si avvalevano gli enti a ciò abilitati, non poneva alcuna distinzione in relazione alla differente natura pubblica o privata (come la Cassa Forense) degli enti creditori;
- La medesima legge di stabilità, nel prevedere l'”annullamento automatico” dei ruoli inferiori ad Euro 2.000,00, non comportava sottrazione di risorse patrimoniali all’ente previdenziale, in quanto la vicenda del “discarico dei ruoli” doveva tenersi separata dalla vicenda relativa alla “titolarità dei singoli crediti”, in relazione ai quali, pertanto, l’ente poteva agire per il recupero, avvalendosi degli altri mezzi ordinari di tutela apprestati dall’ordinamento, al di fuori della procedura di riscossione a mezzo ruolo.
- La esplicita individuazione, operata dalla legge di stabilità 2013, dei “ruoli” interessati dalla disciplina dell'”annullamento automatico” (tutti i ruoli resi esecutivi fino al 31.12.1999), escludeva ogni diversa interpretazione intesà a distinguere e sottrarre, alla predetta disciplina legislativa, quei ruoli per i quali fosse già scaduto il termine triennale di decadenza per la “comunicazione di inesigibilità”, tanto più che tale termine era stato ininterrottamente prorogato da ripetuti interventi legislativi sino all’entrata in vigore della legge di stabilità.
La Corte territoriale ha accolto, invece, l’appello incidentale proposto da Equitalia Nord s.p.a., rilevando che il D.M. 23 marzo 1999, – di attuazione del D.Lgs. n. 37 del 1999, abrogativo dell’obbligo del “non riscosso per riscosso” per tutti i ruoli già consegnati, a far data dal 26.2.1999 – aveva disposto che l’Agente della riscossione non era più costituito in debito, in base all’indicato principio, relativamente alle “rate od ai decimi di rata” – in cui era frazionato il pagamento degli importi iscritti nel singolo ruolo – per i quali non erano ancora scaduti i termini per il versamento stabiliti dal D.P.R. n. 43 del 1988, art. 72: con la conseguenza che, per quanto concerneva i ruoli suppletivi 1998, era onere della Cassa Forense, che agiva per il pagamento del residuo importo, fornire la prova che detti termini fossero già scaduti al 26.2.1999, data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 37 del 1999.
In ogni caso il Giudice di appello ha, comunque, ritenuto che, alla stregua degli elementi acquisiti al giudizio, dovesse considerarsi raggiunta la prova contraria, in quanto, dalla tabella riassuntiva prodotta da Equitalia, in cui erano riportati i versamenti degli importi delle singole rate già incassati dall’ente previdenziale e di quelli relativi, invece, alle rate ancora da scadere oggetto della pretesa monitoria (relativa al ruolo suppletivo 1998), risultava incontestabilmente esclusa la debenza dei residui “quattro decimi” del ruolo suppletivo, in quanto il termine di versamento delle relative rate era venuto a scadere in data successiva alla abrogazione dell’obbligo di “non riscosso per riscosso”.
La sentenza di appello, non notificata, è stata impugnata dalla Cassa Forense con ricorso per cassazione affidato a sette motivi.
Agenzia delle Entrate – Riscossione, subentrata ad Equitalia Servizi Riscossione s.p.a. (incorporante di Equitalia Nord s.p.a.), resiste con controricorso e ricorso incidentale condizionato, affidato ad un unico motivo, al quale ha controdedotto Cassa Forense con controricorso.
Il Procuratore Generale ha depositato requisitorie scritte.
Le parti hanno depositato memorie illustrative ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
Alla udienza pubblica 11 dicembre 2019 la causa è stata rinviata a nuovo ruolo in seguito ad astensione di un componente del Collegio, con ordinanza interlocutoria in data 27.1.2020 n. 1754; ed è stata successivamente rinviata a nuovo ruolo, alla udienza 6 marzo 2020, pervenendo quindi alla discussione dell’odierna pubblica udienza.
Motivi della decisione
Rileva il Collegio in via pregiudiziale la inammissibilità del controricorso e del contestuale ricorso incidentale condizionato proposta da Agenzia delle Entrate Riscossione, in conseguenza del difetto di legittimazione processuale del difensore, avvocato del libero Foro, per invalidità della procura speciale ad litem.
Tanto alla stregua del principio di diritto enunciato recentemente da questa Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 30008 del 19/11/2019 secondo cui: ” Ai fini della rappresentanza e difesa in giudizio, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione, impregiudicata la generale facoltà di avvalersi anche di propri dipendenti delegati davanti al tribunale ed al giudice di pace, si avvale:
a) dell’Avvocatura dello Stato nei casi previsti come riservati ad essa dalla Convenzione intervenuta (fatte salve le ipotesi di conflitto e, ai sensi del R.D. n. 1611 del 1933, art. 43, comma 4, di apposita motivata delibera da adottare in casi speciali e da sottoporre all’organo di vigilanza), oppure ove vengano in rilievo questioni di massima o aventi notevoli riflessi economici;
b) di avvocati del libero foro, senza bisogno di formalità, nè della delibera prevista dal cit. R.D. art. 43, comma 4 – nel rispetto del D.Lgs. n. 50 del 2016, artt. 4 e 17 e dei criteri di cui agli atti di carattere generale adottati ai sensi del D.L. 193 del 2016, art. 1, comma 5, conv. in L. n. 225 del 2016 – in tutti gli altri casi ed in quelli in cui, pure riservati convenzionalmente all’Avvocatura erariale, questa non sia disponibile ad assumere il patrocinio.
Quando la scelta tra il patrocinio dell’Avvocatura erariale e quello di un avvocato del libero foro discende dalla riconduzione della fattispecie alle ipotesi previste dalla Convenzione tra l’Agenzia e l’Avvocatura dello Stato o di indisponibilità di questa ad assumere il patrocinio, la costituzione dell’Agenzia a mezzo dell’una o dell’altro postula necessariamente ed implicitamente la sussistenza del relativo presupposto di legge, senza bisogno di allegazione e di prova al riguardo, nemmeno nel giudizio di legittimità”.
La legittimazione processuale dell’Avvocatura dello Stato, trova, infatti, fondamento nella attuazione delle norme di legge sopra richiamate, che hanno introdotto una forma convenzionale di definizione di patrocinio cd. autorizzato, che solo entro (Ndr: testo originale non comprensibile) limiti rimane organico ed esclusivo, attuazione realizzata attraverso la stipula del “Protocollo d’intesa del 22/06/2017 tra AdER ed Avvocatura Generale dello Stato, nel quale le parti hanno valutato le rispettive esigenze organizzative, pure in considerazione dell’organico e dei carichi di lavoro rappresentati dall’Avvocatura dello Stato, per poi di comune accordo individuare le tipologie di controversie da affidare al patrocinio dell’Avvocatura, con conseguente determinazione del concreto modus operandi del patrocinio pubblico nei rapporti con l’agente della riscossione, a seconda della tipologia del contenzioso” (SS.UU. n. 30008/2019 cit. in motiv.): a tal fine essendo previsto, per quanto qui interessa, che, nelle liti concernenti “l’attività di riscossione” pendenti avanti alla Corte di cassazione civile e tributaria (paragr. 3.4 Protocollo), e comunque nelle controversie in cui vengono in rilievo “questioni di massima o particolarmente rilevanti, in considerazione del valore economico o dei principi di diritto in discussione” (ibidem paragr. 3.2), sussiste l’obbligo dell’Avvocatura dello Stato di assumere il patrocinio dell’Ente.
Da ciò deriva, come puntualmente rilevato nella sentenza delle Sezioni Unite, che “il nuovo assetto normativo ha prescritto, per il patrocinio di AdER nel giudizio di legittimità, un rapporto di regola ad eccezione tra la difesa pubblica dell’Avvocatura dello Stato e la difesa svolta da avvocati del libero foro”. Come peraltro confermato anche dal “Regolamento di amministrazione dell’AdER, deliberato il 26/03/2018 ed approvato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze il 19/05/2018, (che) qualifica, al suo art. 4 e sul presupposto della soggezione dell’ente al controllo della Corte dei conti, l’avvalimento di avvocati del libero foro come ipotesi residuale, rispetto al patrocinio pubblico e quando questo non sia assunto dall’Avvocatura erariale in conformità ad apposita convenzione” (SS.UU. n. 30008/2019, cit., in motiv.).
Ne consegue che la facoltà di derogare al patrocinio autorizzato riservato in via esclusiva all’Avvocatura dello Stato, per avvalersi dell’opera di liberi professionisti, è subordinata all’adozione di una specifica e motivata deliberazione dell’ente, la cui mancanza determina la nullità del mandato alle liti, non rilevando che esso sia stato conferito con le modalità prescritte dal regolamento o dallo statuto dell’ente, fonti di rango secondario insuscettibili di derogare alla legislazione primaria.
Orbene alcun riferimento è contenuto nel controricorso o nella procura speciale ad litem alle ragioni della necessità di una deroga rispetto al patrocinio autorizzato in via esclusiva all’Avvocatura erariale a difendere l’Agenzia Entrate Riscossione nelle liti avanti la Corte di cassazione civile, nè tanto meno è fatta indicazione di una delibera assunta dagli organi dell’ente pubblico, neppure richiamata soltanto con menzione dei dati identificativi.
Ne segue che, in difetto dei presupposti legali, deve ritenersi invalidamente conferita la procura speciale ai difensori, in quanto avvocati del libero Foro, invalidità che determina il difetto di valida costituzione in giudizio di Agenzia delle Entrate Riscossione, con conseguente nullità di tutti gli atti difensivi compiuti da quei difensori.
