201512.16
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Cass., sez. II pen., 14 dicembre 2015, n. 49191 (testo)

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 17 novembre – 14 dicembre 2015, n. 49191
Presidente Cammino – Relatore Pellegrino

Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza in data 30.06.2015, il Tribunale di Padova rigettava la richiesta di riesame presentata per conto di B.D. e di F. Fiduciaria s.r.l. nei confronti del decreto di sequestro preventivo emesso dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Padova in data 13.05.2015.
1.1. Nel corso dei procedimento risultano essere stati emessi diversi provvedimenti di sequestro preventivo di somme, depositate su conti correnti fiduciariamente intestati ad A. Fiduciaria s.p.a., per un complessivo importo di circa 8,5 milioni di euro che, a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 231/2007, venivano ritrasferite in S. Marino per sottrarle all’obbligo di indicazione dei titolare effettivo; veniva così progressivamente ipotizzata e delineata l’architettura dei c.d. Gruppo S., un reticolo di società costituite in S. Marino e in numerosissimi altri Stati non cooperanti, che, dall’anno 2005, si è implementato con le società aventi sede a Roma (A. Fiduciaria, I. Leasing e I. Finanziaria), sostituendo così i riferimenti “esterni” al Gruppo precedentemente utilizzati per la reintroduzione nel territorio dello Stato del denaro esportato in S. Marino da clienti italiani. Secondo l’ipotesi accusatoria, il gruppo societario risulta gestito da P.E.M. coadiuvato da B.D. e da altri soggetti, operanti essenzialmente in S. Marino dove è radicata la S. M. I. Sa-S. Sa, e dove di fatto sono operanti due società portoghesi (I. Ltda e I. D. P. Ltda). Da S. Marino, gli stessi utilizzano le società italiane come mero strumento per consentire alla clientela italiana di disporre dei denaro precedentemente esportato, progressivamente reimpiegato nel territorio dello Stato dietro diverse tipologie di schermi fiduciari.

2. Avverso detto provvedimento, B.D., tramite difensore, propone ricorso per cassazione, lamentando:

-violazione dell’art. 606 lett. b) cod. proc. pen. in relazione all’art. 325 cod. proc. pen. per violazione ed erronea applicazione di legge, nella specie l’art. 13 bis d.l. 01.07.2009, n. 78, convertito nella I. 03.08.2009 n. 102 (primo motivo);
-violazione dell’art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione all’art. 321 cod. proc. pen., per avere il Tribunale erroneamente applicato la norma in relazione al caso concreto e per avere fornito sul punto una motivazione assolutamente illogica nonché contraddittoria (secondo motivo).

2.1. In relazione al primo motivo, evidenzia il ricorrente come il Tribunale avesse omesso di rilevare come:

-le somme oggetto di sequestro fossero state oggetto di “scudo fiscale ter” da parte dei titolari effettivi delle stesse (M.G. e M.Gi.) per il tramite di fiduciaria italiana (A. Fiduciaria s.p.a.);
-i signori M.G. e M.Gi. non fossero mai stati indagati per alcun reato;
-fosse stato correttamente documentato dalla società fiduciaria chi fossero i titolari effettivi delle somme;
-la procedura di emersione fosse stata regolarmente compiuta e perfezionata con il pagamento delle somme in favore dell’erario da parte dell’intermediario incaricato;
-l’adesione allo scudo fiscale ter (art. 13 bis d.l. 78/2009 e successive modifiche) non potesse considerarsi attività di occultamento volta a consentire il riciclaggio, essendo al contrario pratica di emersione e regolarizzazione delle somme mediante adesione ad una legge dello Stato.

2.2. In relazione al secondo motivo, si evidenzia come nel provvedimento impugnato, entrambi i presupposti per l’applicazione ed il mantenimento della misura cautelare reale (fumus e perículum) siano stati solo apparentemente indicati, essendo in realtà insussistenti.
Da qui la richiesta di annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato, con revoca del sequestro e restituzione agli aventi diritto di quanto in oggetto ovvero, in subordine, di annullamento con rinvio.

Considerato in diritto

1. Il ricorso appare infondato e, come tale, va rigettato.

2. Occorre premettere, in adesione alle valutazioni effettuate nel corpo del provvedimento impugnato che, al Tribunale del riesame, in sede di ricorso ex art. 324 cod. proc. pen., compete unicamente la verifica della sussistenza dei presupposti per l’imposizione del vincolo reale sul bene alla luce delle concrete risultanze processuali e dell’effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti, con la conseguenza che, per riconoscere la sussistenza dei “fumus delicti commissi”, non occorre la ricorrenza di indizi di colpevolezza e, tantomeno, una loro valutata gravità, bensì solo elementi concreti conferenti nel senso della sussistenza del reato ipotizzato (cfr., ex multis, Sez. 2, sent. n. 5656 del 28/01/2014, dep. 05/02/2014, P.M. in proc. Zagarrio, Rv. 258279).

