201902.15
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Cass., sez. III civ., 15 febbraio 2019 (ord.), n. 4558 (testo)

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 10 gennaio – 15 febbraio 2019, n. 4558
Presidente Travaglino – Relatore Olivieri

Fatti di causa

In riforma della decisione di prime cure che aveva condannato Equitalia Cerit s.p.a. al risarcimento dei danni – liquidati in Euro 35.748,87 oltre accessori- subiti da BIB s.r.l. per la illegittima iscrizione di ipoteca legale, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 77, effettuata in data successiva a quella della comunicazione della pubblicazione della sentenza della CTP di Pisa con la quale era stata annullata la cartella di pagamento, la Corte d’appello di Firenze, con sentenza in data 20.9.2016 n. 1488, in accoglimento della domanda subordinata riproposta dalla appellata BIB s.r.l. ex art. 346 c.p.c., riteneva esclusivo responsabile del danno l’ente impositore (Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale di Pisa) che aveva comunicato con ritardo, all’Agente della riscossione, lo sgravio delle somme portate dalla cartella di pagamento e disposto in conseguenza della sentenza in data 8.9.2008 di annullamento della Commissione tributaria provinciale di Pisa. Qualificava lecita la successiva condotta tenuta da Equitalia Cerit s.p.a. che aveva ridotto l’ipoteca legale limitatamente alle somme per cui era stato disposto lo sgravio mantenendo la garanzia per il residuo credito insoluto di Euro 1.329.71 relativo a contributi INPS, in quanto la norma di legge fissava il limite di Euro 5.000,00 soltanto ai fini dell’esperimento dell’azione esecutiva, senza nulla prevedere in relazione alla applicazione della misura conservativa della ipoteca legale.
La sentenza di appello, notificata in data 23.9.2016, è stata ritualmente impugnata da Agenzia delle Entrate con ricorso per cassazione, deducendo tre motivi.
BIB s.r.l. in liquidazione ha resistito con controricorso.
Non ha svolto difese Equitalia Servizi di Riscossione s.p.a. (già Equitalia Centro s.p.a. e prima ancora Equitalia Cerit s.p.a.) alla quale il ricorso è stato notificato in data 21.11.2016 in forma telematica presso l’indirizzo PEC de difensore domiciliatario.

Ragioni della decisione

Il primo motivo, con il quale si deduce la violazione dell’art. 2043 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è inammissibile.
La Agenzia delle Entrate si duole della mancata considerazione da parte del Giudice di appello del contenuto periodo di ritardo intercorso tra la pubblicazione della sentenza di annullamento della CTP di Pisa e la disposizione di sgravio delle somme portate dalla cartella di pagamento, lamentando che la comunicazione della pubblicazione della sentenza tributaria era pervenuta all’ente impositore in data 29.9.2008 e che dovevano pertanto tenersi conto dei tempi fisiologici di “lavoro della pratica”.
La censura così come formulata non investe un errore sulla individuazione degli elementi costitutivi della fattispecie normativa dell’illecito aquiliano, né un errore nella riconduzione della fattispecie concreta nello schema della norma generale sull’illecito di cui all’art. 2043 c.c..
La Corte d’appello ha, infatti, accertato nel caso concreto: a) una condotta della PA “non jure” e “contra ius” (applicazione illegittima – in assenza di un credito riferibile all’ente impositore – di una misura coercitiva – conservativa sui beni immobili della società contribuente, in conseguenza del ritardo nella comunicazione all’Agente della riscossione della disposizione di sgravio); b) la imputazione della condotta illecita in via esclusiva a colpa della Agenzia delle Entrate, non essendo stato ritenuto giustificato – in difetto di elementi ostativi addotti dall’ente impositore – il tempo trascorso tra la pubblicazione della sentenza tributaria (8.9.2008) e la comunicazione dello sgravio pervenuta secondo quanto allegato dall’Agente per la riscossione – il 31 ottobre 2008; c) il pregiudizio di natura patrimoniale derivato quale conseguenza della applicazione della iscrizione ipotecaria.