Pertanto il controricorso ed il contestuale ricorso incidentale condizionato proposto da Agenzia delle Entrate Riscossione deve essere dichiarato inammissibile.
Venendo a trattare dei motivi del ricorso principale proposto da Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense.si osserva quanto segue.
Primo motivo: violazione e falsa applicazione della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, commi 527, 528 e 529, in relazione all’art. 19 comma 2, lett. c), seconda parte del D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112, (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).
La ricorrente principale ribadisce nuovamente la tesi, già svolta nel giudizio di appello, secondo cui la nuova disciplina del discarico automatico dei ruoli consegnati e resi esecutivi fino a tutto il 31.12.1999, introdotta dalla L. n. 228 del 2012 (legge di stabilità per l’anno 2013), doveva intendersi applicabile esclusivamente ai ruoli per i quali non erano ancora scaduti i termini di decadenza per la “comunicazione di inesigibilità”: sicchè) avuto riguardo alla disposizione del D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 19, comma 2, lett. c), (nel testo vigente ratione temporis) che prevedeva l’obbligo per l’Agente della riscossione di inviare non soltanto la comunicazione “iniziale” di inesigibilità (prospettando il pericolo di mancata riscossione) nel caso in cui iniziata la esecuzione questa non fosse stata ancora conclusa, ma anche l’eventuale comunicazione integrativa “finale” (qualora la esecuzione fosse risultata negativa), se ne doveva trarre la conclusione che le disposizioni della L. n. 228 del 2012, art. 1, commi 527 e 529, trovavano applicazione solo nel caso in cui almeno la comunicazione iniziale fosse stata inviata entro il termine di legge come successivamente prorogato.
Secondo motivo: violazione e falsa applicazione della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, commi 527, 528 e 529, in relazione al D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112, art. 19, comma 2, lett. c) ed al D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112, art. 59, nonchè del D.L. 29 novembre 2004, n. 282 ed al D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 3, comma 12 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).
Viene impugnata la statuizione della Corte d’appello secondo cui le nuove disposizioni della Legge di Stabilità n. 228 del 2012 si dovevano applicare ai ruoli consegnati entro il 31.12.1999, poichè il termine triennale di decadenza prescritto dal D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 19, comma 2, lett. c), per l’invio della “comunicazione di inesigibilità”, era stato ininterrottamente prorogato fino alla entrata in vigore della legge di stabilità, e dunque in nessuna decadenza poteva ritenersi incorso l’Agente della riscossione.
Assume Cassa Forense che si sarebbero verificate delle soluzioni di continuità tra i ripetuti periodi di proroga (dovute all’intervallo intercorso tra le date di entrata in vigore dei molteplici atti normativi succedutisi nel tempo), sicchè si sarebbe determinata in tali fratture temporali la “perdita del diritto” al discarico, in conseguenza della immediata scadenza del termine triennale predetto (le proroghe sono state disposte già dal D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 59, più volte modificato. Il D.Lgs. n. 193 del 2001, con riferimento ai ruoli resi esecutivi fino al 30.9.1999 – esteso poi dal D.L. n. 209 del 2002, ai ruoli resi esecutivi fino al 30.9.2001 – ha fissato la scadenza del termine alla data 1 ottobre 2004. Il successivo D.L. n. 282 del 2004, che ha prorogato il termine al 30 settembre 2005, era entrato in vigore il 29.11.2004, determinando, quindi, una soluzione di continuità tra la scadenza del precedente termine 1 ottobre 2004 e l’inizio della proroga del nuovo; stessa cesura cronologica si era verificata con la successiva proroga disposta dal D.L. n. 203 del 2005, che era entrato in vigore il 4.10.2005, quando ormai era cessata la precedente proroga fissata al 30.9.2005).
I motivi possono essere esaminati congiuntamente e sono entrambi infondati.
Occorre preliminarmente rilevare, per maggiore chiarezza e comprensione, della questione sottoposta all’esame della Corte con i predetti motivi, che, la controversia non ha riguardato asserite responsabilità per colpa dell’Agente della riscossione nell’adempimento delle obbligazioni derivanti dal rapporto delegatorio delle attività di esazione dei crediti previdenziali o relative alla esecuzione forzata. Deve infatti distinguersi tra: A) la “procedura di contestazione del discarico del ruolo”, promossa dall’ente previdenziale in seguito alla “comunicazione di inesigibilità” trasmessa dall’Agente della riscossione, in ordine alla quale viene in rilievo la verifica dei colpevoli inadempimenti e “delle omissioni e dei vizi o delle irregolarità” imputabili all’Agente della riscossione nell’espletamento della attività di esazione dei crediti (D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112, art. 20, in relazione agli inadempimenti previsti dall’art. 19, comma 2, lett. a), d), e)), ed invece B) la contestazione della intervenuta decadenza del diritto dell’Agente della riscossione al discarico del ruolo – per insussistenza dello stesso presupposto legale richiesto per l’avvio della successiva procedura volta ad accertare la predetta eventuale responsabilità per colpa – essendo venuto meno “a monte” il diritto dell’Agente della riscossione alla “inesigibilità” del credito iscritto a ruolo, per non avere questi provveduto all’invio della “comunicazione annuale” circa lo stato delle procedure di riscossione, nè a trasmettere, entro il termine triennale di decadenza, la “comunicazione di inesigibilità” (D.Lgs. n. 112 del 1999 cit., art. 19, comma 2, lett. b) e c), nel testo vigente ratione temporis): tale decadenza, infatti, prescinde del tutto dalla imputazione di una condotta inadempiente colposa.
Nel caso di specie, come è dato evincere dall’atto di appello di Cassa Forense, l’ente previdenziale aveva contestato ad Equitalia Nord s.p.a. proprio di avere omesso di presentare, nei termini di decadenza prescritti dalla legge, le predette comunicazioni, vertendo pertanto la causa esclusivamente su tale aspetto, e cioè sulla decadenza dell’Agente della riscossione dal “diritto alla inesigibilità”.
Tanto premesso, osserva il Collegio che la Corte territoriale ha fornito una interpretazione corretta delle disposizioni di cui ai dell’art. 1, commi 527 e 529 Legge di stabilità per l’anno 2013, che è venuta a disciplinare in modo definitivo le pendenze dei ruoli accumulatesi caoticamente in seguito alla gestione dei precedenti Concessionari del servizio di riscossione, provvedendo ad eliminare inutili costi aggiuntivi e dispersione di impegno degli agenti della riscossione, per i ruoli risalenti al 31.12.1999 e portanti crediti inferiori ad un importo di Euro 2.000,00, nonchè dettando una disciplina derogatoria volta alla rapida definizione dei ruoli resi esecutivi fino al 31.12.1999, portanti crediti di importo superiore, ma ritenuti ormai inesigibili, dato il tempo trascorso. In particolare, questi ultimi ruoli vengono disciplinati dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, commi 528 e 529, prevedendosi, secondo che sia stata esaurita o meno l’attività di competenza dell’agente della riscossione, una sequenza procedimentale diversa, che richiede le seguenti fasi:
A) relativamente ai crediti per i quali non debba essere svolta altra attività di competenza dell’Agente diretta alla esazione (attività che vengono esplicitate nel DM Economia e Finanze 15.6.2015 – di attuazione della legge con riferimento: alle “procedure esecutive avviate…ancora pendenti alla data di entrata in vigore del presente decreto” ed ai casi in cui “sia pendente un contenzioso, una transazione, un accordo di ristrutturazione, una procedura concorsuale, ovvero un piano di rateazione attivo”):
1-l’agente provvede a trasmettere, “su supporto magnetico o anche in via telematica” direttamente all’ente creditore l’elenco delle quote dei ruoli “inattivi” che “sono automaticamente discaricate senza oneri amministrativi a carico dell’ente creditore, e sono eliminate dalle scritture contabili dell’ente creditore”, salvo che vengano rilevate, dall’ente creditore -Faro sei e/non oltre sei mesi dalla trasmissione dell’elenco – quote prive dei requisiti di inattività, per le quali il discarico non opera (Decreto dirigenziale MEF 15 giugno 2015, art. 2, comma 1 e 2);
B) relativamente ai crediti per i quali, invece, deve essere svolta altra attività di competenza dell’Agente diretta alla esazione, o comunque sono pendenti procedure di riscossione o dilazione di pagamento:
1-le quote dei predetti ruoli “restano in carico all’agente della riscossione” fino ad esaurimento delle attività di competenza dell’agente di riscossione;
2-laddove all’esito dell’attività di competenza le quote di detti ruoli non siano integralmente riscosse, l’agente della riscossione, “entro due mesi dalla conclusione delle attività” trasmette su supporto magnetico o in via telematica l’elenco delle quote all’ente creditore;
3-le predette quote “sono automaticamente discaricate senza oneri amministrativi a carico dell’ente creditore, e sono eliminate dalle scritture contabili dell’ente creditore” salvo che vengano rilevate, dall’ente creditore entro e non oltre sei mesi dalla trasmissione dell’elenco – quote prive dei requisiti di inattività, per le quali il discarico non opera (Decreto Dirigenziale MEF 15 giugno 2015, art. 3, comma 1, 2 e 3).
Ne segue che, in assenza di diversa previsione espressa, i ruoli interessati dalla nuova disciplina sono tutti quelli consegnati e resi esecutivi anteriormente alla data del 31.12.1999, senza poter distinguere tra ruoli per i quali era da ritenere già esaurita l’attività di competenza dell’agente e quelli per i quali era pendente la procedura di riscossione.