3. La medesima giurisprudenza di legittimità riconosce che il “periculum in mora” richiesto dal primo comma dell’art. 321 cod. proc. pen. deve presentare i requisiti della concretezza e attualità, da valutare in riferimento alla situazione esistente non soltanto al momento dell’adozione della misura cautelare reale ma anche durante la sua vigenza, di modo che possa ritenersi quanto meno probabile che il bene assuma carattere strumentale rispetto all’aggravamento o alla protrazione delle conseguenze dei reato ipotizzato o all’agevolazione della commissione di altri reati (cfr., Sez. 3, sent. n. 47686 del 17/09/2014, dep. 19/11/2014, Euro Piemme s.r.l., Rv. 261167).

4. Invero, le conseguenze che il legislatore intende neutralizzare attraverso il provvedimento` non sono identificabili né con la condotta dei reati formali né con l’evento naturalistico che integra la consumazione dei reati materiali, ma sono anche quelle ulteriori e potenziali rispetto alla condotta tipica realizzata: per tale ragione, il sequestro preventivo può essere disposto anche quando sia cessata la condotta o siano perfezionati gli elementi costitutivi del reato in relazione al quale la misura viene adottata.

5. Con riferimento al primo motivo di doglianza, denuncia il ricorrente l’assoluta erronea applicazione di legge da parte del Tribunale del riesame con riferimento all’art. 13 bis del D.L. n. 78 dei 2009, convertito nella L. n. 102 del 2009 (adesione allo “scudo fiscale”). Assume, in particolare, il ricorrente la paradossale interpretazione resa dal Tribunale secondo cui l’adesione in parola avrebbe costituito condotta idonea a far ritenere la ricorrenza di condotte di riciclaggio.
Invero, come già rilevato da questa Corte (cfr., Sez. 3, Sentenza n. 28724/2011 in motivazione), la non punibilità prevista dalla disciplina del c.d. scudo fiscale riguarda solo condotte afferenti le somme che dall’estero rientrano in Italia.
In particolare il D.L. n. 78 del 2009, art. 13, inserito dalla legge di conversione 3 agosto 2009, n. 102, e successivamente modificato dal D.L. 3 agosto 2009, n. 103, art. 1, cony. dalla L. 3 ottobre 2009, n. 141, prevede una misura incentivante il rimpatrio di attività finanziarie e patrimoniali detenute fuori del territorio dello Stato. A fronte del pagamento di un’imposta straordinaria su un rendimento lordo presunto del capitale e con un’aliquota comprensiva di interessi e sanzioni, è previsto, come beneficio fiscale, la sterilizzazione del capitale rimpatriato che non può costituire elemento utilizzabile a sfavore del contribuente (ad es. in quanto rivelatore di capacità contributiva), nonché l’esonero dall’obbligo di segnalazione di cui al D.Lgs. 21 novembre 2007, n. 231, art. 41, ed altri effetti premiali tra cui l’esclusione della punibilità per alcuni reati fiscali. Tale (sopravvenuta) non punibilità è prevista mediante il richiamo, contenuto nell’art. 1 cit., sia al D.L. 25 settembre 2001, n. 350, art. 14, che esclude appunto la punibilità per i reati di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 4 e 5, nonché per i reati di cui al D.L. n. 429 del 1982 (salvi però quelli previsti dall’art. 4, lett. d) e f), dei predetto Decreto n. 429 del 1982, relativamente alla disponibilità delle attività finanziarie dichiarate), sia alla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 8, comma 6, lett. c), che estende la non punibilità anche ai reati tributari di cui al D.Lgs. n. 74 dei 2000, artt. 2, 3 e 10 (oltre che 4 e 5).
Tale esonero dalla punibilità,, va inteso in termini rigorosamente restrittivi nel senso che si riferisce alle sole condotte afferenti i capitali oggetto della procedura di rimpatrio; questo, per non sconfinare in una sostanziale previsione di amnistia che avrebbe richiesto la maggioranza qualificata di cui all’art. 79 Cost., comma 1. La ratio di questa previsione speciale (l’art. 13 cit.) che assegna al rimpatrio dei capitali e al pagamento dell’imposta straordinaria anche l’effetto di sopravvenuta causa di non punibilità è quella di evitare che la domanda di regolarizzazione comporti anche l’emersione di una condotta di trasferimento all’estero di capitali per spontanea dichiarazione del suo autore; ciò che potrebbe costituire una remora all’utilizzo della regolarizzazione stessa che il legislatore ha invece inteso promuovere. Si giustifica allora quello che descrittivamente viene indicato come scudo fiscale: la condotta di trasferimento all’estero di quei capitali rimpatriati con la regolarizzazione mediante pagamento di imposta straordinaria e lo stesso possesso all’estero di tali capitali vengono depurati di ogni rilievo penale al fine dei menzionati reati fiscali. Ma non c’è alcun effetto espansivo esterno nel senso di un’immunità soggettiva in relazione ad altri reati nella cui condotta non rilevino affatto i capitali trasferiti e posseduti all’estero e successivamente oggetto di rimpatrio. Questa restrittiva interpretazione trova un puntuale riscontro nella espressa previsione dell’art. 13, comma 4, che predica l’applicabilità dell’esonero della responsabilità penale “limitatamente al rimpatrio ed alla regolarizzazione di cui al presente articolo”. Né, ciò è contrastato dalla cit. L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 8, comma 6, lett. c), – pure richiamato dall’art. 13 cit. – che riferisce sì tale immunità alle “annualità” oggetto di integrazione, ma ciò fa perché in quel caso (della L. n. 289/292) la regolarizzazione (o condono) aveva ad oggetto proprio annualità di reddito, mentre la regolarizzazione di cui all’art. 13 cit. (dei D.L. n. 78 del 2009) riguarda non già annualità di reddito, ma il trasferimento all’estero di determinati capitali (cfr., Sez. 3, sent. n. 41947 del 02/07/2014, dep. 08/10/2014, Soc. Rentcar Chartering Gmbh, Rv. 261395).
Quindi, analogamente, può dirsi che, solo con riferimento ai capitali rimpatriati, opera il c.d. scudo fiscale con la relativa immunità penale per i reati fiscali previsti sia dall’art. 14 cit. sia dall’art. 8 cit.; mentre, per il resto, rimane l’ordinaria rilevanza penale di condotte che nulla hanno a che vedere con il trasferimento ed il possesso all’estero di capitali (cfr. sentenza Sez. 3, Sentenza n. 28724/2011 cit.): da qui l’insussistenza della dedotta violazione di legge essendo la predetta causa di immunità inidonea ad escludere altre ipotetiche condotte di reato anche in rapporto di connessione o di strumentalità con la stessa.