In considerazione di tali elementi l’accertamento compiuto dalla Corte distrettuale appare del tutto conforme alla struttura normativa dell’illecito aquiliano, secondo i principi ormai consolidati elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte in tema di illecito extracontrattuale della Pubblica Amministrazione. Ed infatti come è stato statuito dalla storica sentenza di questa Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 500 del 22/07/1999 “una domanda risarcitoria ex art. 2043 cod. civ. nei confronti della P.A. per illegittimo esercizio di una funzione pubblica, questi dovrà procedere, in ordine successivo, alle seguenti indagini: a) in primo luogo, dovrà accertare la sussistenza di un evento dannoso; b) dovrà, poi, stabilire se l’accertato danno sia qualificabile come ingiusto, in relazione alla sua incidenza su di un interesse rilevante per l’ordinamento (a prescindere dalla qualificazione formale di esso come diritto soggettivo); c) dovrà, inoltre, accertare, sotto il profilo causale, facendo applicazione dei criteri generali, se l’evento dannoso sia riferibile ad una condotta della P.A.; d)infine, se detto evento dannoso sia imputabile a responsabilità della P.A. Tale imputazione non potrà avvenire sulla base del mero dato obiettivo della illegittimità del provvedimento amministrativo – in relazione al cui accertamento, peraltro, non è ravvisabile la necessaria pregiudizialità del giudizio di annullamento davanti al giudice amministrativo, potendo, al contrario, detto accertamento essere svolto dal giudice ordinario nell’ambito dell’esame della riconducibilità della fattispecie sottoposta al suo esame alla nozione di fatto illecito delineata dall’art. 2043 cod. civ., richiedendo, invece, una più penetrante indagine in ordine alla valutazione della colpa, che, unitamente al dolo, costituisce requisito essenziale della responsabilità aquiliana. La sussistenza di tale elemento sarà riferita non al funzionario agente, ma alla P.A. come apparato, e sarà configurabile qualora l’atto amministrativo sia stato adottato ed eseguito in violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione alle quali deve ispirarsi l’esercizio della funzione amministrativa, e che il giudice ordinario ha il potere di valutare, in quanto limiti esterni alla discrezionalità amministrativa”. (cfr. conformi Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12282 del 27/05/2009; id. Sez. 3, Sentenza n. 22508 dei 28/10/2011; id. Sez. 1 -, Ordinanza n. 16196 del 20/06/2018).
La critica mossa dalla Agenzia delle Entrate è diretta piuttosto ad investire questa Corte di un inammissibile sindacato sul merito dell’accertamento e cioè sulla valutazione della capacità dimostrativa dei fatti costitutivi della pretesa risarcitoria riconosciuta agli elementi probatori acquisiti al giudizio: non attiene evidentemente al controllo di legittimità riesaminare gli elementi istruttori al fine di prevenire ad un difforme giudizio rispetto a quello cui è pervenuto il Giudice del merito nel ritenere “ritardo colpevole” il periodo di “oltre un mese con cui (l’Agenzia delle Entrate) dispose e successivamente comunicò (non si sa esattamente quando ma comunque in situazione di ritardo già maturato) all’esattore lo sgravio del debito tributario principale per cui venne indebitamente iscritto il gravame ipotecario” (cfr. sentenza Corte d’appello, in motivazione), occorrendo osservare ulteriormente che neppure viene indicato dalla ricorrente se e quando sia stato ritualmente prodotto in primo grado il documento (parzialmente fotocopiato alla pag. 9 del ricorso), né il luogo del fascicolo processuale in cui sia dato rinvenire tale documento, con conseguente violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.
Con il secondo motivo l’ente pubblico ricorrente deduce la violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 76 e 77, e degli artt. 1223 e 2043 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Sostiene la Agenzia ricorrente che la Corte territoriale avrebbe errato a non ravvisare alcuna “concorrente responsabilità” dell’Agente per la riscossione, atteso che Equitalia avendo ricevuto al più tardi comunicazione dello sgravio in data 31.10.2008, aveva indebitamente protratto il mantenimento della misura ipotecaria – per il residuo importo del credito INPS di Euro 1.329,71 portato dalla cartella – fino alla cancellazione eseguita in data 18.12.2008, sebbene fosse estendibile anche alla misura della ipoteca il limite minimo di importo di Euro 8.000,00 al tempo vigente per procedere ad esecuzione forzata, come statuito dagli arresti delle Sezioni Unite della Corte n. 4077/2010 e n. 5771/2012.