Non è condivisibile la tesi difensiva volta a ritenere applicabile la legge di stabilità 2013 ai soli ruoli per i quali “erano ancora pendenti i termini” (triennali) per la “comunicazione di inesigibilità” previsti dal D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 19, comma 2, lett. c). Premesso, infatti, che la legge è intervenuta espressamente a disciplinare il discarico dei “ruoli resi esecutivi fino al 31 dicembre 1999” – la controversia attiene a ruoli consegnati nell’anno 1999 e nell’anno 1998 -, non è dato comprendere come, alla data di entrata in vigore della legge di stabilità 2013 (1.1.2013) possano risultare ancora pendenti i termini stabiliti dalla norma del D.Lgs. n. 112 del 1999, per la presentazione della “comunicazione di inesigibilità” (che per i ruoli consegnati e resi esecutivi nel 1999, erano già scaduti nel 2002).
La tesi difensiva sostenuta dalla Cassa Forense si palesa altresì inconciliabile con la chiara prescrizione contenuta nella L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 529, che dichiara espressamente inapplicabili il D.Lgs. n. 112 del 1999, artt. 19 e 20 (e cioè proprio le disposizioni che contemplano il termine di decadenza dal discarico del ruolo inesigibile), non solo ai crediti di importo superiore ad Euro 2.000,00 (legge stabilità 2013, art. 1, comma 527), ma anche ai crediti di importo superiore (legge stabilità 2013, art. 1, comma 528). Per tutti, indifferentemente, i crediti portati da ruoli consegnati fino al 31.12.1999, è dunque venuta meno la applicazione della disciplina del “discarico per inesigibilità” prevista dal D.Lgs. n. 112 del 1999, artt. 19 e 20, incluso quindi anche l’obbligo della trasmissione della “comunicazione di inesigibilità” entro il triennio dalla consegna del ruolo, essendo tenuto l’Agente della riscossione soltanto a comunicare all’ente creditore, anche per via telematica, l’esaurimento delle attività di competenza (come chiaramente previsto dal Decreto Dirigenziale del Ministero Economia e Finanze 15 giugno 2015, art. 2, comma 1 di attuazione).
La diversa interpretazione, secondo cui la disciplina del discarico automatico) prevista della legge di stabilità 2013 e dal decreto attuativo 15 giugno 2015, si applicherebbe soltanto a quei ruoli, resi esecutivi fino alla data 31.12.1999, per i quali non era ancora scaduto il termine triennale per la comunicazione di inesigibilità (previsto dal D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 19, comma 2, lett. c), verrebbe a determinare una restrizione – non prevista e non voluta dal Legislatore secondo il senso fatto palese dalla lettera della norma di legge – volta a circoscrivere l’intervento legislativo ai soli ruoli per i quali era stata presentata entro il triennio la “comunicazione di inesigibilità”, venendo altresì a condurre ad un risultato incongruo, distinguendo irragionevolmente tra crediti tutti egualmente inesigibili, in quanto accumulatisi nel corso degli anni precedenti e portati da ruoli non riscossi per oltre dieci anni, tali essendo tanto quelli per i quali l’ente creditore – in violazione delle disposizioni del D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 20, – non aveva mai iniziato la “procedura di contestazione” (e di constatazione della, decadenza) per avere omesso l’Agente della riscossione di trasmettere la “comunicazione di inesigibilità” nel triennio, quanto quelli per i quali l’ente creditore – pur avendo l’Agente della riscossione ottemperato alla presentazione della “comunicazione di inesigibilità” – non si era ancora pronunciato sull'”ammissione o il diniego” al discarico, e che, in quanto risalenti ad oltre un decennio, si presentavano ormai con una elevatissima probabilità di inesigibilità.
La interpretazione prospettata dalla difesa della ricorrente principale verrebbe quindi a confliggere con lo stesso scopo che si è prefisso la legge di stabilità 2013, avendo inteso il Legislatore prendere atto, realisticamente, dell’inutile prosecuzione di ulteriori tentativi di attività esecutive da parte degli Agenti della riscossione, disponendo la definitiva eliminazione di crediti iscritti a ruolo ma da ritenere ormai solo virtuali, ed in quanto tali ostativi alla veritiera rappresentazione dei fatti contabili esposti nei bilanci degli enti creditori: in tal senso trovando coerente giustificazione la sottrazione dei predetti crediti, portati da ruoli risalenti nel tempo ed anteriori alla data del 31.12.1999, alla ordinaria procedura del discarico dei crediti inesigibili prevista dal D.Lgs. n. 112 del 1999, artt. 19 e 20.
Tanto sarebbe già sufficiente ad esaurire la necessità dell’ulteriore verifica della “ratio legis” – svolta “ad abundantiam” nella sentenza di appello e criticata con il secondo motivo di ricorso – secondo cui “in ogni caso…per i ruoli oggetto di causa, tutti antecedenti al 31.12.1999, i termini per l’invio delle comunicazioni di inesigibilità sono stati continuativamente prorogati sino alla entrata in vigore della legge di stabilità” (cfr. sentenza appello, motiv. pag. 10).
La tesi difensiva fondata sulla esistenza di interruzioni nella sequenza cronologica delle proroghe del temine per l’invio delle “comunicazioni di inesigibilità”, ove rivolta a contestare l’applicabilità ai soggetti pubblici della riscossione (Riscossione s.p.a. e società da essa partecipate) delle proroghe disposte dal D.L. n. 203 del 2005, art. 3, comma 12, è da ritenere errata, in quanto non tiene conto delle distinte discipline normative delle proroghe dei termini, dettate in concomitanza con il riordino del settore e la trasformazione del sistema organizzativo della riscossione a mezzo ruoli.
Occorre, infatti, distinguere l’attività svolta delle società originarie Concessionarie nazionali del servizio di riscossione e dalle società da quelle eventualmente “scorporate”, ed invece l’attività demandata a Riscossione s.p.a. ed alle società da quella partecipate (attraverso l’acquisto dei rami di azienda ceduti dai vecchi Concessionari-banche o l’acquisto della maggioranza del capitale sociale delle altre società ex Concessionarie nazionali), cui è succeduta Equitalia Polis s.p.a., quindi Equitalia Servizi di Riscossione s.p.a., ed infine Agenzia delle Entrate-Riscossione (D.L. 22 ottobre 2016, n. 193, art. 1, comma 3 conv. in L. 1 dicembre 2016, n. 225).
Orbene, soltanto per questo secondo gruppo di Agenti della riscossione “pubblici”, e non anche invece per gli ex Concessionari nazionali “privati”, è stata prevista una proroga reiterata – fino alla legge di stabilità n. 228/2012 dei termini di decadenza per la trasmissione della “comunicazione di inesigibilità”: proroga giustificata dall’esigenza di eliminare quanto prima le pendenze dei ruoli inattivi (in quanto ritenuti ormai inesigibili) e di non far gravare interamente su Riscossione s.p.a., attraverso il programmato trasferimento dei rami di azienda e delle società partecipate, gli ingenti e risalenti oneri pregressi, maturati in capo ai precedenti Concessionari nazionali “privati” per la prolungata ed improduttiva attività di riscossione dei crediti. Quando infine la legge di stabilità 2013 è venuta a dettare la nuova disciplina del discarico automatico, a ciò si è determinata tenendo bene presente la situazione complessiva dei ruoli ancora insoluti risultante all’esito delle ripetute proroghe concesse agli “Agenti della riscossione”, ritenendo ostativa ad una sana e corretta gestione dei bilanci degli enti creditori ed all’efficienza del servizio di riscossione il mantenimento di crediti che continuavano ad essere considerati fittiziamente “esigibili”, trattandosi invece di crediti meramente virtuali, in quanto iscritti a ruoli emessi e consegnati in tempi risalenti ed ormai del tutto inesigibili, essendo venuta meno ogni concreta probabilità di esazione.
Non coglie, quindi, nel segno la tesi difensiva che ritiene scaduto anche per Agenzia delle Entrate-Riscossione il termine di decadenza previsto per la “comunicazione di inesigibilità” (dei ruoli consegnati fino al 31.12.1999), a causa delle cesure temporali verificatesi tra le proroghe scadute, rispettivamente, il 1 ottobre 2004 ed il 30 settembre 2005.
La Corte costituzionale, con la recente sentenza in data 15.3.2019, n. 51 ha, infatti, posto una netta distinzione tra le “proroghe cd. generiche” (cui si riferiscono le norme richiamate da Cassa Forense) che si applicano ai “vecchi concessionari nazionali o, per traslato, ai soggetti che da essi siano eventualmente scaturiti (come le società cosiddette “scorporate”, cioè le società private beneficiarie del ramo di azienda relativo alle attività concernenti i tributi locali e altre entrate di enti locali, ceduto dai concessionari nazionali ai sensi del D.L. n. 203 del 2005, art. 3, comma 24, primo periodo, come convertito nella L. n. 248 del 2005)”, ed invece le “proroghe cd. specifiche” che si applicano esclusivamente a “Riscossione S.p.a. e le società dalla stessa partecipate (…)” (che) sono complessivamente denominate agenti della riscossione” (cui è in seguito succeduta Agenzia delle Entrate-Riscossione subentrata, a titolo universale, nei rapporti giuridici attivi e passivi, anche processuali, delle società del Gruppo Equitalia sciolte a decorrere dal 1 luglio 2017).