6. Ciò premesso, venendo al secondo motivo di doglianza relativo allo specifico tema della pretesa violazione di legge nonché del vizio di motivazione in relazione al provvedimento di sequestro preventivo adottato nei confronti dell’indagato B.D. e quindi della sussistenza del fumus e del periculum in relazione ai contestati reati di associazione finalizzata al riciclaggio e di abusivo esercizio di attività finanziaria e creditizia svolta attraverso operazioni di reimpiego, ritiene il Collegio come il provvedimento impugnato non possa affatto ritenersi carente di motivazione. Invero, nello stesso, si evidenzia e si ribadisce l’esistenza di un grave quadro indiziario circa la configurabilità di una “struttura associativa finalizzata al riciclaggio e della provenienza illecita della somma di denaro sequestrata e della quale la società fiduciaria (ndr., la A. Fiduciaria, di cui il B. è direttore generale) aveva rifiutato di fornire indicazioni … dell’articolata composizione delle società, dell’utilizzo di paesi off­shore (S. Marino, Vanuatu, Madeira e Malta) quali sedi per le società controllanti quelle operanti in Italia evidentemente finalizzate ad ostacolare lo svolgimento delle indagini svolte per accertare la provenienza delle somme oggetto di mobilizzazione, dei numerosissimi rapporti bancari di cui si è riscontrata la riconducibilità alla stessa S. Sa di S. Marino, identificabili nel serbatoio iniziale del denaro fatto dapprima confluire all’estero mediante opache operazioni societarie e poi reinvestito sul territorio italiano tramite mandati fiduciari. Il periculum veniva individuato nella disponibilità degli stessi, indicata come idonea ad aggravare le conseguenze del reato commesso, vista anche l’incompletezza della documentazione fornita dalla società fiduciaria e la disposta destinazione del denaro presso istituti di credito aventi sede in paesi non soggetti alla normativa comunitaria e la rilevanza degli importi trasferiti, tenuto conto della possibile agevolazione di altri reati di riciclaggio …”.

7. Infine, priva di legittimazione oltre che di interesse è la censura con riferimento alla posizione di M.G. e di M.Gi., che avrebbero rivendicato la titolarità delle somme in sequestro, ponendosi i medesimi in posizione di terzietà rispetto al sequestro e non avendo gli stessi fatto valere alcuna pretesa in merito.

8. Alla pronuncia consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrente al pagamento delle spese processuali

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.