Ne seguiva, secondo l’assunto della ricorrente, che i danni patrimoniali lamentati da BIB s.r.l. in liquidazione avrebbero dovuto essere imputati eziologicamente anche alla condotta illecita tenuta da Equitalia Cerit s.p.a., successivamente alla avvenuta ricezione della comunicazione dello sgravio della somma.
Il motivo, determinato dall’interesse della Agenzia delle Entrate ad estendere l’accertamento di responsabilità anche ad altri coobbligati, in funzione di un’eventuale azione di regresso da proporre in separato giudizio (non emergendo dagli atti che tale domanda sia stata proposta dalla terza chiamata nel giudizio di merito), è fondato.
È rimasto accertato nel giudizio di merito che, dopo aver ricevuto la comunicazione dello sgravio (al più tardi il 31 ottobre 2008), l’Agente per la riscossione (Equitalia Cerit s.p.a.) ha provveduto in data 10 novembre 2008 ad annotare lo sgravio dell’importo di Euro 102.689,78, mantenendo la misura ipotecaria per il solo ridotto ammontare del minor credito riferibile all’INPS (Euro 1.329,71).
Il Giudice di appello ha ritenuto di escludere qualsiasi responsabilità dell’Agente della riscossione, sulla affermazione -errata in diritto – della legittimità “in jure” della condotta tenuta da Equitalia, alla stregua di una errata lettura interpretativa delle norme di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 76 e 77, nel testo vigente al tempo, rilevando che il limite minimo di Euro 8.000,00 – introdotto dal D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 3, convertito in L. 2 dicembre 2005, n. 248 – operava esclusivamente ai fini dell’esercizio della azione esecutiva, e non anche della applicazione della misura coercitiva-conservativa della ipoteca. Diversamente, la giurisprudenza di Corte Cass. Sez. U, Sentenza n. 4077 del 22/02/2010 e Sez. U, Sentenza n. 5771 del 12/04/2012 (seguite dalle Sezioni semplici Sez. 5 -, Ordinanza n. 16110 del 28/06/2017) ha statuito che, in tema di riscossione coattiva delle imposte, l’ipoteca prevista dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 77, rappresentando un atto preordinato all’espropriazione immobiliare, soggiace agli stessi limiti per quest’ultima stabiliti dall’art. 76, del medesimo D.P.R., e non può, quindi, essere iscritta se il debito del contribuente non supera gli ottomila Euro. Né a diversa conclusione può indurre il D.L. 25 marzo 2010, n. 40, art. 3, comma 2 ter, convertito nella L. 22 maggio 2010, n. 73, il quale, vietando all’agente della riscossione di iscrivere ipoteca per crediti inferiori ad ottomila Euro a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione, ha così indicato l’autonomo presupposto per le future iscrizioni di ipoteca in un importo coincidente con quello minimo previsto per l’espropriazione, senza per ciò solo poter essere apprezzato come indiretta dimostrazione dell’inesistenza per il periodo pregresso di limiti di valore per la stessa iscrizione.