Le prime (proroghe generiche) hanno operato esclusivamente attraverso la originaria modifica del D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112, art. 59, (Riordino del servizio nazionale della riscossione, in attuazione della delega prevista dalla L. 28 settembre 1998, n. 337), disposta dal D.Lgs. 27 aprile 2001, n. 193, art. 3, comma 1, lett. l), (Disposizioni integrative e correttive del D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, e D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112, in materia di riordino della disciplina relativa alla riscossione) con la introduzione dei commi 4 bis e 4 ter, che hanno stabilito al 1 ottobre 2004 il termine per la presentazione delle “comunicazioni di inesigibilità” dei Concessionari nazionali della riscossione, relativamente ai ruoli resi esecutivi prima del 30 settembre 1999, commi successivamente modificati (D.L. 24 settembre 2002, n. 209, art. 4, comma 2, lett. a, conv. in L. 22 novembre 2002, n. 265; il D.L. 29 novembre 2004, n. 282, art. 1, comma 1, conv. L. 27 dicembre 2004, n. 307) fino all’ultimo intervento di modifica del D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 59, comma 4 quater, disposto dal D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 3, comma 36, lett. d), n. 2) convertito nella L. 2 dicembre 2005, n. 248 (che ha fissato il termine per la “comunicazione di inesigibilità” al 30.6.2006 per i ruoli consegnati fino al 30.6.2003).
Le seconde (proroghe specifiche), invece, hanno interessato i termini di presentazione della “comunicazioni di inesigibilità” riguardanti i ruoli che erano stati consegnati dai vecchi Concessionari nazionali alle società, partecipate da Riscossione spa (poi Gruppo Equitalia e, quindi, Agenzia delle Entrate-Riscossione), che ai primi sono subentrate ex lege, in mancanza di una diversa determinazione degli enti creditori o della prosecuzione dell’attività di riscossione da parte di un’altra società cessionaria del ramo di azienda “relativo alle attività svolte in regime di concessione per conto degli enti locali” (D.L. n. 203 del 2005, art. 3, commi 24 e 25); e la proroga è proseguita ininterrottamente attraverso le continue modifiche del D.L. n. 203 del 2005, art. 3, comma 12 conv. in L. n. 248 del 2005, “trovando puntuale giustificazione nell’esigenza di tutelare il patrimonio pubblico in conseguenza, peraltro, dell’acquisizione delle società impegnate nella riscossione di entrate locali anche di dubbia e difficile esigibilità. Si è voluto, infatti, evitare che le ben note disfunzioni nell’attività di riscossione risalenti alle gestioni private, rivelatesi spesso inadeguate se non fallimentari, si riverberassero meccanicamente a carico del pubblico erario” (cfr. Corte costituzionale, sentenza 15.3.2019, n. 51).
La diversa “ratio” giustificativa dei due differenti sistemi di discarico del crediti inesigibili- è stata chiaramente individuata dal Giudice delle Leggi “… mentre l’ultima proroga “generica” della comunicazione di inesigibilità di cui al D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 59 è una misura ordinaria che tiene conto della continuità della gestione dell’attività da parte di soggetti direttamente consegnatari dei ruoli, invece la proroga di cui al citato D.L. n. 203 del 2005, art. 3, comma 12, è una misura straordinaria, assunta nel contesto di una riforma che ha posto al centro la nascita di un nuovo soggetto e che ha tenuto conto del passaggio di tutti i ruoli alle società partecipate da Riscossione spa, poi Gruppo Equitalia (salvo quelli delle società “scorporate”, ai sensi del del D.L. n. 203 del 2005, art. 3, comma 24, lett. b), che appunto restano in capo a esse). Risulta chiaro il rapporto di genere a specie tra i due commi del citato art. 3 del D.L. n. 203 del 2005: il comma 12, infatti, è riferito esclusivamente alle società partecipate da Riscossione spa (poi Gruppo Equitalia), come peraltro è stato in seguito confermato, in maniera definitiva, con norma di interpretazione autentica, dal D.L. 31 dicembre 2007, n. 248, art. 36, comma 4-quinquies, (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria), convertito, con modificazioni, nella L. 28 febbraio 2008, n. 31.
4.3.3.- I termini previsti dal citato comma 12 sono stati nel tempo oggetto di continue proroghe, ma senza alcuna soluzione di continuità, e dalla versione originaria, nella quale le “comunicazioni di inesigibilità” dovevano essere presentate entro il 31 ottobre 2008, si è giunti all’ultima versione, nella quale le medesime comunicazioni dovevano essere presentate entro il 31 dicembre 2014, in forza della modifica introdotta dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 530, recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2013)”…..” (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 51/2019, cit.).
Tanto premesso, dal ricorso per cassazione (pag. 8) emerge che Cassa Forense aveva notificato il decreto ingiuntivo nei confronti di Equitalia Polis s.p.a. (in seguito Equitalia Nord s.p.a., poi Equitalia Servizi di Riscossione s.p.a. e quindi Agenzia delle Entrate-Riscossione) in qualità di “agente della riscossione per la provincia di Rovigo”, quale “successore” di Cassa di Risparmio Padova e Rovigo s.p.a., già Concessionaria del servizio riscossione tributi per la provincia di Rovigo. Non risulta, peraltro, essere stata oggetto di contestazione e discussione, nei gradi di merito, la circostanza che, al momento della cessazione del sistema di affidamento in concessione del servizio di riscossione, i ruoli consegnati fino al 31.12.1999, non siano stati trasferiti in blocco ad un soggetto del Gruppo “pubblico”, ma siano rimasti in carico all’ex Concessionario nazionale “privato” od a società privata (da quello eventualmente scorporata) cessionaria del ramo d’azienda relativo alla riscossione dei crediti degli enti locali (in capo ai quali soggetti “privati” sarebbe maturata la decadenza e la perdita del diritto al discarico).
Pertanto, relativamente ai crediti portati dai ruoli 1999 trasferiti a Riscossione s.p.a. od a società poi in quella confluite o da quella partecipate e – pervenuti da ultimo ad Agenzia Entrate-Riscossione, si applica la disciplina delle proroghe dettate per la categoria dei soggetti appartenenti al settore “pubblico”, ossia degli “agenti della riscossione”, i quali soltanto hanno fruito ininterrottamente delle “proroghe cd. specifiche” dei termini di decadenza per effettuare la “comunicazione di inesigibilità”, fino alla entrata in vigore della L. n. 228 del 2012 di stabilità per l’anno 2013.
Deve ritenersi, dunque, infondata la censura della ricorrente principale volta ad applicare anche ai crediti portati dai ruoli trasferiti al “Gruppo pubblico” in conseguenza della cessazione dell’affidamento in concessione ai soggetti privati del servizio di riscossione a mezzo ruoli, il regime normativo delle proroghe di cui al D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 59, comma 4 quater, dettato esclusivamente per gli ex Concessionari “privati” e per le società private “scorporate” resesi cessionarie del ramo di azienda (limitato alle attività di riscossione per conto dell’ente locale), in relazione ai quali soltanto viene in rilievo la prospettata soluzione di continuità tra gli atti normativi che hanno disposto le “proroghe cd. generiche” dei termini per la presentazione della comunicazione di inesigibilità, determinatasi tra la scadenza del termine fissato all’1.10.2004 e la successiva proroga disposta con D.L. 29 novembre 2004, n. 282.
La sottrazione alla disciplina delle “proroghe cd. specifiche” dei crediti previdenziali, iscritti nei ruoli consegnati fino al 31.12.1999 e trasferiti ad Agenti della riscossione ricompresi nel Gruppo pubblico, non può trovare fondamento sull’assunto, prospettato dalla ricorrente principale, secondo cui la norma della legge di stabilità 2013 non potrebbe incidere retroattivamente sui rapporti tra ente creditore e Concessionario, Agente della riscossione, in quanto ormai definitivamente esauriti.
La tesi non coglie nel segno, proprio perchè fondata sul presupposto indimostrato della maturata decadenza di Equitalia dal diritto al discarico delle quote relative ai ruoli consegnati fino al 31.12.1999.
Orbene, rispetto agli Agenti della riscossione (settore “pubblico”), le proroghe dei termini per l’invio delle “comunicazioni di inesigibilità” hanno continuato ad operare ininterrottamente (D.L. 30 settembre 2005, n. 203 conv. in L. 2 dicembre 2005, n. 248, art. 3, comma 12; D.L. 31 dicembre 2007, n. 248, conv. in L. 28 febbraio 2008, n. 31, art. 36, comma 4 quinquies – norma di interpretazione autentica, modificata da D.L. 30 dicembre 2009, n. 194 conv. in L. 26 febbraio 2010, n. 25, quindi dal D.L. 29 dicembre 2011, n. 216 conv. in L. 24 febbraio 2012, n. 14, ed infine dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228) fino alla L. n. 228 del 2012 che ha disciplinato la materia come di seguito indicato:
a) la L. n. 228 del 2012, ha previsto il discarico automatico – secondo le indicate modalità inerenti gli importi inferiori o superiori ad Euro 2.000,00 con riferimento a tutti i ruoli ancora “pendenti” consegnati fino al 31 dicembre 1999, senza ulteriori specificazioni o distinzioni tra i soggetti della riscossione appartenenti al settore “pubblico” degli Agenti della riscossione;
b) rimangono, quindi, sottratti a tale disciplina soltanto i ruoli 1999 che, alla data di entrata in vigore della legge di stabilità 2013, dovevano ritenersi già “definiti”; e cioè? oltre ai ruoli per cui era stata svolta attività esecutiva, con risultato positivo, e l’ente creditore aveva quindi incassato le somme riscosse dal Concessionario, anche i ruoli per i quali:
b.1-il Concessionario aveva inviato la “comunicazione di inesigibilità” e l’ente creditore 1.1-a seguito della procedura in contraddittorio prevista dal D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 20, aveva emesso “definitivo provvedimento di diniego”; 1.2-aveva omesso di svolgere le dovute attività di controllo nel periodo indicato dalla legge, essendo quindi “intervenuto il discarico automatico”;
b.2-il Concessionario non aveva provveduto ad inviare la “comunicazione di inesigibilità” nel termine di legge, e l’ente creditore aveva attivato la procedura di contestazione prevista dal D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 20, comma 3, ed all’esito aveva emesso il provvedimento definitivo di “rifiuto di discarico”.
