La CGUE interviene sulla localizzazione dei servizi informatici (e sul contraddittorio)
Il trasferimento del know-how che consente lo sfruttamento del sito erotico livejasmin.com dall’Ungheria a Madera, dove si applica un’aliquota IVA meno elevata, non costituisce, di per sé, una pratica abusiva.
Per contro, tale trasferimento costituisce una pratica abusiva se il suo obiettivo è di dissimulare il fatto che il sito è in realtà sfruttato a partire dall’Ungheria.
La WebMindLicenses (WML) è una società ungherese detenuta dall’uomo d’affari György Gattyán. Nel 2009 la WML, tramite un contratto di licenza, ha concesso in locazione alla società Lalib con sede a Madera (Portogallo) un know-how che consente lo sfruttamento del sito internet «livejasmin.com». Tale sito presta servizi audiovisivi interattivi a carattere erotico in cui intervengono in tempo reale persone fisiche situate in tutto il mondo.
In seguito ad un’indagine fiscale presso la WML, l’autorità tributaria ungherese ha ritenuto che il trasferimento del know-how dalla WML alla Lalib non fosse correlato a un’operazione economica effettiva, e che tale know-how fosse, in realtà, sfruttato dalla WML a partire dal territorio ungherese. In tali circostanze, detta autorità tributaria ha ritenuto, in particolare, che l’IVA relativa a tale sfruttamento avrebbe dovuto essere pagata in Ungheria, e non in Portogallo, e ha quindi imposto alla WML il pagamento di varie somme, di cui 10 293 457 000 fiorini ungheresi (HUF) (circa 33 145 618 EUR) a titolo di IVA, 7 940 528 000 HUF (circa 25 568 574 EUR) a titolo di ammenda e 2 985 262 000 HUF (circa 9 612 602 EUR) a titolo di penalità di mora.
La WML ha proposto ricorso avverso la decisione dell’autorità tributaria dinanzi al Fővárosi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság (giudice amministrativo e del lavoro di Budapest, Ungheria). Quest’ultimo chiede alla Corte di giustizia quali circostanze debbano essere prese in considerazione per valutare se il sistema contrattuale utilizzato ai fini del trasferimento dall’Ungheria al Portogallo del know-how che consente lo sfruttamento del sito in questione costituisca una pratica abusiva. L’autorità giudiziaria ungherese intende anche sapere se la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea consenta alle autorità tributarie degli Stati membri di raccogliere e utilizzare prove ottenute all’insaputa dell’interessato nell’ambito di un procedimento penale.
Nella sentenza odierna, la Corte risponde in primo luogo che, al fine di appurare che il contratto di licenza di cui trattasi tragga origine da una pratica abusiva, il cui obiettivo è di beneficiare di un’aliquota IVA meno elevata a Madera, il giudice ungherese deve accertare che tale contratto costituisca una costruzione puramente artificiosa volta a dissimulare il fatto che i servizi considerati sono in realtà resi dalla WML dall’Ungheria. A fine di verificare quale fosse il luogo effettivo della prestazione di tali servizi, devono essere presi in considerazione elementi oggettivi come la presenza fisica della Lalib in termini di locali, di personale e di attrezzature.
Per contro, il fatto che l’amministratore e unico azionista della WML fosse il creatore del know-how di cui trattasi e la circostanza che egli esercitasse un’influenza o un controllo sul suo sviluppo e sul suo sfruttamento non appaiono di per sé decisivi. Parimenti, la circostanza che la gestione delle transazioni finanziarie, del personale e degli strumenti tecnici necessari alla prestazione di detti servizi fosse assicurata da subcontraenti, nonché i motivi che possono aver portato la WML a concedere in locazione il suo know-how invece di sfruttarlo essa stessa non consentono, da soli, di accertare l’esistenza di una costruzione puramente artificiosa.
In ogni caso, il semplice fatto che un contratto di licenza sia stato concluso con una società con sede in uno Stato membro che applica un’aliquota IVA ordinaria meno elevata di quella dello Stato membro nel quale ha la sede la società che ha concesso la licenza non può essere considerato, in assenza di altri elementi, come una pratica abusiva.
In secondo luogo, la Corte rileva che il diritto dell’Unione non osta a che l’amministrazione tributaria possa utilizzare prove ottenute nell’ambito di un procedimento penale parallelo non ancora concluso, a condizione che siano rispettati i diritti fondamentali garantiti da tale diritto e in particolare dalla Carta. A tale riguardo, la Corte sottolinea che le intercettazioni di telecomunicazioni nonché i sequestri di messaggi di posta elettronica, effettuati nei confronti della WML, costituiscono ingerenze nell’esercizio del diritto al rispetto della vita privata e familiare, e pertanto essi devono essere previsti dalla legge e attuati nel rispetto del principio di proporzionalità.
Spetterà al giudice nazionale verificare se, nel presente caso, tali requisiti siano stati soddisfatti e se l’utilizzo da parte dell’autorità tributaria di prove ottenute con tali mezzi fosse altresì autorizzato dalla legge e necessario. Spetterà, inoltre, allo stesso giudice nazionale sincerarsi che la WML abbia avuto la possibilità, nell’ambito del procedimento amministrativo, di avere accesso a tali prove e di essere ascoltata sulle stesse.
Se il giudice nazionale constata che la WML non ha avuto tale possibilità o che le prove di cui trattasi sono state ottenute in violazione della Carta oppure se tale giudice non è abilitato ad esercitare detto controllo, esso non deve ammettere le prove ed annullare la decisione impugnata, nei limiti in cui essa risulti, per tale ragione, priva di fondamento.
(fonte curia.europa.eu)