Ne segue che il giudizio formulato dalla Corte d’appello in ordine alla insussistenza della fattispecie di cui all’art. 2043 c.c., arrestatosi in limine nella rilevata inesistenza dell’elemento normativo della illiceità (non jure) della condotta materiale tenuta da Equitalia Cerit s.p.a. per l’intero periodo intercorso tra la pronuncia della sentenza di annullamento della CTP (8.9.2008) e la cancellazione definitiva della ipoteca (18.12.2008), contrastando con il principio di diritto sopra enunciato, determina la cassazione della sentenza impugnata “in parte qua”, venendo in rilievo per il periodo intercorso tra la ricezione della comunicazione di sgravio (al più tardi il 31.10.2008) e la cancellazione della ipoteca (18.12.2008) la responsabilità dell’Agente della riscossione per il pregiudizio arrecato alla società dalla illegittima protrazione della misura ipotecaria sui beni immobili. In relazione tale aspetto non occorre procedere al rinvio della causa avanti il Giudice di appello essendo stati integralmente svolti in primo e secondo grado – sia pure con risultati valutativi opposti – tutti gli accertamenti di merito e potendo quindi ritenersi già accertati tutti gli elementi della fattispecie illecita, ascrivibile tanto all’Ente impositore che all’Agente della riscossione, in relazione ai distinti periodi indicati, sia in relazione al nesso eziologico tra la condotta e le conseguenze pregiudizievoli derivate al danneggiato, sia in ordine all’elemento soggettivo dell’illecito che, come noto, in tema di responsabilità della P.A., non deriva automaticamente dall’illegittimità dell’atto compiuto nell’esercizio dell’attività amministrativa, ma trova titolo nella colpa dell’Amministrazione come apparato – nella specie individuata nell’ingiustificato ritardo con il quale l’Agenzia ha operato e comunicato lo sgravio, e l’Agente della riscossione ha disposto la cancellazione della ipoteca – la quale sussiste quando l’atto assunto come lesivo viola le regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, che il Giudice ordinario valuta come limiti esterni alla discrezionalità (ex pluribus: Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 4326 del 23/02/2010; id. Sez. L, Sentenza n. 5561 del 08/03/2010; id. Sez. 1, Sentenza n. 23496 del 10/11/2011; id. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 4172 del 15/03/2012; id. Sez. 3, Sentenza n. 23170 del 31/10/2014; id. Sez. L -, Ordinanza n. 27800 dei 22/11/2017).
Con il terzo motivo la Agenzia delle Entrate censura la sentenza di appello per violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., nonché dell’art. 2697 c.c., deducendo che la Corte territoriale aveva liquidato il danno patrimoniale, come accertato in primo grado, sul presupposto della errata affermazione della mancata contestazione in ordine al “quantum” da parte della appellata Agenzia delle Entrate, quando al contrario l’Ente impositore, nella comparsa di costituzione in grado di appello, aveva resistito, chiedendone il rigetto, anche alla domanda di condanna riproposta in via subordinata-condizionata da BIB s.r.l..
Risulta dal ricorso (esposizione del fatto, pag. 2) che Equitalia, evocata in giudizio come responsabile da BIB s.r.l., aveva chiamato “in manleva” la Agenzia delle Entrate per essere da questa sollevato dall’onere patrimoniale conseguente ad un’eventuale accoglimento della domanda attorea.
In relazione a tale prospettazione (che trova riscontro anche nella sentenza di appello, in motivazione pag. 1) non viene chiarito tuttavia il contenuto della domanda proposta dalla convenuta – chiamante nei confronti della terza – chiamata. Risulta ancora che BIB s.r.l. aveva però “esteso la domanda risarcitoria” anche nei confronti della terza chiamata, ipotizzando quindi una responsabilità diretta della Agenzia delle Entrate che, giusta la qualificazione giuridica operata dal Giudice di appello – e non contestata dalle parti – doveva intendersi “oggettivamente incompatibile ed alternativa” rispetto alla responsabilità contestata ad Equitalia (dunque non si trattava di domande cumulate fondate su fatti distinti), nel senso che la estensione della domanda aveva ad oggetto gli stessi fatti costitutivi della originaria pretesa, trattandosi di accertare soltanto quale dei due soggetti parti in causa (convenuta; terza chiamata) fosse l’esclusivo responsabile del danno, in tal modo venendo a rivestire la relazione tra le posizioni di Equitalia e di Agenzia delle Entrate carattere di incompatibilità-escludente (l’affermazione della responsabilità dell’una comportava necessariamente la negazione della responsabilità dell’altra). Ciò trova riscontro anche dalla ritenuta – implicitamente – ammissibilità, da parte della Corte territoriale, della mera “riproposizione” ex art. 346 c.p.c., da parte dell’appellata BIB s.r.l., della domanda condizionata (rette alternativa) proposta nei confronti della Agenzia delle Entrate: diversamente, infatti, qualora la estensione della domanda originaria avesse avuto ad oggetto fatti diversi di responsabilità imputabili autonomamente – in concorso o meno – alla terza chiamata Agenzia delle Entrate, BIB s.r.l. non avrebbe potuto limitarsi a riproporre la questione, ma essendo risultata soccombente sulla distinta domanda proposta contro la terza chiamata, avrebbe dovuto allora proporre appello incidentale (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5444 del 14/03/2006, in motivazione, § 2.1).