Ne segue che per i ruoli consegnati fino al 31.12.1999, in relazione ai quali tanto il Concessionario quanto l’ente creditore, avuto riguardo alle rispettive attività di competenza, erano rimasti inerti fino alla entrata in vigore della legge di stabilità 2013, non è ravvisabile alcuna “definizione del rapporto”, non potendo darsi alcun “rapporto esaurito” relativamente alla procedura di riscossione, in assenza della contestazione della decadenza per mancata presentazione della “comunicazione di inesigibilità”, ovvero in difetto di emissione del “provvedimento definitivo di diniego di discarico”, con la conseguenza che tali ruoli risalenti nel tempo e mai definiti rimangono, pertanto, attratti alla disciplina speciale del discarico automatico dettata dalla L. n. 228 del 2012.
In conclusione,, alcuna decadenza poteva ritenersi maturata, alla data di entrata in vigore della legge di stabilità 2013, nei confronti dell’Agente della riscossione in relazione alla mancata trasmissione delle “comunicazioni di inesigibilità” nel termine triennale previsto dal D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 19, comma 2, lett. c), in quanto l’ente previdenziale non aveva attivato la “procedura di contestazione” ex art. 20 del medesimo decreto legislativo, nè aveva emesso alcun “provvedimento definitivo di diniego” del discarico (circostanze incontestate).
Terzo motivo: violazione e falsa applicazione della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1 comma 527 e 529, del D.M. Economia e Finanze 15 giugno 2015, art. 1, del D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509, artt. 1 e 2, del D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112, art. 17, dell’art. 3 Cost., art. 35 Cost., comma 1, art. 36 Cost., comma 1, art. 38 Cost. e comma 3, art. 97 Cost., comma 2, art. 117 Cost., comma 1, in relazione all’art. 6 CEDU (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).
Sostiene Cassa Forense che la disciplina legislativa introdotta dalla legge di stabilità 2013 imporrebbe di distinguere tra gli enti creditori in relazione alla specifica “qualità soggettiva” dagli stessi rivestita, potendo operare il “discarico automatico” dei ruoli 1999 portanti crediti fino ad Euro 2.000,00 soltanto con riferimento a quegli enti che percepiscono contribuzioni o finanziamenti statali, non potendo, invece, incidere sugli “enti previdenziali privatizzati” che si alimentano esclusivamente con le risorse dei contributi obbligatori degli iscritti e che si vedrebbero espropriare parte del proprio patrimonio in conseguenza del meccanismo automatico di discarico dei ruoli previsto dalla L. n. 228 del 2012.
Quarto motivo: violazione e falsa applicazione della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1 commi 528 e 529, del D.M. Economia e Finanze 15 giugno 2015, art. 2, del D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509, artt. 1 e 2, del D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112, art. 17, dell’art. 3 Cost., art. 35 Cost., comma 1, art. 36 Cost., comma 1, art. 38 e comma 3, art. 97 Cost., comma 2, art. 117 Cost., comma 1, in relazione all’art. 6 CEDU (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).
La Cassa Forense svolge analoghe censure con riferimento alla disciplina normativa concernente i crediti dei ruoli consegnati fino al 31.12.1999, per importi superiori a Euro 2.000,00. Lamenta che con l’entrata in vigore della L. n. 228 del 2012 sarebbe stata privata dello “strumento” messo a disposizione dell’ente creditore di rivalersi per l’intero importo non riscosso sull’Agente della riscossione, il quale, quando anche avesse correttamente adempiuto alle attività di esazione, non aveva però trasmesso nel termine la “comunicazione di inesigibilità” dei ruoli: contesta che la legislazione di proroga veniva a risolversi in uni irragionevole limitazione di tale diritto patrimoniale, volta a favorire esclusivamente la categoria degli Agenti della riscossione.
I motivi, che pongono questioni sostanzialmente analoghe, debbono ritenersi infondati.
Osserva il Collegio che l’intervento legislativo disposto con la legge di stabilità del 2013 viene a ridefinire tutti gli altri interventi normativi sovrappostisi nel corso degli anni, ed ha di mira il generale riassetto del sistema di riscossione delle risorse del “settore pubblico” che vanno a comporre il bilancio economico consolidato (L. 31 dicembre 2009, n. 196, art. 1 e succ. mod.): in tale sistema si collocano anche gli “enti previdenziali” che, sotto tale aspetto, non hanno subito variazioni a seguito della trasformazione in associazioni o fondazioni con personalità giuridica di diritto privato, operata dal D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509. Inequivoca è al proposito la disposizione del comma 3, dell’art. 1, del predetto decreto legislativo che dispone “Gli enti trasformati continuano a svolgere le attività previdenziali e assistenziali in atto riconosciute a favore delle categorie di lavoratori e professionisti per le quali sono stati originariamente istituiti, ferma restando la obbligatorietà della iscrizione e della contribuzione” ed inequivoca è altresì la disposizione dell’art. 2, comma 1, del medesimo decreto legislativo ove si ribadisce che “Le associazioni o le fondazioni hanno autonomia gestionale, organizzativa e contabile nel rispetto dei principi stabiliti dal presente articolo nei limiti fissati dalle disposizioni del presente decreto in relazione alla natura pubblica dell’attività svolta”.
Rimane, dunque, impregiudicata, a seguito della trasformazione di detti enti, la norma del D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, art. 17, comma 1, (recante: “Riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo, a norma della L. 28 settembre 1998, n. 337, art. 1 “) che includeva tali enti previdenziali nel sistema di riscossione coattiva di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, disponendo che: “si effettua mediante ruolo la riscossione coattiva delle entrate dello Stato, anche diverse dalle imposte sui redditi, e di quelle degli altri enti pubblici, anche previdenziali, esclusi quelli economici”.
La “soggettività di diritto privato” degli enti previdenziali non assume, pertanto, carattere dirimente, ai fini della ipotizzata sottrazione di tali enti alla disciplina generale di riforma del sistema della riscossione a mezzo ruolo – in relazione tanto alla abrogazione del principio del “non riscosso per riscosso” quanto alla “rottamazione” dei ruoli “inattivi” -, incidendo la natura privatistica soltanto sulla forma organizzativa, oltre che sulla dotazione degli strumenti negoziali propri del diritto privato, come emerge dal mantenimento della vigilanza ministeriale e del controllo di legalità della Corte dei conti, giustificati dalla assoluta rilevanza pubblica generale della attività previdenziale e assistenziale svolta dagli enti “privatizzati”.
L’ente previdenziale privatizzato, diversamente da quanto prospettato dalla ricorrente principale, non viene, quindi, a trovarsi in una posizione differente da quella assunta dagli altri enti pubblici, in relazione alla cura degli interesse a ciascuno di essi affidati, venendo tutti tali enti a partecipare al medesimo sistema economico del settore pubblico inteso a garantire l’equilibrio della gestione finanziaria e la evidenza dei risultati gestionali, attraverso la redazione di modelli uniformi di documenti di bilancio (indicativa a tal fine è la inclusione dei bilanci degli enti previdenziali nel settore allargato della PP.AA.), obiettivo in relazione al quale è venuta a rivestire carattere essenziale la riforma organizzativa del servizio in concessione, volta ad eliminare le disfunzioni ed inefficienza nell’impiego dello strumento della riscossione coattiva a mezzo ruolo delle proprie risorse economiche.
Nè consente di riconoscere una posizione differenziata, all’ente previdenziale, rispetto alla disciplina del sistema di riscossione degli altri enti pubblici, la esigenza, pure normata, per cui “La gestione economico-finanziaria deve assicurare l’equilibrio di bilancio mediante l’adozione di provvedimenti coerenti alle indicazioni risultanti dal bilancio tecnico da redigersi con periodicità almeno triennale” (D.Lgs. n. 509 del 1994, art. 2, comma 2), o ancora la limitazione imposta ex lege per cui “Agli enti stessi non sono consentiti finanziamenti pubblici diretti o indiretti, con esclusione di quelli connessi con gli sgravi e la fiscalizzazione degli oneri sociali.” (art. 1 comma 3, idem).
Al proposito va disatteso il rilievo, formulato da Cassa Forense, secondo cui legge stabilità 2013, art. 1, comma 527, – che prevede per gli importi inferiori a Euro 2.000,00 “l’annullamento dei crediti e la eliminazione dalle scritture contabili” – comporterebbe un depauperamento dell’attivo patrimoniale dell’ente previdenziale, integrando un provvedimento abiatorio senza indennizzo nei confronti di enti cui lo Stato non contribuisce neppure in via indiretta.
La formula lessicale impiegata nella disposizione legislativa richiamata non può, infatti, che essere posta in relazione agli scopi di efficienza e trasparenza perseguiti con il generale intervento riorganizzativo del servizio di riscossione a mezzo ruoli, mediante eliminazione dell’ingente arretrato del carico dei ruoli determinatosi nel corso degli anni: ed a tale scopo non è richiesta anche trattandosi di mezzo non funzionale al fine – la anticipata estinzione, rispetto all’ordinario termine prescrizionale, con atto “iure imperii” dei crediti in titolarità all’ente previdenziale nei confronti dei propri iscritti.
Il fine della L. n. 228 del 2012 è quello di non aggravare inutilmente, rendendola meno efficiente nella realizzazione dei risultati, l’attività demandata all’Agente della riscossione, lasciando pendere “ad libitum” l’obbligo di ricerca dei cespiti da aggredire e gli inutili tentativi di iniziative esecutive rivolte al recupero di crediti, risalenti nel tempo ed anche di minima entità, per i quali, dato il tempo trascorso, è seriamente presumibile la definitiva inesigibilità: rispetto all’utile perseguimento di tale scopo rimane, infatti, del tutto estraneo un intervento del Legislatore volto ad incidere sul “rapporto di provvista” (rapporto obbligatorio tra Cassa Forense e professionista-iscritto alla gestione previdenziale, avente ad oggetto il versamento del relativo contributo).
Interpretando la L. n. 228 del 2012 in senso conforme al principio costituzionale di ragionevolezza (art. 3 Cost.), ed avuto specifico riguardo alla esigenza che ogni intervento della autorità pubblica, incidente nella sfera giuridica di terzi, deve corrispondere al canone di coerenza e di proporzionalità, appare corretto ritenere che le formule lessicali adottate nel testo legislativo (“annullamento”; “eliminazione”), debbano essere riferite esclusivamente al “titolo esecutivo” (ruolo) e non anche al “diritto di credito” (come emerge anche dalla lettura del decreto MEF di attuazione in data 15.6.2015, che, agli artt. 1, 2 e 3, fa riferimento al “discarico automatico” delle “quote” inserite in elenco): la prescrizione normativa della “eliminazione” del credito dalle “scritture patrimoniali”, assume, peraltro, valenza esclusivamente contabile in funzione della esigenza, richiesta dal sistema contabile Europeo, di fornire una realistica esposizione dello stato patrimoniale ed economico dell’ente venendo a disporre la norma che i crediti relativi ai “ruoli” annullati, non possono essere appostati in bilancio nello “stato patrimoniale” come riserve o immobilizzazioni, cioè non possono integrare l’attivo patrimoniale, potendo invece essere riportati come crediti insoluti – prudenzialmente valutati – nel solo bilancio di esercizio. Tale conclusione trova riscontro, peraltro, nella analoga disposizione contenuta nella previgente disciplina legislativa. E’ appena il caso, infatti, di osservare che la “eliminazione” di crediti dalle scritture contabili non costituisce affatto una novità, trattandosi di effetto già contemplato nel caso di discarico del ruolo: così, infatti, era già previsto dal D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 19, comma 3, (discarico triennale automatico per inerzia dell’ente creditore che non aveva svolto l’attività di controllo dopo aver ricevuto la “comunicazione di inesigibilità” del credito); e così è stato ribadito anche dalla L. n. 228 del 2012 ed ancora viene previsto dalla L. n. 190 del 2014 (stabilità 2015).
La disposizione della legge di stabilità 2013 appare, quindi, del tutto coerente con lo scopo di evitare che “i crediti risalenti anche a trenta anni siano posti tra le voci dell’attivo nel bilancio degli enti e contribuiscano fattivamente al loro pareggio” disattendendo al criterio di veridicità dei bilanci.
L'”annullamento” del ruolo e la “eliminazione” contabile del credito dallo stato patrimoniale, non pregiudicano, dunque, in alcun modo l’esercizio da parte dell’ente previdenziale delle ordinarie misure di tutela del credito apprestate ai soggetti privati dall’ordinamento giuridico, insussistendo, pertanto, la forma larvata di espropriazione patrimoniale, prospettata dalla ricorrente principale, e di conseguenza diversificandosi la fattispecie in esame da quella disciplinata dalla norma di cui al D.L. 6 luglio 2012, n. 95, art. 8, comma 3, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 135, art. 1, comma 1, che è stata sottoposta al sindacato del Giudice delle Leggi e da questi dichiarata affetta da illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 3 Cost., “nella parte in cui prevede che le somme derivanti dalle riduzioni di spesa ivi previste siano versate annualmente dalla Cassa Forense nazionale di previdenza ed assistenza per i dottori commercialisti ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato”: in quel caso, infatti, attraverso la parziale distrazione delle risorse destinate alla Cassa previdenziale, veniva in tal modo ad essere alterato proprio quel vincolo funzionale – imprescindibile per il corretto ed efficiente perseguimento dello scopo istituzionale – tra contributi degli iscritti ed erogazione delle prestazioni previdenziali (cfr. Corte costituzionale, sentenza 11 gennaio 2017 n. 7). In quel caso l’Erario si appropriava di una quota delle somme versate dagli iscritti, andando così ad incidere negativamente sulla alimentazione delle risorse finanziarie effettive proprie dell’ente previdenziale; in questo caso, invece, attraverso il discarico automatico e la eliminazione della scritture contabili dell’ente creditore, si intende eliminare quella che ormai, dato il tempo trascorso, è una mera reiterazione della rappresentazione formale-contabile di un credito, in relazione al quale si presume ex lege (sia in base all’importo minimo, sia in base alla prolungata insolvenza del debitore) che non sussistano più prospettive di realizzo.
Gli ostacoli di mero fatto paventati dalla ricorrente (i crediti potrebbero risalire anche a venti anni or sono, ciò che renderebbe molto improbabile all’ente previdenziale di conseguire, attraverso l’ordinaria procedura esecutiva, risultati positivi in termini di gettito, trattandosi di crediti ormai prescritti), non vengono evidentemente in rilievo ai fini del sindacato di legittimità, potendo anzi fornire piena sponda al fine perseguito dal Legislatore riformatore con la esclusione della riscossione a mezzo ruoli di crediti ormai solo apparenti e la cui virtuale persistenza contabile potrebbe soltanto falsare i risultati di bilancio dell’ente creditore che, per anni, ha evidentemente trascurato di attivarsi sebbene il Concessionario o l’Agente della riscossione non avessero ottemperato agli obblighi di trasmissione dei risultati delle attività di esazione svolte – al fine di richiedere informazioni e sollecitare gli adempimenti relativi, quando ancora vigeva l’obbligo “del non riscosso per riscosso”: venendo a palesarsi tale ingiustificata inerzia, non soltanto rispetto alla “decadenza” dal diritto al discarico che, secondo la stessa Cassa Forense, (infondatamente, per quanto sopra osservato, non concernendo le società concessionarie confluite in Riscossione s.p.a.) si sarebbe verificata ad ottobre 2004, in relazione alla cesura temporale determinatasi nella sequenza cronologica delle norme di legge che prevedevano la proroga dei termini fissati per l’invio delle “comunicazioni di inesigibilità” il D.Lgs. n. 112 del 1999, ex art. 19, comma 2, lett. c), ma ancora prima, già al tempo della consegna dei ruoli 1998 e 1999, in considerazione della perdurante omessa contestazione da parte dell’ente creditore della “mancata comunicazione….anche in via telematica, con cadenza annuale, dello stato delle procedure” che il Concessionario/Agente della riscossione era tenuto a trasmettere all’ente creditore, ai sensi del medesimo D.Lgs. n. 112 del 1999. In entrambi i casi, infatti, il comportamento omissivo del Concessionario/Agente riscossione era sanzionato con la perdita del diritto al discarico, e l’ente creditore avrebbe allora – potuto e dovuto “ex lege” attivare “immediatamente” la procedura di contestazione, diretta a concludersi con il provvedimento definitivo di diniego del discarico, come previsto dal D.Lgs. n. 112 del 1999.
In conclusione, non vi è alcuna ragione, nè trova alcun riscontro normativo, la tesi per cui, in seguito alla trasformazione in “associazione o fondazione con personalità giuridica di diritto privato”, l’ente previdenziale dovrebbe ritenersi sottratto alle modifiche e riforme disposte dal Legislatore in ordine alla disciplina del sistema di riscossione a mezzo ruolo: le leggi di riforma, infatti, operano una revisione generale del servizio di riscossione in funzione deflattiva del carico dei ruoli (risalenti ed ormai inutili) consegnati agli Agenti della riscossione, prescindendo del tutto sia dal “tipo” e dalla natura deì crediti iscritti nei ruoli, sia anche dalla natura pubblica o privata dei soggetti che si avvalgono della procedura di riscossione a mezzo ruolo.
Del tutto infondato appare, poi, il sospetto di incostituzionalità della L. n. 228 del 2012 prospettato da Cassa Forense in relazione alla lesione dell’art. 6 CEDU, per violazione della norma interposta dell’art. 117 Cost., assumendo la ricorrente principale che l’intervento del Legislatore non poteva essere pervasivo al punto di incidere in modo da alterare a vantaggio della Pubblica Amministrazione i giudizi in corso, influenzando l’esito della decisione finale.
Osserva il Collegio che, nella specie, si controverte rispetto sia a diritti di credito vantati in relazione all”‘obbligo del non riscosso per riscosso” – ruolo suppletivo anno 1998 – sul quale la legge abrogatrice (D.Lgs. n. 37 del 1999) non ha disposto per il passato, nè è intervenuta la L. n. 228 del 2012, in relazione ai quali, pertanto, non vengono in rilievo le censure formulate con i motivi di ricorso; sia a diritti di credito – ruolo ordinario anno 1999 – che, come in precedenza rilevato, costituiscono oggetto della domanda svolta da Cassa Forense sull’assunto della perdita del diritto al discarico dell’Agente della riscossione, per mancata trasmissione della “comunicazione di inesigibilità”, ma in ordine ai quali – in mancanza di attivazione del procedimento di cui al D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 20 e di adozione del provvedimento definitivo di diniego del discarico – il rapporto obbligatorio tra ente creditore ed agente della riscossione non può ritenersi, allo stato, ancora “esaurito”.