Premesso, quindi, l’inquadramento della vicenda processuale come definito dalla Corte distrettuale nella sentenza di appello, occorre considerare, quanto allo scrutinio di legittimità in relazione alle norme di diritto asseritamente violate, che:
a) la impugnazione principale di Equitalia, involgendo la statuizione su cui era risultata soccombente, devolveva al Giudice del gravame la causa concernente l’accertamento alternativo di responsabilità, onerando le altre parti, entrambe vittoriose, alla mera riproposizione ex art. 346 c.p.c., delle eventuali domande od eccezioni non esaminate dal primo Giudice (riproposizione condizionata all’accoglimento dell’appello principale): ne segue che ai fini della ammissibilità della presente censura la Agenzia ricorrente avrebbe dovuto dimostrare, di avere espressamente contestato fin dal primo grado la quantificazione del danno operata in domanda dalla società attrice e soprattutto di avere riproposto con la comparsa in grado di appello le contestazioni che erano state mosse al “quantum”;
b) è bene vero che tra i motivi di gravame dedotti dall’appellante principale Equitalia era stata censurata – per carenza di idonea prova – anche la statuizione della decisione di prime cure che aveva ritenuto provato l’”an” ed il “quantum” del danno patrimoniale oggetto del risarcimento: ma il motivo di gravame non era stato poi esaminato dal Giudice di appello, in quanto ciò si era reso superfluo atteso l’accertamento della inesistenza della stessa condotta illecita colposa imputabile ad Equitalia;
c) l’Agenzia delle Entrate afferma di essersi costituita in grado di appello con comparsa di risposta con la quale aveva instato per il rigetto dell’appello principale e per la conferma della decisione di prime cure, sostenendo di aver richiesto anche il rigetto della domanda riproposta da BIB s.r.l..
Orbene questa Corte è impedita ad effettuare qualsiasi verifica in merito alle allegazioni della ricorrente, in quanto il contenuto della comparsa di risposta non è stato riportato dalla Agenzia fiscale, che ha omesso di trascrivere nel ricorso il contenuto di detto atto (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), non essendo dato accertare pertanto se, con lo stesso, fossero state effettivamente riproposte ex art. 346 c.p.c., questioni od eccezioni, specificamente riferite alla liquidazione del danno, ritualmente formulate in primo grado e rimaste assorbite nella pronuncia del Tribunale.
Ne segue che l’affermazione della Corte distrettuale secondo cui “l’ammontare della liquidazione operata dal primo giudice in Euro 35.748,87 oltre interessi legali dalla data della domanda al saldo non viene in alcun modo contestata dall’obbligato”, va esente dalla censura prospettata tenuto conto, peraltro, che la mera richiesta da parte dell’appellata della conferma della decisione di prime cure, non metteva in discussione la liquidazione compiuta dal primo Giudice, mentre la semplice contestazione della domanda riproposta da BIB s.r.l. – in assenza della indicazione degli argomenti svolti a sostegno della comparsa in grado di appello – impedisce di verificare se, oltre alla contestazione della responsabilità nell’”an” fosse stata svolta una specifica critica anche alla liquidazione del danno accertato dal Tribunale.
Né tale conclusione contraddice all’accoglimento del secondo motivo, in conseguenza del quale viene in rilievo una responsabilità concorrente dell’Agente per la riscossione e dell’Ente impositore, determinandosi una situazione di coobbligazione solidale ex art. 2055 c.c., comma 1, nell’adempimento della obbligazione risarcitoria, che onera ciascuna delle parti a rispondere per l’intero, e risultando quindi priva di rilievo – in assenza di espressa proposizione di domanda di regresso o di quantificazione delle rispettive colpe – la doglianza svolta dalla ricorrente, nel motivo in esame, in relazione alla indebita attribuzione dell’intero danno alla Agenzia delle Entrate, anziché della sola quota corrispondente alla “durata” – ad essa imputabile – della iscrizione ipotecaria.