E’ dunque priva di fondamento la critica mossa dalla ricorrente alla L. n. 228 del 2012 per essere intervenuta – con efficacia retroattiva – a disciplinare irragionevolmente “situazioni giuridiche quesite” o “rapporti esauriti” (Corte cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 12229 del 09/05/2019), e debbono in conseguenza ritenersi manifestamente infondati i dubbi di costituzionalità sollevati dalla ricorrente principale, alla stregua delle condivisibili considerazioni svolte dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 51/2019, che ha ritenuto legittimi gli interventi legislativi di riforma, accompagnati dalle ripetute proroghe dei termini per l’invio della “comunicazione di inesigibilità”, osservando che, a seguito del passaggio dei “ruoli”, già in carico agli ex Concessionari nazionali “privati”, a Riscossione s.p.a. od alle società da questa partecipate ai sensi del D.L. n. 203 del 2005, art. 3, comma 7, conv. in L. n. 248 del 2005, ossia a quei soggetti denominati “Agenti della riscossione”, “Si è voluto, infatti, evitare che le ben note disfunzioni nell’attività di riscossione risalenti alle gestioni private, rivelatesi spesso inadeguate se non fallimentari, si riverberassero meccanicamente a carico del pubblico erario”. La legge di stabilità 2013 viene ad inserirsi nel complessivo intervento riformatore del sistema della riscossione a mezzo ruolo, che ha avuto ulteriore completamento con la normativa di cui alla L. n. 190 del 2014, art. 1, commi da 682 a 689, che ha introdotto “per il controllo nel tempo delle quote dichiarate inesigibili, un nuovo meccanismo, definito “scalare inverso”, che, se da un lato è innovativo rispetto al sistema delle precedenti proroghe, dall’altro, è intrinsecamente finalizzato alla soluzione della specifica situazione determinata proprio dalla concatenazione delle proroghe e dall’accumularsi di una ingente quantità di arretrati e di un’imponente stratificazione delle partite creditorie da trattare (come conferma la deliberazione della Corte dei conti, sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato, 20 ottobre 2016, n. 11/2016/G, richiamata dai giudici rimettenti). In altre parole, la scadenza contemporanea di tutte le comunicazioni di debito/credito tra agenti della riscossione e enti creditori ha giustificato un intervento innovativo e straordinario del legislatore, che ha previsto in un’unica riforma, inscindibile nei suoi aspetti….” (cfr. Corte Cost. sentenza n. 51/2019 cit.. Sulla stessa linea si colloca anche la successiva sentenza 14.2.2018 n. 29 della Corte costituzionale che, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 193 del 2016, art. 6, commi 1 e 10, conv. in L. n. 225 del 2016 – disciplina che prevedeva la cd. “rottamazione delle cartelle” relative a crediti delle regioni iscritti a ruolo negli anni 2000 – 2016, adottata a seguito del subentro di Agenzia delle Etrate Riscossione alle società del soppresso Gruppo Equitalia rilevando come l’intervento legislativo si inserisse in una riforma di sistema, volta ad ottimizzare l’attività di riscossione “anche al fine di garantire l’effettività del gettito delle entrate e l’incremento del livello di adempimento spontaneo degli obblighi tributari”, con finalità principale di evitare che l’ente pubblico subentrante ad Equitalia “si trovi già ad avere un pesante arretrato, tale da condizionare l’avvio e l’attuazione delle riforma strutturale”).
Tale obiettivo di interesse generale, perseguito dal Legislatore, supera i rilievi formulati dalla Cassa Forense ricorrente in ordine alla asserita violazione dell’art. 6 della Convenzione EDU, ancora una volta fondati sulla assunta – non condivisa – “definitività” del rapporto obbligatorio con il Concessionario/Agente della riscossione in conseguenza della “perdita del diritto al discarico” dei ruoli consegnati nel 1999, e sul’assunto -anch’ esso non condiviso – della improrogabilità dei termini stabiliti per l’invio delle “comunicazioni di inesigibilità” mediante decreti legge adottati “dopo” la scadenza dei termini di proroga precedentemente assegnati, vicenda da riferirsi, come si è precisato, alle sole “proroghe cd. “generiche” (concernenti il D.Lgs. n. 112 del 1999) relative agli ex Concessionarì nazionali “privati” ed alle società cessionarie del ramo d’azienda relativo alla riscossione dei crediti degli enti locali, e dunque vicenda che rimane estranea alla fattispecie controversa, in cui vengono in questione crediti portati da ruoli consegnati nell’anno 1999 che sono stati “ab origine” trasferiti a Riscossione s.p.a. ed alle società da quella partecipate, ossia agli “Agenti della riscossione” appartenenti al Gruppo pubblico del sistema di riscossione a mezzo ruolo.
E’ nota a questa Corte la giurisprudenza formatasi in base alla interpretazione dell’art. 6, paragr. 1, Convenzione EDU fornita dalla Corte di Strasburgo, secondo cui pur “non essendo impedito al legislatore, in linea di principio, ai intervenire nella materia civile per modificare lo stato del diritto con una legge immediatamente applicabile (OGIS-Institut Stanislas, OGEC Saint-Pie X et Bianche de Castille e altri c. Francia, no 42219/98 e 54563/00, p. 61, 27 maggio 2004; Zielinski et Pradal & Gonzalez e altri c. Francia (GC), n. 24846/94 e 34165/96 e 34173/96, p. 57, CEDU 1999-VII)”, tuttavia “se, in linea di principio, in materia civile non è vietato al potere legislativo regolamentare con delle nuove disposizioni aventi portata retroattiva, i diritti che derivano dalle leggi in vigore, il principio della preminenza del diritto e la nozione di processo equo, consacrati dall’art. 6 della Convenzione, si oppongono, salvo per imperative esigenze di interesse generale, all’ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia con lo scopo di influire sullo svolgimento giudiziario di una causa (Zielinski e Pradal & Gonzales c. Francia (GC), n. 24846/94 e 34165/96 e 34173/96, p. 57, CEDU 1999-VII; Raffinerie greche Stran e Stratis Andreadis c. Grecia, sentenza del 9 dicembre 1994, serie A n. 301-B; Papageorgiou c. Grecia, sentenza del 22 ottobre 1997, Raccolta 1997-VI.” (cfr. Corte EDU, sentenza, 29.3.2006, Scordino-1 c/ Italia, punto 126), sicchè è stato ritenuto “che le considerazioni finanziarie non possono, da sole, autorizzare il potere legislativo a sostituirsi al giudice nella definizione delle controversie (si vedano Scordino c. Italia (n. 1) (GC), n. 36813/97, p. 132, CEDU 2006-V, e Cabourdin c. Francia, n. 60796/00, p. 37, 11 aprile 2006).” (cfr. Corte EDU, sentenza, 31 maggio 2011, Maggio ed altri c/ Italia; Corte EDU, sentenza, 11 aprile 2006, Cabourdin c/ France).
Orbene osserva il Collegio che, in astratta ipotesi, nella fattispecie potrebbe anche ricorrere la condizione secondo cui l’illegittima ingerenza nel giudizio pendente si verifica soltanto nei casi in cui lo Stato è “parte in causa”, direttamente od indirettamente (cfr. Corte EDU, sentenza, Cabourdin ci France, cit. che qualifica lo Stato come parte “sostanziale” del giudizio pendente, “en qualitè d’actionnaire indirect”, disponendo della partecipazione azionaria di controllo al capitale delle banche formali parti in causa), venendosi ad attuare, attraverso il “jus superveniens”, un indebito orientamento della decisione “in rem propriam”: la Agenzia delle Entrate-Riscossione, infatti, pur disponendo di autonomia di gestione e di bilancio, è ente pubblico economico sottoposto a vigilanza del Ministero dell’Economia e delle Finanze ed al controllo di gestione della Corte dei conti, e realizza quindi la condizione dello “Stato in causa”.
Osserva il Collegio, tuttavia, che l’intervento legislativo di cui alla L. n. 228 del 2012, successivo alla introduzione del presente giudizio nel 2010, non si pone affatto come esercizio di potere autoritativo, del tutto isolato ed inaspettato rispetto ad una situazione giuridica in cui le parti potevano fare ragionevole affidamento sulla sua immutabilità, ma rappresenta la evoluzione di un percorso normativo iniziato fin dall’anno 1999 – con i primi interventi di riforma del sistema di riscossione a mezzo ruoli e l’abolizione del criterio del “non riscosso per riscosso” – e proseguito ininterrottamente, con la sostituzione della nuova organizzazione di carattere pubblicistico degli Agenti della riscossione ai precedenti rapporti di concessione di servizio pubblico, intrattenuti dai singoli enti creditori con le società private, attraverso la realizzazione del sistema elettronico della anagrafe tributaria il cui prolungato tempo di apprestamento ha richiesto le continue proroghe della scadenza de termini di presentazione delle “comunicazioni di inesigibilità”, e quindi con la deflazione del carico di ruoli per quelle quote che risultavano soltanto inutilmente gravatorie dell’attività di riscossione degli Agenti, potendo, quindi, bene scorgersi il “continuum” sussistente tra i vari provvedimenti legislativi succedutisi nel tempo, fino al completamento del riassetto organizzativo del settore della riscossione, attuato con la L. n. 190 del 2014.