In conclusione il ricorso trova limitato accoglimento quanto al secondo motivo (inammissibile il primo ed il secondo) e la sentenza impugnata va cassata in parte qua.
Non occorrendo procedere ad ulteriori accertamento in fatto la Corte può decidere nel merito ex art. 384 c.p.c., comma 2, con la condanna della Agenzia delle Entrate e di Equitalia Servizi di Riscossione s.p.a., in solido, al risarcimento del danno in favore di BIB s.r.l. in liquidazione liquidato in complessivi Euro 35.748,87 oltre interessi al tasso legale dal 28 aprile 2009 al saldo.
Le spese di lite vanno regolate come segue:
Le spese possono dichiararsi interamente compensate tra Agenzia delle Entrate ed Equitalia Servizi Riscossione s.p.a., per entrambi i gradi di merito e per il giudizio di legittimità, atteso l’esito altalenante delle pronunce intervenute nei precedenti gradi e non avendo Equitalia svolto difese nel giudizio di legittimità
Agenzia delle Entrate ed Equitalia Servizi di Riscossione s.p.a. in quanto soccombenti rispetto alla domanda proposta da BIB s.r.l. vanno condannate, in solido, alla rifusione in favore di detta società delle spese dei gradi di merito, nella stessa misura liquidata nella sentenza di appello e dunque, quanto al primo grado in complessivi Euro 7.000 oltre spese forfetarie al 15% ed accessori di legge (di cui Euro 1.500,00 per fase di studio; Euro 1.000,00 per fase introduttiva; Euro 1.500,00 per fase istruttoria; Euro 3.000,00 per fase decisoria), quanto al secondo grado in complessivi Euro 5.000,00 oltre spese forfetarie al 15% ed accessori di legge (di cui Euro 2.000,00 fase di studio; Euro 1.300,00 fase introduttiva; non risulta svolta fase istruttoria; Euro 1.700,00 fase decisoria); per il giudizio di legittimità in Euro 4.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi oltre spese forfetarie al 15% ed accessori di legge.
Le spese processuali come sopra liquidate devono essere distratte a favore dell’avv. Stefanella Bruschi Cerrai, dichiaratasi antistataria ex art. 93 c.p.c..

P.Q.M.

Accoglie il secondo motivo di ricorso (dichiara inammissibili il primo ed il terzo motivo); cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, condanna la Agenzia delle Entrate ed Equitalia Servizi di Riscossione s.p.a., in solido, al risarcimento del danno in favore di BIB s.r.l. in liquidazione, liquidato in complessivi Euro 35.748,87 oltre interessi al tasso legale dal 28 aprile 2009 al saldo.
Dichiara compensate le spese dell’intero giudizio tra Agenzia delle Entrate ed Equitalia Servizi Riscossione s.p.a..
Condanna Agenzia delle Entrate ed Equitalia Servizi di Riscossione s.p.a., in solido, alla rifusione in favore di BIB s.r.l. in liquidazione, delle spese di lite che liquida: quanto al primo grado, in complessivi Euro 7.000 oltre spese forfetarie al 15h ed accessori di legge (di cui Euro 1.500,00 per fase di studio; Euro 1.000,00 per fase introduttiva; Euro 1.500,00 per fase istruttoria; Euro 3.000,00 per fase decisoria); quanto al secondo grado, in complessivi Euro 5.000,00 oltre spese forfetarie al 15% ed accessori di legge (di cui Euro 2.000,00 fase di studio; Euro 1.300,00 fase introduttiva; non risulta svolta fase istruttoria; Euro 1.700,00 fase decisoria); quanto al giudizio di legittimità, in Euro 4.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi oltre spese forfetarie al 15% ed accessori di legge.
Le spese processuali come sopra liquidate devono essere distratte a favore dell’avv. Stefanella Bruschi Cerrai, dichiaratasi antistataria ex art. 93 c.p.c..

  • Responsabilità extracontrattuale della PA: Agente della riscossione ed Ente impositore rispondono in solido (nota a Cass. 4558-2019)