Deve, pertanto, escludersi che la L. n. 228 del 2020 sottenda, quale unico e determinate scopo, quello di intervenire, ab externo, “jure imperii”, al fine di risolvere arbitrariamente il contenzioso tra Cassa Forense ed Agenzia Entrate-Riscossione in senso favorevole a quest’ultima, collocandosi piuttosto in una serie coordinata di interventi legislativi, molto più ampia, che trova la sua genesi ben dieci anni prima dell’inizio del giudizio di merito introdotto da CNPAF. Non potendo, pertanto, ravvisarsi alcuna collisione tra la disciplina del discarico automatico dei ruoli anno 1999 ed il principio del “processo equo”, basato sul duplice parametro della “prevedibilità” della iniziativa legislativa e dell'”abuso del processo” (cfr. Corte EDU, sez. II, ric. n. 58630/11, causa, Ljaskaj c. Croazia, sentenza, 20 dicembre 2016), atteso che una legge (retroattiva) viene ad incorrere nella violazione delle norme convenzionali qualora sia ravvisabile, nel comportamento delle autorità pubbliche, l’insorgenza di un affidamento sul bene disputato che valga a consolidare l’aspettativa di un determinato esito del giudizio in corso e che renda, quindi, “imprevedibile” (e per ciò “abusivo”) l’intervento legislativo modificativo, con carattere retroattivo, inteso a volgere a favore dello Stato – parte del processo – l’esito della lite, realizzandosi in tal modo una indebita ingerenza nella gestione del contenzioso giudiziario (cfr. Corte EDU, ric. 24846/94, 34165/96, 34173/96, causa Zielinski, Pradal, Gonzalez e altri v. France, sentenza, 28 ottobre 1999; Corte EDU, Grande camera, ric. 36813/97, causa Scordino c/ Italia, sentenza, 29 marzo 2006; Corte EDU ric. 43549/08, 6107/09, 5087/09, causa Agrati ed altri c/ Italia, sentenza, 7 giugno 2011).
Quinto motivo: violazione e falsa applicazione della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1 comma 528 e 529, del DM Economia e Finanze 15 giugno 2015, art. 2 e 3, D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112, art. 19 e 20, dell’art. 2697 c.c., comma 2 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).
Sesto motivo: omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
La ricorrente principale impugna, con entrambi i motivi quinto e sesto, la statuizione della sentenza della Corte d’appello secondo cui dall'”elenco delle quote” dei ruoli relativi all’anno 1999 trasmessa da Equitalia Nord s.p.a., in data 25.9.2015, emergeva che tutte le “quote” indicate risultavano “rottamate”: ritiene la ricorrente che il Giudice di merito non avrebbe considerato che la L. n. 228 del 2012, ai commi 428 e 429 dell’art. 1, richiede, per il “discarico dei ruoli” per i quali le procedure debbono ritenersi ancora in corso, la previa conclusione delle stesse, essendo tenuto l’Agente della riscossione ad esperire prima tutte le attività occorrenti alla esazione. Sicchè era da ritenere errata la pronuncia impugnata, avendo il Giudice omesso di indagare se tra i ruoli in questione ve ne fossero alcuni per i quali le procedure non erano state esaurite, essendo onere probatorio di Agenzia delle Entrate-Riscossione dimostrare di avere ultimato le attività, ed avendo omesso pertanto il Giudice di merito di considerare tale fatto decisivo.
I motivi sono, rispettivamente, infondati quanto al denunciato “errore di diritto” ed inammissibili quanto al dedotto “errore di fatto”.
Premesso che è rimasta del tutto indimostrata l’affermazione della ricorrente principale secondo cui Agenzia Entrate-Riscossione avrebbe ammesso che non poteva escludersi che alcuni ruoli fossero interessati da procedure in corso, osserva il Collegio che la Corte d’appello non ha affatto disatteso il disposto del D.M. Economia e Finanze del 15 maggio 2015, art. 3, ma ha semplicemente rilevato, dal materiale probatorio acquisto al giudizio, che l’Agente della riscossione aveva trasmesso alla Cassa Forense la lista dei ruoli “rottamati”: ne segue che, come espressamente previsto dall’art. 2, comma 2 (relativamente ai crediti “non interessati” da procedure di riscossione o di dilazione di pagamento in corso) e dall’art. 3, comma 3 (relativamente ai crediti, invece, “interessati” da tali procedure) del predetto decreto dirigenziale MEF del 2015, il discarico opera “automaticamente”, spettando all’ente creditore verificare e contestare “entro e non oltre sei mesi dalla ricezione del predetto elenco” l’eventuale erroneo inserimento di quote prive delle caratteristiche richieste per il discarico (tra cui anche la eventuale pendenza di procedure di riscossione o di dilazione di pagamento).
Infondata è dunque la censura di violazione della regola del riparto probatorio, correttamente applicata dalla Corte territoriale.
Incorre nella inammissibilità la censura di cui al sesto motivo, in quanto formulata non in conformità al paradigma normativo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che richiede la specifica indicazione del “fatto decisivo” asseritamente omesso dal Giudice di merito.
Settimo motivo: violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 c.c. in relazione al D.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43, art. 32 comma 3 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).
Assume la ricorrente principale che la pronuncia del Giudice di appello, con la quale veniva statuito l’onere, gravante su Cassa Forense, di fornire la prova della scadenza delle “rate o dei decimi di rata” ancora dovuti dall’Agente della riscossione, in relazione al residuo importo del ruolo suppletivo 1998, per i quali vigeva ancora l’obbligo del “non riscosso per riscosso” sotto la vigenza del D.P.R. n. 43 del 1998, art. 32, comma 8, (anteriormente all’abrogazione della norma disposta dal D.Lgs. n. 37 del 1999, in relazione ai ruoli emessi successivamente al 26 febbraio 1999), violava la regola del riparto dell’onere probatorio ex art. 2697 c.c., non essendo il creditore a dover provare l’inadempimento del debitore.
Inoltre la Corte d’appello aveva fatto scorretto uso dello schema logico presuntivo, in quanto non vi era alcun elemento che potesse consentire di imputare la somma già incassata da Cassa Forense ai “decimi della prima rata” del residuo importo non ancora incassato e preteso in causa.
Il motivo, pure astrattamente fondato, quanto alla prima censura concernente la violazione dell’art. 2697 c.c. (essendo costituito il Concessionario “debitore dell’intero ammontare delle somme iscritte nei ruoli”, semplicemente con la consegna di questi ultimi D.P.R. n. 43 del 1998, ex art. 32, comma 3, sicchè l’ente creditore è tenuto soltanto a provare la fonte del credito – emissione e consegna del ruolo – e la sua esigibilità per essere scaduti i termini di legge, mentre spetta al Concessionario debitore fornire la prova delle cause estintive in tutto od in parte del credito, tali essendo i pagamenti in scadenza, successivi alla entrata in vigore della norma abrogativa dell’obbligo del “non riscosso per riscosso”), non può tuttavia essere accolto, in quanto inammissibile per difetto di interesse, avendo la Corte d’appello, comunque, valutato in concreto le prove offerte in giudizio, ritenendo raggiunta la prova contraria, ossia la prova della scadenza delle rate e dei decimi, successivamente alla data di entrata in vigore del provvedimento abrogativo, fondando in tal modo la decisione su di una distinta ed autonoma “ratio decidendi” che non è stata investita dalla censura.
La Corte d’appello ha, infatti, correttamente desunto, in base alla disciplina normativa della scadenza dei termini di pagamento delle rate e dei decimi di rata previsti per i ruoli soggetti all’obbligo del “non riscosso per riscosso” (D.P.R. n. 43 del 1998, art. 72; D.I. n. 16 del 1993 conv. in L. n. 75 del 2016), ed alla comparazione tra il complessivo importo iscritto a ruolo suppletivo (Euro 56.161,47) e quello già riscosso dalla Cassa Forense (Euro 44.429,49), lo sviluppo del prospetto cronologico delle scadenze dei termini per il pagamento delle rate e dei decimi del ruolo suppletivo (4 rate, ciascuna delle quali pagabile in tre “tranches” corrispondenti a 4/10, 3/10 e 3/10: D.M. 22 maggio 1997, art. 18, di attuazione della L. 20 settembre 1980, n. 576); e da ciò ha dedotto che la prima rata doveva essere versata, quanto alla prima “tranche”, entro il 27.11.1998, e quanto alla seconda, entro il 14.2.1998.
Ne seguiva che dalla terza “tranche”, in scadenza il 14.5.1999, fino all’ultima “tranche” della quarta rata, scadente in data 14.12.1999, nessun altro versamento doveva essere anticipato dall’Agente della riscossione, essendo entrata in vigore in data 26.2.1999 la norma abrogativa dell’obbligo del “non riscosso per riscosso”. Essendo stato già stato versato alla Cassa Forense un importo notevolmente superiore a quello corrispondente alle prime due “tranches” della prima rata, come risultante dal frazionamento del complessivo importo del ruolo, nessuna ulteriore somma poteva essere pretesa dall’ente creditore in applicazione del D.P.R. n. 43 del 1988, art. 32.
In conclusione, il ricorso principale va rigettato; il controricorso ed il ricorso incidentale condizionale debbono essere dichiarati inammissibili, per nullità della procura speciale ad litem. Se tanto consente di non provvedere sulle spese di lite tra le parti, va disposto altresì il raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale; dichiara inammissibile il controricorso ed il ricorso incidentale condizionato.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il versamento, se e nella misura dovuto, da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 8 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2020